Banda Uno bianca: dopo 23 anni Fabio e Roberto Savi di nuovo insieme

Fabio e Roberto Savi di nuovo insieme nello stesso carcere dopo 23 anni dal loro arresto. I due leader della famigerata banda della Uno bianca che tra il 1987 e il 1994 uccise 24 persone e ne ferì oltre cento, da qualche mese sono entrambi nell’istituto penitenziario di Bollate, a Milano. Fabio Savi, detto il “lungo”, ha chiesto e ottenuto il trasferimento dal carcere di Uta (Cagliari) e ora si trova anche lui nella casa circondariale milanese dove il fratello Roberto era già detenuto.

La notizia, alla vigilia della commemorazione della strage del Pilastro, uno degli episodi criminali più cruenti della storia della Uno Bianca ha suscitato la disapprovazione dei familiari delle vittime, ma ha anche spinto il ministro della giustizia Andrea Orlando a chiedere al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria una relazione per avere informazioni e chiarimenti sulla questione.

Da tempo Fabio Savi, 57 anni, chiedeva di poter scontare la sua pena in una struttura penitenziaria che permettesse di poter svolgere attività lavorative e per questo motivo ha inoltrato personalmente la richiesta di trasferimento dopo il parere favorevole degli assistenti sociali. Unico tra i killer della banda della Uno bianca a non aver indossato la divisa da poliziotto, Fabio Savi sarebbe arrivato nel carcere di Bollate poco prima della scorsa estate.

La notizia del trasferimento è stata confermata dai legali dei due fratelli Savi, Fortunata Copelli che assiste Fabio e Donatella De Girolamo per Roberto. “Da quello che mi risulta non sono nella stessa sezione – dice l’avvocato Copelli -, quindi non credo che si siano incontrati. Nel caso uno dei due avanzasse una richiesta di colloquio dovrà essere valutata dal direttore del carcere che poi nel suo ambito deciderà”. Questa possibilità getta nello sconforto Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della banda. “Fino ad ora i fratelli Savi non erano mai stati nello stesso carcere e devo dire che questa cosa non mi piace affatto, anzi mi preoccupa. Per noi parenti delle vittime è l’ennesima ‘botta’, che arriva dopo i permessi premio concessi all’altro
fratello, Alberto, e a Marino Occhipinti”. “Sono perplessa, non me lo aspettavo, ma se la giustizia lo permette dobbiamo prenderne atto – conclude Zecchi -. Certo è un dolore continuo, che si rinnova, sapere che queste persone colpevoli di terribili omicidi possano avere addirittura la possibilità di incontrarsi”.




ROMA, STRAGE DELLA BANDA DELLA UNO BIANCA: RICORDATO IL CARABINIERE OTELLO STEFANINI

Redazione
Roma
– Nella mattinata di giovedì 22 gennaio 2014, è stato ricordato a Roma il Carabiniere, Medaglia d’Oro al Valore Civile alla memoria, Otello Stefanini, ucciso nell’eccidio del Pilastro, avvenuto a Bologna il 4 gennaio del 1991.  La cerimonia di commemorazione è cominciata con la deposizione di una corona da parte del Comandante Provinciale dei Carabinieri di Roma, Generale di Brigata Salvatore Luongo, in viale Furio Camillo con resa degli onori militari, presso l’abitazione della famiglia del Carabiniere caduto.

A seguire, alla presenza del Generale di Divisione Angelo Agovino, comandante della Legione Carabinieri Lazio, è stata celebrata una Messa nella Basilica di San Lorenzo Fuori le Mura, officiata dal cappellano militare Don Donato Palminteri. E’ seguita una deposizione floreale sulla tomba del caduto, sepolto presso il cimitero del Verano. L’intera commemorazione è stata sottolineata dalla presenza dei familiari del decorato e di numerosi cittadini del quartiere.

La storia:

Il 4 gennaio 1991 intorno alle 22, presso il quartiere Pilastro di Bologna, una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri cadde sotto le pallottole del gruppo criminale. La banda si trovava in quel luogo per caso, essendo diretta a San Lazzaro di Savena, in cerca di un'auto da rubare. All'altezza delle Torri, in via Casini, l'auto della banda fu sorpassata dalla pattuglia dall'Arma. La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto decisero di liquidare i carabinieri. Dopo averli affiancati, Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente Otello Stefanini. Nonostante le ferite gravi subite, il militare cercò di fuggire, ma andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura. In breve tempo l'auto dei Carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili.

Gli altri due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a uscire dall'abitacolo e a rispondere al fuoco, ferendo tra l'altro Roberto Savi. La potenza delle armi utilizzate dalla banda però non lasciava speranze ed entrambi i carabinieri rimasero sull'asfalto. I tre furono finiti con un colpo alla nuca. Il gruppo criminale si impossessò anche del foglio di servizio della pattuglia e si allontanò dal luogo del conflitto a fuoco. La Uno bianca coinvolta nel massacro fu abbandonata a San Lazzaro di Savena nel parcheggio di via Gramsci ed incendiata; uno dei sedili era sporco del sangue di Roberto Savi, rimasto lievemente ferito all'addome durante il conflitto a fuoco. Il fatto di sangue fu subito rivendicato dal gruppo terroristico "Falange Armata". Tale rivendicazione fu però ritenuta inattendibile, in quanto giunta dopo il comunicato dei mass media. La strage rimase impunita per circa quattro anni. Gli inquirenti seguirono delle piste sbagliate, che li portarono ad incriminare soggetti estranei alla vicenda. In seguito, saranno gli stessi assassini a confessare il delitto durante il processo.

Le altre vittime:

Il 20 aprile venne ucciso a Borgo Panigale Claudio Bonfiglioli, benzinaio di 50 anni, vittima di una rapina. Il 2 maggio, in un'armeria di Bologna, vengono uccisi Licia Ansaloni, titolare dell'esercizio, e Pietro Capolungo, carabiniere in pensione. Durante questa rapina, una donna vede Roberto Savi fuori dall'armeria, e dopo la rapina fornisce un identikit agli investigatori. Quando viene mostrato al marito della Ansaloni, questi dichiara che potrebbe somigliare molto a Roberto Savi, suo cliente abituale, poliziotto di Bologna. Nessuno però tra gli investigatori, collega realmente Savi al fatto di sangue. Il 19 giugno perde la vita a Cesena Graziano Mirri, benzinaio, ucciso durante una rapina nel suo distributore. Il 18 agosto vengono uccisi in un agguato a San Mauro Mare Ndiaj Malik e Babou Chejkh, due operai senegalesi, mentre un terzo, Madiaw Diaw, viene ferito. L'aggressione non è a scopo di rapina, o dovuta alla volontà di eliminare i testimoni di un reato, ma è motivata dalle convinzioni razziste dei membri della banda. Poco dopo il duplice omicidio, l'auto della banda taglia la strada ad una Fiat Ritmo con a bordo alcuni giovani, che inveiscono contro il guidatore della Uno bianca per la manovra azzardata. Dall'auto della banda vengono esplosi colpi di arma da fuoco contro le persone a bordo della Ritmo, che però rimangono illese.