Dragon Ball FighterZ, il nuovo picchiaduro ispirato all’universo di Akira Toriyama

Finalmente Dragon Ball FighterZ, il picchiaduro bidimensionale ispirato all’universo del manga e degli anime di Akira Toriyama è disponibile su Pc, PS4 ed Xbox One. Da tempo i fan più sfegatati della serie aspettavano un titolo come questo e l’attesa è stata ampiamente ripagata grazie alle potenzialità di questo splendido prodotto. Ma veniamo al dunque. Dragon Ball FighterZ potrebbe essere a tutti gli effetti il miglior gioco di lotta dedicato alla serie in quanto, diversamente per quanto è avvenuto in passato, il lavoro svolto da Arc System Works per Bandai Namco è stato supervisionato dallo stesso Toriyama che per chi avesse bisogno di un paragone è come se George Lucas avesse supervisionato i lavori di un videogame dedicato a Guerre Stellari. Forte di questo fattore fondamentale Dragon Ball FighterZ si presenta agli occhi degli appassionati come un picchiaduro a duelli con team da tre personaggi ciascuno dove l’aspetto della squadra è tutt’altro che da sottovalutare viste le caratteristiche molto differenti del combat system dei lottatori. Avere un perfetto mix di caratteristiche diverse, consentirà a chi sta dinanzi lo schermo di essere sempre pronto ad affrontare il nemico di turno con gli strumenti migliori e le tecniche più devastanti. Una volta avviato il gioco, il personaggio verrà catapultato in un’area dove controllerà un mini avatar che potrà essere mosso in lungo e in largo per scegliere che cosa fare. Senza ombra di dubbio, dopo aver svolto le sessioni di tutorial, la modalità con cui consigliamo di iniziare a giocare con Dragon Ball FighterZ è indubbiamente la storia sia per la difficoltà che cresce in modo adeguato, sia per sbloccare vari elementi utilizzabili poi anche altrove. Il fulcro della storia è un personaggio inedito e realizzato sempre da Toriyama: Androide 21. Si tratta di una misteriosa scienziata che possiede le stesse conoscenze della persona che ha creato gli Androidi nel manga, ossia il perfido Dottor Gelo. Purtroppo la modalità storia di Dragon Ball Fighter Z non brilla per originalità o per trama, ma comunque rappresenta un’esperienza da fare per comprendere al meglio le meccaniche di gioco e lottare con grinta negli scontri futuri. Le vicende narrate metteranno chi gioca dinanzi all’invasione di cloni ombra che hanno preso le sembianze di tutti i più noti combattenti: tra questi vi saranno anche alcuni antagonisti storici, come Freezer, Cell, Kid Buu e l’Androide numero 16. A mettere la Terra in pericolo stavolta sarà quindi il già citato Androide 21, intenzionato a raggiungere la forma perfetta divorando i lottatori dopo averli trasformati in dolcetti. In pratica possiamo dire che 21 ha lo stesso scopo di Cell ma assorbe i nemici come Bu. Per contrastare tale forza, Goku, Crilin, Piccolo, Vegeta e gli altri Guerrieri Z si dovranno affidare a una strana forza che riesce a parlare con loro e allo stesso tempo restituire loro la forza che è stata sottratta dopo la comparsa dei cloni. Questa forza non è altro che il giocatore, tale feature dà vita a un’espediente ludico attraverso il quale chi sta dinanzi lo schermo potrà comandare gli eroi in battaglia, creando una sorta di connessione magica e giustificando, così, il battle system.

Sul cammino di chi affronterà la storia di Dragon Ball FighterZ bisognerà liberare i compagni di battaglia salvandoli da alcune situazioni spiacevoli, ma allo stesso tempo affrontare numerose battaglie contro i cloni di cui sopra, tutte purtroppo numerose e ripetitive. Tutti gli scontri sono suddivisi in tre diverse categorie: le battaglie tutorial, che come suggerisce lo stesso nome accompagneranno i giocatori attraverso delle mosse guidate che serviranno ad apprendere al meglio le meccaniche del titolo, le battaglie normali, che permetteranno di ottenere soltanto punti esperienza in più, e infine le battaglie boss, che saranno i fondamentali bivi per procedere verso il capitolo successivo. La criticità della modalità storia è che le mappe proposte per ogni capitolo hanno numerosi snodi che conducono attraverso battaglie che col tempo diventano sempre più ripetitive e che rappresenteranno soltanto un intralcio al boss di quel determinato capitolo. Farmare per accaparrare crediti Zeni e punti esperienza potrà anche essere una soluzione, ma Dragon Ball FighterZ è un picchiaduro che consentirà di fronteggiare l’ostacolo a prescindere da quanti nemici si siano affrontati in precedenza. Inoltre la difficoltà iniziale rappresentata dal mancato recover dei punti salute dopo una battaglia viene facilmente aggirata da quelli che sono i punti abilità, sbloccati casualmente dopo una sfida, e che sbloccheranno alcuni perk passivi che colmeranno ogni possibile gap con gli avversari, di livello superiore. Gli archi narrativi lungo i quali si snoda lo story mode di Dragon Ball FighterZ sono tre in totale: ognuno di essi ha una durata di circa 5 ore, con un totale di 15 ore di single player, che per quanto possano sembrare molte, risulteranno decisamente ripetitive. Nel corso dei vari archi si andranno ad aggiungere vari dettagli allo scenario, con i tre archi che però non si intrecceranno mai, fino a scoprire tutto ciò che si cela dietro l’Androide numero 21 e chiaramente perfezionando l’utilizzo di gran parte dei personaggi della rosa a disposizione. Dopo lo story mode ci si potrà sbizzarrire in modalità online e offline che potranno aumentare all’infinito la longevità del titolo visto che le variazioni sul tema sono veramente tante ed il combat system risulta essere facilmente digeribile sia per i novellini ma al tempo stesso appagante per i cultori del genere, risultando così un prodotto capace di essere appetibile veramente per tutti i palati. Sarà possibile partecipare al classico torneo, svolgere combattimenti singoli, incontri in multiplayer classificati e giocare a una modalità che prevede 3, 5 o 7 scontri che daranno la possibilità di sbloccare gustose ricompense se finite in modalità difficile con un giudizio pari almeno ad A. Il sistema di combattimento di Dragon Ball FighterZ vanta diversi livelli di profondità ed è in grado di adattarsi a ogni tipologia di giocatore. I meno esperti possono affidarsi alle semplici combo Z o alle varianti proposte dalle Sfide di ogni personaggio. Quelle, unite a una gestione caotica degli assist e all’abuso delle mosse speciali anche dalla lunga distanza, bastano per garantire tanto divertimento ai principianti con il medesimo grado di esperienza. Con qualche ora di pratica nella modalità allenamento, però, si capisce che il gioco offre molto di più.

Usando con attenzione tutti gli elementi proposti dagli sviluppatori si possono realizzare combo complesse, articolate e dai tempismi anche molto stretti. Per eseguirle è necessaria una gestione attenta delle barre, a cui sono associati i teletrasporti, le versioni potenziate delle mosse speciali e le devastanti Super, più o meno potenti a seconda del numero di indicatori consumati per eseguirle. Per ottenere risultati davvero degni di nota, però, è indispensabile creare una squadra bilanciata, i cui personaggi possono lavorare insieme in modo impeccabile. Ogni lottatore ha caratteristiche uniche e offre il meglio in situazioni ben precise delle battaglie. Combattenti come Androide 18 o Freezer sono perfetti per iniziare il duello e caricare le barre per i compagni, grazie a una serie di elementi utili per mantenere alta la pressione sfruttando gli assist della squadra. Altri personaggi vantano assist utili per prolungare le combo o per impedire all’avversario di continuare ad attaccare senza sosta. Altri ancora possono causare danni mostruosi bruciando un gran numero di barre, motivo per cui è consigliabile farli entrare nelle fasi finali della battaglia. Gli elementi da tenere in considerazione per creare la squadra perfetta sono tanti e grazie alla modalità Allenamento si potranno passare ore e ore a sperimentare soluzioni sempre nuove e devastanti per diventare un combattente difficile da battere. La meccanica più interessante e innovativa legata a questo Dragon Ball FighterZ è indubbiamente quella legata all’evocazione del Drago Shenron. Durante ogni combattimento è possibile sbloccare le sette Sfere del Drago per ottenere benefici durante il combattimento, ossia: la resurrezione di un alleato morto, l’invincibilità per qualche secondo, il recupero dell’energia o il pieno di carica. Le sfere potranno essere trovate eseguendo particolari combo in serie o eseguendo un tot numero di colpi in sequenza. Parlando invece dell’aspetto prettamente estetico e del loot system, c’è da dire che oltre alle ricompense per il completamento, ogni modalità premia con una quantità variabile di Zeni. Investendola al negozio per l’acquisto di Capsule Z si sbloccano colori per i personaggi, avatar da sfoggiare nella sala d’attesa, adesivi e titoli di ogni tipo. Tutto questo rappresenta una simpatica spinta in più per continuare a lottare e farà la gioia dei completisti che vorranno accaparrarsi tutto. Aprendo le capsule acquistate al negozio se si dovesse trovare due volte lo stesso oggetto, al suo posto si riceverà una Moneta Z Premium, un altro tipo di valuta che una volta accumulata garantisce l’accesso a ricompense più rare. La quantità di elementi da sbloccare è altissima e per accumulare Zeni e monete Z Premium si deve giocare davvero molto a lungo: il titolo è però abbastanza generoso e ci non si sente mai totalmente insoddisfatti delle ricompense ottenute.

Dal punto di vista tecnico, invece, al di là di un doppiaggio in lingua originale che esalta la qualità del prodotto, la finezza dei fondali, che hanno un movimento sempre gradevole e che si prestano a una distruzione quasi totale, la resa artistica è la parte migliore di tutto Dragon Ball FighterZ. I disegni, rigorosamente riproposti così come il disegno di Toriyama, hanno il pregio di mostrare la parte migliore del lavoro svolto. Il 2.5D realizzato da Arc System Works si fregia dei 1080p a 60fps, offrendo una rapidità d’azione che è unica e che non vi stancherà in nessuna delle animazioni, tantomeno nella realizzazione delle super, sempre gradevoli da guardare. Dal punto di vista di combattenti ce ne sono subito a disposizione 21 e altri 3 saranno sbloccabili a patto di rispettare determinate condizioni. Purtroppo, a nostro avviso, da questo punto di vista poteva essere fatto qualcosa in più. L’assenza di personaggi come l’androide 17, il dottor Gelo, Goten, Trunks bambino, Videl, Great Sayaman, Darbula e molti altri ancora fa storcere davvero il naso. Un vero peccato se si pensa che il prodotto finale è senza ombra di dubbio uno se non il migliore mai uscito in relazione alla saga di Akira Toriyama. Tirando le somme, lasciarsi sfuggire questo Dragon Ball FighterZ sarebbe davvero un errore. La sua natura è in grado di appagare sia gli appassionati del genere che i giocatori alle prime armi garantendo sempre un altissimo tasso di divertimento e di sfida. Se siete fan di Dragon Ball o semplicemente siete alla ricerca di un picchiaduro bello, fluido e avvincente, Dragon Ball FighterZ è senza ombra di dubbio ciò che fa per voi.

 

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Sonoro: 9
Gameplay: 9
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




PlayerUnknown’s Battlegrounds: su cento giocatori vince l’unico che resta vivo

PlayerUnknown’s Battleground nasce da un’idea semplice quanto geniale. Il videogame, forte dell’incredibile successo ottenuto su PC dove ha battuto ogni tipo di record su Steam per numero di giocatori connessi contemporaneamente e per numero di download, è approdato anche su console, in esclusiva su Xbox One. La formula scelta per l’approdo sulla console di casa Microsoft è quella dell’anteprima. In pratica si mette in evidenza come il gioco non sia stato ancora completato e sia ancora work in progress ma la mania per PlayerUnknown’s Battlegrounds è così forte in questo periodo che a soli pochissimi giorni dall’uscita, il titolo ha fatto segnare vendite milionarie solo per quanto riguarda la versione di casa Microsoft. Ma veniamo al sodo: PlayerUnknown’s Battlegrounds non è un gioco che si compra per il suo comparto narrativo e neppure per l’aspetto tecnico che, al momento e persino su Xbox One X, soffre di svariate problematiche. E’ un titolo che però riesce a coinvolgere innumerevoli giocatori per le sue meccaniche tanto semplici quanto complesse. Per gli appassionati di cinema il modello di gioco ricorda un po’ il film Hunger Games dove un gruppo di persone con solo i vestiti indosso devono recuperare armamenti e armature in un macabro gioco a eliminazione che vedrà vincere solo l’ultima persona rimasta in vita. Nello specifico, la modalità principale di PlayerUnknown’s Battlegrounds, quella che lo ha reso un fenomeno di massa, vede 100 giocatori paracadutarsi su un’isola dove completamente privi di qualsiasi arma ed equipaggiamento devono iniziare procacciarsi le attrezzature necessarie per l’unico vero importante obiettivo: rimanere l’unico sopravvissuto dell’isola. Inizialmente l’area di gioco è molto vasta e le fasi iniziali sono principalmente dedicate a trovare l’equipaggiamento. Poi pian piano, il gioco tende a ridurre le distanze riducendo l’area di gioco verso la quale i giocatori dovranno dirigersi e rendere così obbligati gli scontri a fuoco. Il gameplay di PlayerUnknown’s Battlegrounds può dirsi votato ad un certo realismo anche se purtroppo al momento la precisione è minata da un caricamento delle texture, a inizio partita, molto fastidioso e da una poca precisione del sistema di armamento. Ricordiamo però che essendo un gioco work in progress, il team di sviluppo rilascia molto spesso aggiornamenti che sono studiati per rendere il titolo sempre più fluido e prestante. Avviato il matchmaking, la banda dei 100 “killer disperati” sarà catapultata in una lobby pre partita, a seconda della tipologia di gioco selezionata si potrà partecipare in uno scontro tutti contro tutti, in una modalità composta esclusivamente da squadre da due giocatori o da quattro giocatori.

https://www.youtube.com/watch?v=m0Tnp-3W3z4

Saliti su un aereo bisognerà decidere quando e soprattutto in che punto paracadutarsi. Una scelta di vitale importanza considerando che, quanto si toccherà il suolo, l’inventario di ogni sarà completamente vuoto e sarà necessario armarsi prima degli altri. La prima cosa da fare sarà quindi andare alla ricerca di qualsiasi tipologia di armamento, accessorio, munizione, risorse, granate e parti di equipaggiamento, elementi che saranno generati in modo del tutto casuale all’interno di edifici e strutture a ogni match. Da non sottovalutare inoltre l’importanza di reperire un mezzo di trasporto indispensabile per spostarsi velocemente, sebbene il rombo dei motori potrebbe destare l’attenzione di qualcuno e rendere il giocatore un facile bersaglio di cecchini o imboscate. Come già accennato, poi, ad intervalli regolari e sempre con un sistema casuale la mappa si “restringerà” dando vita alla “Safe Zone”, una vera e propria area di sicurezza fuori dalla quale i giocatori subiranno danni sempre più ingenti. Raggiungerla velocemente è quindi di vitale importanza se si vuole provare ad essere i vincitori. In tutto questo non bisogna però dimenticarsi che, con il passare del tempo, l’area diventerà sempre più piccola e tutti i giocatori presenti convergeranno in quel punto: gli scontri diventeranno quindi sempre più frequenti ed essere equipaggiati al meglio è indispensabile per sopravvivere. A complicare il tutto, entrano in gioco anche le “Red Zone”, generate sempre in modo casuale, ossia aree in cui pioveranno dal cielo colpi di mortaio che, salvo il mettersi al riparo in una casa, potrebbero uccidere istantaneamente tutti i giocatori che in quel momento si trovano nel loro interno. PlayerUnknown’s Battlegrounds è un gioco molto più profondo e adrenalinico di quello che si può pensare, bisognerà sempre prestare attenzione a qualunque cosa, udire il più piccolo dei rumori ed entrare negli edifici con circospezione in quanto qualcuno potrebbe spuntar fuori sparando all’impazzata dall’angolo più buio della struttura. Il bello di questo titolo risiede soprattutto nel fatto che ogni partita che si gioca sarà differente sia a livello di tattiche da attuare che di armi da utilizzare. Il giocatore dovrà essere in grado di improvvisare, adeguarsi e cambiare stile di gioco in base alla situazione e all’equipaggiamento.

L’obiettivo finale della partita non cambia mai: per vincere bisogna essere l’unico superstite o l’unica squadra a restare in vita, ma il modo in cui si arriverà alla vittoria sarà sempre differente. In PlayerUnknown’s Battlegrounds ognuno sarà libero di scegliere il proprio metodo di approccio alla partita che comunque avrà sempre dei pro e dei contro. A inizio match, ad esempio, bisognerà scegliere quando e soprattutto in che punto della mappa paracadutarsi. Arrivare in una zona in cui edifici e strutture non mancano è indubbiamente una buona scelta. Sarà infatti maggiore la possibilità di trovare un numero più consistente e vario di equipaggiamenti ma l’area sarà di sicuro popolata da molti altri giocatori e lo scontro sarà inevitabile. Paracadutandosi invece in un luogo più isolato bisognerà invece accontentarsi di quello che si trova ma si avrà sicuramente più tempo per organizzarsi al meglio. L’inventario poi non è illimitato e solo trovando ed indossando zaini di livelli superiori si potrà aumentarne la capienza. Non si potrà quindi raccogliere tutto ma sarà necessario prendere solo armi, munizioni compatibili, kit medici, bendaggi, bevande energetiche e gli accessori che si riterranno più utili. Differentemente da altri Videogame del genere Battle Royale, in PlayerUnknown’s Battlegrounds non esiste un sistema di crafting: non si potranno creare armi o strutture difensive, ma si potranno migliorare le bocche di fuoco. Si troveranno mirini, caricatori aumentati, silenziatori e altri accessori che potranno essere montati su pistole, mitra fucili, fucili d’assalto e fucili a pompa rendendoli di fatto più performanti e anche potenti. Il bello del titolo risiede nel fatto che in ogni partita si ricomincia sempre da capo, tutti i giocatori sono allo stesso livello e non hanno alcun tipo di vantaggio dovuto all’esperienza accumulata in partite precedenti o tramite perk o carte acquistabili e tale meccanismo rende PlayerUnknown’s Battlegrounds un titolo adatto anche per l’utenza occasionale. Non importa quante partite si sono già giocate e quante se ne sono vinte, all’inizio del match si avrà sempre l’inventario vuoto e si potrà contare solo sulla corsa, sul poter tirare pugni, scavalcare muri e saltare, proprio come per gli altri 99 giocatori. Sicuramente l’aver disputato più partite garantirà una maggiore padronanza del sistema di controllo, del gunplay e delle meccaniche di gioco ma l’esito della partita dipenderà solo dalla bravura ad improvvisare e al sapersi adeguare alla situazione di quel determinato match.

Come già annunciato, sulla famiglia Xbox One il titolo è nato in versione Game Preview, di conseguenza non è un gioco completo. Va poi sottolineato che PlayerUnknown’s Battlegrounds, tecnicamente e a livello di prestazioni, non ha mai brillato neppure nell’Accesso Anticipato di Steam. Dopo questa dovuta precisazione, bisogna però sottolineare che i 30 fps stabili, soprattutto ad inizio partita, sono un miraggio lontano su entrambe le piattaforme di casa Microsoft, la situazione però migliora leggermente con il passare del tempo. Su Xbox One X i cali di frame rate si percepiscono in modo meno violento che sul modello S, nonostante siano comunque presenti soprattutto nei momenti più frenetici: scontri con gli altri giocatori e in zone con una vegetazione folta. PlayerUnknown’s Battlegrounds gira a 1080p su Xbox One e in 4K su One X; le texture in game, però, sono tutte in bassa risoluzione e sulla console Flat i problemi non mancano con vari fenomeni di pop up, stutter e pop in. Su Xbox One X l’aspetto del titolo è nettamente superiore. Un livello di dettaglio molto più alto, un campo visivo ampliato, sia in termini di qualità che distanza, e i fenomeni che si verificano sulla prima Xbox One S sono decisamente minori o assenti. Tirando le somme, visto anche il prezzo invitante rispetto ad altri titoli (29,99 euro) acquistare PlayerUnknown Battleground’s è assolutamente consigliato. Il team di sviluppo aggiorna molto spesso il titolo e, visto il successo ottenuto al lancio, il gran numero di giocatori che lo hanno acquistato e che continuano a giocarci, tutto questo fa ben sperare sulle intenzioni degli sviluppatori nel migliorare il gioco fino a renderlo perfetto. Giocare a PlayerUnknown’s Battlegrounds è un turbine di adrenalina e tensione, è un’esperienza indimenticabile che, anche nel caso in cui si perda, è sempre appagante e fa venire sempre voglia di mettersi alla prova ancora e ancora. Se avete voglia di provare qualcosa di nuovo e siete possessori di una delle console di casa Microsoft, questo videogame vi terrà incollati per centinaia di ore sia in singolo che con i vostri amici.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8
Sonoro: 9,5
Gameplay: 8,5
Longevità: 10

VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




MotoGP 2017, tutti in sella con il videogame ufficiale del Motomondiale

Amanti del motociclismo e del gaming è finalmente giunto il vostro momento. Anche quest’anno infatti l’italianissima Milestone porta su Pc, Ps4 e Xbox One il videogioco ufficiale dedicato al motomondiale ossia: Moto GP 2017. Con questo nuovo titolo la software house tricolore non si discosta dai precedenti episodi per quanto riguarda le classiche modalità di gioco, che ovviamente sono incentrate sulla stagione 2017. Con a disposizione tutti i piloti, le moto, le piste e anche 70 campioni storici appartenenti alle diverse classi 4 tempi e 2 tempi, ci si può lanciare nella modalità Carriera cominciando dalla novità di quest’anno, ossia la Red Bull Rookies Cup. Qui si possono acquisire la giusta esperienza per poter salire sino alla categoria più ambita, che è ovviamente la MotoGP. Modalità Carriera a parte, si potrà comunque spezzare il ritmo affrontando i Gran Premi con vecchie moto a due e quattro tempi che rappresenteranno un divertente espediente per ricordare le gare di altri tempi. Ma attenzione, per poter vivere tali ricordi sarà necessario sudarseli per cui, mentre il più recente Valentino Rossi è da subito disponibile, il primissimo “Dottore” dell’Aprilia RS125 va sbloccato a suon di vittorie.

Nel gioco non è presente un tutorial, ma una corposa sezione di modalità per gare veloci permette ai giocatori di mettersi alla prova selezionando tra Gran Premio, Campionato, Prova Cronometrata e Schermo Condiviso. Detto questo, una volta avviato MotoGP 2017 il menu principale presenta diverse opzioni fra cui spicca: una campagna single-player molto corposa che offre come novità assoluta la modalità Carriera Manageriale, dove si potrà creare e gestire un team MotoGP con tutte le variabili e le problematiche tecnico-commerciali che ne conseguono. L’obiettivo come Team Manager è arrivare alla classe MotoGP partendo dalla Moto3, e ovviamente non sarà una passeggiata. Per raggiungere questo risultato, infatti, servirà selezionare correttamente non solo i piloti ma anche tutto lo staff che dovrà supportarli. Quindi serviranno ingegneri, tecnici, massaggiatori, cuochi, esperti di marketing e soprattutto i risultati. Solo con vittorie e crediti guadagnati sarà possibile migliorare il team e attirare gli sponsor che aiuteranno finanziariamente la scuderia scelta a raggiungere l’obbiettivo principale. Questa modalità è molto articolata, perché non si basa solo e soltanto sulle corse ma sul gestire la vita dei propri piloti in gara e fuori, il che significa curare la loro salute fisica e la loro immagine anche con campagne marketing e di social PR, inserendo così nel titolo una componente RPG del tutto nuova ed interessante. Qualsiasi modalità di gioco si scelga, MotoGP 2017 risulta subito familiare a chi ha già avuto a che fare con gli ultimi giochi Milestone dedicati alla categoria.

Purtroppo il titolo è ancora basato sul vecchio motore grafico della software house, quindi, mentre sicuramente le motociclette hanno un livello di dettaglio migliorato, ci sono problemi con i tracciati che presentano colori troppo piatti e omogenei. I fondali, le aree che costeggiano le piste ed il pubblico sono uniformi, mancano di dettagli e sono poco credibili. Insomma, tutti quegli effetti realistici e grafici che servono a disegnare tracciati e scenari moderni e credibili sono assenti. La gara non ha quindi lo stesso impatto che ci si aspetterebbe e lo spettacolo non è completo se paragonato ai videogiochi, soprattutto di auto, attualmente in circolazione. Nonostante, dal punto di vista grafico, sembri di giocare a un titolo non molto recente, dove Milestone ha fatto centro con il suo nuovo MotoGP 2017 è sicuramente con il frame rate che resta sempre inchiodato sui 60 fps rendendo l’azione sullo schermo fluida ed estremamente godibile. La fisica, poi, è di buon livello quando si parla di impostazione delle traiettorie e reazione del mezzo a sollecitazioni o piccole collisioni, quello che si vede sullo schermo è assolutamente realistico. Una volta tolti gli aiuti, la differenza tra una dura Ducati e le più agili scuderie nipponiche è decisamente percettibile nella governabilità del mezzo. L’intelligenza artificiale, poi, risulta decisamente migliorata in linea generale rispetto a quanto visto in passato e questo fa sì che il gameplay possa offrire un livello di sfida buono. In MotoGP 2017 per quanto riguarda le personalizzazioni di pilota e mezzi è stato fatto veramente un lavoro eccezionale. I dettagli sono molto soddisfacenti, sia per quanto riguarda le silhouette dei piloti famosi, che per ciò che concerne le personalizzazioni degli accessori e delle livree delle moto. Sicuramente l’accordo di licenza siglato con Dorna Sports, titolare di molti diritti della MotoGP, ha portato all’interno del gioco la possibilità di utilizzare un’infinità di sponsor ufficiali. Ma il lavoro di Milestone sul nuovo MotoGP 2017 non finisce qui, infatti, nuove ed originali campionature dei motori delle moto rappresentano un passo importante nel creare la giusta atmosfera di gara, facendo leva sulle emozioni che possono creare i differenti ruggiti che si possono ben distinguere quando si cambia moto. Per quanto riguarda il multigiocatore, MotoGP 2017 offre la Stagione Co-Op, dove bisognerà gareggiare privatamente solo con gli amici, oppure le classiche modalità Gran Premio e Campionato in cui si potrà creare una partita privata o lanciarsi nel matchmaking e affrontare giocatori da ogni parte del globo. Tirando le somme, con questo MotoGP 2017 Milestone ha fatto centro a metà, infatti nonostante l’aspetto grafico piuttosto deludente rispetto ad altri titoli racing attualmente in commercio, il gioco riesce a divertire parecchio grazie ai 60 fps a un’intelligenza artificiale nel complesso buona e alle tante possibilità di gioco offerte. Se a quanto detto si aggiungono una grandissima varietà di personalizzazioni e la profondità della nuova modalità carriera, si può sinceramente dire che, a patto di essere veramente appassionati di motociclismo, MotoGP 2017 è un acquisto davvero obbligatorio.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 6,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 7,5
Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

 

Francesco Pellegrino Lise




MXGP 3: fango, salti e corse realistiche nel nuovo titolo di motocross per Pc e console

Se quello che volete sono fango, copertoni, salti incredibili e corse fuoristrada mozzafiato, Milestone ha quello che fa per voi. L’italianissima software house ha infatti lanciato su Pc, PS4 e Xbox One l’incredibile MXGP 3, videogame tutto dedicato all’intrigante quanto spericolato mondo del motocross. L’aspetto più interessante di questo titolo è senza dubbio il bellissimo comparto grafico che merita di essere descritto subito. Tale passo avanti rispetto al suo predecessore è stato possibile grazie all’impiego dell’Unreal Engine 4, favoloso motore grafico che da oltre un anno faceva sospirare i giocatori dei titoli Milestone per il mancato impiego nelle precedenti produzioni, e che finalmente esordisce con un gioco che sembra fatto apposta per mostrarne la potenza e porre delle solide basi per tutto quello che potrebbe significare nei prossimi anni con i capitoli futuri. Lo sforzo congiunto di Milestone ed Epic ha infatti portato alla realizzazione di un comparto grafico da urlo che offre una modellazione di moto, piloti e ambientazioni che lascia letteralmente a bocca aperta, soprattutto sfruttando la visuale dal casco, a nostro avviso la più riuscita e immersiva tra quelle disponibili in MGXP 3. A rendere ancor più convincente l’effetto globale è la deformazione del terreno man mano che le moto vi passano sopra, che si differenzia notevolmente in funzione delle condizioni meteo, così come gli effetti particellari e luminosi, che si rivelano sempre assolutamente convincenti. Il tutto avviene con una fluidità più che accettabile, anche se il frame rate è ancorato sui 30 fps, scelta probabilmente dettata dalla prudenza dell’esordio con il nuovo motore grafico. L’attenzione alla componente fisica Physx, fondamenta dall’utilizzo dell’Unreal Engine 4, è stata in grado di restituire una resa molto più coerente dell’azione della moto rispetto al passato. Aprire completamente l’acceleratore subito dopo l’uscita da una curva lenta non è una soluzione possibile, perché porterebbe a cadere a terra dopo poco tempo. Dosare, aprire il gas in curva per raddrizzare la posizione, spostare il peso del corpo per aderire meglio al tracciato, sono azioni che si incastrano nel modello di guida facendole diventare necessarie ed efficaci se si vuole arrivare al primo posto.

Anche il sonoro è stato rivoluzionato traendo vantaggio dalle novità del comparto tecnico: i ruggiti delle moto, che siano a 2 o 4 tempi, sono stati riprodotti con il metodo procedurale sulla base di campionamenti, e va detto che l’effetto si rivela davvero convincente. Tra le modalità per il singolo giocatore, quella che spicca per quantità di contenuti in MXGP 3 è senza ombra di dubbio la carriera. Il focus è incentrato sulla figura del pilota, tanto che la prima attività da fare sarà proprio creare l’alter ego virtuale con nome e abbigliamento dedicato, scegliendo tra le molteplici opzioni a disposizione. A cavallo delle due categorie principe, MXGP e MX2, partendo come aspiranti campioni dalla seconda, sarà possibile interpretare il ruolo di piloti di una propria squadra personalizzata oppure di una ufficiale. Nel caso in cui ci si trovasse nella prima situazione, sarà premura di chi gioca scegliere la moto, potenziarla con i crediti guadagnati partita dopo partita e affidarsi a degli sponsor. Avendo invece a che fare con la seconda situazione bisognerà semplicemente dare il massimo in pista. Sarà possibile cambiare qualora una squadra dovesse raggiungere un determinato livello d’interesse in seguito alle performance in gara, allora si potrà scegliere se continuare con il team originale, o passare a uno ufficiale, oppure cambiare sponsor. Tutto scorrerà via liscio, senza intoppi vari, con una progressione di questa parte “manageriale” molto semplificata: forse troppo poco coinvolgente da una parte, ma che dall’altra parte avrà il pregio di far dedicare anima e corpo alle corse. Continuando a battere la strada dei contenuti presenti in MXGP 3, sono presenti anche la modalità campionato, gran premio, time attack e infine la Monster Energy Fim MXON. Se le prime sono immediatamente comprensibili, l’ultima consiste in una sfida a nazioni, con l’unico obiettivo di mettere a confronto i migliori piloti della scena internazionale. Nessuna di queste è in grado di eguagliare le potenzialità della sopra descritta carriera, ma permette comunque di affondare le ruote dell’asfalto in men che non si dica, mettendo i giocatori continuamente alla prova secondo le modalità che sceglieranno di volta in volta. Per impratichirsi con le varie tecniche, è anche possibile sfruttare la modalità solitaria Compound, dove ci sarà a disposizione un intero circuito e si potrà percorrerlo come si vuole, senza alcun tipo di limitazione. In MXGP 3 è presente anche la possibilità di sfidare altri giocatori in gare multiplayer online, anche se attualmente la poca presenza di persone sui server fa affrontare partite poco popolate e spesso interrotte per disconnessione dall’host. Tirando le somme, nonostante il titolo appartenga a una categoria poco seguita rispetto a tante altre, MXGP 3 rappresenta veramente un bel titolo, capace di emozionare e di far apprezzare anche ai neofiti la bellezza di uno degli sport più spericolati al mondo.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5
Sonoro: 8
Gameplay: 8
Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

 

Francesco Pellegrino Lise




L.A. Noire, il poliziesco di Rockstar games torna su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch

Nel maggio del 2011 con L.A. Noire, Rockstar Games lanciò sul mercato un prodotto originale, un titolo d’investigazione dalle tinte free roaming e con qualche pennellata action, ambientato nella Los Angeles del 1947. Il videogame, nonostante la sua natura originale, vendette poco per gli standard di Rockstar, azienda che ricordiamo con prodotti come GTA e Red Dead Redemption ha conquistato milioni di giocatori in tutto il mondo, ma fortunatamente ha poi ottenuto una “gloria postuma” sufficiente a garantirgli una riedizione sull’attuale generazione di console. In questa riedizione di L.A. Noire.

I giocatori si troveranno a vestire nuovamente i panni di un uomo di nome Cole Phelps. Egli è uno dei tanti militari che ha combattuto contro i giapponesi sul fronte del Pacifico durante la seconda guerra mondiale. Al congedo, Phelps ha cercato di lasciarsi alle spalle quel terribile trauma intraprendendo una carriera in polizia e soprattutto cercando di compiere sempre il proprio dovere in maniera zelante. Dalla fase di semplice agente di pattuglia, che funge da tutorial, fino ad approdare alla sezione investigativa, il talento del protagonista emerge con prepotenza e le promozioni arrivano senza grossi intoppi. Tutto bene fino a quando l’ingerenza del dipartimento e il suo passato bellico non torneranno a rovinargli una serenità costruita con fatica e sacrificio. Con questi presupposti L.A. Noire propone una trama sensazionale, profonda, ben scritta e assolutamente coinvolgente che non vogliamo assolutamente svelare per evitare di rovinare l’esperienza di gioco a chi non ha mai provato la versione 2011. Durante la storia Phelps occupa il presente nel portare a galla il marcio della Los Angeles anni ‘40, mentre si scopriranno i suoi trascorsi come militare attraverso alcuni flashback dalla fotografia verdognola che appariranno fra un evento e l’altro della storia.

Attraverso questi ricordi si scoprirà ben presto il tormento del protagonista, nascosto in perfetto stile noir sotto il suo inflessibile senso della giustizia. In sostanza, la trama del gioco non cerca la linea netta tra bene e male, piuttosto invita le persone a riflettere su come il vizio e la depravazione possano tristemente colpire chiunque segnandolo per sempre. Lo stile proposto è quello tipico dei giochi targati Rockstar: graffiante ma non moralista, in ogni momento cerca di fare ironia tanto nei dialoghi quanto visivamente. La sceneggiatura inserisce nel suo 1947 gli echi dei nostri tempi, con dialoghi caustici su politica, guerra, vizio, corruzione, ipocrisia e chi vuole usare la giustizia per i propri scopi. Oltre ai casi che compongono la storia principale, ossia ventuno, questa edizione rimasterizzata per Xbox One, PlayStation 4 e Nintendo Switch ovviamente propone tutti i contenuti pubblicati in digitale, dagli abiti extra ai cinque casi aggiuntivi, che hanno la funzione di far capire meglio alcuni retroscena della storia del detective Phelps. Volendo classificare L.A. Noire, si può posizionare a metà fra un action poliziesco e un’avventura grafica. Phelps infatti non è una sorta di super-poliziotto tutto sparatorie e lampi di genio, ma è una persona comune, razionale, ma dallo spiccato intuito che indaga, esamina, interroga e deduce. E proprio questo è quello che si dovrà fare per buona parte del gameplay. Ogni caso che viene assegnato al protagonista di L.A. Noire si svolgerà secondo i canoni classici dell’investigazione, quindi bisognerà recarsi sulla scena del crimine per esaminare gli indizi, raccogliere prove e sentire le testimonianze. Fulcro dell’attività di Phelps è il suo taccuino: lì saranno immagazzinate tutte le informazioni necessarie al caso, oltre che ai luoghi scoperti e le persone coinvolte. Sempre attraverso di esso passerà il sistema di interrogazione e raccolta delle testimonianze. Questi dialoghi erano e rimangono probabilmente la parte più riuscita della produzione.

Phelps porrà delle domande ai testimoni dei crimini o alle persone coinvolte, e starà al giocatore capire se la risposta è sincera o meno. L’unico modo per farlo sarà osservarli mentre parlano e aspettano, cercando di cogliere nelle loro espressioni e soprattutto nei loro sguardi qualcosa di sospetto. Alla deposizione si può reagire in tre modi: assecondare la risposta, forzare la persona a dire tutto oppure smentirla, accusandola. Va da sé che quest’ultima possibilità richiede che si abbiano prove schiaccianti, pena il rifiuto a collaborare. In sé comunque il gioco non incentiva una condotta aggressiva, spingendo più al dialogo puro. In aiuto del giocatore ci saranno inoltre i cosiddetti Punti Intuito, questi, guadagnati salendo di livello, permetteranno di evidenziare gli indizi o facilitare gli interrogatori rimuovendo una risposta sbagliata.

Nonostante la grande libertà concessa e le diverse strade possibili per concludere ogni caso, il gioco è comunque disegnato in modo tale da non far rimanere mai bloccati o rendersi irrisolvibile. A distanza di ben 6 anni dalla prima pubblicazione, L.A. Noire torna sulle attuali console con una versione potenziata, in grado di sfruttare al massimo le capacità dei moderni hardware per dare nuovo lustro a questa fantastica, ma incompresa opera di Rockstar. Questo su Xbox One e PS4 si traduce in un aumento di risoluzione rispetto al passato: 1080p per le versioni standard, 4K per Ps4 Pro e Xbox One X, un frame rate assolutamente più stabile, tempo atmosferico e una migliore gestione di luci, riflessi e effetti volumetrici. Su console Microsoft e Sony Rockstar ha provato a rendere L.A. Noire non una semplice versione in alta definizione del gioco originale. Oltre ai miglioramenti grafici appena descritti, nel gioco si possono notare alcuni elementi pensati per migliorare e ottimizzare l’esperienza. Per esempio sono state introdotte due nuove visuali che semplificare l’analisi delle scene del crimine, alcuni collezionabili legati a dei nuovi trofei, sono state inserite quattro tipi di palme differenti per migliorare l’aspetto di Los Angeles ed è stato cambiato il nome delle risposte per essere più in tema poliziesco. La riedizione di L.A. Noire ovviamente approfitta delle nuove console per stabilizzarsi tecnicamente. La città di Los Angeles appare ben costruita e assolutamente verosimile. I volti realizzati con il motion-capture non sono stati ovviamente toccati, e la loro estrema cura ancora oggi stupisce. Stesso vale per gli ambienti e le abitazioni, tratteggiati con estremo realismo. Ma nonostante sia sensibile l’aumento di dettaglio e stabilità, è palese che ci si trovi dinanzi a un software del 2011. La linea di grattacieli e macchine appare troppo squadrata, così come il poco dettaglio su vegetazione e terreno erboso possono far storcere il naso ai giocatori più attenti. Ugualmente si nota il diverso dettaglio tra i volti che hanno ricevuto il motion-capture e quelli per cui non era necessario. Fortunatamente, però, la prova attoriale per ogni personaggio è assolutamente impeccabile, e ancora adesso è quel fattore “in più” che dimostra quanto il titolo Rockstar fosse avanti per i suoi anni.

La colonna sonora non è stata ovviamente toccata, nel suo combinare pezzi jazz d’epoca con i giusti archi nelle situazioni più tese. Ancora adesso rimane bellissima e familiare la coppia di note di pianoforte che il gioco riproduce quando ci si avvicina a un oggetto che Cole può raccogliere o esaminare ed è sicuramente destinata a restare nelle menti dei giocatori più giovani. Ottimo anche il doppiaggio che rende l’esperienza di gioco completa e assolutamente credibile. Il primo e ultimo lavoro del Team Bondi è a distanza di sei anni un’opera ancora singolare, affascinante, ma purtroppo non adatta a tutti. L.A. Noire è un gioco serio, che usa la struttura open world come pretesto per un gioco più lineare e guidato, diretto però con una maestria veramente rara per essere un semplice videogioco. Alcuni limiti tecnologici sono stati accentuati con il passare del tempo, ma il restyling grafico che è stato effettuato riesce comunque a rendere il gioco piacevole da osservare anche sui moderni televisori in 4K, nonostante qualche saltuario calo nelle prestazoni. Tirando le somme, come sei anni fa, chi si aspetta da L.A. Noire un GTA ambientato negli anni ‘40, oggi come allora, rimarrà deluso, ma chi vuole un poliziesco scritto e diretto veramente bene o un’esperienza originale e ben confezionata non avrà di che pentirsene. L.A. Noire era ed è tutt’ora un capolavoro, un capolavoro incompreso che ci auguriamo possa essere capito grazie a questa edizione rimasterizzata.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8
Sonoro: 9,5
Gameplay: 10
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Call of Duty WWII, il re degli sparatutto torna sul trono

Con Call of Duty WWII Activision ha fatto centro. Dopo diversi capitoli futuristici, ambientati in realtà dove i militari erano in grado di correre sui muri, spiccare doppi salti in volo e avere il supporto di apparecchiature e armi altamente tecnologiche, finalmente si torna con gli stivali per terra e soprattutto si torna ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questo particolare periodo storico è stato proprio il punto di partenza del brand che negli anni, nel corso della sua evoluzione, ha poi abbracciato la guerra contemporanea con la splendida saga “Modern Warfare” e poi successivamente si è spinta, forse troppo più in la, verso un futuro hitech che non ha mai convinto pienamente la community. Dopo aver esplorato negli ultimi 5 anni un possibile lontano futuro, è toccato a Sledgehammer Games sviluppare Call of Duty WWII su Pc, Xbox One e PS4, ma soprattutto provare a guardarsi indietro per andare avanti introducendo qualche piccola ma funzionale novità durante tutto il corso della campagna più una zona social e una modalità a obiettivi per il multiplayer. Ma andiamo ad analizzare il tutto da principio. A livello di narrativa, la trama è ben realizzata e senza mai troppo eccedere nel patriottismo targato Usa, i personaggi si muovono in situazioni e scenari assolutamente credibili e mai esagerati. La Seconda Guerra Mondiale è una di quelle pagine della storia di cui parlare risulta sempre difficile. Gli atroci eventi che hanno portato alla morte milioni e milioni di persone sono stati trattati in un numero altissimo di prodotti tra pellicole, libri e videogiochi. Un argomento sviscerato ormai in tutte le salse e sotto diverse chiavi di lettura, argomento che porta con sé il rischio di apparire come qualcosa di già visto. Ma fortunatamente il team di Sledgehammer, come già aveva fatto in Advanced Warfare, batte molto sui concetti di “fratellanza” ed “eroismo” costruendo per Call of Duty WWII una storia di guerra appassionante, in puro stile hollywoodiano, che diventa sempre più interessante man mano che si procede nel gioco. Nel titolo sono presenti momenti dal forte impatto che non hanno paura di mostrare la brutalità della guerra, ma anche momenti in cui il cameratismo prende il sopravvento e il lato umano dei soldati viene fuori.

Call of Duty WWII offre una campagna che può durare anche una quindicina di ore se giocata al livello di difficoltà massimo e l’intera storia si svolge attraverso 11 avvincenti missioni. Il protagonista dell’ultima fatica di Sledgehammer è il soldato scelto Ronald “Red” Daniels, della Prima Divisione Fanteria, che insieme alla sua squadra sbarca in Normandia il 6 giugno del 1944 per aprire un secondo fronte in Europa e riuscire a proseguire la marcia degli Alleati verso il cuore della Germania nazista. Il team è formato da diverse personalità, ognuna caratterizzata dalle proprie peculiarità e attraverso alcuni stereotipi. C’è Robert Zussman, uno trai i protagonisti principali divenuto ben presto il migliore amico di Daniels; Drew Stiles, soldato-fotografo col sogno di finire sulle pagine di LIFE una volta uscito dall’inferno della guerra; Frank Aiello, un po’ bigotto, razzista ma tra i sopravvissuti della campagna di Tunisia; William Pierson, sergente tecnico scontroso e duro e il “paterno” primo tenente Joseph Turner. Gli eventi di gioco si svolgono con molta frenesia, passando quasi senza sosta da una missione all’altra dove però si alternano tipologie differenti di approccio come la guida di mezzi terrestri, veicoli aerei, missioni stealth, di copertura col cecchino e una missione di infiltrazione dove il ritmo cala e si smette di imbracciare il fucile e si deve agire pensando. Durante la campagna la costruzione dell’empatia con i propri commilitoni passa attraverso due momenti. Il principale è ovviamente quello delle scene di intermezzo, dove si approfondisce la conoscenza dei protagonisti, il loro passato e dove verranno messi a nudo le loro paure e i loro sentimenti. Il secondario invece avviene grazie alla possibilità di chiedere munizioni, granate, fumogeni per l’artiglieria, medikit o l’uso del binocolo per segnalare i bersagli sul campo di battaglia ai compagni. Questo escamotage è stato sfruttato sia per spingere il giocatore a stare vicino ai propri commilitoni, solo in questo modo, infatti, si sarà nel raggio d’azione utile per ricevere l’approvvigionamento, sia per garantire la fluidità del gioco, nonostante una certa verosimiglianza dei combattimenti. Come accennato qualche riga sopra, per quanto riguarda la campagna, tornano a gran richiesta i medikit, quindi, una volta colpiti non basterà mettersi al riparo e aspettare che la vita si rigeneri, sarà quindi necessario centellinare i kit medici e farsi colpire il meno possibile, specialmente al livello di difficoltà più alto, dove la sfida diventa davvero dura. Non mancano poi momenti ad hoc creati per dare la sensazione di essere nel bel mezzo di una battaglia reale. Durante alcuni momenti, infatti, sarà chiesto di compiere delle Gesta Eroiche, ovvero di abbandonare per qualche secondo la battaglia per salvare un compagno, non importa che questo sia sotto attacco nemico o ferito ed esposto al fuoco nemico. In altri frangenti, invece, alcuni tedeschi potranno arrendersi e toccherà a noi decidere se farli prigionieri o freddarli sul posto. Insomma, la campagna di questo Call of Duty WWII, nonostante le solite limitazioni dovute al percorso obbligatorio per arrivare a fine livello e nonostante l’intelligenza artificiale dei nemici che non brilla molto, è un’esperienza assolutamente da provare perché è in grado di emozionare e soprattutto perché, grazie alla grafica straordinaria, dà proprio l’impressione di vivere il secondo conflitto mondiale in prima persona.

Ovviamente l’anima di CoD è sempre rappresentata dalla componente multiplayer, componente che quest’anno torna, è proprio il caso di dire, con i piedi per terra. Dimenticatevi quindi wallrun e jetpack d’ogni genere. Call of Duty WWII recupera il feeling dei migliori capitoli del brand. Time to kill in pieno stile CoD ma comunque bilanciato, reso ancor più tollerabile da armi interessanti, capaci di offrire sempre una valida alternativa, eccezion fatta per un paio di bocche da fuoco leggermente più sbilanciate di altre. Ci sono poi le Divisioni, ossia il nuovo sistema di classificazione dei soldati che instaura anche una progressione ben più stratificata, scindendo le Divisioni dal livello del giocatore e proponendo classi differenti, con caratteristiche e ricompense uniche legate alla tipologia d’arma utilizzata. Entrare in confidenza con queste nuove features non sarà da subito immediato, ma si verrà aiutati dalla possibilità di recarsi nel Quartier Generale, la nuova zona social raggiungibile in qualsiasi momento e senza tempo di caricamento, con la sola pressione di un tasto (options/start). Qui si possono incontrare altri giocatori, visitare alcuni NPC che daranno accesso agli Ordini e ai Contratti (taglie/obiettivi da portare a termine entro un certo periodo di tempo) e fare pratica con le nuove serie d’uccisioni, piuttosto che sfidare qualche altro soldato in un virtuoso 1vs1. Quest’area social funziona principalmente da hub centrale, proprio come accade con la Torre in Destiny, durante le sessioni di gameplay, dando la possibilità di capire al meglio le nuove funzioni e azzerare in qualche modo i tempi morti. Il comparto multiplayer di Call of Duty WWII è estremamente solido e, cosa più importante, completo: il gameplay viene esaltato da un ecosistema di attività ricco di opzioni, sempre stimolanti. Specializzarsi in una Divisione, “prestigiare” (ossia raggiungere il livello massimo e riazzerare tutte le abilità e le armi sbloccate in cambio di un emblema che lo dimostra), portare a termine gli Ordini, ottenere tutte le armi speciali, insomma nell’ultimo lavoro di Sledgehammer ci sono davvero molte cose da fare e annoiarsi è davvero difficile. Fiore all’occhiello della produzione è sicuramente la modalità Guerra, che al contrario del classico PvP, caratterizzato da una forte anima competitiva suggerisce un approccio più scanzonato e cooperativo. Prendendo spunto da “Rush” della serie Battlefield, Guerra divide i team in attaccanti e difensori, con i primi che non dovranno solo conquistare il punto A, B o C, bensì saranno chiamati a svolgere obbiettivi dinamici che variano sempre, di mappa in mappa. Al day one ne saranno disponibili tre diverse, ma altre arriveranno sicuramente con i DLC futuri. Guerra è una modalità incredibilmente divertente, che gode di dinamiche e di uno stile davvero unico. Oltre a quest’innovativa modalità di gioco, in Call of Duty WWII sono disponibili anche altre modalità come deathmatch, team deathmatch, postazione, dominio, uccisione confermata, cerca e distruggi, cattura la bandiera e Football. Quest’ultima modalità vedrà due team affrontarsi sul campo di battaglia con lo scopo di segnare con il pallone nella porta nemica, unica differenza con il rugby è che al posto dei placcaggi sono ammessi fucili, bombe e armi di ogni genere.

Se ancora non foste soddisfatti dell’offerta del titolo di Activision e Sledgehammer, sappiate che torna anche la famosissima modalità Zombie Nazisti. Nazi Zombies in Call of Duty WWII ha un concept horror e, anch’esso, molto cinematografico, visto che fra le fila del cast può vantare attori come Elodie Young e David Tennant. In questa tipologia di gioco si verrà catapultati in un villaggio della Germania dove, immersi in un contesto da brividi, bisognerà affrontare mostri d’ogni genere. La principale novità, oltre al concept, riguarda l’impossibilità di riparare finestre e accessi vari, obbligando i giocatori a prestare davvero molta attenzione a quello che li circonda. Al solito lo scopo sarà quello di avanzare nelle varie fasi della quest superando e uccidendo i vari zombi che compongono le diverse ondate, sempre più potenti. L’estrema collaborazione richiesta sarà al contempo uno sbarramento e un grande divertimento, in grado di dare vita a sessioni di gioco davvero impegnative e appaganti. Giocando Nazi Zombies il feeling è assolutamente positivo: setting riuscito e dinamiche di gameplay interessanti e ricorrenti, come la possibilità di potenziare alcune caratteristiche del personaggio acquistando power up di vario genere, oppure migliorare il proprio equipaggiamento acquistando le armi disponibili. Presente anche un sistema di consumabili molto utili nelle situazioni più intricate, unito alla progressione canonica del personaggio. Insomma Nazi Zombies appare rifinita e ben concepita, migliorata nell’aspetto e potenziata nell’esperienza; farà certamente felici i fan accaniti e siamo certi saprà avvicinarne di nuovi. Per quanto riguarda il comparto audio le musiche e il doppiaggio in lingua italiana sono resi in maniera davvero straordinaria, inoltre il rumore delle armi e di sottofondo in generale trasportano il giocatore nel bel mezzo della seconda guerra mondiale donando ancora di più credibilità al titolo. Dal punto di vista grafico e tecnico Sledghammer non ha rivoluzionato il motore di gioco, ma ha continuato a limare e perfezionare gli strumenti già a sua disposizione, rendendo sempre più impercettibile la differenza tra le parti giocate e quelle filmate. In generale l’effetto globale è d’impatto, grazie all’ottima regia con la quale ogni scena è stata confezionata e alla spettacolarità degli scenari scelti per ambientare le diverse battaglie. Quasi sempre sembrerà di trovarsi in una scena di Salvate il Soldato Ryan o Band of Brothers, quindi qualità massima e grandi emozioni. Inoltre il frame rate non si abbassa mai sotto i 60fps, di conseguenza possiamo dire che il titolo è in grado di offrire un’esperienza davvero curata. Tirando le somme, il tanto atteso ritorno alla seconda guerra mondiale ha fatto sicuramente bene a Call of Duty. Con WWII Activision e Sledgehammer Games non reinventano la ruota e tantomeno rivoluzionano una serie che, per più di un motivo, continua a rimanere assolutamente fedele a se stessa, ma riescono a migliorare le varie modalità e le tante risorse sotto praticamente ogni aspetto. La campagna è spettacolare, suggestiva e a tratti emozionante, il multiplayer è stato rinfrescato dalla modalità Guerra e dallo spazio sociale del Quartier Generale, gli zombi, a loro volta, tornano più cattivi che mai e danno quel senso di completezza che rendono grande una produzione. Insomma, quest’anno Call of Duty ha fatto centro in tutti i sensi e siamo assolutamente certi che questo capitolo resterà impresso nei cuori e nelle menti di tutti i gamers. Non avere Call of Duty WWII nella propria libreria di giochi sarebbe un vero peccato.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

 

Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9,5

 

VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Need for Speed Payback, la saga racing di EA torna a brillare

Need for Speed Payback arriva su Pc, Xbox One e PlayStation 4 con l’obbiettivo preciso di riportare in auge lo spirito che ha reso grande la serie grazie alle corse clandestine, al tuning estremo, ma anche gettandosi alle spalle tutte le criticità venute fuori nel precedente capitolo della saga. Il nuovo titolo, sviluppato da Ghost Games, abbandona l’oscura Ventura Bay trasferendosi nella soleggiata Fortune Valley. Quest’ambientazione è resa dinamica dai molti eventi messi a disposizione sull’enorme mappa ed è resa ancora più accattivante grazie al ciclo giorno/notte che cambia faccia a canyon, superstrade e alle intricate vie cittadine che fanno da sfondo all’esperienza di gioco.

 

Per chi non lo sapesse, Need for Speed è una delle serie di corse d’auto più longeve di sempre. Nata nel 1994 su Panasonic 3DO con “The Need for Speed”, il titolo ha dettato le regole dei racing games simul-arcade con i suoi innumerevoli capitoli e spin-off che venivano rilasciati quasi a cadenza annuale. NfS è una serie che ha visto i suoi fasti durante la sesta generazione di console con i capitoli della serie Underground, tra i più apprezzati in assoluto, ma anche con Hot Pursuit II e Most Wanted, ma che negli ultimi anni s’è un po’ persa per strada con capitoli abbastanza sottotono come ProStreet del 2007 ed il più recente reboot del 2015. Con l’arrivo di concorrenti sempre più validi e agguerriti nel settore, come Forza Horizon, The Crew e Test Drive Unlimited, la serie targata EA aveva bisogno di qualcosa di più per primeggiare, e c’è da dire che con Need for Speed Payback, le novità sono davvero moltissime. La trama attorno cui ruota tutto il gameplay è semplice quanto coinvolgente e sembra proprio essere scritta per una produzione cinematografica in stile “Fast and Furious”.

 

Una banda composta da tre talentuosi piloti (Tyler “Ty” Morgan, Sean “Mac” McAlister e Jessica “Jess” Miller) che si danno alla macchia, mettendo a segno qualche colpo qua e là. La loro ultima impresa, rubare la fuoriserie di uno degli uomini più ricchi di Fortune Valley, viene però compromessa dal tradimento di una collaboratrice, Lina Navarro, che si scopre essere al soldo della Loggia, una potente organizzazione che fa soldi anche e soprattutto truccando le corse clandestine che si svolgono nella zona. Inseguito dalla polizia, Tyler non ha alternative: stringe un patto con l’uomo che voleva derubare ed entrambi si impegnano a vendicarsi nei confronti della Loggia. Per riuscire nell’impresa, però, bisognerà riunire la vecchia banda. Sei mesi dopo il tradimento di Lina Navarro, Tyler, spinto dal bisogno di denaro e dalla voglia di correre, decide finalmente di agire: si mette in mostra durante una gara per ottenere un ingaggio con la Loggia, quindi partecipa a una delle corse truccate dall’organizzazione solo per mandarla a rotoli, tagliando il traguardo per primo e facendo perdere un bel po’ di soldi ai propri nemici giurati. Scoperte le carte, la faccenda si fa seria e vengono dunque richiamati in azione Mac e Jess, la cui funzione nel gioco non è unicamente narrativa ma anche e soprattutto pratica, infatti, laddove Ty è specializzato nelle gare tradizionali e di accelerazione, Mac può guidare offroad e nelle sfide di derapata, mentre invece Jess è una maestra delle fughe, specie dalla polizia.

 

Tipologie diverse di eventi che nell’ampio open world di Need for Speed Payback richiedono l’uso di vetture specifiche, divise in cinque categorie: corsa, accelerazione, derapata, fuoristrada e fuga. Quando la squadra si riunisce e la storia ingrana, la mappa di Fortune Valley si riempie progressivamente di un gran numero di attività: alle missioni principali, che ruotano attorno a dieci gang da sconfiggere per arrivare infine a sfidare la Loggia, si aggiungono svariate quest secondarie, nella forma di semplici gare di velocità, autovelox da superare a tutta birra, collezionabili di vario genere e infine i “catorci”. Questi ultimi sono auto gloriose, dallo straordinario potenziale ma ridotte in condizioni pessime, che bisogna rimettere in sesto dopo averne trovato i componenti all’interno dello scenario, in una sorta di caccia al tesoro che spesso e volentieri implica salti spettacolari e un’approfondita esplorazione dell’area. Need for Speed Payback offre una storia principale che si completa nel giro di venti ore, ma se a queste si aggiungono tutte le attività collaterali di cui abbiamo parlato qualche riga più in alto e il multiplayer competitivo per otto giocatori, allora il tempo da passare in compagnia con la creazione di Ghost Games aumenta in maniera esponenziale. A livello di giocabilità, l’impostazione del titolo EA è open-world, e si tratta del mondo di gioco più vasto di sempre della serie Need for Speed. Fortune Valley offre chilometri e chilometri di autostrade, strade statali, strade di montagna e di campagna tutti da percorrere ad altissima velocita, ma non finisce qui, infatti oltre a queste zone si aggiunge anche la grande città di Silver Rock, metropoli viva e pulsante che ricorda alla lontana Las Vegas. La vastità di questo mondo si avvicina quasi ai livelli di quello proposto da GTA V, ma stavolta differentemente da ciò che accadeva in passato, c’è la possibilità di andare praticamente ovunque con la propria auto. Scalare montagne, correre attraverso una pianura sterrata o seguire vie secondarie nascoste fra immense sequoie sarà infatti sempre molto utile per scovare tutti i segreti celati nell’enorme area di gioco.

La modalità carriera di Need For Speed Payback ha inizio con un prologo lungo quasi un’ora in cui i giocatori potranno provare le varie tipologie di auto in eventi story-driven, per poi finalmente mettersi alla guida di una vettura di basso profilo. Da questo momento ci si potrà dedicare alle gare della missione principale oppure prender parte ad eventi e gare secondarie. Queste ultime sono fondamentali se si vuole progredire bene nella trama principale non solo perché utili a guadagnare punti Reputazione e denaro per comprare altre auto e potenziamenti, ma anche perché hanno integrato un sistema di scommesse che invogliano il giocatore a ripetere la gara con l’obiettivo di turno (che cambia ogni volta). Inoltre grazie all’ormai collaudato Autolog, battendo il miglior tempo registrato dalla community per quell’evento si potrà ottenere un ulteriore bonus. Vincendo le gare oltre a guadagnare punti reputazione e denaro sonante in proporzione al piazzamento al traguardo, si potranno ottenere come premio anche le così dette speed card, ossia delle carte a cui è affidato il sistema di upgrade delle prestazioni dell’auto. Ce ne sono di diversi tipi: Turbo, Testata, Freni, Nitro, Scarico e via dicendo. Ognuna di esse ha impatto su due o tre caratteristiche di rendimento della vettura, e ogni categoria è disponibile di diversi livelli che ne accrescono l’efficacia. Inoltre, ci sono diversi marchi di Speed Card, ed associandone tre o sei della stessa etichetta si possono ottenere importanti bonus sulle prestazioni della vettura. Le Speed Card possono essere montate immediatamente appena si ricevono come premio, oppure vendute, spedite al garage per applicarle ad altre auto, o ancora scambiate per tentare la fortuna e riceverne una migliore. Poiché le Speed Card possono anche essere comprate in officina con crediti di gioco a un prezzo non proprio economico, questo sistema invoglierà i giocatori a gareggiare tanto al fine di ottenerle gratuitamente. Le carte di potenziamento possano essere anche comprate con denaro reale tramite le famose micro-transazioni, ma a nostro avviso il modo più divertente per godersi il gioco è vincere le corse con quello che si ottiene col sudore della propria fronte e delle mani in pista. Sempre a livello di giocabilità, è importante sottolineare che in Need for Speed Payback esistono cinque categorie differenti di vetture, e di conseguenza di gare. Ogni tipologia di auto può infatti prendere parte esclusivamente agli eventi relativi alla sua classe, ma ognuna di esse può essere utilizzata liberamente per l’esplorazione del mondo di gioco. Le tipologie sono: Sprint (per le gare su asfalto), Derapata (per le gare in cui lo scopo è guadagnare più punti derapando), Off-road (per le gare su sterrato), Accelerazione (per le classiche gare drag in cui è obbligatorio usare il cambio manuale) e Fuga (spettacolari inseguimenti con la polizia in cui si vestiranno i panni della bella Jess). Suddividendo in questo modo le corse, a nostro avviso, EA e Ghost Games hanno fatto la scelta giusta perché così facendo ce n’è davvero per tutti i gusti e chiunque saprà sempre a che cosa va incontro e come affrontarlo. Lo stile di guida dichiaratamente arcade offerto da Need for Speed Payback risulta essere semplice e soddisfacente al tempo stesso. Il sistema di derapate è molto divertente e il comportamento delle vetture che varia a seconda della categoria è decisamente appagante, indipendentemente dal tipo di terreno su cui si corre. Va ricordato però che Need for Speed è anche sinonimo di grande personalizzazione, di tuning e del pimping più estremo e sregolato. In questo capitolo Ghost Games ha curato molto questo aspetto, dando la possibilità agli utenti di potersi sbizzarrire come preferiscono e di modificare pressoché tutte le parti del veicolo, rendendolo unico, esagerato e arrogante.

Need for Speed Payback non è un simulatore di corse e non fa assolutamente niente per nasconderlo. La fisica del gioco è a tratti improbabile, gli incidenti spettacolari si risolvono quasi sempre con ben pochi danni e ci sono vetture modificate che tengono testa a costosissime fuoriserie. Ma il gioco è bello proprio perché è così! Se si vuole vincere si deve lasciare a casa l’indole da guidatore corretto: ogni gara, che sia su strada o su sterrato, richiede un gran numero di sportellate e gesti scorretti, coadiuvati da una discreta conoscenza del terreno di scontro visto che è possibile sfruttare rampe e scorciatoie di vario genere magari per accorciare le distanze tra un checkpoint e l’altro. Il gioco funziona e diverte perché incoraggia chi sta con il pad in mano a comportarsi proprio come non farebbe nella vita reale: spinge ad andare contromano, a sfiorare le vetture che intralciano la strada durante le corse e non e a derapare selvaggiamente per affrontare curve anche tagliando la strada ai nostri avversari, anche a costo di danneggiare la carrozzeria del proprio bolide. A proposito dei danni, ovviamente questi sono presenti, ma si tratta di una caratteristica di natura solo estetica che non fa altro che enfatizzare la vena arcade del gioco. La vettura infatti si distruggerà mano a mano che si colpiscono ostacoli o avversari, senza però mai influire sulle performance della vostra vettura. Gli impatti comunque risultano sempre molto spettacolari, specialmente durante le gare o le missioni della tipologia Fuga che, un po’ sulla falsa riga della serie Burnout, permettono di effettuare degli spettacolari “takedown” su vetture della polizia o della Loggia. Graficamente parlando il Frostbite Engine, fiore all’occhiello delle produzioni targate EA, offre una solidità generale e le prestazioni in termini di frame rate non hanno mai cali improvvisi. Buona anche la resa artistica della città, con macro aree ben diversificate e la possibilità di percorrere le strade di montagna di Mount Providence, zone semidesertiche o ammirare il tramonto da Silver Canyon. I modelli delle vetture fanno egregiamente il loro lavoro mettendo in mostra la bellezza dei bolidi presenti in game, tutto questo è possibile in quanto le carrozzerie sono sempre ben popolate di poligoni e riflessi. Le ambientazioni sono anch’esse ben realizzate ma purtroppo i paesaggi si rivelano quasi anonimi, con textures troppo ripetute, anche se la mappa è correttamente suddivisa in macro aree molto diverse fra loro. Generalmente buono è anche il comparto sonoro. A rendere l’azione adrenalinica c’è una lunga selezione di brani rock, indie rock, elettronica e rap perfetti per gareggiare e percorrere i chilometri da una location all’altra. Il doppiaggio italiano, realizzato da professionisti del settore, è nel complesso buono e credibile. Ottimi invece i suoni emessi dai bolidi e gli altri effetti che caratterizzano l’azione al volante. Tirando le somme, questo Need for Speed Payback, nonostante non sia il miglior gioco di guida attualmente in commercio, a nostro avviso è un titolo che merita di essere giocato perché diverte. Tutto questo grazie alla sua natura arcade che non si perde in lunghe sessioni di regolazioni di assetto e preparazioni pre corsa, ma lancia il giocatore direttamente nell’azione rendendolo protagonista assoluto delle corse. Nonostante la modalità multigiocatore presente sia totalmente di contorno, le tante cose da fare e la possibilità randomica di ottenere le carte corsa rendono l’intera esperienza di gioco assolutamente godibile da ogni tipologia di giocatore. Quindi se amate le corse d’auto, lo stile alla Fast and Furious e una guida tipicamente arcade, Need for Speed Payback è tutto ciò di cui avete bisogno.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

 

Grafica: 8
Sonoro: 9
Gameplay: 8,5
Longevità: 8,5

 

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Assassin’s Creed Origins, la saga rinasce nell’antico Egitto

Dopo uno sviluppo lungo ben quattro anni e un anno di “pausa” dagli schermi, la lotta senza tempo fra Assassini e Templari torna su Pc, Xbox One e PlayStation 4. Assassin’s Creed Origins è un titolo ricco di sfaccettature: si tratta di un ritorno come suggerisce il titolo stesso alle origini, di un vero prequel, di una finestra sulla genesi del brand e di un importante punto di ripartenza per la serie che negli ultimi episodi era rimasta arenata in degli schemi troppo ripetitivi. Ashraf Ismail, che fu Game Director di Assassin’s Creed IV: Black Flag, con questo nuovo titolo ha così dato nuova vita al franchise esaltandone i punti di forza e distruggendo al tempo stesso alcuni schemi che lo avevano accompagnato fin dalla prima istanza. Grazie a un certosino lavoro di ristrutturazione Assassin’s Creed: Origins riesce a spogliare il brand da quell’abito troppo vecchio fatto di regole diventate ormai scomode: il livello di profondità nella scrittura delle missioni secondarie è il più alto registrato nella serie fino a oggi, l’esplorazione diventa parte integrante dell’esperienza narrativa e la “lore” storica è minuziosamente incastonata in ogni angolo del mondo di gioco dando così a chi gioca il giusto senso di profondità che da tempo mancava. Intendiamoci, Assassin’s Creed resta sempre fedele a se stesso, alla sua essenza, al suo “credo”. Origins, per quanto riguarda il concept di base, è senza dubbio il capitolo più importante della serie sin dal trionfo del secondo episodio: un’opera, è proprio il caso di dire, faraonica, capace di bilanciare rinnovamento e classicismo, tenendo i piedi saldamente piantati nel passato del marchio, ma orientando lo sguardo in direzione del suo futuro. Per raccontare le origini del Credo, Ubisoft ha deciso di ambientare Assassin’s Creed Origins nell’antico Egitto, durante il periodo tolemaico, finestra temporale ricca di spunti interessanti e in grado di intrecciarsi, come al solito, con la vera storia dell’umanità. In un periodo difficile per il popolo egiziano, Bayek, il nuovo protagonista, si ritroverà all’interno di un intreccio socio-politico che lo porterà a scoprire realtà sconcertanti, spronandolo così a prendere decisioni importanti. La trama di questo ultimo spettacolare capitolo della serie è veramente appassionante, un’autentica discesa agli inferi per il Medjay, che sarà affiancato dalla carismatica e riuscitissima Aya, moglie del protagonista e personaggio in grado di rubare la scena più e più volte. Aya è certamente meglio caratterizzata di Bayek, che nonostante uno spunto interessante sul finale rimane piuttosto piatto e motivato da un solo, singolo sentimento: la vendetta. La narrativa ripercorrerà la lotta del popolo contro i poteri forti, rappresentati da una cabala che precede la formazione dei veri Templari. La struttura narrativa si divide in quattro atti più un epilogo, che in totale dureranno non meno di 30 ore di gioco. La storia di Origins è costruita in modo tale da arrivare a un climax finale d’impatto e assolutamente emozionante. La quest principale invoglia qualsiasi giocatore ad arrivare fino in fondo e, nonostante qualche sezione intermedia leggermente piatta, il climax non si ferma per l’intera durata della trama. In più di un’occasione ci saranno presentati vari bersagli e saremo liberi di eliminarli nell’ordine che riterremo più adatto. Attenzione, però: affrontare nemici di livello eccessivamente superiore al nostro può rivelarsi un’esperienza scoraggiante, e in ogni caso l’universo narrativo è studiato per essere vissuto a tutto tondo, alternando i contenuti delle missioni secondarie alla fiamma che ci spingerà verso il proseguo dell’avventura.

L’open world di Origins è veramente incredibile, soprattutto nel colpo d’occhio: Alessandria, Menfi e tutte le città d’Egitto presenti nel gioco sono realizzate con una cura estremamente raffinata. Proprio a riguardo è bene sottolineare come dal punto di vista tecnico Origins eccelle: dalle case più piccole alle costruzioni più grandi e sfarzose, tutto è realizzato con un’attenzione e un rispetto particolare verso un territorio che in età antica offriva davvero uno spettacolo impressionante, qui riproposto in un’incarnazione digitale assolutamente credibile e immortalabile grazie a un photomode sorprendentemente malleabile. La gente che popola l’Egitto poi è viva: lavorano, discutono, interagiscono fra di loro e riconosceranno Bayek, accogliendolo come un salvatore. Uscendo dagli agglomerati urbani si attraverserà e ci si perderà nella bellezza del deserto, bellezza che lascia veramente senza fiato per la sua immensità: chilometri e chilometri di dune, intervallati da misteriose strutture o dalle imponenti piramidi di Giza. L’esplorazione del territorio sarà fondamentale, per scoprire tutti i segreti della Prima Civilizzazione: tombe, piramidi, grotte e altre piccole chicche che contribuiscono a creare un mondo di gioco quasi perfetto, per estetica e capacità di immergere il giocatore al suo interno. Ma attenzione, viaggiando per troppo tempo sotto il caldo opprimente del sole: Bayek potrebbe avere anche delle allucinazioni… Detto questo, i puristi della saga si staranno chiedendo: e l’Animus che fine ha fatto? Come riprendere in mano una narrativa oramai spersonalizzata e da troppo tempo orfana di un reale punto di riferimento? La risposta è celata in una ragazza decisa a ritagliarsi uno spazio importante all’interno della multinazionale Abstergo, una giovane che dimostra un carattere forte come non lo si era mai visto in un operatore nostro contemporaneo, men che meno in Desmond Miles. Layla rappresenta uno strumento che mancava da troppo tempo all’interno della saga, una finestra sul presente con un volto e una caratterizzazione ben definiti.

Venendo alle novità più succose, il combat system riveste un ruolo da protagonista. Lasciandosi alle spalle la vecchia versione dinamica, il nuovo progetto include un sistema di combattimento molto più tattico e basato su attacchi leggeri, pesanti, parate, schivate e utilizzo dell’arco. La struttura ricorda alla lontana quella dei Souls e di sicuro aggiunge un valore importantissimo alla produzione. Grande varietà nelle lotte viene data dalle armi che si utilizzeranno che a seconda dell’archetipo (spada, lancia, mazza, bastone e via discorrendo) cambieranno completamente il set di mosse e soprattutto la rapidità degli attacchi. Questo aspetto è molto positivo e offre finalmente un certo grado di qualità e varietà, oltre che la necessità di assimilare al meglio tutte le mosse per padroneggiare perfettamente tutte le armi per venir via da ogni situazione. Nonostante sia possibile giocare e svolgere molte missioni utilizzando tecniche evasive, alla fine il gioco spinge il giocatore sempre a combattere. Qui emergono alcuni problemi, da ambedue i lati: nelle fasi stealth si potrà uccidere non badando alla distanza fra una guardia e l’altra, ma facendo attenzione solo al campo visivo e programmando efficaci strategie tramite l’utilizzo di Senu, la fidata aquila di Bayek; nelle fasi action invece i nemici eviteranno di attaccare in massa, o comunque gestiranno la situazione. Questo crea scontri contro massimo quattro/cinque avversarsi con il resto della truppa che resta a guardare prima di intervenire. In Assassin’s Creed Origins ci sarà a disposizione anche una “super abilità” che si ottiene caricando al massimo la barra dell’adrenalina: a seconda delle armi si entrerà in una fase di super potenza/agilità, oppure si potrà eseguire una mossa quasi letale, molto utile contro i nemici di alto rango. Insomma, grazie a questo nuovo sistema di combattimento, gli scontri saranno più belli da vivere rispetto al perché richiederanno sempre un pizzico di abilità valorizzando decisamente il gmeplay. Per quanto riguarda le novità introdotte da Assassin’s Creed Origins, a fare da spalla al nuovo sistema di combattimento c’è il sistema di progressione di Bayek. Questo è stato concepito sulla falsa riga di un gioco di ruolo ma è stato sviluppato per essere integrato ad un action open world come l’ultima opera di Ubisoft. Oltre alle armi, sarà necessario prestare molta attenzione all’equipaggiamento e alle abilità. Per quanto riguarda il primo, non sarà possibile ottenerne di nuovo, ma solo potenziare quello esistente, aumentando quindi danno corpo a corpo, danno da distanza, salute, capienza delle frecce, efficacia della lama celata e via discorrendo. Per fare ciò è però necessario recuperare diversi materiali sparsi in lungo e in largo per il mondo di gioco, cacciando animali, depredando i trasporti merci e talvolta comprandoli dai venditori. Lo sviluppo di Bayek basta e avanza per completare il gioco; potenziare l’equipaggiamento sarà una cosa in più che certamente rende l’esperienza più intrigante e longeva, ma non è fondamentale ai fini dell’end game.

L’albero delle abilità invece si divide in tre rami che s’intersecano l’un l’altro, ossia: Guerriero, Cacciatore e Veggente. Ogni ramo ovviamente si riferisce alle capacità d’utilizzo di armi, arco e dinamiche stealth. Come al solito bisognerà decidere quale parte sviluppare maggiormente, scelta che sarà bene far ricadere sullo stile di gioco che si preferisce. Le statistiche principali di Bayek sono solo tre: salute, danno corpo a corpo e danno da distanza. Per accrescerle sarà necessario aumentare di livello ottenendo punti esperienza. Ed è proprio qui che entra in funzione il cuore dell’open world di Origins, costituito da quest e sotto quest. La grande mappa di gioco è divisa in aree con livello consigliato e per poterle esplorare sarà imprescindibile essere di livello pari oppure inferiore di massimo due unità. Nonostante la libertà d’esplorazione e azione, Origins mette in pratica un sistema di gestione delle attività e del livellamento efficace, ma con qualche difetto, che emerge soprattutto nell’atto due dove chi non ha l’abitudine ad affrontare le missioni secondarie dovrà passare alcune ore a “farmare” materiali. Dal menù principale si potranno gestire tutte le missioni attive, vedendo anche il livello consigliato per ciascuna di esse. Solitamente lo svolgimento tipo per progredire bene nell’avventura è questo: si fanno due/tre missioni principali, per poi arrivare a uno sbarramento creato proprio dal gioco, che proporrà quest primarie di livello molto superiore a quello del protagonista. Proprio qui i giocatori dovranno dedicarsi alle sotto missioni e a tutte quelle attività che garantiscono la crescita del personaggio. Un ultimo plauso va sicuramente fatto al comparto audio che offre un doppiaggio in lingua italiana veramente ben fatto e una serie di effetti sonori e musiche assolutamente ben realizzate e in grado di rendere l’intera esperienza di gioco ancora più immersiva. Tirando le somme: Assassin’s Creed Origins è un titolo che passa l’esame a pieni voti. L’ambientazione dell’antico Egitto è stata sfruttata egregiamente, sia a livello di texturizzazione che nell’ambito del level design. Nonostante l’inserimento di numerose attività collaterali, la trama riesce a mantenere un ruolo preponderante e, soprattutto, stupisce sempre lo spettatore mostrando al tempo stesso un elevato grado di rispetto verso la linea del tempo originale della saga. Assassin’s Creed Origins è l’esempio a cui molti producers dovrebbero ispirarsi quando si punta a un rinnovamento delle dinamiche di gioco senza danneggiare tutto ciò che di bello e di buono è stato in passato. Il lavoro svolto da Ubisoft è a tutti gli effetti un gran successo, un’opera che ha donato valore all’intera saga rispettandone i canoni ma rinnovandola laddove ce n’era realmente bisogno. Insomma, sia che siate neofiti della saga, sia che siate veri appassionati, perdersi un gioco del calibro di Assassin’s Creed Origins sarebbe un vero errore.

 

GIUDIZIO GLOBALE

Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9
Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 9

 

Francesco Pellegrino Lise




Just Dance 2018, la discoteca torna nel salotto di casa

Puntuale come un orologio svizzero Ubisoft lancia Just Dance 2018, il popolare videogame dedicato al ballo che con più di sessanta milioni di copie vendute su diverse piattaforme continua a far scatenare i fan ormai da 8 anni. Quest’anno, però, la software house francese ha deciso di rendere la versione per Nintendo Switch quella più rappresentativa della famiglia Just Dance 2018, che comprende la bellezza di sette piattaforme compatibili: PS4, Xbox One, PS3, Switch, Wii, Wii U e Xbox 360. Per quanto riguarda l’ultima arrivata in casa Nintendo offre qualcosa in più, ossia: controller di movimento che vibrano a ritmo e una modalità di gioco che impegna entrambe le mani. Le modalità di controllo per le altre piattaforme sono la PlayStation Camera su PS3 e PS4, Kinect per le piattaforme Xbox, e i Wiimote su Wii e Wii U. Solo una mano è impegnata nel far riconoscere al videogioco le coreografie che bisognerà replicare davanti allo schermo: le esperienze migliori in tal senso sono quelle che non prevedono l’uso di nessun controller ma le telecamere, anche se l’effetto HD Rumble dei Joy-Con di Switch sono altrettanto divertenti. Infine, è possibile controllare il gioco anche con la app dedicata e disponibile per Android e iOS. In di Just Dance 2018 fa il suo ritorno la divertentissima modalità online mentre la tracklist include 40 brani famosi tra successi internazionali “evergreen” e brani contemporanei. A questi vanno aggiunti i pezzi presenti nella modalità per bambini (con licenze Disney), e una canzone esclusiva su Switch dedicata a Super Mario. E’ importante sottolineare che inizialmente si potrà accedere gratuitamente a Just Dance Unlimited, ossia una libreria di canzoni aggiuntive tratte dal catalogo precedente di Just Dance. Dopo tre mesi, però, l’abbonamento diventerà a pagamento per un costo di 4,99 euro al mese ad accesso illimitato. Chi desidera l’intero catalogo, insomma, deve mettere in conto un ulteriore esborso. Just Dance Unlimited, non è disponibile per PS3, Xbox 360 e Wii. A livello di gameplay Just Dance 2018 è sempre lo stesso rhythm game di sempre, titolo in cui bisogna replicare le coreografie rappresentate sullo schermo in base all’utilizzo di vari sistemi di rilevazione del movimento, con una valutazione costante delle performance che determina poi il punteggio finale e la possibilità di sbloccare e accedere a ulteriori contenuti o semplicemente vincere un match in multiplayer. Lo scopo di Just Dance 2018, va precisato, non è affatto la competizione, infatti, si tratta di un titolo che punta tutto sul fornire uno stimolo a ballare, e per chi ha un minimo di predisposizione al movimento ritmico del corpo può rappresentare un ottimo metodo per alzarsi dal divano e scatenarsi con della buona musica, divertendosi e magari imparando anche qualche passo.

 

La modalità di gioco principale offerta dal nuovo titolo di Ubisoft resta Just Dance, che consente di affrontare i brani separatamente in singolo o in multiplayer locale, mentre il multigiocatore online è accessibile nella modalità World Dance Floor. Sebbene la meccanica resti la stessa di sempre, in linea di massima, ci sono diverse varianti che fanno restare alto l’interesse nel gioco: una novità assoluta è rappresentata dalla già citata modalità Kids, che semplifica un po’ le cose e presenta un repertorio adatto ai più giovani, confermando la natura da titolo adatto a tutta la famiglia. La modalità Machine invece è stata sostituita da Dance Lab, che pone i giocatori dinanzi a una serie di prove alquanto bizzarre, nelle quali è necessario simulare una serie di gesti e movenze a tema all’interno di livelli progressivi. Ancora presente la modalità Fitness che consente di visualizzare le calorie bruciate a ritmo di musica, donando quindi al titolo anche un elemento “salutista”. Per allungare l’interesse e per gli amanti dei “look più cool”, sono presenti anche vari sbloccabili con cui personalizzare il proprio avatar, elementi estetici e quant’altro. Tirando le somme, come per i capitoli precedenti, Just Dance 2018 vale la pena di essere giocato perché in primis è un titolo che diverte, poi perché è un gioco adatto ad ogni età per via del suo approccio “easy” e scanzonato, inoltre va promosso per la sua estetica eccessiva e coloratissima in puro stile anni ’80, ma soprattutto è un prodotto valido anche per i brani ben scelti e che accontentano un po’ tutti. Ovviamente il prodotto Ubisoft dà il meglio di sé quando viene giocato in compagnia, ma grazie alla possibilità di ampliare la biblioteca delle canzoni con Just Dance Unlimited e grazie anche alla componente multiplayer online, l’esperienza di gioco può essere altrettanto appagante anche quando si sta in casa da soli. I possessori di Nintendo Switch poi saranno ben contenti di poter giocare il titolo anche all’aria aperta, grazie alla possibilità di poter giocare anche fuori con la console, unica pecca potrebbe essere rappresentata dalle dimensioni ridotte dello schermo che forse potrebbero essere insufficiente per sessioni di ballo in compagnia di molti amici. In ogni caso se si ha voglia di ballare, se si hanno molti amici, se si vuole animare una festa o più semplicemente si vuole giocare in maniera differente dal solito, Just Dance 2018 è il titolo che fa per voi.

 

Di seguito la lista completa dei brani presenti in game e il nostro giudizio finale:

All You Gotta Do – The Just Dance Band
24K Magic – Bruno Mars
Another One Bites The Dust – Queen
Automaton – Jamiroquai
Bad Liar – Selena Gomez
Beep Beep I’m A Sheep – LilDeuceDeuce ft. Black Gryph0n & TomSka
Blow Your Mind (Mwah) – Dua Lipa
Blue (Da Ba Dee) – Hit the Electro Beat
Boom Boom – Iggy Azalea ft. Zedd
Bubble Pop! – HyunA
Carmen (ouverture) – Just Dance Orchestra
Chantaje – Shakira Ft. Maluma
Daddy Cool – Groove Century
Despacito – Luis Fonsi & Daddy Yankee
Dharma – Headhunterz & KSHMR
Diggy – Spencer Ludwig
Fight Club – Lights
Footloose – Top Culture
Got That – Gigi Rowe
How Far I’ll Go – Disney’s Moana
In The Hall Of The Pixel King – Dancing Bros
Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini – The Sunlight Shakers
Instruction – Jax Jones ft. Demi Lovato & Stefflon Don
John Wayne – Lady Gaga
Keep On Moving – Michelle Delamor
Kissing Strangers – DNCE ft. Nicki Minaj
Love Ward – Hatsune Miku
Make it Jingle – Big Freedia
Naughty Girl – Beyoncé
New Face – PSY
Risky Business – Jorge Blanco
Rockabye – Clean Bandit Ft. Sean Paul & Anne-Marie
Sayonara – Wanko Ni Mero Mero
Shape of You – Ed Sheeran
Side To Side – Ariana Grande Ft. Nicki Minaj
Slumber Party – Britney Spears ft. Tinashe
Swish Swish – Katy Perry ft. Nicki Minaj
The Way I Are (Dance With Somebody) – Bebe Rexha Ft. Lil Wayne
Tumbum – Yemi Alade
Waka Waka (This Time For Africa) – Shakira

 

GIUDIZIO GLOBALE

Grafica: 7,5
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8
Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Wolfenstein II: The New Colossus, il ritorno di B.J. Blazkowicz [Recensione]

Eccessivo, esagerato, volutamente iperbolico e assolutamente brillante. Con questi presupposti, Wolfenstein II: The new Colossus, sequel del videogame di successo che ha ripreso in mano il brand che ha fatto la storia degli shooter, si propone a tutti gli appassionati della saga su Pc, PS4 e Xbox One con una storia incredibile, una grafica mozzafiato e una giocabilità assolutamente di primissimo livello. La campagna di Wolfenstein II ha inizio con il selettore di difficoltà, proprio come accadeva nei lontani anni ‘90, dove un volto del protagonista sempre più arrabbiato e coperto di sangue permette al giocatore di scegliere se affrontare l’avventura in maniera più semplice, semplice, media difficile o difficilissima. La storia del nuovo videogame dedicato all’immortale B.J Blazkowicz ha inizio subito dopo gli eventi accaduti in The New Order e ovviamente vede la caccia ai nazisti, che in questo universo vi ricordiamo aver vinto il secondo conflitto mondiale e aver conquistato il mondo, sempre al primo posto. Il protagonista è sopravvissuto all’esplosione dopo l’atto suicida di Deathshead, ma le sue condizioni non sono delle migliori dato che, nonostante sia riuscito a salvarsi, deve passare l’inizio della storia sulla sedia a rotelle. Un incipit lento, che riesce a fare da rampa di lancio per le folli imprese che l’eroe dovrà compiere e per il costante miglioramento delle capacità motorie. Narrativamente parlando, la storia ha un sapore fortemente americano e tutti i personaggi che si incontreranno prepareranno il giocatore a qualcosa di più grande che, però, si potrà conoscere solamente nell’ultimo capitolo di questa folle quanto portentosa trilogia. La scrittura si dimostra uno dei punti forti di Wolfenstein 2: The New Colossus, perchè riesce ad arrivare al giocatore senza filtri linguistici, in maniera diretta, ponendosi parallelamente alle immagini a schermo, ma senza mancare di quel pizzico di ironia che ha caratterizzato il primo capitolo della saga. Gli eventi vivono di una logica surreale, ma coerente, tanto che gli escamotage più o meno incredibili di cui l’intreccio è ricolmo, non appaiono mai troppo fuori luogo e non stonano con il resto della produzione. Di personaggi stereotipati ce n’è a poi a bizzeffe, ma la caratterizzazione del prode Blazkowicz è lodevole e il suo sviluppo, anche se ogni tanto semplificato, risulta in larga parte credibile. Gli antagonisti, invece, pochi ma più sfaccettati, sono il fulcro delle scene d’intermezzo più memorabili del gioco.

Per quanto riguarda il gameplay, Wolfenstein II fa dell’azione il suo punto di forza principale. I ritmi si sono alzati notevolmente rispetto all’episodio precedente, e insieme col rinnovato dual-wielding delle armi hanno portato il livello di frenesia ad uno standard mai visto prima d’ora in un videogame di questo tipo. Per vincere, specialmente ai livelli di difficoltà più elevati, sarà necessario sfruttare le arene nella loro interezza, spostandosi di continuo e trovando la posizione ideale per sferrare un attacco decisivo. Per la maggior parte della trama l’armatura costituirà l’unica protezione di Blazkowicz e di conseguenza ci si troverà a fare affidamento sul solo istinto, realizzando un vero e proprio film action in tempo reale. Correre su per le scale, saltare dalla balconata e lanciare un’ascia in testa a un nemico eliminandolo all’istante diventeranno gesti di routine dopo pochissimi minuti di gioco. La difficoltà del titolo si attesta ampiamente al di sopra della media proposta dagli shooter in prima persona attualmente in commercio. Nonostante un level design minuziosamente creato per dare al giocatore innumerevoli alternative per scegliere come ingaggiare le truppe naziste, queste saranno un’arma a doppio taglio perché potranno facilmente essere sfruttate dall’esercito del terzo reich per aggirare l’eroe e colpirlo alle spalle senza pietà. A volte basta un solo nemico nella posizione sbagliata per mandare all’aria i piani di chi gioca. Il team di MachineGames sembra voler ricostruire uno stile simile a quello dell’originale Wolfenstein, in una sorta di rapido e costante assalto, svuotando caricatori e cercando coperture di fortuna. Rimane ottimo il grado di attenzione dedicato agli amanti dell’approccio stealth, infatti i puristi dell’azione silenziosa e degli attacchi a sorpresa potranno affrontare gran parte dell’esperienza conficcando asce nella schiena di ignari soldati, strangolarli alle spalle ed eliminarli saltando dall’alto senza farsi scoprire. I comandanti rappresentano la principale minaccia, essendo in grado di chiamare rinforzi e rendendo inaccessibili anche le zone più semplici. Malgrado l’apparente varietà di nemici, corazze e droni, la ripetitività degli avversari è l’unico reale punto debole dell’intera esperienza, e alcune sezioni ci hanno trasmesso l’idea che la scenografia costituisse l’unica differenza tangibile; d’altro canto, si tratta di un limite intrinseco del genere e, considerando la lore, potrebbe essere una soluzione pensata e voluta in sede di game design. La campagna ha una durata di circa tredici ore, una quindicina volendo completare tutte le attività collaterali. Oltre ai collezionabili nascosti nei livelli, l’hub di gioco situato nell’imponente sottomarino chiamato Martello di Eva è il punto di partenza di svariate missioni secondarie legate ai codici Enigma. Considerando che all’inizio dell’avventura viene presentata una scelta tra due timeline narrative capaci di influenzare trama, cutscene e perfino armi, l’offerta di The New Colossus supera di gran lunga quella di numerosi FPS equiparabili. Bisogna tenere conto che il multiplayer è completamente assente ma è una mancanza ampiamente giustificata dalla cura per i dettagli e dalle attenzioni dedicate alla storia dell’eroico protagonista.

Dopo aver completato il gioco, comunque, il titolo offre diverse cose da fare come ad esempio rigiocarlo da capo. All’inizio della partita, infatti, bisognerà compiere una scelta abbastanza importante, che cambia molte delle conversazioni e delle scene di intermezzo, e mette a disposizione un’arma diversa per B.J. In Wolfenstein II ci sono poi vagonate di collezionabili (bozzetti, dischi musicali, documenti e tanto altro ancora), sparsi per le mappe di gioco e sul Martello di Eva. Qui si trovano poi diverse attività collaterali: piccole quest secondarie assegnate dai membri dell’equipaggio e che una volta portate a termine regalano potenziamenti per i power-up di Blazkowicz, ma soprattutto le missioni di assassinio dei gerarchi nazisti, una piacevolissima aggiunta alla campagna principale. Eliminando i comandanti che si incontrano durante la main quest si entrerà in possesso delle così dette “carte Enigma”, ossia particolari schede da utilizzare sul sottomarino nell’omonima macchina. Tale strumento, attraverso un semplicissimo minigame, consentirà di mostrare sulla mappa la posizione precisa di alcuni importanti ufficiali del Reich. Una volta scovati questi pericolosi gerarchi nazisti, per riuscire ad avvicinarli ed eliminarli si dovranno riaffrontare alcuni pezzi di scenari già giocati e un pericoloso boss finale. Facendo ciò si raccoglieranno le così dette Carte della Morte e si ripulirà il tabellone su cui sono appese le foto dei nazisti “ricercati”. Come piccola chicca, infine, sul sottomarino che funge da base è presente una macchina arcade dal titolo Wolfstone 3D, bellissimo coin-op che riprende grafica e gameplay del primissimo Wolf3D, con tanto di livelli, savegame e difficoltà, ma rivisto in chiave nazista, con un soldato tedesco impegnato a infiltrarsi nella roccaforte americana e sconfiggere i soldati dello Zio Sam. Esteticamente parlando Wolfenstein II: The New Colossus è un titolo che porta con forza l’eredità storica della serie sfoggiando un più marcato contrasto cromatico tra l’accesa natura liberale degli Stati Uniti d’America e la grigia realtà oppressiva del regime nazista. La varietà delle ambientazioni è notevole e beneficia della natura on-the-road della seconda parte dell’avventura, mettendo in mostra diverse città americane e non. L’impatto grafico è notevole per il novanta percento della produzione, le ambientazioni in particolare sono realizzate con molta cura, ma ogni tanto qualche shader fuori posto, così come animazioni non particolarmente incoraggianti e qualche texture a bassa risoluzione saltano all’occhio. Nessun bug importante da segnalare, se non ogni tanto un po’ di goffaggine nelle scalate delle macerie. Musiche ed effetti brillano di luce propria, con la canzone giusta al momento giusto e suoni secondari magari in sottofondo che compaiono esattamente come ce li saremmo aspettati con il giusto grado di attenuazione. Il doppiaggio in italiano è molto buono, con qualche leggera flessione qualitativa di alcuni personaggi secondari e una sincronizzazione delle labbra non troppo precisa.

Tirando le somme, se vi state chiedendo se vale la pena acquistare questo Wolfenstein II: The New Colossus, bene la risposta è assolutamente sì. Nonostante la totale assenza del multiplayer, questo prodotto riesce a tenere incollati allo schermo per moltissime ore proponendo una trama avvincente, un gameplay di primissima scelta, una grafica mozzafiato, una valanga di collezionabili e un livello di sfida adatto per ogni tipo di gamer. Se non avete giocato al primo capitolo della serie Wolfenstein ossia “The New Order” e al suo prequel ispirato al videogame per Pc degli anni ’90 (Wolf 3D ndr.) ossia “New Blood”, correte a farlo. Infatti anche se Wolfenstein II può essere giocato come capitolo a se, avere una conoscenza degli eventi accaduti precedentemente garantirà ancora più divertimento ed emozioni. Quindi se state cercando uno sparatutto all’avanguardia, bello da vedere e da giocare, il titolo di Bethesda e MachineGames saprà donarvi tutto ciò che cercate.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9

VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise




Forza Motorsport 7, il re dei racing games è solo su Xbox One e Pc

Con lo stesso fragore del rombo di una fuoriserie in pista, Forza Motorsport 7, il videogame di guida in esclusiva per Xbox One e Pc, arriva per tutti gli amanti di corse automobilistiche. I possessori della console di casa Microsoft o di un computer possono quindi finalmente godere del gioco di corse più realistico mai realizzato fino a oggi. Per rendersi conto della bellezza di questo prodotto bastano davvero pochi minuti di gioco, tutto sembra perfetto, impeccabile e tale impressione non muta mai man mano che si scopre tutto ciò che il software ha da offrire. Forza Motorsport 7 è un capitolo che consolida l’ottimo lavoro svolto da Turn 10 nel corso degli anni, ma al contempo vanta di una grande personalità, qualità che si manifesta soprattutto nella resa del peso delle vetture in pista, nei feedback prodotti dalla trazione e dall’eventuale scivolamento sull’asfalto, nella generale sensazione di solidità di un modello di guida di assoluto riferimento per quanto concerne il genere. L’equilibrio trovato dagli sviluppatori in tal senso è pressoché perfetto, le auto risultano divertenti da guidare, ma rispondono perfettamente ai comandi proprio come accade nella realtà, quindi sono pronte a punire i piloti qualora schiaccino troppo sul pedale quando non dovrebbero o non tengano in considerazione le condizioni climatiche e quelle dell’asfalto. Grazie all’immensa rosa di opzioni alla guida Forza Motorsport 7 però si propone come un titolo adatto a qualsiasi tipo di giocatore, dal casual gamer a chi invece desidera il realismo più assoluto. Il titolo inoltre grazie ai 700 veicoli a disposizione risulta essere assolutamente vario ed estremamente bello da giocare. Insomma, con questi presupposti è bene sottolineare che non amare Forza 7 è davvero impossibile. Il titolo sviluppato da Turn 10 fa quest’anno da cavallo di battaglia per la line-up di Microsoft, che si è andata via via restringendo, e forte del suo bagaglio di quantità e qualità mira dritto al prossimo mese quando arriverà Xbox One X e potrà sfoggiare soluzioni tecniche 4k da apprezzare sul televisore, soluzioni tecniche impensabili fino a qualche tempo fa. Dopo il suggestivo filmato introduttivo, si viene subito a contatto con la prima delle numerose novità di questo settimo capitolo: la creazione del pilota. Naturalmente, trattandosi di un titolo racing, non c’è un editor approfondito: bisognerà infatti semplicemente scegliere il sesso del proprio alter ego digitale e la sua attrezzatura, ossia casco e tuta. In principio non ci sono molte scelte, alcune tute vengono sbloccate come bonus a seconda della fedeltà verso il marchio “Forza”, ma in poco tempo e dopo poche gare si potrà contare su un buon numero di kit di abbigliamento tra le decine disponibili, alcuni dei quali decisamente particolari: si spazia dalle normalissime tute racing con varie colorazioni e sponsorizzazioni passando per kit di abbigliamento più casual, altri decisamente vintage ed arrivando infine a completi assolutamente originali.

https://www.youtube.com/watch?v=Dokpy_KIuyA]

 

Una volta compiute le prime scelte, il gioco mette i giocatori nei panni di tre diversi piloti facendoli affrontare un tutorial sotto forma di flashback in cui ci vengono illustrate le peculiarità del titolo ed alcune delle novità che incontreremo proseguendo la carriera, come nuove categorie di veicoli e il forte impatto del rinnovato meteo dinamico. Una volta completate queste prime competizioni, si viene a contatto con il fulcro della modalità a giocatore singolo di Forza Motorsport 7: la Forza Driver’s Cup. Una volta arrivati al menù di gioco ci si accorge subito che l’offerta di base resta la stessa vista nei precedenti capitoli, con la modalità carriera divisa in categorie di importanza crescente che includono eventi sempre diversi, il multiplayer che conserva l’ottimo matchmaking della versione precedente del gioco, le collezioni d’auto anche queste divise per rarità e potenza e la solita lista di modalità composte da gare libere, Forza Vista, Hub e altro ancora a completare la lista. Mancano però ancora alcune modalità nel menu principale: gli eventi Forzathon, le Leghe e le aste, che appaiono con la dicitura “coming soon” nelle loro caselle. Presumibilmente i primi saranno simili a quanto visto in Forza Horizon, ossia eventi a scadenza e con limitazioni particolari per vincere ricompense speciali; l’asta dovrebbe includere le trattative tra giocatori per scambiarsi design ed oggetti rari e le Leghe serviranno a competere in multiplayer in gare speciali classificate, come in Forza 6. La modalità principale in single player è sempre la carriera, modalità che si distanzia dal percorso realistico di un pilota professionista, che comprende il far parte di scuderie, competere in campionati secondo un calendario, stipendi e così via. Ancora una volta in Forza Motorsport 7 ci si divide tra tanti eventi, composti da almeno quattro gare dove piazzarsi più in alto possibile per guadagnare crediti e punti esperienza, da spendere per comprare nuove vetture e accrescere il livello della propria collezione di bolidi, e finalmente progredire verso gare più importanti e automobili più potenti. La varietà di questi eventi è molto alta, ognuno è dedicato ad una categoria diversa, con più o meno restrizioni a seconda dei casi, e si ambienta in una selezione di circuiti pensata per stressare il tipo di veicolo che si deve utilizzare, e di conseguenza anche il giocatore. Oltre a competizioni basate su classifica, ci sono gli eventi speciali che pongono chi sta dinanzi lo schermo in situazioni alternative come l’ormai leggendario car-bowling, esibizioni monomarca, endurance o le avvincenti sfide hoonigan. Per dare maggior peso alla vittoria si possono utilizzare le modifiche, ovvero delle carte speciali capaci di dare ad esempio maggiori limitazioni od obiettivi in gara per aumentare i crediti e i punti esperienza ottenibili. Non cambiano molto gli equilibri ma accrescono la sfida e velocizzano l’accumulo di valuta per far crescere la collezione di auto in possesso nel proprio garage. Per quanto riguarda il sistema di guida, ancora una volta la serie di Forza si conferma essere il giusto connubio tra simulazione e arcade. La quantità di sistemi di assistenza alla guida è tale da rendere il gioco godibile anche durante i primi minuti, e soprattutto anche a chi non ha mai provato prima un racing game. Disabilitando tutti i controlli la difficoltà di Forza Motorsport 7 aumenta sostanzialmente e quindi anche chi desidera un livello di sfida molto impegnativo sarà sempre soddisfatto. In gara un piccolo errore può compromettere l’intera corsa, quindi anche stavolta è stato inserito un sistema di “riavvolgimento del tempo”, attivabile premendo il tasto Y, che consente di trnare indietro di qualche secondo e quindi di evitare di commettere l’errore commesso in precedenza. Naturalmente i giocatori che desiderano un’esperienza realistica non usufruiranno mai di tale feature, ma i giocatori meno abili saranno felici di ciò e grazie al riavvolgimento potranno imparare più in fretta come affrontare determinate curve e come dosare l’acceleratore.

 

https://www.youtube.com/watch?v=QITXLdS3eW0

 

Il miglioramento delle performance passa attraverso l’esperienza sui tracciati, che porta a immaginare messe a punto specifiche, da impostare, salvare e condividere andando a modificare i valori relativi alla pressione delle gomme, alla lunghezza dei rapporti, all’allineamento delle ruote, alle barre antirollio e alla durezza delle sospensioni. Insomma se si vuole gareggiare ad alto livello, il titolo di Turn 10 vi offre tutte le armi necessarie per farlo. Un ultimo apprezzamento per quello che concerne il driving system va fatto alle condizioni climatiche e ai suoi effetti, infatti nei circuiti in cui è presente il meteo variabile, in particolare, l’incidenza della pioggia viene rappresentata alla perfezione, andando a creare gradualmente delle pozze d’acqua che influiscono in maniera sostanziale sulla tenuta di strada, allungando inevitabilmente le frenate e impedendo ai giocatori di dare completo sfogo al propulsore, specie se ci si trova alla guida di un’auto potente. Per quello che concerne il lato grafico e tecnico è necessario distinguere tra la resa su Xbox e PC, ma soprattutto tra le diverse periferiche di input utilizzabili, che cambiano radicalmente la nostra esperienza di gioco. Xbox One alle prese con Forza Motorsport 7 si difende egregiamente, prende quanto di buono visto con i precedenti capitoli e lo migliora ancora di più grazie ai nuovi effetti atmosferici e l’illuminazione generale, vera discriminante del fotorealismo. Purtroppo alcuni modelli di auto non sono perfetti, dimostrando come per raggiungere il numero ragguardevole di 700 auto si sia dovuti ricorrere a parecchi lavori svolti nel corso di tutti questi anni: un aspetto che si nota, ma che non rovina per nulla l’impatto grafico che resta comunque di altissimo livello. Su PC invece, grazie alla possibilità di accedere alle impostazioni avanzate, diventa un piacere adattare il motore di gioco alle proprie esigenze. Rimane in sospeso la versione Xbox One X, infatti solo all’uscita della console più potente del mondo, sviluppata da Microsoft, si potrà ammirare il reale potenziale di Forza Motorsport 7 su console. Eccezionali i tracciati, realizzati ad arte ancora una volta e perfettamente riconoscibili. Forse i migliori di sempre per via del meteo dinamico che ne cambia l’aspetto in tempo reale, e illuminati magistralmente. Considerando le molteplici varianti, è possibile affrontare più di 200 percorsi, quanto basta per soddisfare a lungo tutti gli appassionati e tenerli impegnati nello studio della curva perfetta evento dopo evento. A completare la grandezza del titolo c’è il sonoro. Il rumore dei motori in pista è la parte migliore, con tutti i suoni registrati dalle controparti reali. Di grande effetto sono anche i sobbalzi del motore tra una marcia e l’altra. Un po’ meno coinvolgenti i rumori delle collisioni che risultano poco credibili, ma ciò rappresenta l’unico vero neo della produzione, ma che in ogni caso non sporca il risultato d’insieme. La musica di accompagnamento alle selezioni nei menù è composta da una buona raccolta di brani per la maggior parte rock, genere che ha sempre caratterizzato la serie, ma trattandosi di un aspetto totalmente marginale esso non danneggia o migliora il prodotto finale.

 

https://www.youtube.com/watch?v=_PKL3323wkQ

 

Tirando le somme, con Forza Motorsport 7 Microsoft e Turn 10 hanno realizzato un vero e proprio capolavoro, un mastodonte dei racing games, un colosso inattaccabile capace di coinvolgere e appassionare qualsiasi tipo di giocatore. A nostro avviso se siete possessori di una console del colosso di Redmond o avete a disposizione un buon Pc da gioco, lasciarsi scappare Forza Motorsport 7 potrebbe essere un grave errore. Se state cercando un gioco davvero bello, coinvolgente e duraturo, allora questo è il titolo giusto.

 

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 10

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

 

Francesco Pellegrino Lise