Strage di Erba, Olindo e Rosa forse vittime di errore giudiziario: chiesta la riapertura del caso

Una ventina di pagine per chiedere di riaprire il caso sulla Strage di Erba. È la richiesta del sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser che, ora, dovrà essere vagliata dai vertici del suo ufficio, il procuratore generale Francesca Nanni e l’avvocato generale Lucilla Tontodonati, alle quali toccherà dare il via libera alla trasmissione o meno dell’istanza alla Corte d’Appello di Brescia.

E’ una richiesta sollevata “in tutta coscienza per amore di verità e di giustizia e per l’insopportabile pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo” quella con cui Cuno Tarfusser, sostituto procuratore generale di Milano, ha chiesto di riaprire il caso.

Le motivazioni della richiesta, depositata il 12 aprile, sono state puntualizzate da Tarfusser nelle 58 pagine del suo documento, come riferiscono alcuni quotidiani, in cui ha tenuto conto del lavoro del pool di difesa di Olindo e Rosa di questi anni.

E’ del 12 aprile la notizia che il sostituto Pg di Milano Cuno Tarfusser ha depositato al procuratore generale Francesca Nanni e all’avvocato generale Lucilla Tontodonati la relazione con la richiesta di riaprire il caso sulla strage di Erba. Una richiesta, si è saputo allora, che è stata redatta sulla scorta di nuovi elementi presentati dalla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, relazioni firmate da una quindicina di esperti che riguardano, per esempio, le intercettazioni ambientali di quando Frigerio era in ospedale e che non sono mai entrate nel procedimento, oppure gli audio e i video prima della confessione, per l’avvocato estorta, della coppia, i filmati girati in carcere dal criminologo Massimo Picozzi, allora consulente della difesa, e anche una relazione di un genetista secondo cui quella traccia ematica individuata sul battitacco dell’auto di Olindo Romano sarebbe stata una “suggestione ottica”. La decisione del procuratore generale Nanni e dell’avvocato generale Tontodonati, se trasmettere o meno gli atti alla Corte d’Appello di Brescia, sarà presa entro qualche settimana. Una volta trasmessa l’istanza o le istanze (visto che la difesa ha annunciato che presenterà una propria istanza di revisione) la Corte bresciana dovrà valutare se sono ammissibili. Qualora lo fossero si aprirà quindi un nuovo processo. 

La strage è dell’11 dicembre 2006: quattro i morti, Raffaella Castagna e il figlio Youssef di due anni, la madre di Raffaella, Paola Galli e una loro vicina, Valeria Cherubini. Unico sopravvissuto, ma ferito, il marito di Valeria, Mario Frigerio, morto lo scorso gennaio. Secondo il sostituto procuratore generale, il riconoscimento fatto da Frigerio può essere visto come una “falsa memoria” e la confessione di Olindo e Rosa ottenuta con “errate tecniche di intervista investigativa” e dubbi ci sono anche sulla macchia di sangue trovata sull’auto di Olindo. Sintetizzando ulteriormente, già in primo grado ci sarebbe potuto essere un “sito processuale diverso”. Resta ora alla Procura decidere se accogliere la richiesta di Tarfusser e dare il via libera alla trasmissione o meno dell’istanza alla Corte d’Appello di Brescia.

 Della proposta di riaprire il caso se ne parla da anni, ma adesso è arrivata la mossa a sorpresa del pg milanese. A portare il pg Tarfusser a firmare l’atto sul quale l’ultima parola spetta alle due magistrate milanesi, Nanni e Tontodonati – si sono prese qualche settimana per esaminarlo – sono state alcune consulenze che l’avvocato Fabio Schembri, alla guida del pool di legali che assiste marito e moglie, gli ha consegnato qualche mese fa: si tratta di relazioni firmate da una quindicina di esperti che riguardano, per esempio, le intercettazioni ambientali di quando Frigerio era in ospedale e che non sono mai entrate nel procedimento, oppure gli audio e i video prima della confessione, per l’avvocato estorta, della coppia, i filmati girati in carcere dal criminologo Massimo Picozzi, allora consulente della difesa, e anche una relazione di un genetista secondo cui quella traccia ematica individuata sul battitacco dell’auto di Olindo Romano sarebbe stata una “suggestione ottica”. Insomma, da quanto riferito, Tarfusser avrebbe lavorato sul materiale ricevuto e con il quale Schembri proverebbe l’innocenza dei suoi assistiti insistendo su una pista alternativa: a suo dire le ragioni della strage vanno ricercate in un regolamento di conti nel mondo dello spaccio.

Una ipotesi attorno a cui ruota la sua richiesta di revisione, autonoma rispetto a quella del pg, che dovrebbe depositare settimana prossima e che sarà corredata anche dalla testimonianza di un amico del fratello di Azouz Marzouk, il padre del bimbo ucciso e allora passato alla ribalta delle cronache. Secondo il legale “ci sono nuovi elementi che vanno ad intaccare le prove su cui si è fondata la condanna” ma che i giudici hanno sempre considerato solide e granitiche: la confessione dei coniugi e il sangue di Valeria Cherubini, mista a sangue maschile individuato nella loro macchina a cui si aggiunge la testimonianza di Frigerio, scampato alla morte per una malformazione congenita alla carotide e poi deceduto nel 2014. “Vidi Olindo, mi fissò con degli occhi da assassino, non dimenticherò mai il suo sguardo, era una belva”, disse.

Qualora la richiesta del pg venisse trasmessa a Brescia, la Corte deciderà se è ammissibile o meno. E lo stesso vale per l’istanza di revisione della difesa. E in caso sia giudicata ricevibile si aprirebbe un nuovo procedimento.




Strage di Erba, riforma del processo: la Cassazione accoglie la richiesta e rinvia alla Corte di Assise di Como

La suprema Corte di Cassazione ha accolto la richiesta degli avvocati di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba avvenuta l’11 dicembre del 2016, quindi ha disposto di trasmettere alla Corte di Assise di Como la richiesta della difesa di nuovi accertamenti.

I giudici di Como, lo scorso mese di aprile, si erano opposti alle istanze di accesso ai server delle intercettazioni, e a quelle di acquisire un cellulare Motorola ed esaminare dei reperti biologici. Ma la decisione era stata emessa “de plano”, senza contraddittorio tra le parti.

Adesso la Corte di merito dovrà rivalutare le istanze convocando le difese. Secondo i giudici di Como, le richieste dei legali della coppia omicida erano però immotivate e inutili “a distruggere l’impianto su cui è fondata” la condanna definitiva. A quel punto, i difensori di Romano e Bazzi, avevano deciso di impugnare in Cassazione la decisione dei giudici.

Il pubblico ministero Massimo Astori aveva fatto presente che che i dati sulle intercettazioni erano nella disponibilità della Procura e che i difensori erano già in possesso. In particolare la Corte aveva specificato che il telefonino – che Azouz Marzouk aveva negato essere della moglie davanti alla Corte d’appello di Brescia – era invece “appartenuto pacificamente a Raffaella Castagna” dato che contiene messaggi fra lei e il marito. La sentenza dei giudici di Como, in applicazione dell’orientamento della Cassazione su ciò che attiene le attività di investigazione difensiva, aveva inoltre ribadito che non può essere ammessa una finalità “meramente esplorativa” nella richiesta di rinnovare l’istruttoria e che non possono essere consentite “quelle investigazioni che appaiono all’evidenza superflue o inidonee a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio”. La prima istanza inoltre era già stata in parte presentata alla Corte d’appello di Brescia, che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio e nella parte restante era stata ritenuta “del tutto immotivata”.

La condanna ai due coniugi per aver massacrato con coltelli e spranghe Raffaella Castagna, il figlioletto di due anni Youssef Marzouk, la mamma Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini, accorsa con il marito Mario Frigerio, ferito gravemente, per capire cosa stesse accadendo nell’appartamento di Raffaella, era passata per 3 gradi di giudizio davanti a 26 giudici. La difesa aveva comunque tentato più volte invano di far riaprire il caso, passando pure dalla Corte di giustizia europea. Nel 2018 la stessa Cassazione aveva riconfermato il no ad altre analisi su reperti che i legali degli assassini vorrebbero esaminare. Questa volta invece, le istanze di revisione presentate dagli avvocati sono state accolte e la Corte di Como dovrà fissare un’udienza pubblica per procedere in contraddittorio con le parti (difesa e pubblici ministeri) alla valutazione delle istanze presentate.




Strage di Erba, chi c’era sulla scena del crimine? [Prima puntata]

Riemergono tanti interrogativi e forse anche degli assassini ancora in libertà per la strage di Erba dove la sera dell’11 dicembre 2006 vennero uccisi in un condominio di via Diaz, Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini con il suo cane.

IL VIDEO SERVIZIO SULLA STRAGE DI ERBA [CLICCARE PER GUARDARE]

Una strage che oggi, dopo i tre gradi di giudizio, vede alla sbarra i coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano

Il marito della Cherubini, Mario Frigerio creduto morto dagli assassini, riuscì a sopravvivere. Si tratta di una testimonianza importantissima per le indagini perché Frigerio è stato l’unico testimone oculare della vicenda.
Frigerio venne raggiunto all’ospedale dai carabinieri per prendere la sua deposizione, contemporaneamente la Procura con intercettazioni ambientali registrava cosa avveniva nella stanza.

Azouz Marzouk che prima era convinto che Rosa Bazzi e Olindo Romano fossero davvero i responsabili del massacro, dopo aver letto approfonditamente le carte del processo si è convinto che non sono Rosa e Olindo i responsabili della strage. I fratelli Castagna ritengono che lui non stia rispettando il loro dolore alimentando la riapertura del processo che Rosa e Olindo cercano di ottenere da 5 ormai anni.

Chi c’era dunque sulla scena del crimine quella maledetta sera? L’agenzia investigativa Falco di Lucca dopo il mandato conferito da Marzouk sta andando a fondo al caso.

LE NOVITA’ SUL CASO ILLUSTRATE DALL’INVESTIGATORE DAVIDE CANNELLA [CLICCARE PER GUARDARE]

“Le intercettazioni di Frigerio si interrompono improvvisamente nel momento in cui i carabinieri entrano nella stanza per prendere la sua testimonianza – racconta Davide Cannella direttore dell’agenzia investigativa – è molto strano, – ha detto ancora Cannella – non se ne parla nemmeno nel registro delle intercettazioni. Se ci fosse stato un malfunzionamento o un problema, nel registro andava segnalato. Ma da nessuna parte si accenna a queste intercettazioni, che cosa si sono detti i carabinieri e Frigerio?”

La celebre criminologa Roberta Bruzzone, all’interno della sua rubrica sul settimanale Giallo, ha detto quello che pensa. Bruzzone è stata uno dei consulenti della difesa dei coniugi Romano in merito alla strage di Erba. Riguardo alle indagini sul caso ha voluto esprimere alcune sue perplessità sostenendo che a suo avviso il racconto fornito dai due colpevoli, riconosciuti tali da una sentenza passata in giudicato, non troverebbe alcun riscontro con le risultanze probatorie: “A chi come me conosce alla perfezione l’intero fascicolo sul caso della strage di Erba, – ha detto Bruzzone – risulta evidente che qualcosa non torni. Per essere più chiari, – ha proseguito la criminologa – non torna niente nel racconto inizialmente fornito dai due coniugi. I due, prima di ritrattare le loro sgangherate confessioni – ha proseguito Bruzzone- avevano raccontato una storia che non stava in piedi, soprattutto rispetto alla costruzione dei fatti elaborata dal Ris di Parma. Non ho mai nascosto che a mio avviso si sia trattato di un’indagine decisamente ‘imperfetta’. Ciò che hanno riferito i coniugi Romano nelle varie versioni è lontanissimo da ciò che le tracce presenti sulla scena del crimine raccontano. E io, dopo 20 anni di attività sul campo mi fido molto più delle tracce che delle persone. Anche quando confessano delitti mai commessi. Senza contare poi, che dei coniugi Romano sulla scena del crimine non c’è nessuna traccia.”

Dei dubbi, quindi, che si ancorano alle evidenze emerse durante il corso del processo e che non avrebbero sin da principio convinto la criminologa circa il reale accadimento dei fatti: “Ritengo improbabile – ha detto ancora Bruzzone – commettere una strage di quel tipo senza lasciare nulla dietro di sé. La mansarda, dove è stata trovata assassinata la Cherubini è stata risparmiata dall’azione del fuoco: la scena era integra e c’erano tracce chiare e utilizzabili per un confronto. Ebbene non si tratta di tracce riconducibili né a Olindo Romano né a sua moglie Rosa Bazzi”.
Chi c’era sulla scena del crimine?

L’Avvocato penalista Serena Gasperini e la psicoterapeuta e psicologa Daniela Iozzi parlano del caso con Chiara Rai durante la trasmissione Officina Stampa del 12/9/2019



Strage di Erba, morto Carlo Castagna

E’ morto a 75 anni in ospedale a Como Carlo Castagna. Era marito di Paola Galli, padre di Raffaella e nonno del piccolo Youssef, tre del quattro vittime della strage di Erba dell’11 dicembre del 2006 per la quale sono stati condannati all’ergastolo i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi.

I funerali di Carlo Castagna si celebreranno nel pomeriggio di lunedì a Erba. Profondamente religioso, era giunto a perdonare gli autori del massacro e aveva donato alla Caritas la casa teatro dell’eccidio in cui erano state uccise quattro persone, mentre una quinta era rimasta gravemente ferita ma era sopravvissuta diventando il teste principale contro Olindo Romano e Rosa Bazzi. Paola Galli, moglie di Carlo, la loro figlia Raffaella Castagna e il figlio di Raffaella, Youssef, di poco più di due anni, erano stati uccisi a colpi di spranga e a coltellate. Così come la loro vicina di casa, Valeria Cherubini, intervenuta con il marito Mario Frigerio, che sopravvisse alla strage, perché nell’appartamento di Raffaella era scoppiato un incendio, appiccato degli assassini.

Pietro Castagna, uno dei figli di Carlo, ha voluto ricordare la figura del padre sui social. “Oggi papà ci ha lasciati – scrive Pietro -. Ne abbiamo passate tante insieme, ma tu eri per noi sempre una guida, un esempio da seguire e ammirare, e pur sapendo che adesso sarai felice perche hai ritrovato la tua Polly, Raffaella e il piccolo Fefè, a noi lasci una voragine immensa e ci mancherai infinitamente. Riposa in pace papà”.




Olindo e Rosa, rimandato l’incidente probatorio

BRESCIA – Il tanto atteso incidente probatorio, con l’ammissione agli esami dei periti per cinque reperti ancora non analizzati, è stato rimandato di quindici giorni dal Tribunale di Brescia per l’incapacità dei due a sostenere le spese delle perizie. Si tratta di cinque elementi mai analizzati, ancorchè rinvenuti sulla scena del crimine e addosso al piccolo Marzouk: formazioni pilifere – da cui sarebbe possibile estrapolare un profilo genetico – , un accendino, un mazzo di chiavi e altri due reperti. “Tutti dovrebbero avere accesso alla giustizia, a prescindere dalle sue condizioni economiche” afferma l’avvocato Schembri, difensore della coppia insieme all’avvocato Luisa Bordeaux “Il tribunale sappia che siamo pronti noi a sostenere le spese, affinchè sia possibile effettuare le doverose perizie su questi reperti, che avrebbero dovuto essere analizzati anni fa.”

Olindo Romano e Rosa Bazzi vennero condannati anni fa all’ergastolo per l’assassinio dei loro vicini di casa l’11 dicembre 2006

Furono uccisi Raffaella Castagna, moglie di Azouz Marzouk, all’inizio sospettato dell’eccdio e poi scagionato perchè non in Italia, suo figlio dui due anni Youssef, la madre della Castagna, Paola Galli, e una vicina di casa, Valeria Cherubini. il marito della Cherubini, Mario Frigerio, fu il principale, e l’unico, testimone d’accusa berso Olindo e Rosa, nonostante all’inizio avesse dichiarato di essere stato colpito da un uomo di colore. ritrattò poi la prima versione dopo il colloquio con un investigatore che gli mostrò più volte la foto di Olindo. Nonostante la piena confessione dei due, resa probabilmente per ingenuità, e perchè tratti in inganno da alcune dichiarazioni degli inquirenti, Olindo e Rosa sarebbero completamente innocenti, dato che sulla scena del crimine, oltretutto, non è stata rinvenuta alcuna traccia della loro presenza. tracce di presenze estranee sono appunto quelle oggetto dell’incidente probatorio, che in definitiva aprirebbe la strada alla richista di revisione del processo.

Roberto Ragone




Strage di Erba, riapertura del caso: il 21 novembre l’incidente probatorio

Il prossimo 21 novembre, davanti alla Corte d’appello di Brescia, si terrà l’incidente probatorio su alcuni reperti mai analizzati da cui potrebbero arrivare novità riguardo la posizione di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba in cui furono uccise quattro persone, tra cui un bambino di due anni, e una quinta rimase gravemente ferita. Si tratta di accertamenti su formazioni pilifere, un accendino, un mazzo di chiavi mai analizzati che potrebbero portare a una richiesta di revisione del processo. All’udienza davanti alla Corte d’appello di Brescia per l’incidente probatorio su alcuni reperti mai analizzati sulla scena del delitto della strage di Erba sono invitati a comparire anche Olindo Romano e Rosa Bazzi. “Non so ancora se riterranno di partecipare”, ha detto uno dei loro legali, Fabio Schembri, il quale ha aggiunto che l’esito di questi accertamenti “sarà molto importante” per decidere se presentare la richiesta di revi-sione del processo la quale è ammissibile in presenza di nuovo elementi che potreb-bero comportare l’assoluzione. L’avviso di fissazione dell’udienza è firmato dal presi-dente della Corte d’assise d’appello di Brescia, Enrico Fischetti, lo stesso che si è occu-pato del processo di secondo grado a Massimo Bossetti, per il quale è stato confermato l’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio.

 

Le due ipotesi iniziali Undici anni fa, era l’11 dicembre del 2006, all’indomani della strage di Erba due le ipotesi iniziali degli investigatori e due le piste seguite per cercare di risalire agli autori di quella terribile carneficina in cui fu trucidato anche un bimbo di appena due anni, Youssef Marzouk. Una pista era quella della vendet-ta trasversale, maturata negli ambienti criminali dello spaccio di sostanze stupefacenti, attività a cui si dedicavano Azouz e i suoi parenti; l’altra era quella familiare, legata ai Castagna. I carabinieri di Como si stavano occupando dei conflitti esistenti all’interno della famiglia di Raffaella, sorti a seguito dell’ingresso in famiglia di Azouz, extracomunitario e spacciatore. Questi dissidi si erano ulteriormente acuiti di recente a causa della scarcerazione di Marzouk e dell’annuncio da parte di Raffaella ai suoi familiari dell’intenzione di trasferirsi in Tunisia nel giro di poche settimane per avviare nel Paese natale del marito un’attività imprenditoriale. Risulta sempre dagli atti che Raffaella chiese alla sua famiglia ingenti somme di denaro per poter realizzare questo progetto, suscitando l’ira dei parenti. Unico anello di congiunzione tra Raffaella e la sua famiglia era rappresentato dalla signora Galli, moglie di Carlo Castagna e madre di Raffaella, anche lei vittima della strage, che fungeva da paciere e che era ben disposta ad aiutare la figlia.
Tra i numerosi testi non ammessi dalla Corte di Assise figura anche la mamma di Azouz, Ferichici Ep Marzouk Souad, costituitasi parte civile, la quale riteneva che il delitto si potesse ricondurre ai turbo-lenti rapporti familiari all’interno della famiglia Castagna e che il suo autore fosse uno dei fratelli di Raffaella. Ma Ferichici non fu ammessa come teste, nonostante fosse la nonna di una delle vittime.

A portare gli inquirenti ad investigare su questa pista soprattutto altri pesanti indizi oltre ai conflitti familiari: Il tunisino Chemcoum Ben Brahim riferì ai carabinieri di Erba di avere visto la sera della strage, mentre la palazzina bruciava, tre individui in piazza del Mercato – davanti alla corte in cui avvennero gli omicidi – e che uno dei tre individui era una persona che aveva rivisto in caserma quella stessa sera. Chemcoum individua questa persona in Pietro Castagna, fratello di Raffaella. Le dichiarazioni dettagliate del tunisino trovavano riscontro in quelle di Fabrizio Manzeni, residente in via Diaz, anche lui sentito la sera della strage. Manzeni, essendosi affacciato alle ore 20:20 al balcone posto davanti all’abitazione di Raffaella, vide due individui, presumibilmente extracomunitari (come Frigerio stesso descrisse in un primo momento il suo aggressore) più un terzo individuo che si dirigeva verso i primi due, proprio in piazza Mercato. Ma anche Manzeni è uno di quei testi revocato immotivatamente dalla Corte di Assise, dunque non fu sentito in dibattimento.

Entrambe le piste iniziali vennero però abbandonate dagli investigatori di fronte alla sola intuizione del luogotenente dei carabinieri di Erba, Gallorini, che si convince di leggere nello sguardo stranito di Olindo la sua colpevolezza. E fu lo stesso luogotenente a decidere di non inviare subito all’Autorità giudiziaria le importanti dichiarazione rese da Chemcoum, bensì solo dopo le confessioni dei coniugi Romano.

 

Alla luce di tutto questo le indagini sulla strage di Erba ebbero fin dall’inizio un’unica direzione. Lo stesso gip che ha convalidato il fermo e applicato la custodia cautelare in carcere subito dopo le confessioni non conosceva le dichiarazioni di Chemcoum, che escludono la responsabilità dei coniugi Romano, né che Frigerio avesse indicato come suo aggressore un soggetto a lui sconosciuto e dalle fattezze tipiche da nordafricano, né sapeva che vi era un’intercettazione ambientale tra i coniugi disposta presso il carcere e che, proprio prima di confessare, Olindo spiegava a Rosa il motivo per il quale aveva deciso di confessare anche se non erano stati loro a compiere la strage: ossia l’impossibilità di vivere lontano dalla donna che amava.

 

Anche altri importanti elementi vengono accantonati: la mancanza di un alibi da parte di Pietro Castagna, il quale afferma di essere rientrato a casa tra le 20 e le 20:30, mentre il padre, Carlo Castagna dichiara che il figlio rientra a casa solo alle 22 con la Panda della madre, salvo poi modificare entrambi in fase di dibattimento queste dichiarazioni verbalizzate in corso di indagine, specificando Carlo Castagna che il figlio rientrò alle 21 e specificando Pietro di non essere solo, bensì in compagnia di un amico; la presenza di un guanto in lattice di colore verde sulla scena del crimine, vicino al corpo di Youssef. Tale guanto fu repertato dal Ris di Parma ed analizzato all’esterno, dove fu rinvenuto il Dna del bambino.

 

L’interno del guanto però non fu mai analizzato. Si parlò tanto del guanto in presenza dello stesso Castagna, il quale però si decise a dirne qualcosa solo dopo che Il Giornale del 3 dicembre del 2007 pubblicò la foto del guanto, così il 4 dicembre, un anno dopo la strage, Castagna si recò dai carabinieri di Erba per rendere dichiarazioni spontanee a Gallorini: “Il guanto di cui si parla è del tipo usato da me, nella mia azienda. È un guanto di colore verde in lattice, che usiamo io, i miei figli ed anche gli operai della mia azienda di falegnameria. Un giorno prima dell’evento, io rientrai in casa, con la vestaglia da lavoro e con i guanti in lattice nelle mani, guanti che tolsi in abitazione. Presente in casa era il piccolo Youssef, il quale prese i guanti per giocare e si portò a casa sua i guanti”. Castagna dirà poi durante il dibattimento di non avere dato al bambino i guanti che si era tolto, bensì altri guanti che aveva in tasca. Fu sentito anche Azouz che escluse la presenza in casa di guanti di quel tipo. Ma non solo queste risultano essere le uniche dichiarazioni contraddittorie di Castagna, che riferì di avere fatto due telefonate che però non risultano agli atti, una sul cellulare di Raffaella e l’altra sul telefono fisso della figlia, quando iniziò a preoccuparsi per il mancato rientro della moglie.

 

Altro mistero è la sparizione della Panda della signora Galli, utilizzata da Pietro Castagna quella sera. Fu regalata ad una suora dopo la strage e non fu mai analizzata. Senza ombra di dubbio chi ha compiuto la carneficina utilizzò le chiavi per introdursi in casa. Ed Olindo e Rosa non erano in possesso delle chiavi di casa di Raffaella.

 

Il testamento di Raffaella. Risulta quantomeno particolare, ma non improbabile, che una 27nne, sposata da pochi mesi, ancora senza figli, faccia un testamento di suo pugno e lo dia in custodia al padre col quale non aveva più rapporti. Il testamento, consegnato qualche mese dopo la strage dai Castagna ad un notaio di Erba, risulta essere in favore della madre e, in caso di mancata accettazione da parte di quest’ultima, in favore del figlio del fratello di Raffaella. Si sa anche che era stata stipulata una polizza assicurativa in favore dei genitori della donna. “Tirando le somme, possiamo affermare che la sentenza è quantomeno viziata, in quanto le indagini hanno avuto uno sviluppo unidirezionale tralasciando le due piste alternative”, ha dichiarato Fabio Schembri, avvocato dei coniugi Romano.




Strage di Erba: verso la revisione del processo

 

di Roberto Ragone

 

La sera dell’11 dicembre 2006, attorno alle ore 20, a Erba, in provincia di Como, qualcuno uccise, a sprangate e coltellate, quattro persone,due donne, un uomo e un bambino di due anni e tre mesi,  lasciando per morto un ferito grave, che poi divenne l’unico testimone oculare del fatto criminoso. Per quell’evento omicidiario sono stati condannati, e sono tuttora detenuti, due coniugi, Rosa Bazzi e Olindo Romano, i quali, dopo aver confessato il crimine, pur con una confessione zoppicante e lacunosa, dopo qualche tempo ritrattarono, ma non furono creduti. Nei due gradi di giudizio, però, ci furono quelle che potremmo definire omissioni, nell’esame dei vari reperti rinvenuti sul luogo del delitto, ora in mano ai RIS di Parma e all’Università di Pavia. Per questo motivo, l’avvocato Schembri, coadiuvato dall’avvocato Nico D’Ascola e dall’avvocato Luisa Bordeaux, ha presentato un’istanza di incidente probatorio per esaminare davanti al giudice del tribunale di Corte d’Appello, a Brescia, almeno sette, ma probabilmente di più, reperti relativi alle indagini sull’omicidio, che non furono ammessi all’esame di giudici dei primi due procedimenti.  Il processo a Rosa e Olindo suscitò molto rumore, come tanto chiasso aveva suscitato la strage e la sua efferatezza, e , come accade ormai da diversi anni, i media se ne impadronirono, a caccia di sensazioni, influenzando, come è già stato ampiamente dibattuto, il sentire comune, e di conseguenza anche tutto l’andamento della vicenda. Il popolo della TV si divise fra innocentisti e colpevolisti, e purtroppo fin dall’inizio le indagini furono indirizzate in un’unica direzione. Ora la Corte di Cassazione, accogliendo la richiesta del collegio di difesa, ha ordinato che venga effettuato un esame dei reperti il cui esame, alla luce della confessione resa dai due indagati, non venne ritenuto necessario. L’esame avverrà  in incidente probatorio, e sarà, se positivo per la difesa,  propedeutico ad una richiesta di revisione del processo. Si sono aperte così nuove ipotesi investigative, che si vogliono approfondire, e c’è la possibilità che il processo di secondo grado venga rifatto con altri presupposti, e che i due ora ergastolani possano essere riconosciuti innocenti.  A proposito di questa spinosa vicenda, che, se dimostrata secondo le tesi della difesa, avrebbe tenuto in carcere due innocenti per quasi undici anni, abbiamo voluto chiedere un parere al noto criminologo professor Carmelo Lavorino, già consulente della difesa di numerosi processi di grande rilevanza mediatica, come, ad esempio, fu il caso dell’omicidio di via Poma, a Roma, e titolare del CESCRIN, Centro di Criminologia e Investigazione Criminale.

Professore, innanzitutto grazie per la sua consueta cortesia e disponibilità. Avrà letto sui giornali della probabile revisione del processo a Rosa e Olindo per la strage di Erba. Nonostante lei non se ne sia occupato in prima persona, sappiamo che lei è sempre molto attento a questi avvenimenti di cronaca giudiziaria, e quindi sempre bene informato.  Per questo mi farebbe piacere avere un suo parere sulla vicenda.

Il giorno dopo la strage venni intervistato dal quotidiano ‘La Padania’, dove dichiarai che le modalità omicidiarie, cioè lo sgozzamento tramite coltello e il fracassamento con una sbarra, potevano anche far pensare ad una banda di balordi, di criminali, appartenenti ad una etnia africana ed agenti per “dare una lezione”; questo, perché il modus operandi esecutivo lascia una serie di tracce comportamentali molto importanti.

Detto questo, a mio avviso, contro Rosa Bazzi e Olindo Romano, ci sono soltanto tre elementi, cioè: il riconoscimento tardivo e contraddittorio di Frigerio [l’unico testimone oculare, lasciato per morto ndr], per il quale, a mio avviso, ci possiamo trovare anche di fronte ad una suggestione ed alla psicopatologia della testimonianza, anche perché nel suo riconoscimento vi sono molte contraddizioni. Poi, la macchia sangue rinvenuta sul copritacco della macchina di Olindo; in ultimo, la confessione dei due.

Confessione illogica, strana e contraddittoria. Non vorrei entrare nel merito di questi elementi, perché la confessione può sempre essere spinta, estorta, manipolata; ci può essere una situazione di soggezione psicologica da parte dei due e di terrore della divisione e della fine del loro rapporto, e quindi ogni confessione va vagliata scientificamente sotto il profilo dei riscontri e della logica.

Riconoscimento contraddittorio, incerto e tardivo. La dichiarazione di Frigerio potrebbe anche essere non attendibile, sia perché il riconoscimento può essere frutto di suggestione e spinto abilmente da qualcuno che vedeva in Olindo l’assassino, sia perché all’inizio aveva descritto l’aggressore come una persona di colore olivastro, da solo; poi invece parlò di Olindo, e in seguito parlò di una donna, asserendo che sicuramente quella donna era la moglie di Olindo. Quindi, secondo me, ci potremmo trovare di fronte a una psicopatologia della testimonianza e ad una distorsione della stessa, sfociata nell’autoconvincimento riverberante.

Una sola traccia di sangue in luogo accessibile a chiunque. La macchia di sangue sul copritacco della macchina di Olindo potrebbe essere una contaminazione, volendo fermarci in questo ambito e senza fare i diffidenti e i maliziosi. Vedremo poi cosa è successo.

Mancano troppe tracce che dovevano esserci, e l’assenza di tracce è una traccia. Noi sappiamo che sulla scena del crimine, molto ampia, anche se parzialmente distrutta, non venne trovata alcuna traccia di Olindo e Rosa, così come in casa di Olindo e Rosa non venne trovata alcuna traccia del sangue e/o  biologica delle cinque vittime che, secondo gli investigatori, Olindo e Rosa avrebbero dovuto colpire con due coltelli ed una spranga di ferro con almeno un centinaio di colpi: come mai?

All’interno dell’auto di Olindo non fu rinvenuta alcuna traccia di sangue, né sui sedili, né su alcuna parte, tranne che su quel copritacco, forse una contaminazione o “il destino”, come ho già detto. Nondimeno, ricordo che l’avvocato Schembri trovò duecentottantaquattro contraddizioni nella ricostruzione della scena del crimine fatta dai due coniugi quando si erano autoincolpati. 

 

Accertamenti tecnici non approfonditi. Il problema è che in questo processo, molti reperti relativi alla strage non vennero analizzati perché immediatamente dopo la pista Marzouk -, che si sciolse come neve al sole, perché lui al momento dell’incursione era in Tunisia, in visita ai genitori, e quindi lontano dalla scena del crimine -, gli inquirenti puntarono Olindo e Rosa. Automaticamente tutte le altre piste non vennero seguite e molte tracce non vennero analizzate. E purtroppo sappiamo che molti errori giudiziari avvengono per la c.d. “fretta investigativa unita alla certezza di “averci azzeccato””. Quindi, a prescindere dal fatto che Olindo e Rosa siano colpevoli o innocenti, dato che in definitiva la loro confessione lascia il tempo che trova, la testimonianza di Frigerio a mio avviso potè essere suggestionata, e quella macchia di sangue potrebbe dire poco, avrebbero dovuto  essere analizzati tutti i reperti  trovati sulla scena del crimine.

 

I reperti che ora devono essere analizzati. Giustamente la difesa ha chiesto che molti reperti che non sono stati analizzati debbano essere analizzati, e la Cassazione ha detto sì, che questi reperti siano analizzati. Vediamo un po’, partiamo dal bambino, da Youssef. Su di lui sono stati trovati quattro capelli, di cui, uno castano-nero, uno castano-chiaro lungo dieci centimetri, un altro nero lungo un centimetro e mezzo e un altro ancora: due frontali e due sulla schiena del bimbo. Oltretutto le unghie del bambino non sono mai state analizzate. Per cui potrebbero essere trovate tracce del soggetto ignoto che ha aggredito il bambino. Quindi se la struttura  di questi capelli dovesse essere  riferibile a Rosa Bazzi e Olindo Romano, il problema è loro. Se però i capelli non appartengono a questi due soggetti, c’è da chiedersi come mai almeno tre soggetti abbiano manipolato il bambino, quindi, tracce di soggetti  non riferibili a Rosa, a Olindo  e tanto meno alla piccola vittima. Quindi,  questi reperti che devono essere analizzati: è un quesito che dev’essere sciolto.

È stato rinvenuto sul pianerottolo un accendino, che potrebbe essere quello con cui è stato appiccato il fuoco. Su questo accendino dovrebbero trovarsi tracce di DNA, sudore o tessuto epiteliale, e tracce papillari (le impronte digitali) di chi lo ha usato. Queste tracce dovrebbero essere riferibili, quindi, o a Rosa, o a Olindo,  a una delle vittime, o a un soggetto ignoto: in quest’ultimo caso la situazione è a favore di Rosa e Olindo.

È stato anche rinvenuto un mazzo di chiavi, che non si sa a chi appartenga: vediamo, sempre tramite la ricerca del DNA e delle tracce papillari, a chi possa essere riferibile un insieme di tracce del genere. Questo serve proprio a verificare se Rosa e Olindo possano essere esclusi o meno.

Nemmeno sono stati analizzati i giubbotti delle tre vittime, cioè di Valeria Cherubini, di Raffaella Castagna e di Paola Galli, gli adulti. Poiché sono stati colpiti a coltellate, pugnalate, fendenti e con una spranga di ferro, è probabile che ci sia del DNA degli assassini sui loro giubbotti. Può esserci sangue dell’assassino che si è ferito, o tessuto epiteliale, sudore o saliva. Ricordiamo che nel caso del delitto dell’Olgiata, sull’asciugamani che copriva il volto della contessa Alberica Filo della Torre, c’erano una cinquantina di macchie di sangue, di cui quarantotto erano della vittima, e due dell’assassino. Con il passare degli anni sono state analizzate anche le due macchie di sangue residue, e hanno fatto individuare l’assassino nel filippino Manuel. È ovvio che tutti i reperti devono essere analizzati, e bisogna vedere ogni reperto che cosa ci dice, cosa parla, cosa comunica a livello scientifico e criminalistico.

Sono stati rinvenuti dei mozziconi di sigaretta,  che non sono stati analizzati: sappiamo perfettamente che i mozziconi di sigaretta conservano tracce di saliva, e quindi, di DNA, vediamo a chi appartengono.

È stato rinvenuto un cellulare. Non si sa di chi sia, ma presenta certamente tracce di DNA, come al solito, sudore, tessuto epiteliale e saliva, più impronte digitali. In più, guardando il codice IMEI si può vedere a chi è intestato, si possono ricavare altri dati. Naturalmente i tabulati non esistono più, perché vengono cancellati dopo due anni, però il cellulare può parlare ancora.

Sul terrazzino dell’appartamento di Raffaella Castagna è stata rinvenuta una macchia di sangue: vediamo di chi è, e a chiunque appartenga, vittima o altro soggetto, il risultato dev’essere contestualizzato nell’analisi criminale totale.

Le unghie del bambino sono state analizzate in maniera superficiale, così come anche quelle delle altre tre vittime: le unghie delle vittime ci potrebbero dare, come sappiamo perfettamente, le solite tracce merceologiche (tessuti, fibra …), sudore, pelle, DNA  eccetera.

Vi ho elencato gli elementi che la difesa di Olindo e Rosa chiese a suo tempo alla Corte d’Appello di Brescia di analizzare e che la Corte d’Appello di Brescia rifiutò, invece la Procura Generale presso la Cassazione ha dato parere positivo, è stata d’accordo. Qui noi non possiamo dire che Rosa e Olindo sono innocenti o colpevoli: diciamo che questi elementi dovevano essere analizzati a loro tempo, che purtroppo non vennero analizzati  e che, infine, potrebbero raccontare una storia ben diversa dalla sentenza di condanna. Per cui, se tutti questi reperti escludono Rosa e Olindo, e congiuntamente individuano le tracce di una o più persone, a mio avviso il processo di potrebbe riaprire, e si effettuerebbe il processo per revisione.

Valutiamo il modus operandi della combinazione assassina, chiunque essa sia.  Analizzando ciò che è successo, ci troviamo una vittima colpita con trentaquattro pugnalate e otto sprangate, parlo della Cherubini. La mamma del bambino è stata colpita con otto pugnalate e sprangate, la nonna del bambino con molte pugnalate e sprangate, a differenza del bambino che ha avuto una sola ferita alla gola, così come Frigerio, che è stato preso a colpi di spranga e pugnalate, una alla gola: il risultato è che tutte e cinque le vittime sono state colpite alla gola e le quattro adulte sono state “fracassate” con la spranga. La tecnica di sgozzamento, applicata a tutte e cinque le vittime, ci parla di una tendenza a colpire in quel modo particolare verso il bersaglio speciale e preferito della gola, che può fare parte di tradizioni ataviche, di un’abitudine, di un modus operandi aggressivo di attacco particolare originato da tradizioni particolari. Così come usare la spranga è una maniera punitiva primitiva e bestiale, perché si è ricevuta un’offesa gravissima e la si vuole lavare col “fracassamento altrui”. Constatiamo, inoltre, che i soggetti che hanno commesso questa strage, siano Olindo e Rosa, o altri soggetti ignoti, hanno anche bruciato la casa, sia per eliminare le tracce sia per vendetta come parte finale di un rituale primordiale, quindi questo ci porta anche a delle forme ancestrali ataviche, barbare, di distruzione, che significano: “… io vengo a casa tua, violento o fracasso e uccido tua moglie, uccido tuo figlio, brucio la casa se tu non ci sei e distruggo la tua famiglia e la tua progenie”: ebbene, tutto questo ci potrebbe portare all’interno di un regolamento di conti, o con la sola mamma del bambino, quindi Raffaella Castagna, o nei confronti di Azouz Marzouk. Avremmo quindi come  obiettivo primario della strage proprio la famiglia di Azouz, cioè la suocera, la moglie e il figlio, poi sono intervenuti i coniugi Frigerio (vittime impreviste e danni collaterali), che sono stati eliminati per tacitazione testimoniale, in quanto davano fastidio come testimoni. Il fatto che Frigerio non sia morto è stato “un inconveniente esecutivo”,  in quanto l’uomo aveva una malformazione congenita alla carotide, che lo ha salvato dal dissanguamento

Ora dobbiamo aspettare gli esiti di queste analisi scientifiche. Noi lo abbiamo sempre detto, che la scena del crimine deve essere analizzata sotto tutti gli aspetti, bisogna ipotizzare tutto quello che è possibile, non bisogna tralasciare nulla, e non bisogna prediligere una sola pista, perché se poi questa pista ci fa prediligere alcuni reperti utili solo alla nostra pista, ci fa discriminare l’azione analitico-scientifica, e questo è grave.

 

Cioè, un altro caso, come dice lei, di innamoramento della tesi accusatoria?

 

Sì, però qui c’è stata la maledetta simbiosi diabolica dell’innamoramento del sospetto  e innamoramento  della tesi accusatoria senza elementi totalizzanti. Una pista lasciava ipotizzare, a livello investigativo, che potessero essere stati  Olindo e Rosa, poi, a livello inconscio, il sospetto è stato spinto nei loro confronti ed ha coinvolto l’intero apparato investigativo. Io non dico che sono innocenti. Dico soltanto che tutto dev’essere analizzato. Devono essere effettuate tutte le analisi scientifiche, tutti gli accertamenti tecnici possibili. Se la difesa degli imputati chiede delle verifiche scientifiche, queste devono essere fatte, perché altrimenti  succede quello che è successo a Perugia [omicidio Meredith Kercher ndr.], dove il DNA è stato analizzato in un secondo momento, o all’Olgiata [omicidio Filo della Torre ndr.], dove il sangue è stato analizzato in un secondo momento. Bisogna fare tutto, maledetto  e subito, senza farsi fuorviare da convincimenti o da pregiudizi.

Non sono neanche state considerate le testimonianze di due testimoni oculari, che hanno riferito di aver visto dei soggetti di pelle scura, scendere dal terrazzino della casa di Castagna su via Diaz, e poi allontanarsi in direzione di Piazza del Mercato. In Piazza del Mercato altre persone hanno riferito di aver visto in orario concomitante con quello della strage, due persone di colore, in compagnia di un terzo soggetto di pelle chiara, presumibilmente italiano, viene da pensare che la dinamica degli omicidi sia stata: un ‘palo’, l’italiano, che aspetta di sotto, e i due che vanno di sopra, uccidono tutti quelli che trovano davanti e danno fuoco alla casa. Queste sono, lei giustamente non l’ha voluto dire, ma sono tecniche omicidiarie islamiche, come apprendiamo dai media. Quindi nei confronti di Marzouk.


Certo, io su questo sono pienamente d’accordo, ma ora dobbiamo vedere quello che ci vengono a dire le nuove analisi, che avrebbero dovuto essere effettuate immediatamente. Lei sa perfettamente che per quanto riguarda Bossetti io sono colpevolista, anche perché appena dopo il rinvenimento del cadavere della povera Yara Gambirasio, tracciai un profilo che si adattò completamente e immediatamente a Bossetti; però ho sempre detto che la Corte doveva disporre tutte le perizie che la difesa di Bossetti ha chiesto, più altre, perché quando si condanna una persona, la si deve condannare al di là di ogni ragionevole dubbio. Quindi in OGNI PROCESSO devono essere effettuati tutti gli accertamenti tecnici possibili, perché se non sono effettuati, poi ci piangeremo addosso.

Perciò, che cosa abbiamo notato, anche per la questione che lei ha detto, della presenza di  due persone di carnagione scura: essa si va a sovrapporre, a congiungere alla mia ipotesi  di sgozzamento per mano di soggetti adusi a tecniche del genere, e si sposa anche con la prima dichiarazione di Frigerio, che dice di aver visto l’assassino, uno con la carnagione olivastra. Poi piano piano questa carnagione olivastra si è sbiancata, ed è diventata quella di Olindo. Al che gli inquirenti, poiché avevano già una loro idea che potrebbe essere definita anche “ pregiudizio” – che si chiama ‘innamoramento del sospetto’, e diventa poi ‘innamoramento della tesi accusatoria’, un mio cavallo di battaglia, – cos’hanno fatto? Hanno applicato proprio il principio di Schopenauer. Questa è una cosa che ripeto sempre. Schopenauer dice: un’idea svolge nella testa la stessa vita di un organismo; prende e accetta soltanto ciò che le piace e che le conviene per prosperare e progredire, e rifiuta ogni altro elemento ed aspetto non gradito.  E qui è successa la stessa cosa. Poiché queste testimonianze non erano gradite all’ipotesi accusatoria, automaticamente sono andate a escludersi, e questo è quello che noi chiamiamo anche nella logica l’errore genetico. Cioè, andare a prendere soltanto ciò che è conveniente per la tesi in cui si crede, e rifiutare tutte le alternative perché non gradite.

A quanto riferisce l’avvocato Schembri, in questo pare abbia avuto una grossa responsabilità un investigatore dei Carabinieri. Penso che questa condotta sia piuttosto grave, se dimostrata,

Guardi, quando c’è un errore, o una inadeguatezza giudiziaria, è sempre colpa degli investigatori e del loro “metodo e sistema”, proprio perché gli investigatori o hanno tralasciato qualcosa, o si sono fatti fuorviare, o hanno sbagliato, o si sono innamorati del sospetto e della tesi e poi hanno agito in tal senso. Se facciamo una carrellata su tutti gli errori giudiziari italiani, o anche sulle investigazioni andate a finire male, ci accorgiamo che ci sono sempre l’errore investigativo e  l’inadeguatezza investigativa. Che può essere per l’innamoramento del sospetto e della tesi, può essere per non capacità totale di analisi criminale, può essere per pregiudizio, o per altri motivi.

Come sempre, l’analisi del professor Lavorino è lucida, completa, esauriente, metodica, meticolosa. Aspettiamo, a questo punto, che la Corte d’Appello di Brescia ospiti l’incidente probatorio disposto dalla Cassazione, e speriamo, dopo undici anni, che venga fatta luce sui troppi punti oscuri di questo crimine di una rara efferatezza, che, ad un occhio profano, mostra la mano di due o più professionisti dell’assassinio. Non è facile uccidere un altro essere umano, e ancor più difficile farlo in quel modo cruento e selvaggio, brutale, feroce, se non lo si è già fatto altre volte. Specialmente se si è modesti  operai impiegati in una ditta di smaltimento rifiuti, o donna delle pulizie.




Strage di Erba, parla l'avvocato Schembri che difende Rosa e Olindo. Molte le zone d'ombra


 

di Roberto Ragone

 

"Grazie avvocato per la sua disponibilità. Da quanto tempo seguite la causa di Rosa e Olindo?"

“Io e la collega Luisa Bordeax seguiamo la difesa di Rosa e Olindo da sei mesi dopo il loro arresto, inizialmente li ha difesi l’avvocato Pasìa, poi, dopo la sua morte, è entrato nella difesa anche l’avvocato Nico D’Ascola.”

 

“Secondo lei, è possibile che ciò che ha portato a condannare Olindo e Rosa sia stato quello che alcuni chiamano ‘innamoramento della tesi accusatoria’?”

“Ci sono stati processi, il primo grado, l’appello e poi la Cassazione. Diciamo che ci siamo sempre lamentati, Olindo e Rosa si sono sempre lamentati, di aver subito un processo monco e ingiusto, sono stati revocati settanta testi dapprima ammessi. Testi estremamente importanti, quali, ad esempio, gli stessi inquirenti, gli ufficiali di Polizia Giudiziaria che avevano fatto le indagini, e quindi questi non vennero sentiti. Non vennero sentiti dei testi oculari. Soprattutto non vennero fatti quegli approfondimenti che abbiamo chiesto oggi. Oggi sostanzialmente c’è stato questo annullamento della Corte di Cassazione, perché c’era tutta una serie di oggetti per cui noi chiedemmo un approfondimento di indagine . Purtroppo tutte le richieste formulate all’epoca vennero respinte, quindi un processo che probabilmente venne fortemente influenzato dal sentire comune, dall’opinione pubblica. E naturalmente anche dalla confessione che avevano reso Olindo e Rosa. Sì è partiti quindi sempre dal presupposto che loro due erano i mostri, loro due erano i colpevoli, e che quindi era inutile approfondire le tematiche d’indagine che si erano prospettate inizialmente.”

 

“Allora, avendo ricusato settanta testi, e avendo rifiutato di approfondire le indagini a proposito dei sei reperti che oggi vediamo, e che i giornali riportano, probabilmente importantissimi…”

“Sì, per la verità sono più di sei, i sei sono quelli che lei ha visto, che sono le formazioni pilifere, i margini ungueali, i due giubbotti, delle chiavi, ce ne saranno poi anche altri che verranno sottoposti ad analisi tramite incidente probatorio. Quelli indicati da noi sono quelli che non sono stati certamente mai analizzati, poi ce ne sono altri mai analizzati, e ce ne sono altri ancora che sono stati sostanzialmente analizzati solo parzialmente, nel senso che si sono cercate le tracce di Rosa e Olindo, quindi le analisi sono state effettuate solo per cercare tracce di Rosa e Olindo, visto che avevano confessato, e non si sono cercate tracce di terzi soggetti. Quindi un’analisi parziale volta a reperire soltanto tracce di Olindo e Rosa. Non sappiamo, visto che all’epoca questa indagine non è stata fatta, se su quei reperti ci potevano, o ci possono essere, perché a tutt’oggi tutto può essere analizzato, tracce di soggetti sconosciuti, quindi terze persone che all’epoca non entrarono nelle indagini. D’altronde all’epoca il RIS non trovò nulla di Rosa e Olindo, ma aveva già repertato delle impronte palmari, quindi impronte digitali che possono essere comparate, utili per le indagini, però di soggetti sconosciuti alle indagini, impronte che non erano di Rosa e Olindo, non erano dei soccorritori, non erano neanche le impronte delle vittime. Così noi da questo abbiamo già un punto di partenza abbastanza forte. Perché di Rosa e Olindo su quella scena del crimine non c’è nulla, al contrario ci sono tracce di soggetti che poi rimasero sconosciuti alle indagini.”

 

“Mi risulta che un testimone riferì di aver visto due persone di colore fuggire dalla scena del crimine dal terrazzino del primo piano.”

“Sì, diciamo che c’è un testimone italiano che abitava in via Diaz, nella palazzina di fronte al luogo della strage, e che vide, proprio all’ora del delitto, intorno alle 20 e 20, due soggetti in via Diaz, – all’epoca sentito dai carabinieri proprio il giorno dopo la strage – due persone, verosimilmente extracomunitari, più una terza persona, di cui non sa distinguere la nazionalità, provenire proprio dall’altezza del terrazzino di casa Castagna, e che poi si dirigevano da via Diaz in Piazza del Mercato. In piazza del Mercato a quell’ora c’era un altro testimone che venne all’epoca sentito, il quale disse anche lui di aver visto tre persone. Due, come aveva riferito il primo testimone, probabilmente di nazionalità extracomunitaria, la terza che poteva anche essere italiana. Noi avevamo prospettato un’altra via di fuga, appunto il terrazzino, proprio in virtù non solo di queste testimonianze, ma anche perché vi erano, proprio sul terrazzino di casa Castagna, delle tracce di sangue da calpestìo, come pure vi era, sulla parete all’interno di casa Castagna, il sangue dell’ultima vittima, la povera signora Cherubini. Peraltro c’era un particolare di molto rilievo, che quando entrarono nella palazzina i primi due soccorritori, i primi due vigili del fuoco, sentirono la signora Cherubini gridare più volte ‘Aiuto’. Provarono a raggiungere l’ultimo piano, quindi la casa del signor Frigerio e della signora Cherubini, però il fumo intenso impediva di passare, per cui lasciarono per un attimo la palazzina e ritornarono in cortile per prendere un estintore, perdendo qualche minuto. Quando rientrarono nella palazzina, la signora Cherubini non gridava più. La signora Cherubini venne trovata nel suo appartamento con il cranio fracassato e la lingua recisa, perché ricevette il colpo di grazia alla gola che colpì anche la lingua. Questo sta a significare che quando i primi due soccorritori entrarono, la signora Cherubini ancora non era stata finita, e quindi che il suo aggressore era ancora di sopra, pronto a finirla, come poi in effetti la finì. Il fatto che gridasse aiuto, e che poi venisse trovata con la lingua recisa, fatto che le avrebbe impedito di gridare aiuto, non può non essere considerato. Questo sta a significare che l’aggressore o gli aggressori non potevano più uscire da quella corte, perché ormai nella corte c’erano i soccorritori, e che quando i primi due soccorritori lasciarono per un attimo la palazzina, gli aggressori scesero da casa Cherubini, rientrarono in casa Castagna, e lì lasciarono il sangue dell’ultima vittima, della povera signora Cherubini, per poi guadagnare il terrazzino e calarsi su via Diaz dall’altezza di circa un metro e mezzo, quindi molto facile da raggiungere. Lì, guarda caso, proprio a quell’ora, vennero viste due persone più una terza provenire dalla direzione del terrazzino, da questo signore che lei ricordava, questo signore italiano che abita proprio lì di fronte. Questo è un argomento che noi sosteniamo, ma lo sosteniamo in base ad elementi di carattere tecnico, cioè le testimonianze dei soccorritori, quali appunto il taglio della lingua, che non poteva permettere di gridare aiuto aiuto, quali il sangue della signora Cherubini rinvenuto in casa della signora Castagna, l’ultima vittima, le impronte da calpestìo sul terrazzino, le dichiarazioni di questo signore italiano, le dichiarazioni dell’altro signore extracomunitario, che è stato in via Diaz e vide dei soggetti, e guarda caso tutti e due videro tre soggetti alla stessa ora, e, al contrario, alla stessa ora nessuno vide uscire Olindo e Rosa da quella corte.”

 

“Pare che uno degli esecutori della strage fosse mancino.”

“Questo si può dire soltanto con grande approssimazione, Certo, dalla descrizione che diede il sopravvissuto Frigerio  della sua aggressione, cioè che sarebbe stato colpito, una volta messo prono, da una persona alle spalle, nella zona sinistra del collo, quindi una persona messa a cavalcioni sulla schiena, allora tutto lascia presupporre che il colpo sia stato dato con la mano sinistra, perché in quella posizione il colpo poteva essere dato solo con la mano sinistra, quindi dalla descrizione che ne fornisce il sopravvissuto. Solo che poi il sopravvissuto disse pure che il suo aggressore era stato Olindo Romano, mentre per i primi quindici giorni indicava un soggetto non del posto, a lui sconosciuto, olivastro, occhi neri e quant’altro. Certo è che il signor Olindo Romano non è mancino.”

 

“Possiamo dire che la chiave di volta della faccenda è stata la confessione resa dai due coniugi.”

“La chiave di volta è stata naturalmente la confessione, che viene considerata un elemento determinante,  dato che non si capisce a quale scopo due persone debbano accusarsi di un crimine del genere, quindi se hanno confessato, sono loro i colpevoli. Però, molto spesso è così, e altre volte non è così, perché non tutti sanno che sia la cronaca giudiziaria italiana che quella internazionale è piena di confessioni fasulle, confessioni indotte, piuttosto che confessioni di mitomani, eccetera eccetera. Peraltro, anche le confessioni devono essere valutate in un certo modo, nel senso che lei mi può confessare di aver abbattuto l’aereo a Ustica, però poi mi dovrà spiegare come ci è riuscito, e darmi dei dettagli. Ora, questi dettagli sono stati resi, ma sono tutti dettagli errati. Quando Olindo fornisce dettagli, li sbaglia tutti. Le faccio degli esempi concreti per capirci. Nonostante abbia deciso di confessare, e poi parleremo anche del motivo per cui ha deciso di confessare, eventualmente, lui vuole confessare ma fa degli errori clamorosi. Per esempio, è stato accertato che chi agì in quella casa agì al buio. Inizialmente Olindo dirà che c’era la luce. Poi gli verrà detto che la luce era stata staccata, e allora lui dirà, va bene, allora ho agito al buio. Gli viene chiesto, ma lei a che ora ha staccato la luce? Alle 20, dirà lui, perché sa che il delitto è stato commesso attorno alle venti. In realtà poi è stato accertato in modo inoppugnabile che la luce in quella casa venne staccata alle 17,40. E altro. Quanti colpi ha dato alla signora Cherubini? Lui dirà due, tre. In realtà la signora Cherubini aveva subito trentasette colpi, e quindi diciamo che è stata purtroppo la vittima che ha subito una ferocia maggiore rispetto alle altre. Dove l’ha uccisa? Lui dirà, al piano terra, in realtà fu uccisa al secondo piano. Che vestiti indossavano le vittime? Non li saprà descrivere, tranne quelli di Paola Galli, perché dice Olindo che li ricordava, ma sbaglierà tutto, per esempio dirà che quello se lo ricordava benissimo, aveva una gonna grigia e rossa, mentre in realtà aveva una gonna leopardata. Cioè, nei dettagli non indovina proprio nulla, tant’è vero che noi abbiamo cintato, per quanto riguarda la confessione di Olindo, duecentoquarantatrè errori, cioè un errore ogni trenta secondi di dichiarazioni, sono veramente tanti. Peraltro a questo bisogna aggiungere che vi era un’intercettazione ambientale, cioè poco prima di confessare, gli inquirenti proprio in carcere fecero incontrare Rosa con Olindo e misero una cimice per ascoltarli. Dove sostanzialmente Olindo dice a Rosa, guarda che ho parlato con quei signori lì fuori, e mi hanno detto che se confesso, tu torni a casa, e io dopo qualche anno ti raggiungo, con l’abbreviato, quelle cose lì, le attenuanti generiche, mi hanno detto, e Rosa dirà, ma scusa se non siamo stati noi, che cosa vuoi confessare, il carcere ti pesa così tanto, e lui dice, guarda, per tagliare le gambe al toro, questo mi sembra il minore dei mali, ecco che l’analisi della confessione deve esaminare anche gli altri elementi che le stanno intorno. Del resto, sono stati gli stessi due carabinieri che entrarono quella mattina in carcere ad aver detto poi in dibattimento che in effetti uno dei due disse ad Olindo, che, siccome lui diceva che mia moglie non c’entra niente, di aver detto a Olindo, vabbè, ma se tua moglie non c’entra niente, vuol dire che tu c’entri per qualcosa, quindi ti suggerisco di chiamare i magistrati, di dire che tua moglie non c’entra nulla, così se ne va a casa, e poi tu, confessando, con le attenuanti generiche, l’abbreviato e quelle cose lì, prendi qualcosa di meno. Quando nella intercettazione ambientale lui dice queste cose a Rosa, queste cose trovano conferma dalle stesse dichiarazioni rese poi in dibattimento dai due carabinieri che quella mattina entrarono in carcere e parlarono con Olindo. Il contesto quindi è molto più ampio, perché da un lato abbiamo questa confessione, mi passi il termine, sgangherata, perché nessuno poi ha confutato, anche nelle sentenze di merito, che in effetti gli errori ci furono, cioè anche la sentenza, non quella di primo grado, ma poi dalla sentenza di appello in poi fu scritto che gli errori in effetti ci sono, solo che, e questa è stata la motivazione da parte dei giudici, magari sono il frutto dell’azione concitata del momento, e in parte anche della volontà di Olindo di lasciarsi una porta aperta per poi ritrattare. Ora, tutto si può dire, ma che uno confessi per poi ritrattare, mi sembra veramente abbastanza singolare, visto che sostanzialmente sarebbe meglio, in questi casi, non confessare. Una volta confessato sarà sempre più difficile ritrattare. Per esempio, ancora Olindo, quando non sapeva che il RIS di Parma doveva depositare degli accertamenti, aveva detto di aver appiccato il fuoco con un semplice accendino, in realtà poi venne accertato dal RIS che in quella casa venne dato fuoco non con un semplice accendino, ma utilizzando anche degli acceleranti di marca diversa. Naturalmente per fare quello che è stato fatto, quel tipo di incendio, con un semplice accendino difficilmente si sarebbe riusciti a farlo. Questi sono gli elementi che riguardano la confessione. Certo, la confessione certamente ha pesato, ha pesato tantissimo, perché, si può anche dire così, ha lavato le coscienze un po’ a tutti.”

 

“Certo, Olindo e Rosa sono due persone psicologicamente molto particolari. È stata fatta una perizia psichiatrica?”

“Anche questo. Purtroppo, noi abbiamo anche chiesto una perizia psichiatrica, non per cercare la semi incapacità o l’incapacità, ma per accertare quello che loro due sono. Per eventualmente misurare il loro grado della possibilità di suggestione e di induzione che può essere creata in questi soggetti, anche quella ci è stata negata, quindi fra i settanta testi, e non solo, ma anche ci è stata negata la perizia psichiatrica per analizzare sia Rosa che Olindo.”

 

“Vi siete avvalsi anche della collaborazione di un criminologo?”

“Nell’ambito della difesa il consulente era il professor Torres, che purtroppo ci ha lasciati un anno e mezzo fa, la dottoressa Vasino, la dottoressa Saracino, c’era il professor Strata, neurologo, erano stati nominati anche dei periti psichiatrici, il dottor Bogetto, proprio per eventualmente esaminarli, ma non ci è stato consentito. C’è stato anche come perito Paloscino, per cercare il profilo di quel soggetto che nei primi quindici giorni Frigerio descriveva. Quello che fece una relazione per la difesa fu il professor Carlo Torres, insieme alla dottoressa Vasino e alla dottoressa Saracino, che poi addirittura non venne nemmeno sentita, perché la dottoressa Saracino fu uno di quei testi prima ammessi e poi revocati. Il RIS lavorò sulla scena del crimine con diciotto unità, erano i consulenti del Pubblico Ministero, solo che, siccome la loro relazione era favorevole a Olindo e Rosa, abbiamo dovuto insistere per avere la loro relazione, quindi solo tramite le nostre richieste poi venne depositata. Addirittura il PM non voleva che entrasse in atti, e non citò neppure il RIS di Parma, che divenne testimone della difesa. Erano diciotto unità, se ne ammisero soltanto tre.”

 

“Insomma, i reperti di cui hanno parlato i giornali, dove sono custoditi, e come mai non sono stati messi in evidenza, dopo quasi undici anni?”

“Questi reperti sono, alcuni presso il RIS di Parma, altri presso l’Università di Pavia. Sono custoditi, secondo le nostre informazioni, perché quando abbiamo fatto la richiesta, sia il RSI di Parma che l’Università di Pavia ci risposero che erano custoditi, ed era possibile analizzarli. All’epoca non vennero fatte le analisi di alcuni reperti perché per scelte di carattere investigativo si ritenne di dover fare delle analisi rispetto a delle altre, di analizzare alcuni reperti piuttosto che altri. Poi noi durante la fase processuale avevamo chiesto quell’approfondimento su tutto, che però, insieme ai settanta testi, ci venne negato. Adesso l’iter, una volta che è avvenuto questo annullamento della Cassazione, Brescia dovrà procedere a fare questo incidente probatorio, quindi ad esaminare tutti quei reperti indicati, soprattutto quei reperti che una volta esaminati non potranno essere riesaminati. Nel senso che, una volta fatta la prima analisi, non è detto che se ne possa fare una seconda. quello dovrà avvenire in contraddittorio di tutte le parti, verrà fissata un'udienza davanti al giudice, le parti dovranno nominare i propri consulenti, il giudice il suo perito, e quindi siprocederà ad analizzare tutta una serie di reperti sui quali i tecnici effettueranno un esame unico, nel senso che non potrà essere ripetuto, e quindi verrà fatto un'unica volta davanti ad un giudice, davanti ai periti e agli esperti. Quell'esame cristallizzerà appunto la prova, e vedremo quali saranno i risultati. Una volta effettuato l’incidente probatorio, poi, in base anche ai risultati ottenuti, in base anche ad altri elementi, in questo caso di carattere dichiarativo, ed altro, verrà presentata una vera e propria istanza di revisione, sempre davanti ai giudici bresciani che raccoglieranno anche queste prove qui, quelle relative all’incidente probatorio. “

 

“Quindi il tribunale di competenza è quello di Brescia.”

“La Corte d’Appello competente, così ha stabilito la Cassazione, è quella di Brescia, per fare questo tipo di incombente.”

 

“Quindi i tempi lunghi dipendono dalla Cassazione, che soltanto oggi ha potuto esaminare l’istanza.”

“Noi due anni fa abbiamo presentato la prima istanza, poi ci siamo dovuti rivolgere alla Cassazione perché annullasse questo provvedimento. I tempi lunghi dipendono dal fatto che avevamo chiesto dapprima a Brescia, Brescia riteneva che fosse Como competente, Como riteneva che competente fosse Brescia, Brescia riteneva di non dover fare l’incidente probatorio, abbiamo impugnato l’ultimo provvedimento di Brescia davanti alla Corte di Cassazione, la corte di Cassazione ha annullato il provvedimento di rigetto di Brescia, e ha stabilito che questo incombente venisse effettuato.”

 

“Avevate fatto istanza di revisione del processo?”

“Noi ancora non abbiamo presentato un’ istanza di revisione, avevamo  fatto una richiesta di analisi in incidente probatorio di quei reperti. Ci era stata negata dalla Corte d’Appello anche di Brescia, ritenendo che quel tipo di incombente, di incidente probatorio non si poteva fare anche perché non era stata presentata una richiesta di revisione. In realtà la Corte di Cassazione ha stabilito che l’incidente probatorio andava fatto, anche perché è un incombente che si deve fare anche se non c’è una richiesta di revisione, proprio perché è propedeutico ad una revisione. “

 

“A proposito dei famosi reperti, io ho qui un capello…”

“Sono più capelli, dei quali uno più lungo di dieci centimetri, sono delle formazioni pilifere.”

 

“Un accendino, un mazzo di chiavi, lei mi ha detto due giubbotti, io ne avevo uno, lei mi ha anche detto ‘margini ungueali’, un cellulare e una macchia di sangue, non ho più nulla.”

“Poi esamineremo sicuramente anche una tenda, e anche qualche altro oggetto, non sono solo quei sette, sono quei sette, ma ce ne sono anche degli altri, le aggiungo una tenda e qualche altro oggetto.”

 

“A posteriori, dando non un giudizio, ma un suo parere, lei ritiene che questa condanna nei confronti di due persone che da tanti, come da me e dal collegio difensivo, sono considerate innocenti,  sia stata causata da un’indagine condotta in modo molto particolare. Per esempio, l’identificazione di Olindo è stata fatta da Frigerio mentre si trovava ricoverato in ospedale, con un investigatore che gli mostrava una foto di Oilindo, ‘suggerendogli’ che avrebbe potuto essere stato lui ad aggredirlo.”

“Noi riteniamo che le indagini siano state molte, perché anche ad un certo punto si sono interrotte. Ma soprattutto riteniamo che doveva essere valutato quello che è successo prima, e non soltanto quello che è successo dopo, perché se per quindici giorni il testimone, fin quando non aveva subito alcun condizionamento, quindi davanti al PM, davanti ai suoi figli, aveva per più volte ripetuto di non conoscere il suo aggressore; l’aveva descritto come olivastro, occhi neri, capelli neri sul volto, forte come un toro, esperto di arti marziali, ma soprattutto aveva detto a più riprese di non conoscerlo, che non era di Erba. Questo sta a significare che escludeva dal cono della responsabilità il già sospettato Olindo Romano, perché il signor Frigerio, Olindo Romano lo conosceva da circa dieci anni, ci si fermava a parlare. Se il tuo vicino di casa, con il quale hai una certa confidenza, ti aggredisce, ti uccide la moglie, è chiaro che tu non è che lo descrivi, lo indichi, è stato il signor Rossi, non indichi altri soggetti sconosciuti. Quindi il signor Frigerio, fin quando un investigatore, lo stesso investigatore che fin dalla notte era convinto della colpevolezza di Olindo, fin quando non ha incontrato quell’investigatore, ha dato sempre la stessa versione, dicendo che il suo aggressore era un soggetto che non conosceva, con determinate caratteristiche somatiche che non combaciano in alcun modo con quelle di Olindo. Solo dopo la visita dell’investigatore, che fece quel colloquio investigativo, iniziando a dire, diciamo per assurdo, ma se lei avesse visto Olindo Romano come suo aggressore, l’avrebbe riconosciuto? E anche lui dirà, penso di sì. Poi continuerà a dare a quest’investigatore la stessa descrizione di un soggetto sconosciuto, fin quando l’investigatore, dopo quarantacinque minuti ritorna sull’argomento, e dice: tornando all’Olindo, le ho messo quel dubbio che sia lui, o che non sia lui? Lei ci pensi a questa figura che aveva di fronte, e poi ne riparliamo. Tant’è vero che Frigerio dirà, ma pensate che sia stato l’Olindo? E allora l’investigatore lo lascia con questo dubbio. Nei giorni successivi, Frigerio dirà, al cento per cento, che il suo aggressore è stato Olindo. Ora non ci vuole uno scienziato per stabilire che il ricordo più genuino è quello che non è stato condizionato da nulla, e fin quando Frigerio non è stato condizionato da nulla, ha detto che il suo aggressore aveva caratteristiche somatiche molto diverse da quelle di Olindo. “

Fin qui l’intervista che l’avvocato Schembri ci ha gentilmente concesso, e della quale lo ringraziamo. Restiamo in attesa della data dell’incidente probatorio, che, ci auguriamo, porterà alla revisione di un processo che, ad un osservatore non addentro alle cose della giustizia, e alla luce di quanto l’avvocato Schembri ci ha detto, sembra viziato da situazioni e decisioni non chiare e non motivate, almeno al grande pubblico. Certo è che il processo a Rosa e Olindo, prima che in tribunale, venne fatto in televisione, in base a voci raccolte da chi evidentemente ne sapeva ancor meno di chi le voci raccoglieva, a caccia di sensazioni. Bene dice l’avvocato Schembri quando parla di un processo “fortemente influenzato dal sentire comune” e, secondo noi, falsato da una confessione che avrebbe almeno dovuto sollevare dei dubbi negli inquirenti sulla sua genuinità. Rosa e Olindo sono due mostri, sì, ma non due assassini, sono due mostri di ingenuità, e lo dimostrano con la richiesta che venne fatta di una cella matrimoniale. Ci auguriamo che giustizia venga fatta, anche se a distanza di undici anni, o che almeno giustizia venga resa a chi non ne ha avuta.

 

 

 

 

 




Strage di Erba, Rosa e Olindo sono innocenti?

 
di Roberto Ragone

ERBA – E’ la sera dell’11 dicembre 2006, all’incirca 20 minuti dopo le 20, al numero 25 di via Diaz, a Erba, in provincia di Como. La vecchia corte ristrutturata è composta da alcune palazzine, ed è nota come Condominio del Ghiaccio. All’improvviso da una delle finestre si alza una densa colonna di fumo. Due vicini di casa, uno dei quali pompiere volontario, intervengono, ed entrano nella palazzina. L’incendio è al primo piano. A ridosso del primo piano trovano un uomo ferito, Mario Frigerio. Ha la testa nell’appartamento, e il corpo fuori, è prono, e lo trascinano al di fuori dell’appartamento in fiamme.
 
Subito all’interno dell’appartamento brucia il corpo di una donna: è Raffaella Castagna. I soccorritori trascinano anche lei lontano dall’incendio, sul pianerottolo, spegnendo le fiamme che lo avvolgono. Dal piano superiore odono la voce di una donna che ripetutamente e disperatamente chiede aiuto. È Valeria Cherubini, la moglie di Mario Frigerio, il quale, senza poter parlare perché ferito alla gola, indica ai due che un’altra persona si trova di sopra. Le fiamme sono alte, il fumo sempre più denso, e i due devono abbandonare l’impresa. Solo all’arrivo dei Vigili del Fuoco vengono scoperti in totale quattro cadaveri e un ferito grave, Mario Frigerio, che viene trasportato all’ospedale Sant’Anna di Como. Sottoposto a diversi intereventi, si risveglia dall’anestesia dopo due giorni. Raffaella Castagna, la donna il cui corpo era in fiamme, 30 anni, moglie di Azouz Marzouk, è stata colpita al capo con una spranga di ferro, accoltellata dodici volte e poi sgozzata. È morta per la frattura del cranio.
 
La madre di Raffaella, Paola Galli, 60 anni, viene trovata all’interno dell’appartamento, anche lei colpita a sprangate e accoltellata. Il decesso è avvenuto per frattura del cranio. Il piccolo Youssef Marzouk, figlio di Raffaella Castagna e di Azouz Marzouk, due anni e tre mesi è morto dissanguato sul divano, dopo aver ricevuto un’unica coltellata che gli ha reciso la carotide. Al piano di sopra, nel sottotetto, giace il corpo di Valeria Cherubini, 55 anni, moglie di Mario Frigerio. Nonostante la violenta colluttazione con il suo aggressore, ha subito 8 colpi di spranga e 34 coltellate, una delle quali le ha reciso la lingua. All’arrivo dei soccorsi, la donna aveva gridato più volte chiedendo aiuto, e si era trascinata lungo le scale lasciando una impressionante scia di sangue, è morta per asfissia da ossido di carbonio, prima che la morte intervenisse per la gravissime ferite riportate. Morto per asfissia da monossido di carbonio anche il cane di casa.
 
Mario Frigerio, colpito più volte con una spranga e accoltellato, è sopravvissuto grazie ad una malformazione congenita della carotide, che ne ha impedito il dissanguamento.
I rilievi evidenziarono che l’aggressione era stata opera di due persone, una delle quali mancina, armate di spranga e di coltelli a lama lunga e corta. Date le modalità islamiche delle esecuzioni, la prima persona sospettata è il marito di Raffaelle Castagna, Azouz Marzouk, 26 anni, tunisino, pregiudicato per spaccio di droga, da poco uscito dal carcere per indulto.
Le successive indagini dimostrano che Marzouk era all’estero, in Tunisia da alcuni giorni, in visita ai genitori, per un viaggio programmato da tempo. Gli investigatori incominciano a pensare ad una vendetta nei suoi confronti. Nell’appartamento situato sotto a quello della strage abitano due coniugi senza figli, di mezz’età. Lei, Rosa Bazzi, ha 42 anni e lui, Olindo Romano, 44. Rosa lavora come donna delle pulizie, lui è dipendente di una ditta di raccolta e smaltimento rifiuti. È una coppia particolare, che vive in simbiosi. Hanno un camper, con il quale ogni tanto fanno dei piccoli viaggi. Non hanno amici, non hanno parenti, non hanno figli.
 
Il loro regno è la loro casa, insieme, sempre insieme. Il Pubblico Ministero Massimo Astori, li definirà “Un quadrupede”. Una coppia tranquilla, che da sempre soffre la presenza di una famiglia ‘rumorosa’ come quella che abita al piano di sopra, e con cui più volte ha avuto delle liti. Per il 13 dicembre, due giorni dopo l’eccidio, è fissata l’udienza per la causa civile con Raffaella Castagna, che ha denunciato la coppia per ingiurie e lesioni in seguito ad una lite avvenuta il giorno di Capodanno 2005.  Il loro comportamento, per alcune piccole cose, appare sospetto agli inquirenti, come ad esempio il fatto che Rosa, la sera del fatto omicidiario, abbia azionato la lavatrice più tardi del solito, lei che era abituata a farlo sempre non più tardi delle 18, come dimostrano i controlli eseguiti presso l'azienda elettrica. Un'abitudine che aveva da tre anni, costantemente.
 
Perchè proprio quella sera Rosa ha cambiato orario? E' una domanda legittima, ma il motivo può anche essere irrilevante. Rosa e Olindo hanno un alibi: la sera dell’incendio sono stati al Mc Donald’s a Como, e hanno ancora lo scontrino. Il quale dimostra però che sono stati al fast food due ore dopo la strage, e quindi in tempo per compierla. Il loro torto è quello di averlo mostrato senza che fosse loro richiesto, quasi a voler presentare un alibi non necessario. L’attenzione delle indagini si concentra su di loro, e ogni ragione è buona per sospettare del loro comportamento, anche quando Rosa, intercettata, dice al marito: “Adesso sì che possiamo dormire.” Successivamente vengono trovate piccole tracce di sangue femminile sugli indumenti dei Romano e una macchiolina di sangue del signor Frigerio sul tappetino della loro auto. Ciò che non viene trovato non viene considerato, cioè indumenti insanguinati, armi del delitto, e grandi qualtità di sangue di cinque vittime. Si sa che gli accoltellamenti, e soprattutto gli sgozzamenti ne producono in quantità incontrollabile, soprattutto sulle scarpe degli assassini, nè vengono considerate le dichiarazioni di due testimoni oculari che riferiscono di aver visto fuggire due persone di colore, forse tre, dal terrazzino del primo piano dopo l'incendio. Nè si considera che Olindo non può aver ucciso la Cherubini, che ancora gridava aiuto all'accorrere dei primi soccorritori, e che è stata trovata con la lingua recisa da una coltellata, quindi uccisa da qualcuno che era al piano di sopra mentre sotto si apprestavano le prime cure alle vittime e si cercava di spegnere l'incendio. Nè si considera che nessuno ha visto Rosa e Olindo nella corte, in quella circostanza. I coniugi vengono messi sotto torchio.
 
La loro unica paura è quella di non poter più vivere l'uno per l'altra, come sempre; il loro rapporto viene definito di 'succubanza reciproca'. Basta che un investigatore prospetti a Olindo la possibilità d'essere divisi per sempre per farlo crollare, e decidere di addossarsi la responsabilità della strage, con la promessa di pochi anni di carcere e la possibilità di tener fuori Rosa. Ma Rosa non è d'accordo a rimanere fuori, e il 10 gennaio 2007 Rosa e Olindo confessano. All’inizio lui cerca di scagionarla, dicendo di ‘aver fatto tutto da solo’, ma Rosa confessa anche lei. “Il bambino l’ho fatto io” dice al PM “La mamma l’ho fatta io e glie ne ho date tantissime, anche alla Raffaella.” Il PM le chiede: “Di coltellate?”  “Sì, di coltellate.” Il 29 gennaio 2008 inizia il processo. Rosa Bazzi e Olindo Romano vengono condannati all’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni. La loro unica mira è che non li si separi, e chiedono una cella matrimoniale.
 
L’appello presso il Tribunale di Brescia conferma la sentenza, come la Cassazione. Mario Frigerio, il supertestimone, colui che aveva sempre accusato Olindo di essere lui quello che lo aveva colpito la sera dell’11 dicembre 2006, è morto il 16 settembre del 2014, otto anni dopo la strage. Il camper e la casa dei Romano sono stati venduti all’asta, per risarcire le vittime. La casa, dopo che le prime due sedute erano andate deserte, è stata venduta per 69mila euro. Attualmente sono detenuti in due carceri diverse, lui a Opera, lei a Bollate, e si vedono tre volte al mese per due ore. Sono passati dieci anni, e Olindo spera in un permesso premio. «Continuo a vedere Rosa tre volte al mese e questa è la cosa più importante. Spero che prima o poi io e Rosa possiamo avere i permessi premio così potremmo vederci tranquillamente e in santa pace come facevamo prima. Sarebbe bello avere un permesso premio da soli con Rosa per farci un giro in camper e fermarci a mangiare una pizza lungo il lago. Il problema è che il camper ce l’hanno venduto. Chissà se il magistrato di sorveglianza ci darà l’ok. Mi ricordo il giorno della strage e fino a sera è stato un giorno normale: lavoro, casa, Rosa, McDonald’s… È da dieci anni che dura questo incubo, ma aspettiamo fiduciosi la revisione del processo. Sono innocente». In fondo alla lettera l’ennesima dichiarazione d’amore per la moglie: «Quello tra me e Rosa è un amore che nessuno può dividere».
 
Olindo e Rosa, quasi si svegliassero da un brutto sogno, una volta in carcere hanno provato a ritrattare, ma non sono stati creduti. Ora si apre uno spiraglio, nell’interminabilità della loro detenzione, la possibilità di una revisione del processo. Gli avvocati di Olindo e Rosa, Nico D’Ascola, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux, intervenuti nella loro difesa sei mesi dopo l’arresto, dopo il difensore d’ufficio, hanno presentato un’istanza per riesaminare alcuni reperti la cui amplificazione era stata negata ai tempi del processo, e che consistono in: alcune ciocche di di capelli, un accendino, un mazzo di chiavi, due giubbetti, alcuni margini ungueali, un cellulare, una tenda, una macchia di sangue mai analizzata ed altri reperti. In merito a questa istanza, rimbalzata più volte da Como a Brescia, abbiamo parlato con uno degli avvocati della difesa, l’avvocato Fabio Schembri. 



Strage di Erba: Olindo e Rosa sperano in un permesso premio

 

di Angelo Barraco
 
 
MILANO – La Strage di Erba rappresenta ancora oggi una macchia indelebile nella storia del crimine, una terribile vicenda avvenuta l’11 dicembre del 2006 che nessun italiano ha dimenticato per anomalie ed efferatezza nel modus operandi. Un delitto che ha sdoganato le regole non scritte del buon vicinato. Per la strage in cui persero la vita quattro persone sono stati condannati all’ergastolo in primo e secondo grado Olindo Romano e Rosa Bazzi, oggi la coppia spera di poter riacquistare barlumi di libertà attraverso i permessi premio e poter “"andare in camper a mangiare una pizza sul lago”. Tali volontà sono state espresse da Olindo Romano in una lettera dove ha scritto: “Continuo a vedere Rosa tre volte al mese e questa è la cosa più importante. Spero che prima o poi io e Rosa possiamo avere i permessi premio cosi potremmo vederci tranquillamente e in santa pace come facevamo prima. Sarebbe bello avere un permesso premio da soli con Rosa per farci un giro in camper e fermarci a mangiare una pizza lungo il lago. Il problema è che il camper ce l'hanno venduto. Chissà se il magistrato di sorveglianza ci darà l'ok” aggiungendo inoltre: “Mi ricordo il giorno della strage e fino a sera è stato un giorno normale: lavoro, casa, Rosa, Mc Donald…è da dieci anni che dura questo incubo, ma aspettiamo fiduciosi la revisione del processo. Sono innocente”.
 
Le parole di Olindo hanno avuto un effetto boomerang e Azouz Marzouk, che in quella terribile mattanza ha perso il figlio Youssef e la moglie Raffaella Castagna, non ha dimenticato il terribile lutto che lo ha colpito e nel corso di un’intervista ad Adnkronos ha riferito: “Anche se mi sono fatto una famiglia, ho tre figlie meravigliose e una bravissima moglie, mi fa sempre male quello che è successo. Quel giorno io ho perso mio figlio e mia moglie, eppure non vengo trattato come una vittima: tutti si ricordano della famiglia Castagna, ma anch'io ho perso tutto”, ha inoltre riferito “Non ho mai detto che sono innocenti, ho solo detto che ci sono alcuni punti non chiari, come alcune dichiarazioni o alcuni elementi che non sono stati approfonditi. Io credo che se Olindo e Rosa sono colpevoli non hanno diritto ad avere permessi premio e a potersi vedere fuori dal carcere dopo solo 10 anni da quella strage che mi ha distrutto la vita”. Una vicenda che ha colpito tutti e la famiglia Castagna, dieci anni dopo il massacro, ha deciso di donare la casa in cui si è consumata la strage. Carlo Castagna ha infatti riferito ai microfoni di TgCom24 che: “Il nostro obiettivo è stato quello di garantire una continuità di vita e non più di morte, tenebre”. In quella abitazione ci vivrà una coppia della Nuova Guinea con un bambino piccolo. 
 
Nel mese di aprile scorso si era parlato di una nuova possibile riapertura del caso e i legali di Olindo e Rosa hanno presentato alla Corte d’appello di Brescia, alla luce di una richiesta di revisione del processo, un’istanza d’incidente per analizzare “reperti importantissimi mai prima esaminati”. Tra questi reperti vi erano i peli rinvenuti sulla felpa del piccolo Youssef Marzouk. Tali elementi erano emersi nel novembre scorso. L’avvocato Schembri aveva commentato così il rinvenimento di tale materiale “Ci siamo trovati di fronte a questo elemento per caso, nel corso del carteggio tra le procure che si rimpallano la competenza sulla nostra istanza di acquisizione dei vecchi reperti ancora in carico a Ris e Università di Pavia, cioè quelle di Como e Brescia. Ora sappiamo due cose: che sono stati trovati dei peli sulla felpa del bambino vittima della strage, e che questi reperti non sono stati analizzati. Ci sembra doveroso farlo ora, visto che potremmo non trovare nulla di anomalo o al contrario trovare qualche nuovo attore sulla scena del delitto”. La difesa chiede inoltre di esaminare un accendino rinvenuto sul pianerottolo dell’appartamento in cui avvenne la mattanza e altro reperti biologici che “non furono sottoposti ad amplificazione”.
 
La vicenda. Un delitto che ha scosso l’Italia, tre donne uccise brutalmente e un bambino di non ancora due anni sgozzato, e un unico sopravvissuto. Questo è quanto accaduto l’11 dicembre del 2006 intorno alle 20.00, nella corte di Via Diaz, in una palazzina denominata la Palazzina del Ghiaccio quando divampa un incendio all’interno di uno degli appartamento di una delle palazzine. Vedendo il fumo due vicini salgono e trovano Mario Frigerio, unico sopravvissuto, il corpo privo di vita di Raffaella Castagna che sarebbe morta mediante ferimento di una spranga e 12 coltellate e sgozzamento, Paola Galli, la madre, uccisa a sprangate e coltellate e il bambino di Raffaella, Youssef, dissanguato sul divano in seguito al taglio della gola. Proprio in quella palazzina nel 2000 andò ad abitare Raffaella Castagna, nel periodo in cui vi erano entrati Olindo Romano e Rosa Bazzi. 
 
Raffaella Castagna,  era giovane e sola quando giunge in via Diaz. In aula, quando il Pubblico Ministero chiede ai Teste se la Signora Castagna avesse dei problemi all’interno della palazzina, la risposta dei teste è “Olindo Romano e Rosa Bazzi”, il Pubblico Ministero chiede di che cosa si lamentavano questi signori, il teste riferì che si lamentavano “del baccano, del casino, dei rumori”. Nel processo emerge inoltre che Raffaella Castagna aveva preso delle precauzioni per evitare lamentele, il teste infatti riferisce che utilizzava tappeti e molta cautela tant’è che faceva togliere le scarpe agli ospiti per evitare screzi con i coniugi Romano. Inoltre il teste racconta un episodio che evidenza un grande problema, racconta infatti che si trovavano a casa di Raffaella Castagna a prendere il Thè e una sua amica muove bruscamente la sedia, dopo pochi minuti suona il citofono e l’amico di Raffaella riferisce in aula che la donna consiglia loro di evitare di far rumori, fare piano, ma dieci minuti dopo suona ancora il citofono, la terza volta quando risponde o Olindo o Rosa chiedono di smetterla di fare rumore. Ma l’insistenza dei coniugi Romano non finisce qui, poiché continuano  citofonare e decidono di scendere tutti quanti dal signor Romano e chiedono come mai, perché questo. Ma le testimonianze che parlano di atteggiamenti aggressivi contro Raffaella Castagna messi in atto da Olindo e Rosa sono tanti. Tali episodi riguardano il antecedente il matrimonio con Azouz Marzouk.
 
I testimoni raccontano di come Raffaella avesse paura dei coniugi Romano perché la trattavano male, la insultavano, che quando era incinta aveva ricevuto percosse. Il matrimonio e la nascita di Youssef Marzouk aggravano una situazione ormai critica, fino a quando non si arriva al 3 aprile del 2005 quando Paola Galli viene chiamata in lacrime dalla figlia Raffaella e, giunta in Via Diaz subisce un’aggressione dai coniugi Romano, terrorizzata chiama il marito che, anch’esso, viene aggredito. Ma i coniugi Romano litigavano anche con il resto del vicinato? Dal processo emerge che si, litigavano con il resto del vicinato. Un teste racconta che sua moglie non poteva mettere fuori le lenzuola perché c’erano subito discussioni con Rosa Bazzi, mentre loro facevano quello che volevano, non rispettando ordine e pulizia e senza chiedere niente a nessuno.
 
Ma come mai Olindo e Rosa Bazzi vengono accusati di essere gli autori del massacro? Il tutto avviene principalmente dal risveglio di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto al massacro –morto nella notte del 16-09-2014- che in aula ha raccontato quella terribile sera. Frigerio racconta i aula di aver cenato alle 7 con sua moglie , alle 8 la moglie sua moglie si era preparata per accompagnare il cane a fare i bisogni, e mentre era pronta per uscire, ha raccontato in aula Frigerio, sentono un paio d’urli. L’uomo in aula ha raccontato che in quel momento, a seguito degli urli, ha riferito alla moglie di aspettare un po’ prima di uscire e appena si calma la situazione poteva scendere. “Mia moglie dopo circa un quarto d’ora rientra e mi dice guarda che c’è un bel po’ di fumo, sembrava un attimino spaventata” prosegue Frigerio, raccontando che gli si è aperta la porta e gli è apparta una persona, che sottolinea di aver riconosciuto in quella persona in signor Olindo Romano, che secondo il racconto di Frigerio si trovava all’entrata “e mi guardava con due occhi d’assassino”, e conferma l’assoluta certezza che era Olindo. Poi lo ha trascinato giù per terra, lo ha preso per il collo e ha iniziato a picchiarlo, poi ha estratto un coltello e gli ha tagliato la gola. Il racconto di Frigerio agghiaccia l’aula e riferisce che mentre il killer gli tagliava la gola sua moglia urlava e poi ad un certo punto non urlava più, anche il cane è stato ucciso. Ha cercato di muoversi in quella terrificante scena e cercava di urlare ma il sangue gli grondava dalla gola e non era facile nemmeno muoversi. Quando il Pubblico Ministero chiede a Frigerio se al momento dell’aggressione avesse percepito la presenza anche di una seconda persona, l’uomo risponde con fermezza “di due persone”, anche se puntualizza la sicurezza in merito alla presenza di Olindo sulla scena del delitto. Un elemento su cui la corte punta il dito in direzione Olindo – Rosa è il semplice fatto che la coppia in casa non parla della strage e in auto viene intercettata mentre si suggeriscono di non parlare del caso perché qualcuno avrebbe potuto aver messo “qualcosa”. Ma a compiere l’atroce strage sono stati realmente Olindo Romano e Rosa Bazzi?
 
I coniugi Romano prima confessano, ma all’udienza preliminare Olindo ritratta la sua confessione e anche la moglie fa lo stesso.Il 29 gennaio 2008 si svolge l’udienza di primo grado, in questa sede Olindo accusa i carabinieri che lo hanno interrogato e che, secondo lui, avrebbero esercitato una pressione coercitiva nei suoi confronti convincendolo a confessare. I coniugi Romano sono stati condannati all’ergastolo il 20 aprile del 2010 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano, con isolamento diurno per tre anni. Il caso è chiuso, ma sono loro i colpevoli? Vediamo quali sono i punti che fanno pensare l’esatto contrario.
 
Dubbi, teorie, ipotesi.  La deposizione chiave, come detto poc’anzi, fu quella di Mario Frigerio fatta in aula dove accusava senza ombra di dubbio Olindo Romano, ma quella non fu la sua prima e unica deposizione poiché dopo essersi svegliato dal coma . Inoltre lo stesso giorno che Frigerio riconosce Olindo come assassino, vengono rinvenute nella macchina dei coniugi Romano tracce di sangue di una delle vittime, Valeria Cherubini, moglie di Frigerio. Due giorni dopo l’arresto confessano, e lo fanno in modo accusato, dettagliato e soprattutto coincidente. Olindo e Rosa, nella corte di Via Diaz sono noti per il loro rapporto simbiotico, perché vivono sempre incollati uno con l’altro. La coppia non ha figli e non ha amici e sono talmente uniti che chiedono alla corte di stare in una cella matrimoniale a patto che non vengano separati. Le vittime della strage sono Frigerio e moglie, che vivono in una mansarda all’ultimo piano, poi la famiglia Marzouk-Castagna al primo piano e al piano terra vivono i coniugi Romano. La prima parte della strage si consuma al primo piano, è l’11 dicembre del 2006 e sono le 20.00. Valeria Cherubini stave per uscire dalla mansarda del secondo piano per portare il cane a fare i bisogni, ma dal piano di sotto sente delle urla molto forti e si blocca sulla soglia di casa, la donna però poi decide di proseguire dopo aver aspettato qualche minuti.
La signora rientra verso le 20.20 e vede uscire del fumo dall’appartamento di Raffaella Castagna, avverte il marito e scendono nell’appartamento di Raffaella. In quel momento la porta si apre, si chiude e si apre ancora e Frigerio vede di fronte a se l’assassino. In aula non ha alcun dubbio Frigerio sull’identità di quell’uomo, in aula precisa che si tratta del tuo vicino di casa Olindo Romano e lo indica pure. Ma questa sicurezza di Frigerio arriva soltanto 15 giorni dopo la mattanza, il 26 dicembre del 2006. Frigerio prima aveva descritto il suo aggressore con connotati totalmente diversi e che non corrispondono assolutamente ad Olindo. Il soggetto descritto da Olindo era alto, pelle scura, occhi scuri e capelli neri corti, la descrizione corrisponde ad un nord africano dunque. Tale descrizione la fa anche al primo Magistrato che il 15 dicembre, ben 4 giorni dopo la strage, lo ascolta in ospedale. Il PM chiede: “Era Bianco di carnagione, scuro?” e Frigerio risponde: “No era scuro..non era di qua…”, il PM incalza e chiede: “Ma nero, nero o…?” e Frigerio: “Olivastro, Olivastro”, il Pm continua: “Olivastro?” e Frigerio descrive così: “Olivastro, capelli corti, tanti capelli ma corti”. Aggiunge inoltre che i capelli erano neri, il pm chiede poi se gli occhi erano neri o chiari e Frigerio dice che erano neri. Una domanda importante del pm è : “Lei non ha mai visto quella persona?” e Frigerio risponde: “No, non l’ho mai visto”. Frigerio fa mettere a verbale che nell’appartamento di sotto c’era un via vai di nord africani. Qualche giorno dopo emergono altri dettagli sull’aggressore, dati da Frigerio stesso, ovvero che era forte e altro 6/10 cm più alto di lui. Olindo non è più alto di Frigerio, anzi è più basso. Viene fatto un identikit ma quando viene realizzato ormai Olindo e Rosa sono stati messi dietro alle sbarre. L’identikit e l’uomo descritto da Frigerio rappresenta l’antitesi di Olindo poiché quest’ultimo ha la pelle chiarissima, gli occhi chiari, è basso e tarchiato. Ma come uscì il nome di Olindo? Sarebbe avvenuto il 20 dicembre 2006 durante un colloqui in ospedale in cui viene chiesto a Frigerio: “Lei conosce il sig. Olindo. Il suo vicino di casa? Che abita nella palazzina lì vicino?”, viene chiesto se lo saprebbe riconoscere e se lo avesse visto se lo avrebbe potuto riconoscere. Chi fa le domande a Frigerio chiede:”se lei avesse avuto di fronte l’Olindo avrebbe saputo che era Olindo?” e Frigerio risponde “Penso di si” . Il nome di Olindo non era mai venuto fuori se non in questa occasione e la registrazione di quel colloquio non fu ammessa dal PM. Il 26 dicembre dice invece che era sicuramente Olindo. Un altro punto interrogativo è la foto della macchina dove è stata rinvenuta la traccia di sangue di Valeria Cherubini
 
Nel verbale però manca la foto della luminescenza che evidenza la traccia di sangue nel battitacco della macchina, la foto dovrebbe esserci. Un elemento da tenere in evidenza è che la traccia di sangue poteva avercela portata chiunque poiché il sangue veniva calpestato e poteva essere involontariamente calpestato. Olindo abitava nella corte e poteva aver calpestato quella traccia e averla trascinata involontariamente. Quando Olindo e Rosa vengono arrestati e successivamente interrogati negano di aver commesso i brutali omicidi e riferiscono di essere andati a Como quella sera e di aver mangiato da MacDonald. Per due giorni vengono rinchiusi in cella, separati uno dall’altro. Il 10 gennaio due marescialli dei carabinieri si recano presso il carcere di Como, devono prelevare le impronti digitali di Olindo. Le impronte erano state prelevate all’uomo e soltanto uno dei due marescialli è autorizzato a vedere Olindo. Per prelevare le impronte ad una persona bastano pochi minuti, loro invece si soffermano con Olindo per ore e parlano di sconti di pena e dei vantaggi che può avere in caso di una piena confessione.
 
L’uomo fa avvisare i magistrati che vuole proferire, ma in realtà l’ha fatto per vedere sua moglie. Ma gli dicono che non la vedrà più, anche se successivamente la incontra. Nell’incontro tra i due parlano della vicenda e Olindo, pur non separarsi con la moglie, dice palesemente che vuole confessare e la moglie dice chiaramente che non sono stati loro. Rosa poi decide di confessare, ma dimostra di non conoscere molti particolari della vicenda come la posizione dei corpi e inoltre dice che nella casa della Castagna la luce era accesa, quando in realtà il contatore era stato staccato circa due ore prima della strage. Quando Olindo sente la confessione di Rosa dice che la moglie mente e che non ha fatto niente e che loro non hanno fatto niente. Successivamente confessa, ma il suo racconto è ritenuto più credibile e anche perché l’uomo lesse il mandato di cattura e li è riportato quanto accaduto. Rosa è analfabeta e non lo ha potuto leggere. Malgrado ciò vi sono tanti “non ricordo”, oppure “non so”. I Ris di Parma prelevano i vestiti di Olindo e Rosa, anche dalla lavatrice, e non trovano la minima traccia di sangue in quei vestiti. Perché la Procura di Como non si avvalse di quelle indagini? Le indagini dei Ris durarono 5 mesi. I Ris dopo il primo arresto si ubicano a casa Romano e la ispezionano per bene, da cima a fondo e viene utilizzato il luminol ma in quella casa non viene trovato assolutamente nulla. Eppure quella è la casa di due persone accusate di aver commesso atroci delitti e in teoria dovevano pur essere sporchi di sangue dalla testa ai piedi. Nessuna traccia di Olindo e Rosa nemmeno sulla scena del delitto, ma viene trovato sangue delle vittime e di soggetti sconosciuti. E se fosse il sangue degli assassini? Inoltre bisognerebbe analizzare il modus operandi utilizzato da chi ha commesso il delitto, ovvero taglio della gola. Sembra una strage compiuta da qualcuno con l’intento di uccidere per vendetta personale e il modus operandi ricorda delle pratiche di uccisione, come il taglio della gola, tipica di altri popoli.  



STRAGE DI ERBA: VERSO LA RIAPERTURA DEL CASO

di Angelo Barraco

La Strage di Erba è una ferita ancora aperta nella memoria e negli animi degli italiani che ricordano quella mattanza senza precedenti. Con il dovuto rispetto per le sentenze, i dubbi su questa vicenda rimangono ancora molti. Olindo Romano e Rosa Bazzi, sono stati condannati in via definitiva come esecutori materiali della strage in cui persero la vita quattro persone, uno di essi era un bambino. I legali rappresentanti della coppia Romano-Bazzi puntano su “attuali, più precise strumentazioni di analisi genetico forense” per rilevare “tracce non rilevate durante le indagini espletate nel lontano 2007” e hanno presentato alla Corte d’appello di Brescia, alla luce di una richiesta di revisione del processo, un’istanza d’incidente per analizzare “reperti importantissimi mai prima esaminati”. Tra questi reperti vi sono i peli rinvenuti sulla felpa del piccolo Youssef Marzouk. Tali elementi erano emersi nel novembre scorso. L’avvocato Schembri aveva commentato così il rinvenimento di tale materiale “Ci siamo trovati di fronte a questo elemento per caso, nel corso del carteggio tra le procure che si rimpallano la competenza sulla nostra istanza di acquisizione dei vecchi reperti ancora in carico a Ris e Università di Pavia, cioè quelle di Como e Brescia. Ora sappiamo due cose: che sono stati trovati dei peli sulla felpa del bambino vittima della strage, e che questi reperti non sono stati analizzati. Ci sembra doveroso farlo ora, visto che potremmo non trovare nulla di anomalo o al contrario trovare qualche nuovo attore sulla scena del delitto”. La difesa chiede inoltre di esaminare un accendino rinvenuto sul pianerottolo dell’appartamento in cui avvenne la mattanza e altro reperti biologici che “non furono sottoposti ad amplificazione”.

 
La vicenda. Un delitto che ha scosso l’Italia, tre donne uccise brutalmente e un bambino di non ancora due anni sgozzato, e un unico sopravvissuto. Questo è quanto accaduto l’11 dicembre del 2006 intorno alle 20.00, nella corte di Via Diaz, in una palazzina denominata la Palazzina del Ghiaccio quando divampa un incendio all’interno di uno degli appartamento di una delle palazzine. Vedendo il fumo due vicini salgono e trovano Mario Frigerio, unico sopravvissuto, il corpo privo di vita di Raffaella Castagna che sarebbe morta mediante ferimento di una spranga e 12 coltellate e sgozzamento, Paola Galli, la madre, uccisa a sprangate e coltellate e il bambino di Raffaella, Youssef, dissanguato sul divano in seguito al taglio della gola. Proprio in quella palazzina nel 2000 andò ad abitare Raffaella Castagna, nel periodo in cui vi erano entrati Olindo Romano e Rosa Bazzi. 
 
Raffaella Castagna,  era giovane e sola quando giunge in via Diaz. In aula, quando il Pubblico Ministero chiede ai Teste se la Signora Castagna avesse dei problemi all’interno della palazzina, la risposta dei teste è “Olindo Romano e Rosa Bazzi”, il Pubblico Ministero chiede di che cosa si lamentavano questi signori, il teste riferì che si lamentavano “del baccano, del casino, dei rumori”. Nel processo emerge inoltre che Raffaella Castagna aveva preso delle precauzioni per evitare lamentele, il teste infatti riferisce che utilizzava tappeti e molta cautela tant’è che faceva togliere le scarpe agli ospiti per evitare screzi con i coniugi Romano. Inoltre il teste racconta un episodio che evidenza un grande problema, racconta infatti che si trovavano a casa di Raffaella Castagna a prendere il Thè e una sua amica muove bruscamente la sedia, dopo pochi minuti suona il citofono e l’amico di Raffaella riferisce in aula che la donna consiglia loro di evitare di far rumori, fare piano, ma dieci minuti dopo suona ancora il citofono, la terza volta quando risponde o Olindo o Rosa chiedono di smetterla di fare rumore. Ma l’insistenza dei coniugi Romano non finisce qui, poiché continuano  citofonare e decidono di scendere tutti quanti dal signor Romano e chiedono come mai, perché questo. Ma le testimonianze che parlano di atteggiamenti aggressivi contro Raffaella Castagna messi in atto da Olindo e Rosa sono tanti. Tali episodi riguardano il antecedente il matrimonio con Azouz Marzouk.
 
I testimoni raccontano di come Raffaella avesse paura dei coniugi Romano perché la trattavano male, la insultavano, che quando era incinta aveva ricevuto percosse. Il matrimonio e la nascita di Youssef Marzouk aggravano una situazione ormai critica, fino a quando non si arriva al 3 aprile del 2005 quando Paola Galli viene chiamata in lacrime dalla figlia Raffaella e, giunta in Via Diaz subisce un’aggressione dai coniugi Romano, terrorizzata chiama il marito che, anch’esso, viene aggredito. Ma i coniugi Romano litigavano anche con il resto del vicinato? Dal processo emerge che si, litigavano con il resto del vicinato. Un teste racconta che sua moglie non poteva mettere fuori le lenzuola perché c’erano subito discussioni con Rosa Bazzi, mentre loro facevano quello che volevano, non rispettando ordine e pulizia e senza chiedere niente a nessuno.

Ma come mai Olindo e Rosa Bazzi vengono accusati di essere gli autori del massacro? Il tutto avviene principalmente dal risveglio di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto al massacro –morto nella notte del 16-09-2014- che in aula ha raccontato quella terribile sera. Frigerio racconta i aula di aver cenato alle 7 con sua moglie , alle 8 la moglie sua moglie si era preparata per accompagnare il cane a fare i bisogni, e mentre era pronta per uscire, ha raccontato in aula Frigerio, sentono un paio d’urli. L’uomo in aula ha raccontato che in quel momento, a seguito degli urli, ha riferito alla moglie di aspettare un po’ prima di uscire e appena si calma la situazione poteva scendere. “Mia moglie dopo circa un quarto d’ora rientra e mi dice guarda che c’è un bel po’ di fumo, sembrava un attimino spaventata” prosegue Frigerio, raccontando che gli si è aperta la porta e gli è apparta una persona, che sottolinea di aver riconosciuto in quella persona in signor Olindo Romano, che secondo il racconto di Frigerio si trovava all’entrata “e mi guardava con due occhi d’assassino”, e conferma l’assoluta certezza che era Olindo. Poi lo ha trascinato giù per terra, lo ha preso per il collo e ha iniziato a picchiarlo, poi ha estratto un coltello e gli ha tagliato la gola. Il racconto di Frigerio agghiaccia l’aula e riferisce che mentre il killer gli tagliava la gola sua moglia urlava e poi ad un certo punto non urlava più, anche il cane è stato ucciso. Ha cercato di muoversi in quella terrificante scena e cercava di urlare ma il sangue gli grondava dalla gola e non era facile nemmeno muoversi. Quando il Pubblico Ministero chiede a Frigerio se al momento dell’aggressione avesse percepito la presenza anche di una seconda persona, l’uomo risponde con fermezza “di due persone”, anche se puntualizza la sicurezza in merito alla presenza di Olindo sulla scena del delitto. Un elemento su cui la corte punta il dito in direzione Olindo – Rosa è il semplice fatto che la coppia in casa non parla della strage e in auto viene intercettata mentre si suggeriscono di non parlare del caso perché qualcuno avrebbe potuto aver messo “qualcosa”. Ma a compiere l’atroce strage sono stati realmente Olindo Romano e Rosa Bazzi?
 
I coniugi Romano prima confessano, ma all’udienza preliminare Olindo ritratta la sua confessione e anche la moglie fa lo stesso.Il 29 gennaio 2008 si svolge l’udienza di primo grado, in questa sede Olindo accusa i carabinieri che lo hanno interrogato e che, secondo lui, avrebbero esercitato una pressione coercitiva nei suoi confronti convincendolo a confessare. I coniugi Romano sono stati condannati all’ergastolo il 20 aprile del 2010 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano, con isolamento diurno per tre anni. Il caso è chiuso, ma sono loro i colpevoli? Vediamo quali sono i punti che fanno pensare l’esatto contrario.
 
Dubbi, teorie, ipotesi.  La deposizione chiave, come detto poc’anzi, fu quella di Mario Frigerio fatta in aula dove accusava senza ombra di dubbio Olindo Romano, ma quella non fu la sua prima e unica deposizione poiché dopo essersi svegliato dal coma . Inoltre lo stesso giorno che Frigerio riconosce Olindo come assassino, vengono rinvenute nella macchina dei coniugi Romano tracce di sangue di una delle vittime, Valeria Cherubini, moglie di Frigerio. Due giorni dopo l’arresto confessano, e lo fanno in modo accusato, dettagliato e soprattutto coincidente. Olindo e Rosa, nella corte di Via Diaz sono noti per il loro rapporto simbiotico, perché vivono sempre incollati uno con l’altro. La coppia non ha figli e non ha amici e sono talmente uniti che chiedono alla corte di stare in una cella matrimoniale a patto che non vengano separati. Le vittime della strage sono Frigerio e moglie, che vivono in una mansarda all’ultimo piano, poi la famiglia Marzouk-Castagna al primo piano e al piano terra vivono i coniugi Romano. La prima parte della strage si consuma al primo piano, è l’11 dicembre del 2006 e sono le 20.00. Valeria Cherubini stave per uscire dalla mansarda del secondo piano per portare il cane a fare i bisogni, ma dal piano di sotto sente delle urla molto forti e si blocca sulla soglia di casa, la donna però poi decide di proseguire dopo aver aspettato qualche minuti.
La signora rientra verso le 20.20 e vede uscire del fumo dall’appartamento di Raffaella Castagna, avverte il marito e scendono nell’appartamento di Raffaella. In quel momento la porta si apre, si chiude e si apre ancora e Frigerio vede di fronte a se l’assassino. In aula non ha alcun dubbio Frigerio sull’identità di quell’uomo, in aula precisa che si tratta del tuo vicino di casa Olindo Romano e lo indica pure. Ma questa sicurezza di Frigerio arriva soltanto 15 giorni dopo la mattanza, il 26 dicembre del 2006. Frigerio prima aveva descritto il suo aggressore con connotati totalmente diversi e che non corrispondono assolutamente ad Olindo. Il soggetto descritto da Olindo era alto, pelle scura, occhi scuri e capelli neri corti, la descrizione corrisponde ad un nord africano dunque. Tale descrizione la fa anche al primo Magistrato che il 15 dicembre, ben 4 giorni dopo la strage, lo ascolta in ospedale. Il PM chiede: “Era Bianco di carnagione, scuro?” e Frigerio risponde: “No era scuro..non era di qua…”, il PM incalza e chiede: “Ma nero, nero o…?” e Frigerio: “Olivastro, Olivastro”, il Pm continua: “Olivastro?” e Frigerio descrive così: “Olivastro, capelli corti, tanti capelli ma corti”. Aggiunge inoltre che i capelli erano neri, il pm chiede poi se gli occhi erano neri o chiari e Frigerio dice che erano neri. Una domanda importante del pm è : “Lei non ha mai visto quella persona?” e Frigerio risponde: “No, non l’ho mai visto”. Frigerio fa mettere a verbale che nell’appartamento di sotto c’era un via vai di nord africani. Qualche giorno dopo emergono altri dettagli sull’aggressore, dati da Frigerio stesso, ovvero che era forte e altro 6/10 cm più alto di lui. Olindo non è più alto di Frigerio, anzi è più basso. Viene fatto un identikit ma quando viene realizzato ormai Olindo e Rosa sono stati messi dietro alle sbarre. L’identikit e l’uomo descritto da Frigerio rappresenta l’antitesi di Olindo poiché quest’ultimo ha la pelle chiarissima, gli occhi chiari, è basso e tarchiato. Ma come uscì il nome di Olindo? Sarebbe avvenuto il 20 dicembre 2006 durante un colloqui in ospedale in cui viene chiesto a Frigerio: “Lei conosce il sig. Olindo. Il suo vicino di casa? Che abita nella palazzina lì vicino?”, viene chiesto se lo saprebbe riconoscere e se lo avesse visto se lo avrebbe potuto riconoscere. Chi fa le domande a Frigerio chiede:”se lei avesse avuto di fronte l’Olindo avrebbe saputo che era Olindo?” e Frigerio risponde “Penso di si” . Il nome di Olindo non era mai venuto fuori se non in questa occasione e la registrazione di quel colloquio non fu ammessa dal PM. Il 26 dicembre dice invece che era sicuramente Olindo. Un altro punto interrogativo è la foto della macchina dove è stata rinvenuta la traccia di sangue di Valeria Cherubini
 
Nel verbale però manca la foto della luminescenza che evidenza la traccia di sangue nel battitacco della macchina, la foto dovrebbe esserci. Un elemento da tenere in evidenza è che la traccia di sangue poteva avercela portata chiunque poiché il sangue veniva calpestato e poteva essere involontariamente calpestato. Olindo abitava nella corte e poteva aver calpestato quella traccia e averla trascinata involontariamente. Quando Olindo e Rosa vengono arrestati e successivamente interrogati negano di aver commesso i brutali omicidi e riferiscono di essere andati a Como quella sera e di aver mangiato da MacDonald. Per due giorni vengono rinchiusi in cella, separati uno dall’altro. Il 10 gennaio due marescialli dei carabinieri si recano presso il carcere di Como, devono prelevare le impronti digitali di Olindo. Le impronte erano state prelevate all’uomo e soltanto uno dei due marescialli è autorizzato a vedere Olindo. Per prelevare le impronte ad una persona bastano pochi minuti, loro invece si soffermano con Olindo per ore e parlano di sconti di pena e dei vantaggi che può avere in caso di una piena confessione.
 
L’uomo fa avvisare i magistrati che vuole proferire, ma in realtà l’ha fatto per vedere sua moglie. Ma gli dicono che non la vedrà più, anche se successivamente la incontra. Nell’incontro tra i due parlano della vicenda e Olindo, pur non separarsi con la moglie, dice palesemente che vuole confessare e la moglie dice chiaramente che non sono stati loro. Rosa poi decide di confessare, ma dimostra di non conoscere molti particolari della vicenda come la posizione dei corpi e inoltre dice che nella casa della Castagna la luce era accesa, quando in realtà il contatore era stato staccato circa due ore prima della strage. Quando Olindo sente la confessione di Rosa dice che la moglie mente e che non ha fatto niente e che loro non hanno fatto niente. Successivamente confessa, ma il suo racconto è ritenuto più credibile e anche perché l’uomo lesse il mandato di cattura e li è riportato quanto accaduto. Rosa è analfabeta e non lo ha potuto leggere. Malgrado ciò vi sono tanti “non ricordo”, oppure “non so”. I Ris di Parma prelevano i vestiti di Olindo e Rosa, anche dalla lavatrice, e non trovano la minima traccia di sangue in quei vestiti. Perché la Procura di Como non si avvalse di quelle indagini? Le indagini dei Ris durarono 5 mesi. I Ris dopo il primo arresto si ubicano a casa Romano e la ispezionano per bene, da cima a fondo e viene utilizzato il luminol ma in quella casa non viene trovato assolutamente nulla. Eppure quella è la casa di due persone accusate di aver commesso atroci delitti e in teoria dovevano pur essere sporchi di sangue dalla testa ai piedi. Nessuna traccia di Olindo e Rosa nemmeno sulla scena del delitto, ma viene trovato sangue delle vittime e di soggetti sconosciuti. E se fosse il sangue degli assassini? Inoltre bisognerebbe analizzare il modus operandi utilizzato da chi ha commesso il delitto, ovvero taglio della gola. Sembra una strage compiuta da qualcuno con l’intento di uccidere per vendetta personale e il modus operandi ricorda delle pratiche di uccisione, come il taglio della gola, tipica di altri popoli.  
 
Noi de L’Osservatore D’Italia, in data 18 novembre 2015, abbiamo intervistato la Dottoressa Roberta Bruzzone, che è stata consulente della difesa nel processo per la strage di Erba. Vi riproponiamo l’intervista.
 
– L’ultima novità sulla strage di Erba riguarda i peli ritrovati sulla felpa del piccolo Youssef. Dottoressa Bruzzone qual è il suo commento al riguardo? Secondo lei, può essere un elemento che potrebbe riaprire il caso?
Certamente, ogni elemento che può essere ancora sottoposto ad approfondimenti in questa vicenda così controversa è il benvenuto, e quindi ci auguriamo che anche questo nuovo elemento possa in qualche modo essere affrontato e chiarito debitamente. Ricordo che gli elementi su cui basare una possibile riapertura del caso sono piuttosto numerosi, basti pensare alle vistose discrepanze che sono emerse tra ciò che i due coniugi riferirono di aver fatto e quello che la scena restituì in termini di analisi delle tracce presenti (in particolare le tracce di sangue raccontavano ben altra storia). In pratica emergono una serie di elementi e macroscopiche incongruenze che nel processo primo e secondo grado non sono stati tenuti in considerazione.  E in questo senso il caso meriterebbe, oggi più che mai, un importante e doveroso approfondimento. 
 
– C’è un elemento nel processo che ci ha colpiti molto e che come quotidiano d’inchiesta reputiamo fondamentale, ovvero la prima dichiarazione di Frigerio sulla descrizione del killer. Lui inizialmente l’ha descritto totalmente diverso rispetto ad Olindo Romano. 
Frigerio, sentito da un Magistrato qualche giorno dopo la strage mentre era ancora in ospedale, perfettamente lucido, fornì la descrizione di un arabo più alto di lui, atletico, olivastro, che non aveva mai visto prima, soggetto a lui sconosciuto. Ma non è tutto. Frigerio in quella sede e, ribadisco, alla presenza di un magistrato, fornì una serie di indicazioni che sono state poi recepite e che hanno portato alla elaborazione di un identikit dell’aggressore visto da Frigerio che nulla aveva a che fare, per corporatura e carnagione,  Olindo Romano. Non solo, il giorno dopo Frigerio aveva ribadito la descrizione dell’arabo sconosciuto con il suo avvocato e tale descrizione era stata inviata via fax alla procura perché nel frattempo aveva ricordato ulteriori dettagli. Questo fax è stato effettivamente mandato in procura e chiaramente ribadiva la descrizione di un arabo che aveva caratteristiche fisiche totalmente incompatibili con Olindo Romano. Frigerio aveva inoltre affermato che la casa di Raffaella Castagna era spesso frequentata da persone di etnia araba. Tutto questo è agli atti dell’inchiesta. Queste sono le parole spontanee e genuine di Frigerio pochi giorni dopo la strage. Successivamente, intorno al periodo di Natale, si era presentato in ospedale (chiaramente Frigerio era intercettato quindi anche nei giorni successivi continua a ribadire la descrizione dell’arabo, con grande lucidità, e di questo c’è amplio riscontro agli atti) a far visita a Frigerio il luogotenente Luciano Gallorini, comandante della stazione di Erba. È lui che per la prima volta introduce Olindo Romano nella vicenda mentre parla con Frigerio in riferimento alla strage. L’intercettazione che è agli atti è assolutamente illuminante ed è, a mio avviso, alla base del cambio di versione che qualche giorno dopo porterà Frigerio ad accusare Olindo Romano. Frigerio che in quel momento è un testimone/vittima di un evento terribile ed è un soggetto molto vulnerabile dal punto di vista psicologico. E questa fragilità lo ha portato a modificare il suo ricordo in funzione delle informazioni che gli erano state riferite con modalità piuttosto suggestive da un soggetto che lui riteneva sicuramente affidabile (soprattutto in virtù del ruolo istituzionale).
 
– Nel suo lavoro di Consulente della Difesa, quali sono stati gli elementi che le hanno dato conferma della presunta innocenza di Olindo Romano e Rosa Bazzi?
Non sanno cosa è successo sulla scena. Le tracce di sangue e la dinamica omicidiaria, in particolare per quanto riguarda la Signora Frigerio e il piccolo Youssef, è completamente diversa, anzi antitetica, rispetto a quella riferita da Olindo Romano e Rosa Bazzi. Non possono essere stati loro e non erano neanche sulla scena perché non sanno cosa è successo. Sul punto suggerisco di leggere il mio libro “Chi è l’assassino – Diario di una criminologa” (Mondadori, 2012) in cui entro nel dettaglio della vicenda e della mia ricostruzione, atti alla mano. Sarà di sicuro una lettura sconvolgente per chi è convinto di conoscere il caso. 

– Vi sono anche i rilievi dei Ris di Parma…
I Ris di Parma sono stati testimoni della difesa. Il Ris di Parma, la cui relazione è stata acquisita nel mese di ottobre, quindi quasi dieci mesi dopo la strage, è stato citato tra i testimoni del processo di primo grado dalla Difesa perché nessuna traccia di Olindo e Rosa è stata trovata sulla scena del crimine e nessuna traccia delle vittime è stata trovata nell’abitazione e nelle autovetture di Olindo e Rosa. Questo c’è scritto nella loro relazione le cui conclusioni le riporto integralmente:
“Nonostante i numerosi e reiterati sforzi analitici profusi, è possibile concludere che i profili genetici relativi alle vittime sono stati ottenuti unicamente da tracce e reperti acquisiti sulla scena del crimine (appartamento delle vittime e scale del condominio) mentre i profili genetici relativi agli indagati sono stati
ottenuti da oggetti e tracce acquisiti nel loro appartamento o nelle autovetture di loro proprietà o nelle loro disponibilità”. 
E certo ci sarebbe davvero molto altro da dire…