Valiant Hearts Coming Home, un videogame per capire gli orrori della guerra

Valiant Hearts Coming Home è finalmente disponibile su PC, PlayStation, Xbox e Nintendo Switch. Il gioco è scaricabile sulle piattaforme citate dopo essere stato lanciato lo scorso anno in esclusiva su App Store e Google Play per gli abbonati Netflix. Oltre al gioco singolo è disponibile anche un bundle che include Valiant Hearts The Great War (il primo titolo della saga) e Valiant Hearts Coming Home. Proprio come il suo predecessore l’ultimo capitolo della serie è ambientato durante la prima guerra mondiale e mette il giocatore al centro di un mosaico fatto di scorci e prospettive: punti di vista di personaggi molto diversi tra loro ma ugualmente costretti ad affrontare gli orrori di un conflitto logorante che nessuno potrà mai dimenticare. Il titolo di Ubisoft e Old Skull Games riprende la storia esattamente da dove si era conclusa l’avventura del 2014, riportando i giocatori sul fronte occidentale della Grande Guerra in concomitanza con l’entrata nel conflitto degli Stati Uniti. A stabilire questo punto di contatto è la sequenza iniziale, in cui si vede Freddie, personaggio presente nel primo capitolo, scrivere una lettera al fratello minore James, al quale confida le proprie preoccupazioni, esortandolo a non arruolarsi, a non “seguirlo in quell’inferno”. Il ragazzo però, spinto da un moto d’ingenuo patriottismo, è però ostinato a intraprendere lo stesso percorso lastricato di cadaveri del fratello maggiore, e decide così di entrare come volontario nel 15° Reggimento della Guardia Nazionale di New York. Valiant Hearts Coming Home pone una certa enfasi sulle vicende del quindicesimo reggimento, passato alla storia per essere stato il primo battaglione di afroamericani ad aver avuto un ruolo attivo nella Prima Guerra Mondiale. Circa 360.000 combattenti si schierarono sul fronte francese per dimostrare il proprio coraggio e la propria lealtà all’America, nella speranza che un simile atto di patriottismo potesse liberarli, prima di tutto, dalla morsa della segregazione razziale. Proprio come il suo predecessore quest’ultimo titolo narra la storia di più personaggi, sono presenti infatti Anna, l’irriducibile infermiera già presente in The Great War, George, un pilota di caccia e fotografo inglese, ed Ernst, sommergibilista tedesco alle prese con un profondo conflitto interiore. Le imprese di tutti confluiscono in un amalgama vivida e struggente, forse di minore impatto rispetto a quanto visto nel 2014, ma comunque capace di lasciare con il fiato sospeso per la ferocia con cui fa trasparire la terribile realtà della guerra. Lo svolgersi degli eventi si sviluppa attraverso diversi canali: la voce narrante introduce ogni spezzone di gameplay illustrando gli antefatti che portano alle varie situazioni di gioco, ma durante queste il racconto si svolge soprattutto in forma visiva, come una sorta di libro illustrato incentrato sulla Grande Guerra. A supporto di tutto questo sono presenti gli ormai consueti documenti con foto reali e testi che raccontano, con precisione storiografica, i vari aspetti dell’epoca attraverso la descrizione di oggetti, personaggi, luoghi ed eventi caratteristici. La grafica stilizzata e disegnata a mano in 2D risulta particolarmente espressiva e in grado di raccontare gli orrori della guerra mediando sempre tra momenti oscuri e altri più sereni o malinconici, mentre l’accompagnamento audio con musica al pianoforte e innesti jazz contribuisce perfettamente a completare l’atmosfera.

Essendo questo Valiant Hearts un titolo dall’impatto artistico a dir poco stupendo, che colpisce al cuore e fa leva sulle coscienze dei giocatori, è sul fronte ludico che a nostro avviso sono presenti alcune scelte di design non del tutto convincenti. Partiamo col dire che la formula è rimasta grossomodo invariata rispetto al passato: Valiant Hearts Coming Home è infatti un’avventura grafica basata su enigmi da risolvere, con altre contaminazioni di genere più specifiche a seconda del personaggio che si sta utilizzando. Ad esempio quando si controlla Anna, l’obiettivo è quello di curare i feriti, cosa che avviene attraverso un mini-gioco “punta & clicca” da eseguire entro un certo limite di tempo. George, dal canto suo, sfreccia per i cieli stando attento a evitare il fuoco nemico, ma quando è a terra – complice la mancanza di un addestramento da soldato – deve muoversi silenziosamente e aggirare gli avversari. Sul fronte del gioco non c’è dunque quasi nulla di nuovo e, anzi, sembra che il team abbia proceduto a una certa semplificazione ulteriore dei puzzle, forse alla ricerca di una maggiore compattezza narrativa e in linea con una durata che sembra forse un po’ ridotta rispetto all’originale. Torna anche il cane Walt, anche lui strumento indispensabile per la soluzione di alcuni enigmi, a rimarcare come tutte le idee relative al gameplay siano sostanzialmente ripetute dal primo a questo nuovo capitolo. Tirando le somme, quello che possiamo dire è che Valiant Hearts: Coming Home è un gioco che trascina il giocatore nella sua narrazione, riesce a raccontare la guerra senza diventare melodrammatico e mettendo in scena dei personaggi che cercano di mantenere sempre la loro umanità. Il gioco ha un valore formativo grazie alla narrazione che viene completata con gli innesti documentaristici. Valiant Hearts: Coming Home ritrae con successo gli orrori della guerra, evoca un palpabile senso di terrore, anche durante i momenti più leggeri. E’ davvero piacevole ascoltare e “vivere” la guerra attraverso un racconto visivo di grande spessore proprio come se fosse un libro interattivo. A nostro avviso l’arrivo su Pc e console di questo titolo è un’ottima occasione per scoprire il predecessore e vivere una magnifica serie di avventure. Se invece si è già riusciti a finire il capitolo originale, quest’ultimo sarà un’occasione speciale per vivere delle storie toccanti, coinvolgenti ed estremamente interessanti. Valiant Hearts è a nostro avviso una saga che tutti dovrebbero giocare per capire gli orrori del passato e far si che non si ripetano mai più in futuro.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Suicide Squad: Kill the Justice League, arrivano gli antieroi per eccellenza

Suicide Squad: Kill the Justice League è un videogame action sviluppato da Rocksteady Studios, pubblicato da Warner Bros per PlayStation 5, Xbox Series X/S e Pc. Il titolo si pone narrativamente come un seguito diretto della saga di Batman: Arkham, ma non è un nuovo episodio di quella serie. Non lo è mai stato a livello concettuale, non è nato in questo modo, non vuole ambire a confrontarsi con la quadrilogia originale, ed è proprio un’altra cosa. A livello di trama il comparto narrativo rappresenta senza alcun dubbio l’aspetto meglio riuscito del nuovo gioco di Rocksteady Studios. I presupposti parlano da soli: diversi anni dopo gli eventi di Batman: Arkham Knight, il potente Brainiac atterra con la sua Nave Teschio nel centro di Metropolis con uno scopo preciso: conquistare la Terra e trasformarla nel suo pianeta d’origine, Colu. La città scelta dal malvagio androide alieno per scatenare il suo malvagio piano di conquista non è frutto di una decisione casuale, infatti è lì che operano gli eroi più potenti, i membri della Justice League; e la prima cosa che Brainiac fa è catturarli e corromperli nel profondo, riducendoli a obbedienti soldati privi di qualsiasi inibizione, pronti a far rispettare il volere del loro nuovo padrone nella maniera più sanguinosa e violenta possibile. Una mutazione da cui non si può tornare indietro. Vista la situazione, Amanda Waller, direttrice dell’organizzazione governativa A.R.G.U.S., decide di recarsi ad Arkham e seleziona quattro criminali per formare una vera e propria squadra suicida da inviare a Metropolis per tentare il tutto e per tutto e ribaltare la situazione. La scelta della Waller ricade sulla folle Harley Quinn, il tiratore infallibile Deadshot, l’irrecuperabile Captain Boomerang e il potente mutante King Shark. Ai detenuti viene impiantata una micro-bomba nel collo che può essere azionata da remoto e dunque li obbliga a eseguire gli ordini anziché darsela a gambe una volta rimessi in libertà.

Questo allegro plotone di debosciati, protagonisti indiscussi di questo Suicide Squad: Kill the Justice League, viene così condotto a Metropolis e lo scenario che si para di fronte ai loro occhi è di quelli che restano impressi: la gigantesca Nave Teschio di Brainiac si staglia all’orizzonte, mentre i suoi titanici tentacoli lambiscono ciò che resta di una città ormai in rovina, messa a ferro e fuoco dalle truppe al servizio del conquistatore alieno. Truppe che, giusto per rendere le cose ancora più terribili, non sono altro che cittadini riconvertiti, trasformati in orribili mostri attraverso un processo spietato e irreversibile. Non che i componenti della Suicide Squad si sarebbero fatti problemi ad ammazzare persone comuni per raggiungere i propri scopi, sia chiaro, ma le circostanze implicano l’impiego di qualsiasi risorsa a disposizione; e Amanda Waller di risorse ne ha davvero moltissime. Lo scopo della missione della Suicide Squad è quello di uccidere la Justice League, dunque, ma non senza godersi il viaggio. Ottenere i mezzi e le capacità per riuscire ad ammazzare ex supereroi dai poteri straordinari come Flash, Lanterna Verde, Batman e Superman non sarà una cosa semplice e i protagonisti del gioco dovranno muovere mari e monti, persino superare i confini del loro mondo per riuscire nell’impresa, nell’ambito di un viaggio che sul piano narrativo abbiamo trovato assolutamente godibile e a tratti esaltanti. Se infatti gli ex eroi della Lega della Giustizia vengono resi nel gioco in una maniera bidimensionale, rinchiusi nei confini della loro moralità (o dell’assoluta mancanza di essa, dopo il trattamento Brainiac), i quattro protagonisti sono invece oro puro, videoludicamente parlando: caratterizzati in maniera magnifica, mai banali, sempre pronti a sorprendere chi gioca con trovate assolutamente fuori di testa, che bucano lo schermo e strappano risate. Ci sono sequenze nella campagna di Suicide Squad: Kill the Justice League che posseggono un grado di epicità estremo, ma anche gag brillanti, una scrittura solidissima, situazioni inaspettate, azzardi che non ci si aspetterebbe di vedere in un prodotto su licenza ed espedienti visivi brillantemente rielaborati che ribadiscono ancora una volta quanto voglia essere volutamente e dannatamente demenziale la storia. Nel senso buono ovviamente. Ovviamente a pesare sono anche e soprattutto le interpretazioni dei quattro protagonisti, che nella versione nostrana vantano un doppiaggio in italiano di alto livello che però non è totalmente assente da difetti. Diciamo subito che la Harley Quinn di Chiara Francese è un gioiellino, quanto di più vicino ci sia alla controparte americana di Tara Strong. Il Captain Boomerang di Francesco “Deacon” Rizzi è fantastico e subito dopo vengono le performance di King Shark, Amanda Waller, Pinguino, Gizmo, Flash e Superman, doppiato anche qui da Matteo “Nathan Drake” Zanotti. Il doppiaggio italiano si colloca all’interno di un comparto audio di ottima fattura, ricco di effetti convincenti e supportato dalla indimenticabile e assolutamente adrenalinica colonna sonora rock firmata da Rupert Cross e Nick Arundel.

La campagna principale di Suicide Squad: Kill the Justice League ha una durata di circa 10 ore, ma l’intera esperienza può arrivare a sfiorare le 16/17 ore grazie ad un certo quantitativo di missioni secondarie, ed è molto probabile che la longevità del titolo sia destinata ad aumentare fra le tappe del supporto post lancio. Malgrado un monte ore non certo astronomico, l’esperienza può comunque risultare piuttosto onerosa, e questo perché tutti gli incarichi sono strutturati a partire da un’esigua manciata di modelli, differenti in termini di obiettivo ma riconducibili ad una singola prassi: sparare a tutto e tutti. Che siano missioni di uccisione o di salvataggio dei civili, che sia il momento di proteggere le piante di Poison Ivy o raccogliere dati per il Giocattolaio, non c’è nessuna reale variazione sul tema del chiasso balistico. “Prendete le vostre armi e fate fuoco: non appena avrete sgomberato l’area allora potrete andare avanti” questo è il mood che accompagnerà i giocatori per tutto il tempo che si vorrà giocare. Purtroppo però tale sistema alle lunghe, per quanto si possa essere grandi fan dei personaggi Dc Comics, la monotonia prende il sopravvento. Vale la pena di precisare che, sebbene lo shooting di Suicide Squad sia di per sé piacevole, alcune costrizioni limitano di molto l’efficacia del gameplay nonché la libertà d’approccio nel corso delle missioni: la frequente presenza di precise condizioni per infliggere danni durante gli incarichi, come la necessità di utilizzare le sole granate, mettere a segno colpi critici o sfruttare alterazioni di stato, finisce infatti per svilire tanto il gunplay quanto il sistema di progressione, spingendo l’utenza a seguire forzosamente specifiche routine. In questo contesto, la varietà dell’arsenale e dei potenziamenti non riesce ad innalzare adeguatamente l’asticella della diversità ludica, e lo stesso vale per gli spettacolari attacchi speciali in dotazione ai diversi membri del team. All’aumentare di ogni livello in Suicide Squad: Kill the Justice si ottiene un punto talento da spendere una delle tre sezioni dello skilltree che Hack presenterà come la rappresentazione del cervello, nel quale si potranno dunque impiantare delle nuove abilità. La loro efficacia purtroppo però è risultata sempre impalpabile in quella che è l’economia del gioco, che tende a mettere chi gioca solo dinanzi all’esigenza di armi più potenti e basta. A tal proposito, anche il tentativo di far costruire a Pinguino attrezzi del mestiere sempre più potenti si dimostra perlopiù vano, essendo tutto legato a una mera condizione di fortuna, come d’altronde le loot box consegnate alla fine di ogni missione. La progressione e la crescita sono delle illusioni, ma vogliamo concedere a Rocksteady il beneficio del dubbio sperando che in futuro tutto questo assumerà un senso. Per ora non ce l’ha. Suicide Squad soffre, però, anche in quella che è la costruzione dell’open world: proporre nel 2024 una struttura del genere, che riduce Metropolis ad un ampio spazio vuoto da attraversare e riempire di piombo, non è proprio il massimo. Ci si trova dinanzi a una città fantasma davvero povera di stimoli, all’interno della quale non si ha mai una vera e propria spinta per andare a esplorare il mondo di gioco, che risulta effettivamente spogliato di qualsiasi attività secondaria.

Suicide Squad: Kill the Justice League a livello grafico è un prodotto che funziona davvero bene. Il titolo gira a 60 fps su tutte le console (anche Xbox Series S), utilizzando il classico espediente della risoluzione dinamica che su PS5 punta ai 1800p ma si accontenta spesso e volentieri dei 1440p, presentando qualche singhiozzo solo in casi abbastanza rari e anomali, che speriamo verranno sistemati in fretta. Per il tipo di gioco e per le situazioni che vengono rappresentate, come detto parecchio caotiche e rumorose nelle fasi più avanzate della campagna e durante l’endgame, si tratta di risultati di tutto rispetto. Dopodiché ci sono naturalmente le scelte artistiche, e qui si può aprire senz’altro un dibattito. Come già detto, la Metropolis di Kill the Justice League non ha nulla a che vedere con la Gotham di Arkham Knight, i due scenari sono letteralmente distanti come il giorno e la notte, visto che la città di Batman veniva sempre e solo mostrata in notturna. Differenze giustificate sul piano narrativo ma che, ce ne rendiamo conto, impattano sulla resa visiva generale dello scenario, sgretolandone la personalità. La metropoli un tempo protetta dalla Justice League azzarda alcune architetture peculiari ma rimane arida e desolata, tanto esteticamente quanto contenutisticamente, e il sistema di illuminazione utilizzato dal gioco, una scelta forse obbligata al fine di rappresentare l’alternarsi del giorno e della notte, tende ad appiattire le superfici piuttosto che valorizzarle, anche in presenza di pioggia. Personaggi, nemici e animazioni, invece, sono degni di nota, ben realizzati e caratterizzati. Tirando le somme questo Suicide Squad: Kill the Justice League è un titolo che può tranquillamente divertire, a patto che si sia disposti ad accettare la sua natura volutamente iperbolica e ironica, ma anche la ripetitività delle missioni. Giocandolo il titolo è in grado di offrire un bizzarro mix di sensazioni: un gioco fantastico sul piano narrativo, pieno di personaggi scritti in maniera brillante, situazioni completamente fuori di testa e scene davvero epiche; che peraltro può contare su di un gameplay solido, frenetico e divertente anche nei momenti più incasinati e confusionari, specie laddove si affronti la cooperativa insieme agli amici. È un peccato che l’open world preparato per l’occasione non supporti questi elementi con maggiore convinzione, svolgendo il mero ruolo di sfondo rispetto a missioni un po’ troppo simili fra di loro. Cambierà qualcosa nella fase post-lancio? La nostra speranza è ovviamente sì, in quanto le basi per un prodotto fatto per durare nel tempo ci sono.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 7

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco pellegrino Lise




Naruto X Boruto: Ultimate Ninja Storm Connections, il più completo della saga

Naruto X Boruto: Ultimate Ninja Storm Connections esce proprio in contemporanea alla celebrazione del ventesimo anniversario dell’anime ispirato al manga di Masashi Kishimoto su Pc, Switch, PlayStation e Xbox. Il titolo, che vede il ritorno del team CyberConnect2 sulla serie, si pone quindi come una sorta di “enciclopedia” che racchiude l’intera esperienza dei precedenti capitoli della serie, ma senza rinunciare a qualche novità. Cuore pulsante dell’esperienza di gioco sono le due modalità Storia: la prima che ripercorre la trama di Naruto nella sua interezza dalle origini fino allo scontro finale con Kaguya, mentre la seconda si concentra su Boruto. Trattandosi di un’opera ancora in corso però il team di CyberConnect2 ha deciso di non adattare gli archi usciti nel manga, ma di creare una storia inedita appositamente per il gioco. La prima modalità è quindi quella più “tradizionale” e ideale per chi vuole tuffarsi nostalgicamente nelle avventure di Naruto. La progressione è lineare e alterna i combattimenti a diversi filmati che narrano i principali eventi sfruttando dei frame presi direttamente dall’anime. Non si tratta tuttavia di una trasposizione adatta a chi si avvicina per la prima volta a Naruto: essendo una mole enorme di storia da adattare gli sviluppatori si sono concentrati solo sui momenti più importanti tagliando e riassumendo brevemente nei filmati tantissimi archi e combattimenti che per chi già conosce la storia bastano per rinfrescare la memoria. Purtroppo per un neofita tutto questo non basterebbe e si perderebbe fin troppi pezzi e difficilmente capirebbe davvero cosa succede, proprio per questo il nostro consiglio è quanto meno quello di informarsi sugli eventi della storia narrati del manga. Proprio per tale motivo segnaliamo che è presente un’apposita Enciclopedia, molto esaustiva, che racchiude e spiega tutte le principali voci di personaggi, eventi e tecniche. Oltre ai combattimenti normali tornano anche le boss fight, vero e proprio marchio di fabbrica di CyberConnect2 caratterizzate da meccaniche semplici ma con spettacolari Quick-Time-Events che creano delle sequenze visivamente migliori anche rispetto all’anime. Prima di ogni battaglia inoltre vengono mostrati alcuni obiettivi secondari come finire la battaglia con una certa percentuale di vita rimanente, colpire con una tecnica speciale e così via venendo ricompensati con nuove voci per l’Enciclopedia oppure skin, colori alternativi e accessori con cui personalizzare l’estetica dei personaggi. Per completare questa modalità basteranno circa 3 ore, ma il piatto forte è riservato alla parte di Boruto: come accennato, si tratta di una storia originale creata appositamente per il gioco, e per arrivare ai titoli di coda il tempo necessario è di circa 7 ore abbondanti. Oltre alle due modalità Storia inoltre sono presenti altre tipologie di gioco come Sopravvivenza (una serie di battaglie infinita dove viene recuperata solo una piccola parte di vita tra uno scontro e l’altro), Tornei a eliminazione diretta o a gironi, scontri contro la CPU o altri giocatori in locale o online in match casual o classificati.

A livello di gameplay, chiunque abbia una certa familiarità col rodato sistema di combattimento della serie si sentirà subito a casa: basato su combo infinite e rocambolesche, kunai esplosivi, sostituzioni all’ultimo secondo, tecniche segrete dalle animazioni semplicemente spettacolari e chi più ne ha più ne metta, il gameplay di Naruto X Boruto: Ultimate Ninja Storm Connections non ha subito modifiche di rilievo, ma rispetto al passato la barra del chakra si ricarica anche da sola e il suo consumo è stato leggermente ridotto, favorendo un approccio ai duelli più aggressivo che mai. Ben più impattante ci è parsa la rimozione degli shuriken infusi di chakra, che stavolta sono stati sostituiti da ninjutsu ispirati alle tecniche dei vari beniamini: una soluzione che, oltre a differenziare maggiormente i pattern di attacco dei combattenti, traduce finalmente in termini di gameplay tante tecniche di lotta che finora avevamo potuto vedere soltanto nella serie televisiva. L’altra novità di Naruto X Boruto Ultimate Ninja Storm Connections va ricercata nell’introduzione di un sistema di controllo semplificato e che appunto va incontro alle esigenze di coloro che non frequentano il genere: fortunatamente facoltativa e attivabile nel menu opzioni, questa consente di lottare ed eseguire in automatico le varie tecniche ninja premendo soltanto un tasto. Anziché inventare qualche nuovo sistema che potesse svecchiare un combat system che, dopo tanti anni di onorato servizio, comincia a perdere colpi, lo sviluppatore ha preferito volgere lo sguardo al passato, ripescando da Ultimate Ninja Storm Revolution la possibilità di personalizzare i propri personaggi preferiti con orpelli estetici di ogni genere e forma. Da Ultimate Ninja Storm 4 sono invece tornate le Tecniche Segrete di gruppo, vale a dire quelle rovinose mosse finali disponibili solo quando si utilizzano due o più personaggi in qualche modo legati tra loro, il cui innesco è ora vincolato da un indicatore posto accanto alle sostituzioni e che si ricarica col tempo. Non solo i timidi ritocchi effettuati da CyberConnect 2 non rivoluzionano minimamente l’offerta, ma nemmeno la perfezionano: nel corso dei nostri test siamo incappati nei limiti dell’intelligenza artificiale degli avversari, che oggi come allora lascia molto a desiderare e obbliga il giocatore a sottoporsi a interminabili inseguimenti, e nei medesimi problemi di bilanciamento che sette anni fa affliggevano Storm 4, che ancora una volta si traducono in lottatori dalle capacità ben al di sopra della media e che a volte possono portare a veri e propri scontri frustranti.

A livello di personaggi giocabili questo Naruto X Boruto: Ultimate Ninja Storm Connections offre un impressionante rosa con oltre 130 combattenti selezionabili, anche se va specificato che nel conteggio sono presenti anche le diverse varianti dello stesso personaggio. Ad esempio Naruto è presente in oltre 10 versioni partendo da quello della prima serie fino ad arrivare all’ultima trasformazione vista nell’anime di Boruto, e rimanendo in tema la maggior parte dei personaggi totalmente nuovi naturalmente viene proprio da quest’ultima serie. Sul piano tecnico la nuova proposta di Bandai Namco non si discosta granché da quanto visto in passato. Sorretto da un frame rate che su Xbox Series X viaggia stabilmente a 60 fps, il titolo risulta ogni tanto un po’ ostico a causa una telecamera imprecisa, che tende a incastrarsi nello scenario e a impedire una corretta visione dell’azione. La splendida grafica in cel shading che contraddistingue le opere di CyberConnect2 invece si difende ancora benissimo, trascinando i giocatori all’interno di un anime interattivo e raggiungendo il proprio apice durante le straordinarie animazioni che accompagnano le tecniche segrete. Splendidi invece gli effetti sonori e il doppiaggio, come al solito presente sia in inglese che giapponese. Per i fan che sono abituati alle voci storiche che hanno tenuto loro compagnia per ben due decenni consigliamo di fruire principalmente del doppiaggio in lingua nipponica, in quanto lo troviamo sicuramente più profondo e azzeccato, specie per quel che concerne gli accostamenti vocali. Trattandosi di un titolo realizzato per celebrare il ventesimo anniversario dell’anime abbiamo sperato fino all’ultimo che in Naruto X Boruto: Ultimate Ninja Storm Connections fosse presente la magnifica colonna sonora della serie televisiva, ma purtroppo il nostro sogno non si è realizzato. Sia chiaro, le tracce proposte dall’accompagnamento musicale svolgono il loro dovere senza lode e senza infamia, ma vista la natura del titolo ci saremmo aspettati una feature del genere. Tirando le somme, Naruto X Boruto: Ultimate Ninja Sorm Connections poteva essere la summa della serie di CyberConnect2, nonché il primissimo tie-in di Naruto a ripercorrere la sua epopea da cima a fondo. Purtroppo però il riciclo di contenuti dalle passate iterazioni della saga, i tagli grossolani alla storia di Naruto e la scarsa fantasia profusa nella realizzazione della storia inedita hanno però minato la riuscita dell’operazione. Intendiamoci, il gioco è un prodotto molto buono, solo che i veri appassionati avrebbero desiderato sicuramente qualcosina in più.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay: 8

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Jenga Fortnite, il gioco da tavolo ispirato al videogame

Più di 250 milioni di giocatori in tutto il mondo, con un
montepremi di ben 100 milioni di dollari per la passata stagione competitiva. È
Fortnite, il videogame dei record, il più giocato e discusso in assoluto, un
vero e proprio fenomeno globale. Chissà quanti giocatori di ogni età sognano di
giocare dal vivo una delle tantissime appassionanti partite disputate su pc,
console, tablet o smartphone. Adesso il loro sogno diventa sempre più vero e
tangibile: dopo il recente successo dell’edizione speciale Monopoly Fortnite,
Hasbro ed Epic Games annunciano l’arrivo dell’esilarante Jenga Fortnite, con
una modalità di gioco del tutto nuova che catapulterà i giocatori all’interno
del mitico battle royale. Già dai primi istanti di gioco, i player più attenti
riconosceranno immediatamente i personaggi iconici del videogame: Cuddle Team
Leader, Peely, Fishstick e Jonesy saranno infatti i protagonisti – con tanto di
pedine – del nuovo Jenga edizione Fortnite. L’obiettivo è prendere d’assalto la
torre con il proprio personaggio e arrivare in cima sani e salvi prima degli
altri. Ma attenzione: se la torre cade, il giocatore che ha causato il crollo è
fuori dai giochi, un po’ come accade già nelle combattutissime sfide con
l’alter-ego videoludico. La novità, rispetto al Jenga Classico, è rappresentata
dallo speciale spinner (in dotazione), che renderà più adrenalica e
imprevedibile l’ascesa verso la cima della torre: basterà infatti far ruotare
la freccia per scoprire quale sarà la mossa successiva, dai livelli da scalare
ai blocchi da impilare (in questa speciale edizione rappresentano tre materiali
diversi: legno, mattoni e metallo). E così, tra un’imprevisto e un altro,
bisognerà far salire il proprio personaggio più in alto possibile, prima che la
torre cada. Ci si può giocare da un minimo di 2 a un massimo di 4 persone,
basta avere più di 8 anni e la “mano ferma” come si suol dire. Chi riuscirà a
scalare la torre prima degli altri, sfidando la forza di gravità?

Come sempre, a fare da apripista anticipando i tempi è
l’intramontabile Monopoly. È stato infatti il primo gioco da tavolo in assoluto
a omaggiare il fenomeno di costume degli ultimi anni che ha rivoluzionato il
mondo dei videogame, Fortnite. L’edizione speciale Monopoly Fortnite, che
quest’anno si rinnova con un nuovo pack e nuove skin, non può che stravolgere
le carte in tavola: non si tratta più di arraffare proprietà e diventare il più
ricco del tabellone, ma di una vera e propria battaglia reale per cui vince chi
riesce a resistere più a lungo. In più, tutti gli elementi classici del gioco
cambiano veste, a cominciare dalle carte imprevisti che si trasformano in carte
tempesta e quelle probabilità che diventano carte forzieri. I giocatori non
devono far altro che conquistare nuove location, sconfiggere gli avversari ed
evitare la tempesta. Gli sfidanti possono scegliere tra una delle famosissime
27 skin tratte dal gioco e partire alla conquista di Boschetto Bisunto,
Condotti Confusi, Tomato Town e dei tanti altri luoghi tipici del notissimo
videogioco. Attenzione però, ogni volta che qualcuno passa dal Via! una nuova
tempesta inizia a muoversi mettendo alla prova i giocatori e i punti vita
accumulati. Come in ogni match di battle royale che si rispetti, anche con
Monopoly Fortnite vince l’ultimo giocatore rimasto in vita e non il più ricco
come di solito avviene nel gioco di contrattazione e compravendita immobiliare
più famoso di tutti i tempi.

F.P.L.




Mega Man 11, l’eroe di Capcom non passa mai di moda

Chi è cresciuto negli anni 80’ ed era un fortunato possessore del NES (Nintendo Entertainment System) ha sicuramente giocato a uno dei capitoli di Mega Man. La serie a scorrimento laterale di Capcom ha avuto un successo talmente grande in quegli anni che il titolo ebbe ben cinque sequel per la stessa piattaforma, una cosa mai vista a quei tempi. Con il passare degli anni, però, la serie non è morta, ma anzi, attraverso nuove idee, lanciando una serie parallela chiamata Mega Man X su SNES, poi proseguita su console a 32-bit, e provando esperimenti con Battle Network e Legends, per finire con le immancabili collection per piattaforme moderne e dispositivi mobile, il Blue Bomber non ha mai smesso di essere presente nelle varie epoche del gaming. La serie principale in 2D in stile 8-bit è però rimasta sempre la più apprezzata dai fan e il ritorno alle origini con Mega Man 9 del 2008 prima, e Mega Man del 2010 poi, ne sono una prova inconfutabile. Per celebrare il trentesimo anniversario della serie, Capcom ha realizzato Mega Man 11, che arriva su PS4, Xbox One, Windows e Switch. Testando quest’ultima versione possiamo dire che nonostante l’età, dopo trent’anni di onorato servizio Mega Man ha ancora una grinta da vendere e si rende un titolo appetibile sia per il pubblico odierno, sia per gli amanti del retrogaming e delle console vintage. Ma facciamo un passo indietro, con il nono capitolo della serie Capcom ha segnato un ritorno alle origini, proponendo tale e quale lo stile grafico e di gameplay 8-bit dei capitoli 1-6 per NES, con tanto di colonna sonora in chip-tune. Tale idea ha letteralmente mandato i fan di vecchia data in visibilio poi, sulla scia di quell’entusiasmo, nel 2010 il publisher ha lanciato il decimo capitolo, che sostanzialmente non cambiava le carte in tavola proponendo un titolo esteticamente parlando identico.

Con Mega Man 11 però Capcom ha voluto segnare un punto di rottura con il passato. Viene abbandonato l’approccio degli ultimi capitoli e per la prima volta in tanti anni arriva qualcosa di concreto che tenta di svecchiare la formula classica del gioco a livello estetico. Lo stile grafico di questo undicesimo capitolo, infatti, è 2.5D, ovvero personaggi poligonali su uno schermo bidimensionale con sfondi e animazioni disegnati completamente a mano, una vera gioia per gli occhi, credeteci. Mega Man ora può anche eseguire scivolate, una mossa caratteristica della serie X, e c’è una grandissima novità che riguarda il gameplay: Mega Man ora monta un sistema chiamato Double Gear, idea progettata dal perfido Dr.Wily quando studiava all’università, ma bocciata dal suo collega “buono”, il Dr. Light, in quanto esso riteneva potesse essere una minaccia se fosse caduta in mani sbagliate. Questa feature in sostanza è un sistema che funziona a due vie e che permette alternativamente di aumentare la potenza di fuoco o di velocizzare i movimenti rallentando tutto quel che si muove attorno al protagonista. L’attivazione ha una durata limite e necessita di un cooldown, il sistema inoltre andrà in sovraccarico se utilizzato troppo a lungo, risultando indisponibile per un tempo abbastanza lungo, e in determinate situazioni tale situazione diventa spesso fatale. Una scelta fatta per impedirne l’abuso e facilitare troppo il gameplay. Il Double Gear apre quindi la strada a un modo completamente nuovo di giocare a Mega Man, che si avvicina sempre più a una fluidità d’azione e a feature presenti nei titoli più moderni. Per i puristi della saga sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per abituarsi a questo nuovo meccanismo, ma una volta imparato ad usarlo è un vero e proprio spasso. Oltre a risultare decisamente divertente e appagante infatti, andando avanti nei livelli, specialmente in quelli più difficili, il Double Gear diventa indispensabile per non incorrere in morti certe e a ripetizione, alternando con saggezza potenza di fuoco e velocità nei movimenti il protagonista diventa una vera macchina inarrestabile in grado di compiere azioni estremamente difficili ed esaltanti. Uccidendo nemici e sparsi qua e là nella mappa possono essere trovate delle viti che hanno la funzione dei classici crediti, accumulando questi oggetti, prima di iniziare una missione il protagonista potrà acquistare vite, moduli potenziamento e oggetti utili per facilitare il cammino verso la sconfitta del perfido Dr. Wily.

Per quanto riguarda il resto, Mega Man 11 mantiene sempre lo stesso DNA: otto livelli, ognuno presieduto da un boss di fine livello dotato di un’arma particolare e possibilità di affrontarli nell’ordine in cui l’utente preferisce. Una volta sconfitto un boss (e credeteci non è affatto facile anche difficoltà normale) ci si impossessa della sua arma caratteristica, avendo la possibilità di utilizzarla a proprio piacimento negli stage seguenti. Come sempre ogni potere conquistato rappresenta un punto debole per uno dei boss, quindi sta al giocatore scoprire in che ordine conviene proseguire nella storia dopo aver compiuto il primo livello. Vista l’elevata difficoltà che contraddistingue la serie, gli sviluppatori hanno inserito quattro livelli di difficoltà: principiante, facile, normale e Supereroe. Normale è quello standard, da scegliere se si è veterani della serie, visto che è duro da affrontare, molto duro credeteci. Scegliendo questo livello di sfida è un numero limitato di vite per provare a superare un livello, dopo il quale appare uno spietato game over che riporta alla schermata di selezione del robot master da affrontare (senza perdere i progressi fatti). Ogni livello ha pochissimi checkpoint ed è costellato di passaggi che richiedono memoria e precisione tecnica. Insomma, come accadeva negli anni ‘80, i livelli vanno imparati ed eseguiti. Il DNA della serie, del resto prevede una sfida sempre uguale a se stessa, senza gli elementi aleatori e dinamici di Super Mario e soci. Anche in questo caso, Mega Man 11 è un seguito corretto, che dà ai fan esattamente quello che hanno amato nelle vecchie avventure del Blue Bomber. Il livello facile mantiene tutto ciò che rende speciale Mega Man, ma velocizza il processo di apprendimento con una lieve diminuzione dei danni e l’aggiunta di una manciata di checkpoint nei posti giusti. Non è una sfida annacquata, e anzi tutta la soddisfazione della vittoria rimane intatta. Semplicemente, invece che perdere un intero pomeriggio per superare un livello, se siete bravi, riuscirete agevolmente a farne due o tre, salvandovi dalla ripetizione e dalla frustrazione dell’era NES. C’è anche una modalità principianti, resa quasi banale dall’impossibilità di cadere nei fossi e dalle vite infinite, e una modalità difficile al di là di ogni possibile concetto di sfida, ma in ogni caso può essere utile per i giocatori più piccoli o per chi non ha mai avuto a che fare con il Blue Bomber. La modalità supereroe è consigliata solo ed esclusivamente per chi vuole una sfida crudele e che ha piena consapevolezza del fatto che ogni errore, anche il più piccolo, si può pagare con il fallimento. Insomma in Mega Man 11 c’è qualcosa per tutti, dai fan accaniti (che troveranno anche una ricca gamma di challenge separate dalla campagna principale e una modalità time attack dedicata a tutti gli speedrunner) ai retrogamer della domenica. Graficamente parlando il gioco è una vera gioia per gli occhi, coloratissimo, sempre fluidissimo e bello da vedere. E’ un po’ quello che i nati degli anni ’80 sognavano giocando ai vecchi capitoli, ma che non era possibile realizzare a causa della tecnologia di quei tempi. Gradevole anche la colonna sonora che con i suoi toni un po’ metal e un po’ techno si adattano al ringiovanimento della saga. Purtroppo non ci sono brani che sono destinati a restare impressi nella memoria, ma nel complesso, assieme ai suoni di gioco, il comparto audio si difende abbastanza bene. Tirando le somme, Mega Man 11 a nostro avviso è quello che serviva per svecchiare una serie icona del mondo del gaming. Questa trasposizione per Pc, Xbox One, Ps4 e Switch farà la gioia dei vecchi appassionati, ma siamo certi che avvicinerà anche tantissimi nuovi gamers al magico universo del personaggio inventato da Capcom.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 8
Longevità: 8
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Hitman 2, l’agente 47 è tornato

Hitman 2, il sequel dell’acclamato videogioco dedicato al sicario più famoso dell’universo videoludico, è ora disponibile per PlayStation 4, Xbox One e PC. Sviluppato da IO Interactive, il titolo perfeziona l’esperienza da assassino in ambiente sandbox, dando ai giocatori una libertà senza paragoni per pianificare e completare le loro missioni, scegliendo in modo creativo strumenti, armi, travestimenti e tecniche furtive, sarà possibile scatenare sequenze di eventi sempre nuove e imprevedibili. Hitman 2 porta i giocatori in un’avventura a livello globale dentro sei intricate location sparse per il globo: Hawke’s Bay (Nuova Zelanda), Miami (Florida/U.S.), Santa Fortuna (Colombia), Mumbai (India), Whittleton Creek (Vermont/U.S.) e la misteriosa Isola di Sgàil (Atlantico del Nord). Tali luoghi si differenziano da quanto visto in passato in quanto sono dei veri e propri ambienti vivi, ricchi di angoli vibranti di vita, pieni di luoghi da esplorare e che offrono ai giocatori la libertà di pianificare l’assassinio perfetto. A due anni dal suo ultimo incarico, l’Agente 47 scende di nuovo in campo con un sequel che migliora quasi ogni aspetto del predecessore: Hitman 2 abbandona la formula episodica per proporre una soluzione più tradizionale, con un pacchetto completo di missioni da giocare tutte al lancio. L’Agente 47 e la sua fida “socia in affari” Diana Burnwood tornano in azione esattamente dopo gli eventi del primo capitolo: sono sulle tracce di una pericolosissima élite segreta che affonda le proprie radici nell’alta società e governa nell’ombra il destino del mondo. Ma in questo caso la vicenda globale si intreccia con quella privata del famoso Killer dallo sguardo di ghiaccio. Il passato di 47 emerge dalla nebbia, ed i suoi ricordi si fanno sempre più nitidi facendo così luce sul passato di uno dei protagonisti dei videogame più oscuri di sempre. Ovviamente la trama del gioco non brilla in maniera eccelsa in quanto gli sviluppatori hanno voluto dare una corsia preferenziale al gameplay. Il comparto narrativo infatti si riduce a un mero contorno di una produzione assolutamente sensazionale che è in grado di regalare ore e ore di forti emozioni. Il tentativo di voler mostrare il lato “umano” dell’agente 47 resta comunque uno spunto che meriterebbe un approfondimento superiore, affiancato da uno storytelling più dinamico ed avvincente. Ma veniamo al dunque, come già detto, IO Interactive ha scelto di focalizzarsi soprattutto sul gameplay. Hitman 2 è una prosecuzione del primo episodio, di cui recupera integralmente la formula ludica, ampliandola e affinandola.

https://www.youtube.com/watch?v=hSmZy9o_-ZE

Quel che vien fuori è uno stealth game rigoroso e solidissimo, un sandbox d’ampio respiro dove la creatività del giocatore viene non soltanto assecondata, ma anche fortemente incentivata dalla grandissima rosa di possibilità di azioni da svolgere e di soluzioni disponibili. Lo scopo principale del gioco non è tanto quello di eliminare il più in fretta possibile i bersagli, ma di farlo nel modo più intelligente, originale e silenzioso. La regola numero uno di qualsiasi assassino professionista è la discrezione, e in Hitman 2 le abilità di camuffamento e sfruttamento dell’ambiente circostante che il giocatore metterà in campo valgono più di qualsiasi pistola silenziata o di qualunque garrota. Ed ecco che, ancora una volta, ci si trova ad operare in luoghi dalle dimensioni molto vaste, intricate e stratificate, piene di vicoli ciechi, di stradine secondarie, ingressi nascosti e stanze segrete. Sarà quindi compito di chi sta dinanzi lo schermo, per mantenere alto il buon nome dell’Agente 47, conoscere a menadito non solo le routine delle prede, ma anche la conformazione dell’area di gioco, in modo da scovare il percorso più silenzioso, originale o spettacolare che conduce sulla strada dell’omicidio perfetto. Tutte le ottime idee saggiate nello scorso capitolo tornano in questo sequel con una marcia in più: così facendo IO Interactive ha dato alla luce un titolo davvero appagante sul fronte del gameplay, a patto di avere la giusta pazienza per spulciare a menadito ogni approccio a disposizione. Lo ricordiamo ancora una volta, Hitman 2 non è uno shooter frenetico, ma una raffinata e dettagliatissima avventura nel quale silenzio, discrezione nelle azioni e sangue freddo sono le uniche chiavi per vincere. Come detto in apertura, in Hitman 2 sono presenti ben sei location differenti, ciascuna caratterizzata da una planimetria piuttosto articolata, e non certo di immediata lettura: spetterà al giocatore, dopo diversi tentativi, memorizzare le scorciatoie, le vie di fuga, i nascondigli ideali e i movimenti delle guardie, così da muoversi nella maniera più “pulita”, senza destare sospetti. Le variabili, a tal proposito, sono innumerevoli, tanto da lasciare sbalorditi i giocatori più fedeli della saga e un po’ spaesate le persone più inesperte. Il peggiore errore che si può fare in Hitman 2 è lasciarsi scoraggiare dagli insuccessi. La perfezione deriva solo da un lungo e costante allenamento, quindi il titolo è assolutamente sconsigliato a chi non ha pazienza, a chi vuole esperienze che diano risultati immediati o a chi ha poco tempo per giocare e vuole rilassarsi. In ogni caso per favorire una giocabilità in grado di appagare sia i gamer più skillati che quelli che non conoscono bene il genere, il team ha messo in campo le cosiddette “Storie”: si tratta di soluzioni suggerite direttamente dal gioco, attraverso alcuni indizi ed icone, che guideranno chi sta dinanzi lo schermo verso il completamento dell’incarico, proponendo una serie di passaggi ben scanditi.

https://www.youtube.com/watch?v=7DF0ulFmwmQ

Ogni capitolo ne contiene diverse, alcune più creative ed altre più spettacolari: in entrambi i casi, ad una prima run, Hitman 2 induce a terminare gli obiettivi seguendo simili occasioni, permettendo quindi di familiarizzare con il contesto e scoprire anche ulteriori dettagli sul background narrativo. In ogni caso, se si è amanti delle sfide veramente dure il gioco dà la possibilità di affidarsi interamente alla fantasia in quanto è possibile scegliere di non seguire alcun aiuto. Ed è proprio sotto questo punto di vista che Hitman 2 mostra la sua grandezza in quanto lascia all’utente una libertà con pochi paragoni. Ci si può infatti travestire in qualunque modo, creare distrazioni di ogni genere, provocare cortocircuiti, incidenti automobilistici, avvelenare le vittime o attirarle in disparte per poi eliminarle in maniera silenziosa. Prima di agire, occorrerà sempre procedere con cautela, origliando le conversazioni, raccogliendo i documenti, aspettando il momento più propizio per colpire. Il tutto, chiaramente, dovrà avvenire senza destare il benché minimo sospetto in quanto generare il minimo sospetto può rivelarsi una scelta fatale. In quanto produzione di altissimo livello ogni mappa potrà richiedere anche diverse ore prima di essere completata con un punteggio dignitoso. Proprio a riguardo è bene sottolineare che maggiori XP si guadagnano alla fine della missione e più velocemente si salirà di livello, e questo a sua volta servirà a sbloccare inedite possibilità d’azione, come nuove armi e location da cui cominciare l’incarico. La rigiocabilità infatti è l’arma più potente nella produzione di IO Interactive, e stimola il giocatore a dare sempre il meglio sia per battere i propri record, sia per confrontarsi con gli altri assassini sparsi per il globo. Ovviamente, a fare la differenza è soprattutto la meticolosità, la precisione, l’inafferrabilità. Non uccidere innocenti, nascondere bene i corpi, esplorare fino in fondo ogni anfratto sono tutte attività che non vanno quindi assolutamente trascurate, pena un drastico calo delle performance a fine prova e un guadagno di punti XP ridotto. Nel menù di gioco è presente anche una modalità chiamata Sniper Assassin, in cui il protagonista verrà incaricato di eliminare tre bersagli all’interno di un’enorme villa, armato unicamente del suo fucile. Che si tratti di un’attività accessoria lo si intuisce sin da subito, considerata la limitatezza dell’offerta, ma comunque è un ottimo passatempo. In questa tipologia di gioco c’è una sola mappa da analizzare dalla distanza, e 15 minuti di tempo per mettere a segno gli omicidi, evitando che i bersagli fuggano e provando ad eliminare il maggior numero di guardie del corpo. Anche in questo caso, non mancano certo le uccisioni creative, sotto forma di sfide che il team ci invoglia a completare, ma nel complesso l’insieme ci è parso soltanto un fugace passatempo, da giocare in solitaria o in cooperativa, che si esaurisce in un lampo. A poco vale l’incentivo di sbloccare nuovi fucili e potenziamenti ad ogni passaggio di livello, perché la presenza di una singola mappa – almeno al momento – diminuisce notevolmente la rigiocabilità. In ogni caso Sniper Assassin è un ottimo modo per allenarsi nel mondo di gioco.

https://www.youtube.com/watch?v=mMIrTHOXRnY

Hitman 2 offre anche un’altra inedita modalità, ossia la Modalità Fantasma. Essa è una modalità multiplayer in cui due giocatori si confrontano sulla stessa mappa, chiamati ad uccidere il medesimo bersaglio. Il primo dei due assassini che raggiunge 5 omicidi, si porta a casa l’attestato di miglior killer. Ciascuna preda dovrà essere eliminata senza che il cadavere venga rinvenuto nell’arco di circa 20 secondi, pena l’annullamento del punto conquistato. Benché si muovano in contemporanea, i giocatori che si sfidano agiscono nel proprio mondo, che non viene influenzato in alcun modo dalle azioni del rivale: nel corso della missione, però, sarà visibile il “fantssma” dell’avversario molto simile per intenderci al ghost che si vede nei giochi di macchine. Una simile scelta è pensata per suscitare un pizzico di ansia durante i tentativi di assassinio, acuita da un messaggio vocale che informa il giocatore di ogni azione compiuta dal nemico, che sia un cambio di vestiti o un omicidio messo a segno. Quindi c’è da aspettarsi tanta adrenalina e forti emozioni. A livello tecnico il gioco è nel complesso davvero ben fatto. Il colpo d’occhio offerto dal motore di gioco è piacevole, soprattutto per quanto riguarda i riflessi sulle superfici, i modelli tridimensionali ben strutturati e le texture abbastanza definite, nonostante ci sia qualche lentezza durante i caricamenti delle stesse. Ci sono però dei grossi compromessi in altri campi, soprattutto per quanto riguarda la scarsa qualità delle ombre, che non sono proiettate dalle svariate fonti di luce presenti nell’ambiente, i volti delle persone, la cui pelle appare poco realistica, e le interazioni nulle con piante o certi oggetti, attraversati come fossero invisibili dall’Agente 47. Si tratta in ogni caso di piccolezze che non minano per nulla l’esperienza di gioco che ve lo ripetiamo ancora è veramente incredibile. Tirando le somme, Hitman 2 è uno dei migliori videogiochi stealth dell’intero panorama videoludico. Offre un ampio numero di attività, sfide, arsenale e travestimenti per poter portare a compimento i contratti dell’Agente 47, dando il meglio di sé se giocato senza aiuti e alla massima difficoltà. Se si è alla ricerca di un titolo che offra un buon livello di sfida e che sia in grado di garantire situazioni adrenaliniche in un mondo di gioco vasto e ben strutturato, questo gioco rappresenta un vero e proprio gioiello.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




Okami HD, il classico senza tempo non smette mai di stupire

A più di un decennio dal suo lancio su PlayStation 2, Okami arriva su PC, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch con una riedizione in Full HD e 4K. Prima di passare alla recensione vera e propria del titolo è bene fare una breve premessa per tutti coloro che si stanno chiedendo perché questo titolo sia tutt’ora in grado di incantare nonostante non si possa paragonare alle produzioni tripla A che attualmente invadono il mercato videoludico? Bene, la risposta è molto semplice. Esattamente come tanti altri classici senza tempo, produzioni che in un modo o nell’altro sono riusciti a far breccia e hanno fatto la storia segnando in maniera indelebile tappe importanti nell’evoluzione dei videogiochi, Okami basa la sua fortuna su caratteristiche che non invecchiano, efficaci ed efficienti oggi come allora. Da titolo di nicchia, soprattutto in Europa, il capolavoro che narra dell’epopea della dea Amaterasu, nel corso degli anni ha beneficiato di numerosi porting e rimasterizzazioni, entrando a far parte della collezione di molte console a cavallo di più generazioni. Dopo aver goduto di una seconda giovinezza su Wii, Okami, nella sua edizione in alta definizione, torna a calcare il palco delle piattaforme di nuova generazione offrendo le stesse emozioni di un tempo ma in un contesto grafico e tecnico sicuramente migliore. La produzione nasce da un’idea di Hideki Kamiya, il genio dietro a titoli come Viewtiful Joe, God Hand, Resident Evil, Bayonetta e Devil May Cry. Racconta la storia di un Giappone antico, feudale e fiabesco, dove le forze del bene hanno riportato l’ordine in un mondo flagellato da demoni e oscurità. I vincitori di questo scontro, dapprima celebrati, vengono in seguito dimenticati, complice un periodo di pace secolare. Accade così che la storia si trasforma in mito e che la fede finisca per sbiadire poco alla volta: in questo modo, il sigillo di confinamento di ogni possibile nefandezza viene ingenuamente spezzato. Aprire il vaso di Pandora del Sol Levante getta nuovamente il mondo nel caos. I guardiani del Giappone invocano l’intervento divino di Amaterasu, dea del Sole e madre di tutte le cose. Incarnata nel lupo bianco Shiranui, dovrà riportare la pace nei quattro angoli dell’isola di Nippon riabilitando il suo potere divino e riaccendendo la fede nel cuore delle persone.

Giocando a Okami HD il colpo d’occhio è assolutamente mozzafiato, soprattutto se si nutre una certa ammirazione per l’arte classica nipponica. Il regno che bisognerà esplorare è reso attraverso campiture monocrome, separate da contorni spessi e vistosi. Personaggi e scenari vibrano di vita, costantemente scossi da un incessante vento, da animazioni fluide e da colori brillanti che non sono mai utilizzati in maniera superficiale. Si resta spesso e volentieri incanti di fronte ai panorami offerti dal regno di Nippon, soprattutto quando i giocatori li strapperanno dall’oscurità, ridonandogli uno splendore dovuto alla natura rigogliosa e brillante. Insomma, con Okami HD è davvero difficile non rimanere estasiati dal particolarissimo art design che, come già accennato in precedenza, non conosce l’incedere del tempo, ma resta sempre attuale perché frutto di uno sforzo creativo notevole. Il discorso è ugualmente valido anche dal punto di vista prettamente ludico. Il titolo è tutt’ora in grado di appassionare, forte di una formula che fa di tutto per premiare il videogiocatore ad ogni azione compiuta, per ogni piccolo compito svolto con successo. Il termine di paragone, per chi non conoscesse il gioco, è The Legend of Zelda. Similmente alla serie di Nintendo, nei panni della dea lupa bisognerà esplorare varie aree, addentrarsi in pericolosi dungeon, risolvere enigmi, e abbattere demoni pronti a mettere i bastoni tra le ruote per impedire il cammino del protagonista verso la vittoria. Tuttavia, a differenza di quanto accade controllando Link, il focus è incentrato quasi esclusivamente sull’esplorazione. I combattimenti, oltre ad essere relativamente rari, si fondano su un combat system non particolarmente profondo, né gli avversari sono dotati di tattiche e mosse così ricercate, tali da mettere in difficoltà chi si trova dinanzi lo schermo. Giocare a Okami HD il più delle volte significherà cercare la strada giusta da imboccare e spianare il sentiero sfruttando i poteri del Celestial Brush, feature che permette di disegnare sullo schermo oggetti o item utili alla causa. Si può, per esempio, riparare un ponte interrotto, creare una bomba con cui far saltare in aria un muro, spegnere un incendio con una brezza di vento, ma anche alternare gli attacchi fisici di Amaterasu a fendenti letteralmente dipinti sullo schermo. Per utilizzare questo portentoso strumento, che ovviamente amplierà le sue possibilità nel corso dell’avventura, rendendo progressivamente raggiungibili nuove zone del regno di Nippon, si può sia utilizzare lo stick analogico, come accadeva nella versione originale del titolo, sia, nel caso in cui lo stiate giocando su Switch, affidarsi agli accelerometri di uno dei due Joy-Con, sia nel caso si stia giocando sulla TV di casa o in modalità tablet.

Nonostante l’idea sia stuzzicante, alla prova dei fatti si tratta di un sistema piuttosto scomodo, poco preciso, anche se con la pratica si possono ottenere risultati accettabili. Al di là degli enigmi, piuttosto semplici da risolvere, e della progressione dell’avventura, classica e solo marginalmente vivacizzata da meccaniche prese in prestito dai giochi di ruolo, Okami HD tiene alto l’interesse del videogiocatore regalandogli continuamente piccole e grandi soddisfazioni. Sconfiggere un gruppo di demoni, utilizzare il Celestial Brush per benedire una porzione di mappa, ricostruire un oggetto distrutto, sono tutte azioni che ridoneranno splendore alle ambientazioni che si esplorano. Allo stesso tempo, ci si imbatterà con una certa frequenza in sentieri nascosti, tesori da dissotterrare, gruppi di animali che in cambio di cibo forniranno utilissimi punti esperienza. Insomma, a oltre un decennio dal suo debutto su PlayStation 2, grazie ad una trama che amalgama armoniosamente sacro e profano, momenti aulici ad altri assolutamente demenziali, un design assolutamente maestoso, un gameplay vario ed intrigante al punto giusto, Okami HD è ancora oggi un gioco in grado di stupire e divertire una fascia molto ampia di appassionati. Il titolo era ed è tutt’ora una pietra miliare della storia del gaming, un’avventura avvincente, visivamente strepitosa e ricca di elementi singolari e unici nel loro genere. Epici scontri, profezie e leggende ancora una volta potranno fare da contorno a una storia leggendaria in grado di catturare il cuore di chi si appresta a giocare. Okami HD è un’esperienza da provare, unica nel suo genere ed estremamente valida.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5
VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




FIFA 19, sempre più grande con la Champions League

FIFA 19, disponibile su tutte le console e su Pc, è senza dubbio una delle edizioni più importanti del videogame di calcio firmato da Ea Sports. Dopo dieci anni, infatti, Electronic Arts è riuscita ad accaparrarsi anche i diritti sulla Champions League e tutto il fascino di questa competizione. E come suo solito, il colosso americano non si è accontentato di aggiungere un altro successo sulla bacheca, ma ha voluto dare ancora di più ai suoi fan ristrutturando tutte le sue modalità intorno a questa novità. Ad esempio, nella modalità “Il viaggio Campioni”, Alex Hunter e Danny Williams, per esempio, tenteranno di vincere la Coppa dalle Grandi Orecchie trascinando rispettivamente i propri team verso la finale del Wanda Metropolitano. Se per Alex il percorso sarà relativamente in discesa, dato che sarà l’erede designato di Cristiano Ronaldo al Real Madrid, per Danny la strada sarà probabilmente più impervia, dovendo sgomitare all’interno del team inglese per il quale aveva firmato la stagione precedente. La nuova Coppa dei Campioni di FIFA 19, quindi, sarà al centro della storia, essendo il palcoscenico nel quale i due calciatori si scontreranno con le più grandi star europee, con qualche fantasma del passato e magari anche tra di loro. Contemporaneamente Kim Hunter, la sorellastra del protagonista, cercherà di farsi onore nella nazionale statunitense, portandola ai campionati del Mondo. La presenza di ben tre personaggi da interpretare è la più grande novità di quest’anno della modalità Il Viaggio. Si potrà scegliere di seguire la storia seguendo le vicende di uno solo dei protagonisti o balzare da uno all’altro seguendo i suggerimenti dati dal gioco. I tre percorsi sono piuttosto simili tra di loro, quello che cambierà sono principalmente il ruolo da tenere in campo e gli obiettivi di squadra. Se Danny è un vero e proprio ariete il cui compito è superare a testa bassa e in tutti i modi i difensori avversari, Alex e Kim sono più degli attaccanti d’area veloci e letali. I due fratelli Hunter, inoltre, saranno presi sotto l’ala protettrice di alcuni senatori delle rispettive squadre, che ingaggeranno con loro un rapporto di amicizia/rivalità dagli sviluppi interessanti. Oltre alla possibilità di sfidarli, si potranno giocare le partite semplicemente controllando i mentori. In alternativa la scelta è sempre quella di impersonare il singolo giocatore o l’intera squadra. Per il resto questo terzo e ultimo capitolo della modalità “Il Viaggio” presente in FIFA 19 prosegue nel solco di quanto visto gli anni scorsi, con allenamenti e partite inframmezzati da filmati nei quali i protagonisti vengono a contatto con i più blasonati colleghi e devono prendere decisioni che incideranno sulla loro carriera.

In FIFA 19 è stata totalmente stravolta la modalità calcio d’inizio, ed è stato fatto per dare una deriva nettamente rivolta verso la competizione con gli amici: se il multiplayer online rimane l’opzione “professionale”, grazie alle regole personalizzate offerte da questa tipologia di gioco ci si può prendere una “pausa di relax” e divertirsi a segnare solo al volo e di testa, con il resto dei gol invalidati, o “sopravvivere” vedendosi espellere un giocatore per ogni gol segnato fino a un massimo di quattro, o ancora far valere doppio i gol segnati da fuori, per finire con il caos totale del “senza regole”, non solo divertente ma anche una vera sfida per chi è ormai abituato a giocare in maniera meccanica e non riesce a sfruttare l’assenza di falli e fuorigioco. Così facendo EA ha portato una ventata di aria fresca per una modalità spesso lasciata in disuso, migliorata anche dalla possibilità di creare il proprio “nome in campo”, una sorta di ID che registra le proprie prestazioni e tiene conto non solo delle partite vinte o perse ma anche di tantissimi altri dettagli legati allo stile di gioco, da qualunque console ci si connetta. Così gli amici sapranno sempre non solo che sono stati battuti dal giocatore, ma anche come sono stati sconfitti. In mezzo alle competizioni (online e offline) ed alle immancabili Stagioni (anche in co-op), in FIFA 19 fa di nuovo capolino la modalità Pro Club, nella quale creare un proprio specifico team o inserirsi nella squadra di un altro giocatore per dar battaglia in sfide fino ad un massimo di 11 contro 11, come se fosse una vera partita di calcio. A mettere la ciliegina sula torta di un parco di opzioni veramente goloso c’è anche il Campionato mondiale femminile: un piccolo specchio su una realtà poco in vista nel panorama calcistico, che testimonia a chiare lettere la voglia di EA di fornire una sorta di enciclopedia digitale di questo sport. Passando a FUT (FIFA Ultimate Team, ndr), la modalità che ha fatto la fortuna del brand negli ultimi anni, le novità di quest’anno sono racchiuse in due principali mosse. La prima è l’abbandono delle Stagioni quale modalità online principale e la seconda è legata al modo nel quale si costruirà la propria squadra. Le Stagioni sono state sostituite dalle Divisioni. In altre parole ogni settimana si potranno giocare 5 partite attraverso le quali determinare il proprio livello di abilità. Una volta stabilito questo valore ci si potrà scontrare con avversari dalla forza simile durante le FUT Champions, competizioni che assicureranno premi ancora più ricchi che in passato. In alternativa si potrà partecipare ai classici Draft, alle Sfide Creazione Rosa e alle Squad Battles.

Per quanto riguarda la costruzione della squadra EA Sports ha deciso di dare al giocatore maggiore controllo su quelle che sono le carte che si possono trovare all’inizio dell’avventura. In altre parole, saranno proposte delle alternative di pari valore e si potrà decidere quali di queste tenere, così da indirizzare la squadra nella direzione desiderata. Inoltre debuttano nuove icone, come il nostro Cannavaro o Rivaldo, e contenuti collegati alla Champions League. Per il resto la modalità principe di FIFA 19 rimane identica al passato, con nessun cambiamento per quanto riguarda l’affinità tra i calciatori e le regole per la composizione delle squadre. Dal punto di vista grafico FIFA 19, grazie al Frostbite Engine, è in grado di ricreare a meraviglia il mood di una vera partita televisiva: ogni singolo dettaglio scenico è riprodotto a regola d’arte, così come la resa degli stadi, del pubblico, degli striscioni e delle superstar più note. Entrare in campo con la musica della Champions, mentre dagli spalti le tifoserie intonano canti di acclamazione, è inoltre uno spettacolo che fa battere davvero molto forte il cuore. Rispetto allo scorso episodio, però, l’evoluzione tecnica non è immediatamente visibile: ad esempio, se alcuni volti sono stati rifiniti a dovere, altri mantengono lo stesso grado di approssimazione già visto in passato. Da svecchiare in parte è anche la telecronaca Pardo-Nava, un po’ stantia e ripetitiva, con un ossessivo ricorso al “supporto” di Matteo Barzaghi da bordo campo, contattato solamente per chiedere quanti minuti mancano alla fine dell’incontro. A livello di giocabilità, benché a prima vista le differenze con FIFA 18 appaiano minime, in realtà è facile assistere, una volta preso il pad in mano, a comportamenti ben diversificati che varieranno in base alle situazioni di gioco. Chiaramente, simile cura per il dettaglio va tutta a beneficio della somiglianza con la realtà, che restituisce un feeling più realistico al contatto con gli atleti. A tal proposito, molto gradita è anche la presenza dei cosiddetti “Scontri 50/50”, una caratteristica che riscrive i contrasti tra i giocatori, dipendentemente dai loro parametri fisici: se sulla carta sembrano promesse di routine, nella pratica la nuova aggiunta di EA funziona a dovere. Saranno dunque presenti contese molto più intense, in cui le varie parti del corpo reagiscono con maggiore credibilità, dando vita a “testa a testa” parecchio più tesi rispetto al passato. Non si tratta di modifiche esclusivamente visive: le reazioni dei giocatori, il modo in cui stoppano la palla, i capitomboli causati da un tackle, l’atterraggio dopo uno slancio aereo e le battaglie per difendere la sfera impattano sulle dinamiche che regolano il controllo dell’atleta, per un risultato decisamente appagante, capace di superare quello della scorsa edizione. Sempre allo scopo di dare all’utente totale libertà d’azione, EA ha rivisitato il meccanismo di tiro, inserendo le “finalizzazioni a tempo”. In pratica, premendo due volte il tasto adibito al calcio con il giusto tempismo, si potrà mettere a segno una conclusione estremamente precisa, da indirizzare dove meglio si vuole, così da spiazzare il portiere ed angolarla con la mira di un falco. Il rovescio della medaglia risiede nell’alta probabilità di errore: anche un singolo secondo di ritardo è la causa di tiri completamente fuori fase, con il rischio di vanificare una manovra vincente. Il “timed finishing” è quindi un’arma a doppio taglio, pensata principalmente per i pro gamer. Senza un’indicazione visuale a schermo, ossia con il trainer attivo, sarà davvero difficile riuscire a comprendere il momento esatto per agire sull’input.

Ci vorrà un bel po’ di pratica, insomma, per prendere confidenza col nuovo sistema, non senza sperimentare un pizzico di frustrazione nei momenti iniziali della pratica. In FIFA 19, nelle partite con la CPU a livelli Campione e Leggenda, inoltre, sarà abbastanza difficile cimentarsi in un tiro ben calcolato. Conviene quindi allenarsi poco alla volta partendo dai gradi di complessità più bassi, per poi dar sfoggio della propria abilità nell’azzeccare il giusto tempismo anche online. C’è di buono che, quando la finalizzazione a tempo viene eseguita alla perfezione, la “ricompensa” in termini di precisione sarà indubbiamente molto elevata, ma prima di padroneggiare questa feature, ve lo ripetiamo ancora, bisognerà lavorare davvero sodo. Per chiunque non voglia correre il pericolo di commettere qualche errore, il “timed finishing” può tranquillamente essere disattivato nel menu, in modo tale da fornire un’esperienza più tradizionale. Anche le Tattiche Dinamiche sono removibili attraverso un’apposita voce tra le opzioni prepartita: parliamo di strategie da attuare direttamente in-game, senza mettere il gioco in pausa, alla semplice pressione delle croci direzionali. Prima di ogni sfida, si ha l’opportunità di personalizzare le tattiche da effettuare nel corso del match, variandole a seconda dell’andamento della partita. È questa un’idea di notevole valore, che dà a FIFA 19 una rinnovata profondità. Proprio come le finalizzazioni a tempo, tuttavia, occorrerà utilizzarle con una certa attenzione: sfruttate in modo incauto, le Tattiche Dinamiche potrebbero causare qualche squilibrio di troppo, aprendo la porta a ripartenze fulminee e contropiedi devastanti, specialmente contro avversari di alto livello. Al pari della precedente edizione, anche FIFA 19 schiera in campo un’intelligenza artificiale molto aggressiva, che non risparmia pressing duri e giocate di livello. Alle massime difficoltà, i team più forti non si fermano un minuto: sfrecciano sulle fasce, si inseriscono tra le difese, corrono su ogni pallone con una costanza incredibile, come se fossero instancabili. Ne consegue l’obbligo dell’utente ad agire in fretta, a pensare con enorme rapidità, senza avere il tempo di costruire azioni più ragionate. Abbassando il livello di sfida, gareggiando con team meno abili o con un altro giocatore, questa mancanza viene parzialmente arginata, benché il ritmo resti comunque un po’ troppo veloce rispetto agli standard di una partita reale. Tirando le somme, EA Sports con FIFA 19 regala agli appassionati di calcio un’esperienza di gioco estremamente appagante e sempre più vicina alla realtà, un mondo dove le velleità simulative si mescolano con quelle più spettacolarizzanti per garantire un prodotto veramente straordinario. Sempre più ricco sul piano delle modalità di gioco, il videogame di calcio del colosso americano con l’aggiunta della Champions League si aggiudica un’ulteriore fetta di realismo che rendono il prodotto una vera e propria gioia per gli occhi, per le orecchie e per il cuore. FIFA 19 è la massima espressione del calcio videogiocato. Lasciarselo scappare sarebbe una vera occasione da gol mancata.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9,5
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Assassin’s Creed Odyssey, la saga approda nell’antica Grecia

Con Assassin’s Creed Odyssey per Pc, Xbox One, Ps4 e Switch, Ubisoft prosegue e amplia il progetto di rinnovamento della saga iniziata lo scorso anno con Origins (qui la nostra recensione). Basti pensare che solo tre anni fa la serie sembrava essersi arenata in un loop di titoli molto simili fra loro, ma solo ambientati in epoche differenti. Dopo lo stop di un anno deciso dalla casa francese, a seguito del lancio di Assassin’S Creed Sindycate, però la musica e cambiata e sia nel 2017 che soprattutto adesso ci hanno mostrato cosa vuol dire rinfrescare una saga senza stravolgere ciò che c’era di buono in passato, ma soprattutto migliorandone diversi aspetti. Venendo al dunque ed esaminando da vicino questo Assassin’S Creed Odyssey va fatta una premessa, ossia: la storyline non basa il proprio racconto del passato sull’eterna lotta tra Assassini e Templari bensì su un vero e ben documentato conflitto storico avvenuto nell’Antica Grecia tra il 431 e il 404 A.C. ossia la Guerra del Peloponneso.

In questo arco temporale viene ben descritta la lotta tra Sparta e Atene che diede vita a uno dei contrasti più aspri e duri che la storia ricordi e che, di conseguenza, cambiò profondamente lo scheletro della Grecia stessa. Il team Ubisoft Quebec ha ben studiato l’argomento, e vista l’accuratezza nei dettagli mostrata nel corso di tutto il gioco, se si è amanti di quel particolare periodo storico, rimarrete assolutamente estasiati da quest’ultimo capitolo della serie. Ancora di più di quanto visto in Origins, Assassin’s Creed Odyssey vuol essere un RPG a tutto tondo con elementi esplorativi e molte altre caratteristiche che distinguono questo genere. Una volta lanciato il gioco ci si accorge della prima grande novità, per la prima volta nella serie i personaggi giocabili tra cui scegliere saranno due: Alexios o Kassandra. Essendo ambientato 400 anni prima di Origins, in Odyssey la confraternita degli Assassini non ha ancora assunto i contorni che tutti i fan della saga conoscono di conseguenza i protagonisti saranno semplici mercenari spartani, discendenti di Leonida ed esiliati da bambini a seguito di una tragedia familiare. Dopo le prime ore di gioco si viene lanciati così in un epico viaggio che ha inizio dall’isola di Cefalonia, un luogo nelle vicinanze dell’iconica dimora di Ulisse. Si possono incontrare personaggi carismatici, si affrontano epiche battaglie navali e scontri campali. Si combatte contro l’esercito di Sparta o contro quello di Atene e pian piano saranno svelati i segreti della Prima Civilizzazione, uno degli elementi più oscuri dell’universo della saga, il tutto per diventare un vero eroe Greco, cambiare le sorti della guerra e portare alla luce i segreti della propria stirpe. Rispetto ai precedenti episodi, la storia di Assassin’S Creed Odyssey è però narrata in modo differente: la maggior parte dei dialoghi infatti sono a scelta multipla e le decisioni che si prenderanno avranno conseguenze, più o meno visibili, su trama, mondo di gioco, destino di alcuni personaggi e finale della storia, che ricordiamo possiede ben 9 epiloghi differenti.

https://www.youtube.com/watch?v=Q4UYOOxdjxw

Lungo il corso dell’avventura non ci sono decisioni giuste o sbagliate, ognuno è libero di vivere la propria “Odissea” come meglio crede, assumendosi però le conseguenze delle proprie azioni che potrebbero persino dare vita a tragici eventi. In tutto questo peregrinar per la Grecia antica è molto importante sottolineare che in questo nuovo capitolo della saga è presente Layla, conosciuta in Origins. La donna, che vive nel presente, è il motore scatenante degli eventi in quanto è alla ricerca di un qualcosa ben più importante dei frutti dell’Eden. A livello di carisma Layla è ancora molto lontana dal mito di Desmond, il protagonista storico della serie, ma gioco dopo gioco siamo certi che l’interesse verso questo personaggio crescerà sempre di più fino a forgiare un nuovo eroe iconico del brand. Assassin’s Creed Odyssey offre a tutti gli appassionati una gigantesca offerta, ma affida il timone al giocatore, chiamandolo a costruire da solo la propria storia. Ad accompagnare una scrittura migliorata della storia è presente anche una diversa gestione del livello richiesto per compiere le missioni. Ad esempio se si è lasciato indietro un compito, man mano che Kassandra ed Alexios diventeranno più forti le missioni si faranno più difficili avanzando di livello al pari del protagonista. Questa è una scelta vincente, che non sminuisce nessuna quest, neanche quelle delle prime ore di gioco, garantendo sempre una sfida ben proporzionata. Per aumentare di livello sarà necessario svolgere svariati compiti, dato che la progressione risulta simile a quella vista in Origins. A step prestabiliti, infatti, la trama principale alza l’asticella del livello richiesto, e nelle fasi finali il gap da coprire è abbastanza importante. Tutto questo aumenta la longevità in quanto sarà necessario dedicarsi a lunghe sessioni di sottoquest per potenziare il proprio avatar. Nonostante le missioni che si adattano al livello del giocatore, bisognerà dedicarsi a svariate ore di farming che vanno in contrasto con il coinvolgimento emotivo della scrittura, che dispensa momenti degni di nota ad altri piuttosto blandi. Nella difficoltà complessiva del titolo persiste qualche sbilanciamento nella difficoltà generale, con quest che presentano nemici più coriacei rispetto al livello richiesto e viceversa. Nulla di estremamente complesso che rovina l’esperienza di gioco, ma comunque va sottolineato. Assassin’s Creed Odyssey rappresenta la vera rottura con l’anima storica della serie, reggendo meglio gli attuali standard degli action RPG ma lasciando ancora qualche piccola sbavatura tra conseguenze delle scelte e progressione.

È certo che Ubisoft ha dato grande enfasi al senso di immersività, integrando un sistema opzionale di vivere l’esperienza di gioco: nella “Modalità Esplorazione” è possibile infatti rimuovere tutti i simboli da HUD e mappa, e raggiungere i luoghi di interesse affidandosi unicamente alle indicazioni raccolte dai dialoghi. Una trovata senz’altro particolare ma considerando che per completare tutti i filoni narrativi ci sono volute circa settanta ore, vivere l’enorme esperienza che offre Odyssey in questo modo fa lievitare in maniera enorme le ore necessarie al completamento dell’avventura. Ciononostante è palpabile la volontà degli sviluppatori di offrire un approccio meno guidato alle vicende della campagna, e ne è un caso emblematico la lotta alla setta: una lunga caccia a tutti i membri del culto, protetti dall’anonimato. Alcune figure di questa pseudo massoneria fanno la loro comparsa seguendo la quest principale, altre si nascondono in luoghi da scoprire solo dopo aver ottenuto il giusto indizio. Si tratta di un pizzico di brio che non dispiace, e che aiuta a variare la formula delle quest relative alla sottotrama. Giocando ad Assassin’S Creed Odyssey la sensazione che si prova rispetto al passato è quella di una costante miglioria rispetto a quanto visto in passato figlia di ciò che è stato fatto con Origins. Ad esempio i combattimenti restano all’apparenza identici ma influenzati da un’assenza piuttosto importante, ossia quella dello scudo. Lo strumento è stato volutamente rimosso e la manovra difensiva è affidata per intero ad una parata con l’arma equipaggiata. Una delle novità più interessanti però è un sistema di abilità attive estremamente ricco di mosse, dall’iconico “calcio di Sparta”, ispirato al film 300, alla possibilità di strappare gli scudi nemici. Tutte le abilità, insieme ai perk passivi, sono divise in tre rami differenziati, ed ognuna di esse può esser ulteriormente potenziata un certo numero di volte. Ne risulta che attraverso le ore di gioco ognuno si può plasmare il proprio personaggio come si preferisce, grazie anche alla possibilità di riassegnare tutti i punti esperienza col giusto ammontare di dracme. A mettere un po’ di pepe all’avventura ci pensano i mercenari, una versione riveduta e corretta dei Phylakes visti in Origins. Questi cacciatori di taglie si muoveranno nel caso di reati commessi alla luce del sole, e rappresentano una minaccia costante e fastidiosa. Se nel capitolo scorso il loro arrivo era favorito dagli allarmi delle fortezze, in Assassin’S Creed Odyssey la loro caccia diventa più pressante e, soprattutto, senza fine. L’unica pecca in tutto questo gran calderone di novità e migliorie è l’intelligenza artificiale nemica che, nonostante un’aggressività maggiore, è ancora vittima di singhiozzi ben poco appassionanti. Nell’ultima fatica di Ubisoft però non si combatte solo a terra, infatti fanno il loro graditissimo ritorno anche gli scontri navali, ben più approfonditi rispetto alle brevi battaglie viste in Origins. Kassandra ha a disposizione una sua nave, con ciurma e luogotenenti annessi, ed un armamentario di frecce, arpioni e violenti speronamenti. Guardando al passato di casa Ubisoft, le battaglie navali di Odyssey non possono competere con quelle viste in Black Flag o Rogue, ma contestualizzandole nell’ambito di un elemento accessorio in un’offerta ludica sempre più vasta, è chiaro come acquisiscano un valore diverso. In poche parole sono scontri semplici, complice anche la tecnologia dell’epoca, ma ben realizzati e funzionali al loro scopo. Insomma, alla luce di quanto detto, Assassin’s Creed Odyssey si presenta con un’offerta mai vista prima nella storia della serie, un piatto ricco di elementi spalmati su una mappa a dir poco immensa, missioni dinamiche a seconda delle scelte fatte in determinati frangenti e migliorie alla base costruita in Origins.

A livello grafico il gioco si presenta con una qualità su schermo assolutamente sorprendente che farà letteralmente impazzire i giocatori. A livello tecnico raramente si possono riscontrare cali di frame nelle fasi più concitate o bug eclatanti. Da sottolineare, e celebrare soprattutto, la fedele riproduzione storica della Grecia del 400 A.C. e l’amabile colonna sonora. Buona anche la localizzazione in italiano (che bisognerà scaricare al primo avvio del titolo e peserà ben due giga). Non convince appieno la linea narrativa intrapresa e continuata nel presente ma, fortunatamente, le gesta di Alexios e Kassandra riescono a mitigare il tutto grazie a costanti colpi di scena forti di un contesto storico tanto solido quanto emozionante. Il nuovo Assassin’s Creed Odyssey è l’espressione massima della serie in termini di esplorazione: starà al giocatore decidere da che parte stare, cosa fare e soprattutto cosa essere. Tirando le somme, la nuova avventura sviluppata da Ubisoft Quebec taglia in modo netto con il passato e “trasforma” Assassin’s Creed in un vero RPG con dialoghi a scelta multipla, che avranno impatti sull’intero mondo di gioco, un sistema di progressione delle abilità ricco e intelligente, ma anche grazie a un sistema di gestione armi ed equipaggiamento intuitivo e assolutamente interessante. Il team di sviluppo ha creato un sistema di progressione corposo e stratificato con un albero delle abilità più semplificato di quello presente in Origins ma nello stesso tempo più efficace. Ha poi anche stravolto in parte il sistema di combattimento introducendo potenti e speciali abilità capaci di ribaltare le sorti di uno scontro e rendendo i combattimenti alla luce del sole molto più appaganti, fluidi e divertenti rispetto alle fasi stealth. Nel farlo, però, tradisce la filosofia stessa dell’assassino, probabilmente una scelta per andare incontro ad un pubblico diverso. Ubisoft Quebec non ha avuto paura di osare e il risultato sulla carta è assolutamente positivo. Sia che siate amanti della serie, sia che non abbiate mai giocato a un capitolo della saga, Assassin’s Creed Odysey è a nostro avviso un acquisto obbligatorio, un titolo che ha un non so che di magico e che è in grado di far respirare l’atmosfera della Grecia antica.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Gameplay: 8,5
Sonoro: 9
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




Hungry Shark World, il videogame dell’estate targato Ubisoft

Appassionati di mare, ma soprattutto di squali rallegratevi perché è arrivato anche su Xbox One, PlayStation 4 e Nintendo Switch, Hungry Shark World. Il titolo Ubisoft, nato come videogame mobile, si propone come un divertente passatempo che non richiede grande impegno a livello di continuità, ed è quindi un titolo adatto a chi ha poco tempo per giocare ma non vuole rinunciare a concedersi una breve pausa. Una volta preso in mano il controller, Hungry Shark World si presenta come un arcade vecchio stile, proprio come quelli che spopolavano nelle sale giochi negli anni ’90. Ma partiamo da principio, il videogame di Ubisoft non possiede una trama articolata, ma è una storia appena accennata e serve solo come pretesto per andare avanti nel gioco. Ovviamente in Hungry Shark World si vestono i panni di uno squalo che dovrà accumulare punti mangiando pesci, persone e altre creature marine, ma anche collezionare tesori e compiere missioni. Tutte queste attività sono necessarie per riuscire a liberare altri squali più grandi che una volta salvati potranno essere comandati. Ogni pesce è sempre più grande del suo predecessore, nuota più velocemente e ha un morso più potente, qualità che permetterà di divorare pesci prima impossibili da attaccare e di deglutire prede utilizzando un minor numero di attacchi. Ogni partita di Hungry Shark World è destinata a finire con la dipartita del povero animale in quanto bisognerà tenere sempre d’occhio la barra della vita che, man mano che passa il tempo o si subiranno attacchi, scenderà sempre più in fretta. L’unico modo di restare in vita è divorare tutto ciò che è commestibile evitando predatori più grandi, meduse, pesci velenosi, mine, lava e molti altri pericoli. Il gameplay rimarrà invariato praticamente per tutta la durata del titolo: lo squalo si nutrirà automaticamente della fauna marina più piccola, richiedendo invece la pressione di un tasto per le prede più grosse e sostanziose, mentre tenendo premuto un altro pulsante si attiverà uno scatto per aumentare la velocità o rompere delle barriere che interrompono il cammino (a patto che lo squalo che si sta controllando sia abbastanza grosso). Bene, a questo punto va sottolineato che per quanto si possa esplorare la mappa e per quante ore si passi in mare aperto, il gameplay ne cambierà ne verrà ampliato. In Hungry Shark World l’obbiettivo ultimo (ed unico) di sbloccare quanti più personaggi, mappe e numerosi gear (indumenti che danno bonus aggiuntivi) possibili.

Sul fronte grafico e tecnico il titolo di Ubisoft non delude, infatti è stato fatto un buon lavoro sia sui modelli che sulle texture degli squali protagonisti. Le animazioni sono un po’ scarne, ma non per questo brutte da vedere e il lavoro per adattare il gioco alle console è stato svolto in maniera egregia. Parlando di difetti invece, spesso purtroppo si nota un framerate non esattamente stabile, con qualche scatto di troppo, dei caricamenti davvero lunghi e una ripetitività di fondo dovuta al fatto che il videogame nasce come titolo mobile. La componente audio, invece, non stupisce, ma risulta essere divertente e appagante. Nelle primissime sezioni di gioco le risate saranno davvero molte grazie ai richiami alle colonne sonore ben più note, una su tutti Lo Squalo, o per le urla dei poveri bagnanti pronti per diventare lo spuntino del pesce che si sta controllando. Quindi alla luce di tutto questo, la componente sonora funziona bene e rappresenta uno degli aspetti positivi del software. In conclusione, Hungry Shark World prova fin da subito ad essere un gioco divertente e leggero, proponendo una formula già rodata che ha trovato la sua miniera d’oro su smartphone, e che fortunatamente su console vede eliminate del tutto le microtransazioni. Consapevoli della natura originale del titolo e del potenziale delle attuali console quindi ci sentiamo di consigliarvi Hungry Shark World se avete poco tempo per giocare, se volete un titolo leggero che funzioni da passatempo per voi, i vostri amici o i vostri figli. Se siete alla caccia di videogame a cui dedicare molto tempo ogni giorno, con una trama profonda e che richieda un livello di abilità e concentrazione molto alto, allora vi consigliamo di navigare verso altri lidi.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 9
Longevità: 7
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




Surviving Mars, alla conquista del pianeta rosso

Paradox Interactive ha lanciato Surviving Mars, un videogioco di management strategico che permette ai giocatori di pianificare, costruire e sostenere una colonia sul pianeta rosso. Creato da Haemimont Games, Surviving Mars, sfida i giocatori a sviluppare infrastrutture sostenibili su Marte, inviando una coraggiosa squadra di coloni e aiutando la loro popolazione a sopravvivere e prosperare. Il gioco è disponibile in tutto il mondo su PlayStation 4, Xbox One, Linux, MacOS e PC, ad un prezzo di 39,99 euro. Una volta lanciato il gioco il menù offre due diverse modalità di base: la partenza normale e la partenza facilitata. La prima è la scelta dedicata ai giocatori meno esperti in questo genere di giochi, la seconda invece è dedicata a chi mangia “pane e giochi gestionali”. Optando per la partenza facilitata sarà a disposizione una partita con impostazioni di base fatte apposta per render la vita più semlice a chi gioca. Oltre a questo spicca anche la modalità “New Game” che permette di avviare una partita personalizzando tutti gli aspetti della missione, aumentando o diminuendo il livello di difficoltà. In new game è possibile personalizzare diversi aspetti: scegliere uno sponsor di missione piuttosto che un altro, ad esempio, cambia la quantità di fondi a disposizione variando anche il numero di persone che sono intenzionate a prendere parte alla missione, e così via. Altra importante personalizzazione disponibile è data dal profilo psicologico della missione (ossia il ruolo che ricopre il giocatore), qui si possono scegliere profili in grado di garantire bonus diversi che vanno a variare la difficoltà della sfida. Il politico ha sin da subito una maggiore disponibilità di fondi, mentre il “rocket scientist” ha un secondo razzo gratuito e così via. Sempre dal menù iniziale di Surviving Mars è possibile anche personalizzare il logo della missione e la tipologia delle anomalie che compariranno sul pianeta, ossia delle zone che, una volta studiate con l’attrezzatura adatta, forniscono potenziamenti, nuove tecnologie via discorrendo. Una volta scelto come impostare la propria esperienza di gioco e che tipo di partita affrontare, è il momento di personalizzare il razzo. Marte è un pianeta freddo, duro e inospitale, quindi il primo razzo che toccherà terra sarà completamente privo di equipaggio umano ed avrà il solo scopo di portare sul posto droni e attrezzatura scientifica per preparare il terreno prima dell’arrivo dei coloni. Quello che si sceglie di mettere nel primo razzo, quindi, servirà ad affrontare al meglio il primo approccio con la superficie del pianeta rosso. Una scelta obbligata è comunque quella di spedire con il primo lancio veicoli che permettono di interagire e colonizzare Marte. L’Explorer analizza il terreno marziano e le varie anomalie, il Rover invece serve a caricare i droni e ne funge da centro di comando mentre il Transport, come dice la parola stessa, serve da trasporto per le risorse che magari possono essere ricavate anche in posti molto lontani rispetto alla base. Nella dotazione iniziale del razzo si potrà anche scegliere la quantità di risorse che si deciderà di portare dalla Terra. Anche le sonde orbitali possono essere modificate: con queste è possibile scoprire e scannerizzare immediatamente nuovi quadranti del pianeta. Ovviamente una sonda scansiona un solo quadrante prima di essere distrutta. L’ultima fase da dedicare prima di arrivare su Marte è dedicata al luogo di atterraggio del razzo. Ogni sito ha la sua quantità di risorse disponibili da utilizzare, di montagne e rilievi che possono infastidire e di minacce da affrontare.

E’ possibile anche scegliere un luogo qualsiasi della superficie del pianeta, senza essere per forza legati alle zone predefinite, che però vengono scelte perché hanno già tutto ciò che serve per sviluppare la colonia. Una volta che si è ultimata la personalizzazione della partita, si può entrare nel vivo dell’azione. Prima di procedere all’atterraggio sulla superfice marziana, viene mostrata una griglia di dimensioni 10×10 con un solo esagono disponibile per far atterrare il razzo. Ovviamente se si è scelto di portare i moduli sonda, sarà possibile scannerizzare nuove zone al fine di avere più scelte sulla zona in cui posizionare la base. Sin dai primi istanti di gioco, si viene seguiti da una serie di aiuti pop-up che fungono quasi da tutorial. E’ bene cercare di far tesoro al meglio di questi consigli, perché un vero e proprio tutorial è completamente assente e i comandi sono moltissimi e a volte anche difficili da capire. In Surviving Mars fondamentale è, innanzitutto, come in ogni city-builder che si rispetti, ottenere una fonte di energia; su Marte questo vuol dire pannelli solari o pale eoliche. Inoltre, installare una bella batteria che conserva energia fa sempre bene. Fatto questo, servono piccole piattaforme di ricarica per i droni e cavi elettrici che le colleghino alle fonti di energia. Prima di proseguire alla descrizione e all’utilizzo degli altri edifici è necessario parlare delle risorse. Su Marte ci sarà bisogno di: cemento, metalli, polimeri (serve edificio che converta acqua e combustibile), pezzi di ricambio meccanici (edificio che converte metallo), carburante (edificio che converte acqua) e elementi elettronici (edificio che converte metalli rari). Di queste risorse solo il cemento è estraibile senza l’aiuto di lavoratori umani, ma tutti questi elementi sono anche trasportabili dal pianeta Terra. Oltre a queste risorse ci sono quelle legate alla vita umana: acqua (estraibile da giacimenti o sintetizzabile con macchinari che generano vapore), ossigeno (edificio che converte l’acqua) e cibo (vari edifici che utilizzano principalmente il lavoro umano). Acqua e ossigeno sono producibili anche senza l’aiuto di lavoratori umani. Ora, da questa lunga lista, all’inizio, è il caso di preoccuparsi soltanto dell’acqua, dell’ossigeno e del cemento (risorsa base per costruire qualsiasi cosa). Una volta messa in piedi una struttura in grado di produrre queste risorse-base in buone quantità si può pensare alla fase successiva: l’arrivo dei colonizzatori e il focus su produzioni più avanzate. Per permettere la vita su Marte servono i così detti “dome”, ossia enormi cupole di vetro rinforzato all’interno del quale bisogna far arrivare elettricità, acqua e ossigeno che permettano la vita e il funzionamento degli edifici che saranno costruiti al loro interno: abitazioni, coltivazioni, ristoranti, infermerie, stazioni di polizia, intrattenimenti vari, aziende, centri di ricerca e via discorrendo. In Surviving Mars i “dome” sono abbastanza ampi ma il numero di alloggi è e per ogni dome sarà necessario pianificare minuziosamente sia i tipi di lavoratori che servono, a seconda degli edifici che si costruiscono, sia i tipi di intrattenimento e servizi da installare. L’offerta di Surviving Mars non finisce qui, infatti, combinando attività terrestri con la ricerca sul pianeta Rosso si accumulano punti-ricerca che si possono usare per effettuare a numerosissime scoperte scientifiche suddivise in cinque specializzazioni (biologia, ingegneria, robotica, fisica e società). Queste scoperte sono organizzate in maniera random in ogni partita e questo vuol dire che ogni volta che si gioca ci si troverà con abilità ed edifici differenti a disposizione in momenti diversi del gioco. Da sola questa caratteristica rende Surviving Mars estremamente longevo. Gli edifici e le attività che si possono costruire ed eseguire su Marte sono moltissime e tutte molto interessanti e ben calibrate in quanto a costo di risorse e relativi benefici.

Surviving Mars premia la pianificazione e l’ordine, sia per quanto riguarda la costruzione e l’uso degli spazi, sia per quanto riguarda la gestione umana sulla colonia. Insomma, giocando a colonizzare Marte non si rischia mai di rimanere con le mani in mano. Per quanto riguarda l’audio, uno dei pregi più grandi di Surviving Mars è la colonna sonora, fattore che generalmente lasciata in secondo piano in questo genere di giochi. Invece qui ci si trova dinanzi a una varietà di brani notevole, sempre orecchiabili e mai ripetitivi, distribuiti in cinque diverse stazioni radio con generi musicali molto diversi gli uni dagli altri. Sicuramente una cosa inusuale in un titolo gestionale. Surviving Mars mostra anche il suo ottimo aspetto estetico con texture ben realizzate ed effetti speciali molto caratteristici. La polvere rossa, tipica del pianeta, è sempre presente e ricoprirà presto gli edifici indicando il livello di manutenzione necessaria, ma anche i dettagli delle strutture e dei colonizzatori sono ottimi e abbondanti. La visuale zoomabile e ruotabile, poi, rende possibile l’arrivare a osservare da vicino i colonizzatori in ogni momento della giornata per vedere che cosa stanno facendo e come procede la loro permanenza sul pianeta Rosso. Surviving Mars è un titolo che fa della longevità il suo punto di forza nonostante manchi un comparto multiplayer. Costruire una colonia di una certa rilevanza su Marte può richiedere decine di ore di gioco e l’esperienza è assolutamente rigiocabile grazie alle diverse zone, ai livelli di difficoltà, alla ricerca randomizzata, al diverso pool di colonizzatori, ai disastri e ai misteri. Ma l’esperienza non è solo longeva, è anche divertente, interessante e stimolante; le ore scorrono veloci e ci si ritrova impegnati in sessioni in cui si perde completamente il senso del tempo e l’unica cosa che ha importanza è ottenere quel flusso di risorse che tanto serve o stabilizzare quei colonizzatori problematici. Tirando le somme, Surviving Mars è un city-builder realizzato con una passione e una cura talmente evidenti che smettere di giocare per tornare alla vita quotidiana quasi dispiace. La difficoltà comunque abbastanza elevata e il tempo necessario per vedere i primi risultati concreti fanno di questo titolo un gioco non per tutti. Chi desidera azione pura e adrenalina è meglio che navighi verso altri lidi. Chi invece cerca un’esperienza rilassante, appagante e che necessita di molto tempo a disposizione da dedicare, troverà in surviving Mars un piccolo e originale capolavoro.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 7
Longevità: 9
VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise