Mafia sui supermercati: commissariati centri Lidl. Coinvolti vigilantes del tribunale di Milano

 

Polizia di Stato e Guardia di Finanza hanno eseguito 15 misure cautelari e due fermi tra la Lombardia e la Sicilia nell'ambito di una indagine contro le attività criminali della famiglia mafiosa catanese dei Laudani coordinata dalla Dda di Milano. In particolare, secondo quanto si è appreso, sono state poste in amministrazione giudiziaria quattro direzioni generali della società di grande distribuzione Lidl, cui afferiscono circa 200 punti vendita. Destinatarie delle misure sarebbero anche alcune società del consorzio che ha in appalto tra le proprie attivitò commerciali, anche la vigilanza privata del Tribunale di Milano. Si tratta di società che forniscono i vigilantes del Palagiustizia. Nell'operazione sarebbero emersi stretti rapporti tra alcuni dirigenti delle società coinvolte e messe in amministrazione giudiziaria, e alcuni personaggi ritenuti appartenenti alla famiglia dei Laudani. Nel corso dell'operazione, il gip del tribunale di Milano, su richiesta della Dda, ha emesso 15 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di soggetti a vario titolo accusati di far parte di un'associazione per delinquere che ha favorito gli interessi, in particolare a Milano e provincia, della famiglia mafiosa catanese dei Laudani. Altri due fermi di indiziato di delitto sono stati eseguiti a Catania.

Il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, responsabile della Dda milanese, ha spiegato che le indagini riguardanti la Lidl hanno accertato che "sapevano chi corrompere, quali fossero le persone giuste da corrompere. Per coloro che volevano corrompere – ha detto – era come pescare in un laghetto sicuro: sapevano esattamente chi, come e dove trovare le persone da corrompere. Tutta l'indagine – ha aggiunto – è stata condotta in piena sinergia con l'autorità giudiziaria di Catania"

Nell'ordinanza cautelare, si legge che la presunta associazione per delinquere avrebbe ottenuto "commesse e appalti di servizi in Sicilia" da Lidl Italia e Eurospin Italia attraverso "dazioni di denaro a esponenti della famiglia Laudani", clan mafioso "in grado di garantire il monopolio di tali commesse e la cogestione dei lavori in Sicilia". Gli arrestati, inoltre, avrebbero ottenuto lavori da Lidl Italia "in Piemonte" attraverso "dazioni corruttive". L'ordinanza del gip di Milano Giulio Fanales, è stata emessa su richiesta del pm della Dda Paolo Storari. La presunta associazione per delinquere, composta da 16 persone, avrebbe commesso "una pluralità di delitti di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omessa dichiarazione Iva, omesso versamento IVA, appropriazione indebita, ricettazione, traffico di influenze, intestazione fittizia di beni, corruzione tra privati". In particolare, Luigi Alecci, Giacomo Politi e Emanuele Micelotta, tutti "con il ruolo di capi e promotori", nel 2008 avrebbero costituito "dapprima la Sigi Facilities e poi, nel 2015, la Sigilog, società consortile a cui fanno capo una serie di imprese, che si occupano di logistica e servizi alle imprese, intestate a prestanome al fine di permettere agli indagati una totale mimetizzazione". Queste imprese, poi, come si legge sempre nell'ordinanza, avrebbero versato somme di denaro a Simone Suriano "dipendente Lidl Italia srl, con il ruolo di associato" e finito oggi agli arresti domiciliari. Suriano sarebbe stato "stabilmente a libro paga al fine di far ottenere appalti a favore di imprese facenti parte dei consorzi Sigi Facilitis e Sigilog". La società Lidl Italia, invece, non è indagata. Soldi sarebbero stati versati, poi, anche a Salvatore Orazio Di Mauro, "fino al suo arresto intervenuto in data 10.2.2016". Di Mauro sarebbe un "esponente di spicco della famiglia Laudani, uomo di fiducia di Laudani Sebastiano classe '69, detto Iano il grande". Le imprese della presunta associazione, tra l'altro, avrebbero versato denaro anche a "Enrico Borzì", anche lui presunto esponente dell'associazione. I rapporti tra gli indagati e la famiglia Laudani, si legge negli atti, "risalgono a tempo addietro" e tra le finalità dei versamenti c'era anche quella "di provvedere al sostegno dei detenuti della famiglia mafiosa dei Laudani".




TRIBUNALE DI MILANO: ORA SI AUMENTA LA SICUREZZA

Redazione

Milano – Nove in punto del mattino dopo la strage: sulla scalinata che conduce all'ingresso principale del tribunale di Milano la coda supera già le cinquanta persone. Gli addetti alla sicurezza fanno passare ogni visitatore al metal detector ed esaminano borse e giacche, mentre nell'atrio vigilano quattro carabinieri.Questo è lo scenario odierno e non mancano i commenti tra le persone in coda: "Era ora, quanto durerà?". Chissà se si sarebbe potuta evitare la strage se i controlli fossero stati così serrati? Intanto non sono emersi, al momento, rilievi penali dai primi accertamenti degli inquirenti sul sistema di sicurezza del Palazzo di Giustizia di Milano che ieri, giorno della strage in Tribunale, per dirla con le parole dei vertici degli uffici, ha presentato ''una evidente falla''. Lo si è appreso da ambienti giudiziari.

Sicurezza all'ingresso.  Per rafforzare le misure di sicurezza dopo la follia metodica di Claudio Giardiello sembra che a palazzo di giustizia abbiano scelto l'understatement: nessuno spiegamento esagerato di uomini o mezzi, ma un'applicazione certosina dei controlli già esistenti, e pazienza se per entrare si perdono dieci minuti in più. La linea sembra quella descritta ieri dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, che nella conferenza stampa dopo la strage aveva definito i sistemi tecnologici "perfettamente funzionanti" e di "errori gravi, ma ancora da accertare" nell'applicazione delle procedure. Un rafforzamento delle procedure, dunque, invece che un rafforzamento massiccio di uomini e mezzi. L'ingresso "maledetto", quello di via Manara riservato a dipendenti e operatori della giustizia, quello dal quale Claudio Giardiello sarebbe entrato con un tesserino falso, è presidiato da addetti che controllano a vista ogni documento: anche qui un leggero aumento di personale, ma niente misure straordinarie. Gli avvocati si prestano al rituale senza sbuffare, proprio come visitatori e legali che accedono dagli altri due ingressi. Il palazzo di giustizia di Milano sembra reagire alla follia di Giardiello con praticità spiccia, tutta meneghina.

Lunedì interrogatorio di Giardiello e l'autopsia delle vittime. Intanto è fissato per lunedì prossimo 13 aprile l'interrogatorio di convalida dell'arresto di Claudio Giardiello. Il pm monzese Franca Macchia nelle prossime ore inoltrerà al gip la richiesta di convalida dell'arresto dell'uomo. Anche l'autopsia delle tre vittime della strage è prevista per lunedì prossimo. Lo si è appreso da fonti giudiziarie.




MILANO, TABACCO: MULTINAZIONALE CONDANNATA A RISARCIRE UN MILIONE DI EURO AI FAMILIARI DEL FUMATORE DEFUNTO

Redazione

Milano – Multinazionale condannata a circa 1 milione di euro per la lesione da perdita parentale oltre le spese funerarie. La conoscenza dei rischi del fumo non esenta da responsabilità il produttore che compie un’attività pericolosa. Lo ha stabilito la decima sezione del Tribunale di Milano, giudice Stefania Illarietti, con la sentenza n° 9235/14 pubblicata l’11 luglio scorso.Per il giudice monocratico deve ritenersi sussistente il nesso causale fra l’attività di tabagista e la neoplasia polmonare che ha colpito il tabagista. La produzione e la commercializzazione è un’attività pericolosa e la pretesa conoscenza dei rischi del fumo non esclude la responsabilità dell’azienda del settore. Dopo la morte del fumatore accanito per il cancro la multinazionale che ha assorbito l’ex ente tabacchi deve risarcire ai familiari il danno non patrimoniale costituito dalla perdita parentale, liquidato in base alle tabelle milanesi, e perfino le spese funerarie.Nel ritenere il motivo di ricorso fondato, il Tribunale ha accolto la domanda di ristoro alla moglie e ai tre figli di un impiegato lombardo riportandosi alla sentenza della Cassazione n° 26516/09 che aveva stabilito che l’«attività di commercializzazione e produzione» delle  sigarette è «pericolosa» e che «la pretesa conoscenza» del rischio connesso al fumo non esclude «la configurabilità della responsabilità del produttore». Proprio la consulenza tecnica disposta dal giudice ha evidenziato: il de cuius fumava da quando aveva quindici anni circa trenta sigarette al giorno, dunque un pacchetto e mezzo, ed è morto a cinquantaquattro anni nel novembre 2004 dopo che gli era stato diagnosticato un «carcinoma primitivamente polmonare» causato dal fumo.A distanza di dieci anni dalla morte arriva il megarisarcimento che scatta grazie all’inquadramento della responsabilità del produttore nello scheda ex articolo 2050 Cc: compete a chi esercita l’attività pericolosa, cioè a chi vende le sigarette, provare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. Solo nel 1991 sono comparse sui pacchetti le avvertenza sul carattere legale dell’assunzione del tabacco. Ma anche quando il de cuius cominciò a fumare, nella seconda metà degli anni Sessanta, «erano ampiamente conosciuti gli effetti negativi sulla salute umana», osserva il giudice. E le informazioni sul rischio cancerogeno sono spesso contrastate da argomentazioni di segno opposto, invocate non a caso anche oggi dai convenuti: il disorientamento nel grande pubblico non può essere ritenuto insignificante prima del 1991 quando il rischio «fu certificato incontrovertibilmente dalla apposizione degli avvisi sulle confezioni di tabacco».Inoltre. «La durata di esposizione al fumo è il fattore più rilevante nel definire il rischio individuale di un carcinoma broncogeno». La letteratura scientifica sui cui si sono basati i periti hanno portato il giudice a ritenere che, in relazione al rischio di sviluppare un tumore ai polmoni, in questo caso, «i 26-27 anni in cui» l’uomo «ebbe a fumare prima dell’entrata in vigore della norma sono molto più rilevanti dei 13-14 anni del periodo successivo» e, quindi, «che il ruolo dei primi 26-27 anni di esposizione è circa 20 volte più rilevante rispetto a quello dei successivi 13-14 anni». In buona sostanza: «non può dubitarsi del nesso causale fra l’attività di assunzione di tabacco messa in opera prima del 1991 e l’evento morte» alla quale l’uomo ha concorso «nella misura che si stima nel 20 per cento» in quanto non ha mai smesso di fumare, nemmeno dopo l’entrata in vigore della normativa che ha imposto ai produttori e ai distributori una corretta informazione dei danni provocati dal fumo. Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, è una sentenza pilota importante che farà discutere. Con la vittoria dei familiari del fumatore, la salute pubblica entra in un nuovo mondo coraggioso per il controllo del tabagismo. Il fumo uccide 6 milioni di persone all'anno e se non si interviene la cifra salirà a 8 milioni entro il 2030.




MILANO: IMPRENDITORE DELLA MOVIDA MILANESE TENTA DI FAR "AGGIUSTARE" IL PROCESSO IN CUI E' IMPUTATO

Redazione

Milano – Ieri mattina i Carabinieri del Comando Provinciale di Milano hanno eseguito un provvedimento di custodia cautelare in carcere nei confronti di Silvano Scalmana, noto per essere uno dei principali gestori delle discoteche milanesi.
La misura cautelare è stata emessa dal G.I.P. del locale Tribunale che lo ha ritenuto responsabile di intralcio alla giustizia e falsa testimonianza, in concorso con alcuni affiliati alla cosca “BARBARO – PAPALIA”, gia’ tratti in arresto, in esecuzione di misura cautelare in carcere, l’otto gennaio scorso, nell’ambito dell’operazione “Platino”.
L’attività investigativa, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, aveva accertato la contiguità dei rapporti tra l’odierno arrestato ed i “calabresi” cui lo stesso si era rivolto per fare intimidire i testimoni del processo in cui era imputato per bancarotta fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti e riciclaggio.
Il provvedimento provvedimento approfondisce la vicenda e la posizione dell’indagato stigmatizzandone la condotta criminale.
L’interessato, già agli arresti domiciliari presso la propria abitazione in relazione all’imputazione di bancarotta fraudolenta, è stato condotto in carcere dai militari del Nucleo Investigativo di Milano che hanno svolto le indagini.
 




MILANO, DANIELA SANTANCHE' CONDANNATA PER PROTESTA ANTIBURQA DEL 2009

Redazione

Milano – Daniela Santanchè, condannata a 4 giorni di arresto e 100 euro di ammenda convertiti in 1100 euro di ammenda.Questo il verdetto di primo grado emesso dal Tribunale di Milano per aver organizzato senza autorizzazione una protesta anti burqa nel 2009 durante la preghiera di fine Ramandan.

E' stato altresì condannato l'egiziano che l'aggredì durante un alterco a 2500 euro multa. "E' proprio vero che la legge è uguale per tutti. Ho ricevuto lo stesso trattamento dei Centri sociali, dei No-Tav e dei black bloc" ha detto Santanchè.

La Santanchè ha annunciato che farà ricorso in appello . E' una ''sentenza vergognosa''.