YARA: ECCO PERCHE' BOSSETTI RESTA IN CARCERE

di Chiara Rai

Un altro macigno per il muratore di Mapello. I giudici della Suprema Corte, presieduti da Arturo Cortese, hanno dunque confermato l'ordinanza emessa dal Riesame di Brescia il 14 ottobre scorso. Bossetti si trova in cella dal giugno 2014: è indagato per l'omicidio di Yara la 13enne di Brembate che scomparve il 26 novembre del 2010, il cui cadavere fu ritrovato dopo tre mesi in un campo abbandonato della zona. Anche il sostituto pg della Suprema Corte, Oscar Cedrangolo durante l'udienza a porte chiuse aveva sollecitato il rigetto del ricorso. Le motivazioni della sentenza emessa saranno depositate entro un mese.

A incastrare Bossetti sono principalmente quattro elementi. La polvere di calce trovata nei polmoni di Yara, l'analisi delle celle telefoniche, la testimonianza del fratello minore. Il primo elemento non può essere considerato univoco della presenza del 44enne muratore, il secondo mostra che il giorno della scomparsa il cellulare di Yara aggancia oltre un'ora prima la stessa cella di Bossetti, la descrizione fornita da Natan non corrisponde a quella del presunto killer, sentenziano i giudici del Riesame che riducono sostanzialmente alla traccia biologica l'indizio che costringe in carcere l'indagato. E dall'architrave dell'indagine bisogna partire per capire tutti gli elementi dell'inchiesta.

 

Il Dna. La traccia mista (Yara – Ignoto 1) trovata sui leggings della 13enne dice che il Dna nucleare corrisponde con quello di Bossetti, ma non il Dna mitocondriale. Un "manifesto, acclarato e determinante dubbio" che per l'avvocato Salvagni è sufficiente per scarcerare Bossetti. Un dato a favore dell'indagato da aggiungere "all'assenza di peli e capelli dell'indagato sul corpo della 13enne, all'assenza di elementi della vittima sul furgone del 44enne muratore". Sotto la felpa della vittima ci sono due capelli sconosciuti di cui si conosce solo il Dna mitocondriale, un altro elemento su cui punta la difesa.

 

Il furgone. Il furgone di Bossetti sarebbe stato ripreso dalle telecamere della zona mentre si aggirava intorno alla palestra di Brembate – frequentata dalla giovane ginnasta – fino a un'ora prima della scomparsa di Yara e secondo l'ultima relazione, consegnata dai Ris alla procura, sui leggings della 13enne sarebbero stati ritrovati fili del sedile del camioncino del suo presunto assassino. Secondo la difesa questo tipo di materiale è presente su diverti tipi di mezzi, anche pullman, inoltre l'analisi degli esperti non è stata svolta davanti ai consulenti della difesa.

 

La testimonianza. Una donna riferisce di aver visto Bossetti, tra agosto e settembre 2010, in auto in compagnia di una ragazzina che assomigliava a Yara. Una testimonianza resa agli inquirenti nel novembre scorso e che per la difesa dell'indagato risulta essere tardiva e la cui veridicità resta da dimostrare.

 

Ricerche "porno" su tredicenni dal computer di Bossetti. Per l'accusa il movente del delitto viene svelato dalle ricerche via web e per quell'ossessione per le ragazzine o le "tredicenne" digitate più volte nei motori di ricerca. Dalla consulenza della procura "si evince – secondo gli esperti del pool difensivo – come sia una ricerca automatizzata più che una digitazione fatta da una persone, visto che le parole sono distanziate da un trattino". Per l'accusa è Bossetti a far le ricerche online lo scorso 29 maggio – non era a lavoro quel giorno – ma gli inquirenti non spiegano chi fa ricerche simili il 7 maggio quando invece è al cantiere. "Ancora una volta – per la difesa – nei documenti della procura viene presentato un elemento come indiziario fingendo di non vederne uno identico tale da azzerare il primo".

 

Le intercettazioni. Nei giorni scorsi diventa pubblica un'intercettazione: "Rischierò l’ergastolo, ma non confesso per la mia famiglia", il senso delle conversazioni tra Bossetti e gli altri detenuti del carcere di Bergamo. Affermazioni acquisite dal pm Letizia Ruggeri perché ritenute interessanti. "Non confessa, perché non ha fatto nulla. Non crolla, perché vuole dimostrare la sua innocenza", la replica dell'avvocato Salvagni.

 

Il parere dell'esperto. “l’assassino potrebbe essere un parente”, ecco quanto dichiarato da Sarah Gino, genetista forense a cui si è affidata la difesa di Massimo Bossetti, unico indagato per l’omicidio di Yara Gambirasio. Il medico, con alle spalle numerosi altri casi con il quale ha collaborato, sostiene che vi sono sette formazioni pilifere sul corpo di Yara che appartengono a soggetti diversi da Bossetti, dice che codeste persone non sono state identificate al momento, ma ciò che si sa è che due di questi hanno lo stesso dna mitocondriale ovvero che potrebbero appartenere a soggetti imparentati per via materna. La genetista sostiene che il dna maggioritario trovato è quello di Yara rispetto a quello di Massimo Bossetti. Sostiene anche che Yara, avvalorando questa tesi, potrebbe essere imparentata con il suo assassino.

 

La morte di Yara. E' il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo.Un delitto che porta, in pochi giorni, all’arresto di Mohamed Fikri, rilasciato per una traduzione sbagliata. Su di lui si riaccendono i riflettori e cambia ancora la scena: per Fikri cade l’accusa di omicidio e si profila quella di favoreggiamento. Il giudice delle indagini preliminari Ezia Maccora archivia il fascicolo con la prima ipotesi, ma rimanda gli atti al pm di Bergamo Letizia Ruggeri perchè indaghi sulla seconda.
Una mezza vittoria per mamma Maura e papà Fulvio che, attraverso l’avvocato Enrico Pelillo, si erano opposti all’archiviazione. Il gip ricorda che dalle analisi e dagli esami sui vestiti e nei polmoni di Yara c’erano polveri riconducibili a calce, sostanze “simili ai materiali campionati nel cantiere di Mapello”, dove lavorava il tunisino. Inoltre, la zona in cui le celle telefoniche agganciano il cellulare della ragazza, nell’arco di tempo che va dalle 18.30 alle 19, “coprono anche l’area del cantiere, “rendendo plausibile in quel range temporale la presenza di Yara e di Fikri in un territorio circoscritto”. Ma l’operaio non l’ha uccisa.
Due gli elementi che lo scagionano: il suo Dna non corrisponde con quello trovato sugli slip e sui leggings della 13enne, l’analisi delle celle telefoniche dimostrano che il tunisino non è andato nel campo di Chignolo d’Isola, dove la vittima è stata uccisa e abbandonata. Tuttavia secondo il giudice ci sono delle “incongruenze” nelle telefonate di Fikri e “in assenza di una plausibile ricostruzione alternativa”, queste “incongruenze” potrebbero far ritenere che la sera del 26 novembre 2010, l’uomo “ha visto o è venuto a conoscenza di circostanze collegate alla scomparsa e all’ omicidio di Yara “. Per il gip appare verosimile che sia stato spinto a nascondere quello che ha visto, “per proteggere o favorire la persona che ritiene in qualche modo coinvolta nel delitto”. Nei mesi scorsi la sua posizione è stata archiviata e il sospettato numero uno esce di scena. E le indagini proseguono ripartendo dalle analisi genetiche sulle tracce trovate sugli abiti della vittima, circa 18mila i Dna prelevati e analizzati da carabinieri e polizia che lavorano fianco a fianco nell’inchiesta.

 

Chi è Massimo Bossetti. Originario di Clusone, Massimo Giuseppe Bossetti ha 44 anni, è sposato e ha tre figli. L’uomo, senza precedenti penali, lavora nel settore dell’edilizia ed ha una sorella gemella. Il Dna lasciato sul corpo della vittima sarebbe sovrapponibile a quello di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 e ritenuto in base all’analisi scientifica il padre dello sconosciuto assassino al 99,9%.
Il profilo genetico del presunto assassino è in parte noto. Per questo era stata riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che secondo gli esami scientifici risulta essere il padre del presunto assassino di Yara. Avere la certezza che l’autista è il padre dell’uomo che ha lasciato il proprio Dna sui vestiti di Yara non risolve il problema: trovare il killer, un presunto figlio illegittimo di cui non c’è traccia. L’ultima conferma sull’analisi scientifica arriva nell’aprile scorso contenuta nella relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, la stessa esperta che aveva eseguito l’esame sulla salma della giovane vittima.