STATUTO METROPOLITANO: IL SINDACO E' ELETTO A SUFFRAGIO UNIVERSALE

di Silvio Rossi

Votazione a suffragio universale. Era uno dei punti più discussi nella bozza di statuto presentata nel mese di novembre, e che avrebbe dovuto essere discussa per giungere, possibilmente entro fine anno, alla versione definitiva del documento che stabiliva limiti e funzioni della Città Metropolitana di Roma.
Tutti i soggetti interessati avevano dichiarato pubblicamente che la formula per cui: “Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco di Roma Capitale” non poteva ritenersi accettabile, perché escludeva dalla scelta del primo cittadino un terzo circa dei residenti nel territorio dell’ex Provincia di Roma.
Il legame tra l’amministrazione di Roma Capitale e della Città Metropolitana, inoltre, avrebbe reso l’intero Consiglio più fragile, in quanto la garanzia della sopravvivenza dello stesso non sarebbe stata determinata dal buon o cattivo funzionamento dell’ente, ma risultava un’appendice della sua città capoluogo, in quanto la decadenza del sindaco di Roma Capitale avrebbe trascinato la caduta anche dei vertici dell’organismo di livello superiore.
Avevamo auspicato anche noi un ripensamento della norma, nel nostro precedente articolo. Fortunatamente ciò è avvenuto, e nella proposta di Statuto, approvata dal Consiglio il 18 dicembre scorso, e ratificata dalla Conferenza metropolitana quattro giorni dopo, sia Sindaco che Consiglio sono eletti a suffragio universale tra tutti i cittadini del territorio.
Appare comunque meno comprensibile, rispetto al Sindaco, la votazione a suffragio universale del Consiglio. Nell’ottica di una diminuzione dei costi della politica, la trasformazione delle provincie in enti governati da assemblee composte da amministratori comunali, che non percepiscono per questo ruolo uno stipendio, era alla base della riforma Del Rio. Nello statuto appena votato, non è indicato SE (sicuramente si) e QUANTO sarà corrisposto ai consiglieri metropolitani.
Un consiglio composto da venti tra i sindaci o consiglieri dei comuni dell’ex Provincia, in rappresentanza delle “zone omogenee”, guidato dal sindaco, unico organo votato a suffragio universale, avrebbe potuto rappresentare un valido compromesso tra l’esigenza di contenimento dei costi e di rappresentatività democratica. In ogni caso, non avendo adottato questa scelta, è molto meglio l’elezione di tutte le componenti, che la scelta di avere organi di vertice romanocentrici.