Tutti tranquilli (si fa per dire): c’e’ Lord Conter il cavaliere che da bianco è diventato nero

E così abbiamo un ‘nuovo governo’. Cioè, metà del governo vecchio, più un’altra armata fra vecchi PD e raccogliticci nuovi elementi eterogenei, da cui si comprende come gli sforzi del Cavaliere Nero ‘Giuseppi’ Conte lo abbiano portato a raschiare il fondo del barile. Ma non da solo. Già, il Cavaliere Nero, quello che si era presentato come Sir Galahad, il Cavaliere Bianco senza macchia e senza paura, l’avvocato degli Italiani. Ma che tale non si è dimostrato. All’inizio lo avevamo creduto un novello Cincinnato, con quella dichiarazione che aveva rilasciato al suo esordio, che diceva pressappoco così: La mia esperienza politica inizia e finisce qui. Dopo questo governo, non rimarrò in politica. Lo faccio solo per amore degli Italiani e dell’Italia. Più o meno. Il sen so era quello. Ma poi qualcosa è cambiato, facendoci capire che in politica i miracoli non esistono. Il sospetto, però che la sua condotta fosse già viziata all’inizio da alcune riserve mentali, sorge quando si da’ un’occhiata a chi è ‘Giuseppi’ Conte, il Cavaliere senza macchia e senza paura, il sir Galahad che dal bianco ha virato improvvisamente al nero più fosco. Quando si è presentato a giurare davanti a Mattarella, lo stesso (Mattarella) avrebbe potuto dirgli che poteva farne a meno, che era ancora ‘sotto giuramento’, come succede nei tribunali per i testimoni. Giurare e stragiurare fedeltà alla Repubblica – e non all’Italia – non giova alla condotta di un presidente del Consiglio: non ha semplicemente senso. Come per la campanella. Conte è succeduto a se stesso, passandola da una mano all’altra, in una ennesima comica finale che tutta questa compagine governativa rappresenta, riproponendosi alla nostra memoria come la famosa armata raccogliticcia del cavaliere Brancaleone da Norcia. Un’armata radunata in fretta e furia per evitare non già l’aumento dell’IVA, ma le elezioni che il Capo dello Stato sarebbe stato costretto ad indire, sciogliendo le camere. L’abbiamo visto, invece, il Presidente, sorridente e felice, dopo che Conte aveva sciolto la riserva nelle sue mani: una delle rare occasioni in cui ha mostrato buonumore, bisogna dire. Possiamo pensare che si sia sentito sollevato. E possiamo legittimamente pensare che il suo sollievo sia dipeso dal fatto che finalmente le comprensibili pressioni esogene che lo preoccupavano sarebbero cessate. Tutto andava nella direzione giusta. Riportano alcuni giornali che nel momento più delicato della trattativa la Merkel ha telefonato a Conte, spronandolo a fare il governo a tutti i costi ‘per fermare i sovranisti’.

Quello che irrita ogni buon cittadino italiano, alla fine, è proprio questa ingerenza nei nostri affari interni, che riporta alla mente un’altra ingerenza del genere, quella di Adolf Hitler. E sappiamo com’è andata a finire. Questo è uno dei motivi ‘fondanti’ della nuova ‘maggioranza’ solo parlamentare, ma gradita alla Merkel e ai suoi sodali. Ma in che mani siamo? Un altro motivo fondante di questo ‘nuovo’ governo voluto da Renzi (lo avevamo detto che avrebbe ricicciato dopo il suo ingresso ufficiale nel Club Bilderberg, durante l’ultima riunione, la 67esima, a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al due giugno) è la grande abbuffata di poltrone che si prospetta: 140 superpoltrone da spartire, per ridisegnare la mappa del potere. E nel 2022 la nomina del Presidente della Repubblica: scommettiamo che andrà a Prodi? Mentre, come scrive un quotidiano in prima pagina, con i comunisti al potere i Vescovi stappano bottiglie di champagne e i migranti fanno festa.

Diciamo intanto che Salvini, bene o male, aveva e continua ad avere contro tutti, ma proprio tutti, compreso il papa Bergoglio, un gesuita portato al soglio pontificio dopo aver costretto alle dimissioni Benedetto XVI. Delle oscure trame del Vaticano poco o nulla sappiamo. Sappiamo però che esse sono oscure – e per il grosso pubblico incomprensibili – tanto da indurre Francesco a scegliere di non abitare nelle stanze avite di S. Pietro, ma di far capo a Santa Marta. Timore di far la fine di Giovanni Paolo Primo? Il sospetto è legittimo, guardando poi cos’è successo con il Secondo, autore di una rivoluzione epocale, che il buon Luciani evidentemente non era idoneo a provocare.

Insomma, dietro Conte si intravvede la longa manus del potere gesuita, se non papale. Sarà ormai noto ai più che ‘Giuseppi’ ha studiato in un collegio facente capo ad una fondazione tenuta dal cardinal Silvestrini, recentemente scomparso (niente male, morto un Papa se ne fa un altro, figuriamoci un cardinale).

Silvestrini è stato il più grande protettore di Conte

Pare che fosse (Silvestrini) addirittura il potere della Curia romana dietro Andreotti, il successore del cardinal Casaroli. Uno dei gesuiti che hanno brigato per portare Bergoglio dov’è adesso. E chi è oggi l’uomo più potente dopo Bergoglio? Proprio monsignor Pietro Parolin, attuale segretario di Stato del Vaticano. Quello che strillava più forte degli altri contro Salvini. E con Parolin c’è un coacervo di personaggi legatissimi a Conte, il professore più appoggiato dal Vaticano. Praticamente uno che ha lo stesso potere che aveva Andreotti. D’altronde, da Volturara Appula a Roma il passo è lungo, e se non hai chi ti aiuta non lo potrai mai compiere.

Zingaretti. Ne vogliamo parlare?

In piena crisi di uomini e vocazioni – un po’ come la chiesa Cattolica – il PD è stato costretto ad eleggerlo segretario. Ormai i DEM hanno in mano un fascio di foglie secche, un partito logorato dagli scandali – anche se sottaciuti, per lo più – distrutto da Renzi, pieno di personaggi stanchi politicamente, ormai non più in grado di esprimere nulla, per la maggior parte svogliati, disinteressati, inquisiti, condannati, processati, scaduti come lo yogurth. Zingaretti, l’uomo del nulla, s’è mostrato subito svogliato, incredulo, inadeguato. Secondo lui questo matrimonio non sarebbe stato da fare, e la sua posizione iniziale lo dimostrava. Ancor più quando Di Maio ha portato a venti, tassativi ed irrinunciabili, i dieci punti iniziali. Si sarà sentito un poveraccio lo Zinga con i suoi soli cinque punti.

L’accordo ha sfiorato il fallimento

Ma dietro le quinte c’era chi ha brigato per forzare la mano ai Cinquestelle. Nell’ordine, Renzi, Prodi, Merkel, l’Unione Europea, cioè il club Bilderberg. Il Cavaliere Nero ha fatto il resto. Una volta nei piccoli paesi delle nostre provincie, specialmente nel meridione, esisteva la figura del sensale, quello che presiedeva al mercato del bestiame, aiutando compratori e venditori, e con lo stesso savoir faire organizzava i matrimoni. Senza che una famiglia o l’altra dovessero compromettersi, rischiando la faccia con un rifiuto, si occupavano di portare da una famiglia all’altra le proposte e le condizioni per unire due giovani – che in pratica s’erano solo visti per strada, o a messa, ma che non avevano mai neanche scambiata una parola – e combinare il matrimonio. Si chiamavano – absit iniuria – ‘ruffiani’. In senso buono, naturalmente. Ma certamente Zingaretti e Di Maio non sarebbero convolati ad ingiuste nozze senza l’opera di mediazione di Giuseppe Conte. Il segretario del PD avrà tirato un sospiro di sollievo, accorgendosi che c’era qualcuno molto più capace di lui che gli toglieva le castagne dal fuoco. Di Maio avrà benevolmente accolto l’intervento tanto invocato del Cavaliere Nero, accorgendosi troppo tardi della fregatura. Infatti, il più del tempo lui dovrà pensare non ai suoi venti punti cinquestellati per ridare diritti ai cittadini, ma soltanto delle questioni che riguardano l’Italia all’estero. Così se lo sono tolto dai piedi. Ai bambini si dice d’andar fuori a giocare, di solito, quando danno fastidio. In più dovrà anche imparare almeno l’inglese, e speriamo che i risultati siano migliori di quelli di don Matteo Renzi con il suo inglese ‘creativo’. Spicca in tutto questo la mancanza di spessore di Zingaretti, (a proposito lui, l’inglese, lo conosce?) il quale dall’inizio s’è messo in bocca due o tre slogan che andava ripetendo continuamente, in ogni occasione, ricordando il ragazzino di Miseria e Nobiltà, a cui avevano detto di ripetere, a chiunque lo avesse interrogato, la stessa frase, cioè “Vincenzo m’è padre a me.” Così Zingaretti a tutti ripeteva che “E’ finito il governo dell’odio (l’unico odio è stato quello dei Piddini contro Salvini), abbiamo un governo di svolta per salvare l’Italia (attenti alle svolte, non sai cosa c’è dietro l’angolo. Quanto poi a salvare l’Italia, già ci hanno pensato gli Americani nel 44, dopo Garibaldi. E non credo che ci trovassimo in quella condizione).” Quanto poi alla ‘discontinuità’ che lui invocava, intendendo un ‘governo nuovo’, in realtà il governo è nato vecchio. Solo alcuni elementi sono nuovi. Non si capisce bene perché si vada a caccia del nuovo quando il vecchio alla fine funzionava, ed è stato interrotto non da Salvini, ma da quella frangia di 5stelle che ha votato per Ursula Von Der Leyen alla Commissione europea.

Quattordici voti fuori dagli accordi che hanno permesso l’elezione della Von Der Leyen (per appena nove voti) e dato un taglio netto al governo gialloverde, separando appunto il giallo dal verde. In pratica, il governo era già defunto quando Conte, in Senato, gli ha dato il colpo di grazia, dicendo che se nessuno aveva il coraggio di farlo, la parola fine l’avrebbe messa lui, andando ipso facto dal Presidente della Repubblica. Zingaretti si è sentito in dovere di rassicurare gli elettori promettendo il ‘nuovo’, ma il nuovo non sempre è meglio del vecchio, specie quando rispecchia una maggioranza solo parlamentare. (L’ingresso di LEU nell’esecutivo rispecchia proprio l’esigenza di ottenere i ‘numeri’ al Senato). L’unica novità sarà quella di smontare ciò che di buono aveva fatto Salvini: si riapriranno i porti, (ritornando ai morti in mare, a favorire gli scafisti e i mercanti di uomini, ridando vigore alle associazioni che lucrano sui migranti, riempiendo le nostre strade di disperati o di delinquenti senza dimora, pericolosi per il cittadino medio), si abrogheranno i decreti sicurezza, si imporrà una tassa sui patrimoni, eccetera eccetera. Nel nome della novità a tutti i costi, con lo spauracchio di un aumento dell’IVA che, a quanto pare sarebbe assorbita in sede di produzione e non peserebbe sui consumatori, in realtà per distruggere ciò che gli Italiani, la maggior parte, hanno visto con favore. Magari anche in materia di legittima difesa, ritornare a quella leggina – l’art 52 CP – che non tutela le persone per bene. L’Italia non ha mai negato la salvezza in mare. Ma una cosa è raccogliere in mare ottanta, cento disperati su di un gommone lasciato apposta lì perché affondi, un’altra è portarli sempre tutti in Italia, trasformandola in un immenso campo profughi. E qui ci sarebbe da dire tanto. In ogni caso, lo Zinga, compiuta la sua missione impossibile, ha deciso di tornarsene al palazzo della Regione, dove lui è qualcuno, rinunciando ad una vita politica senza certezze, visto come i governi vanno e vengono. Probabilmente anche suggestionato da tutte le fonti d’informazione che danno a questo governo vita breve. Meglio stare alla Regione, dove potrà comodamente continuare a raccogliere il frutto delle proprie fatiche, magari commissariando ancora i Comuni per costringerli, nonostante un referendum popolare plebiscitario abbia sancito che l’acqua è un bene comune, e non va privatizzata, ad accettare l’amministrazione della società Talete, che pare abbia grossi problemi di contabilità da recuperare sugli utenti, per cui l’attuale bolletta idrica di noi cittadini con Talete sarebbe quintuplicata, e di questo testimoniano tutti coloro che da anni pagano l’acqua alla Società Talete. Non sappiamo per far bene a chi, dato che da sempre l’acqua è stata fornita ai cittadini dal proprio Comune. Ma tant’è: a questo governo l’Europa ha già aperto le braccia e le gambe, lasciando intendere che da oggi in poi gli sforamenti e le flessibilità saranno più che possibili, addirittura graditi, anzi a controllare questi fattori economici ci vedrebbero bene proprio un italiano, magari quel Gentiloni che con il suo stile inglesizzante vanta anche qualche quarto di nobiltà. Paolo Gentiloni Silveri, dei Conti Gentiloni Silveri, signori di Filottrano, Cingoli, Macerata e Tolentino, laurea in Scienze Politiche alla Sapienza, dal 1990 giornalista professionista. Un uomo grigio, grigio nei capelli, grigio negli abiti di sartoria, grigio nei comportamenti: tanto, come diceva il maggiordomo dai guanti grigi accarezzando il lato B della sua padrona “Signora – alle sue rimostranze – il grigio va su tutto”. Insomma, da oggi ogni problema è risolto, i media non fanno altro che adottare toni trionfalistici per ogni minimo rumore politico, cantiamo Alleluia, l’Italia è finalmente salva, giusto sul ciglio del burrone, ma grazie a Dio è arrivato il favoloso Settimo Cavalleggeri; avviata così ora verso un sicuro futuro di crescita e di benessere, con lo spread ai minimi storici e il debito pubblico avviato all’annientamento.

Mattarella chiede ufficialmente ‘Un ruolo di primo piano nella UE’, ciò che non s’era mai sognato di fare col governo gialloverde: ma sarà ‘super partes’?

I Dem hanno i loro ai posti di combattimento, (hanno già incominciato a tirar calci ai grillini), anche se qualche curriculum rimane basso, ma proprio basso – come lo Zinga, con il suo diploma di odontotecnico che immaginiamo in cornice, appeso dietro alla poltrona della scrivania del suo studio privato, come di prassi. O qualcun altro/a che vanta la terza media, e di cui neanche Wikipedia riporta la biografia: ma che volete, quando si va al Sindacato non ti chiedono di più. E comunque è vietato criticarlo/a, soprattutto per il suo abbigliamento ‘creativo’.
Su tutti svetta il Cavaliere Nero, novello Brancaleone da Norcia, divenuto avvocato dei migranti – dei quali non contrasterà più l’accoglienza, ma la caldeggerà – che con il curriculum lungo due braccia sopperisce ad ogni mancanza. Mala tempora currunt.