YARA GAMBIRASIO: NOVITA’ CHE INCASTRANO MASSIMO GIUSEPPE BOSSETTI

di Christian Montagna

Bergamo – Continuano senza sosta le indagini sul caso della giovane Yara Gambirasio. Dopo essere stato arrestato con l’accusa di omicidio Massimo Giuseppe Bossetti grazie ad un attento lavoro dei RIS sui dna prelevati, emergono nuovi particolari sulla vicenda. Dall’ordinanza del gip Ezia Maccora, si evince che la ragazza sia salita volontariamente sulla macchina del suo assassino. Analizzando inoltre le celle agganciate dal cellulare della giovane ginnasta, alle 18.44 del 26 Novembre, è possibile stabilire che si trovasse ancora nei pressi della palestra. Soltanto cinque minuti dopo il suo cellulare andò fuori uso. Si pensa dunque che intorno alle 18.49 sia cominciata l’aggressione.

Gli investigatori inoltre hanno scoperto che la zona di Chignolo d’Isola in cui fu ritrovato il corpo senza vita della piccola Yara, era stata spesso frequentata da Bossetti. Proprio in quella zona infatti risiede la ditta da cui si rifornisce di materiali edili. I colpi di scena però non finiscono qui: sul corpo di Yara furono trovate altre tracce di dna tra cui una di natura femminile. Tale ipotesi se avvalorata, potrebbe far pensare alla presenza di un complice sul luogo del delitto. La scoperta che ha fatto sì che il gip confermasse la custodia cautelare è stata quella dell’analisi dei tabulati del Bossetti. Secondo questi infatti, il muratore che vive a Mapello e lavora in zona, è stato intorno alla palestra di Brembate di Sopra almeno tre volte nei giorni precedenti la scomparsa di Yara. Particolari questi che hanno permesso agli investigatori di pensare che l’omicida stesse studiando i movimenti della sua vittima.

Durante il primo interrogatorio, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il lavoro effettuato dagli investigatori sui dna pare essere assolutamente corretto. Non ci sono dunque possibilità di margini di errori. Ricordiamo come sono andati i fatti: è il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo. Un delitto che porta, in pochi giorni, all’arresto di Mohamed Fikri, rilasciato per una traduzione sbagliata. Su di lui si riaccendono i riflettori e cambia ancora la scena: per Fikri cade l’accusa di omicidio e si profila quella di favoreggiamento. Il giudice delle indagini preliminari Ezia Maccora archivia il fascicolo con la prima ipotesi, ma rimanda gli atti al pm di Bergamo Letizia Ruggeri perchè indaghi sulla seconda.

Una mezza vittoria per mamma Maura e papà Fulvio che, attraverso l’avvocato Enrico Pelillo, si erano opposti all’archiviazione. Il gip ricorda che dalle analisi e dagli esami sui vestiti e nei polmoni di Yara c’erano polveri riconducibili a calce, sostanze “simili ai materiali campionati nel cantiere di Mapello”, dove lavorava il tunisino. Inoltre, la zona in cui le celle telefoniche agganciano il cellulare della ragazza, nell’arco di tempo che va dalle 18.30 alle 19, “coprono anche l’area del cantiere, “rendendo plausibile in quel range temporale la presenza di Yara e di Fikri in un territorio circoscritto”. Ma l’operaio non l’ha uccisa.

Due gli elementi che lo scagionano: il suo Dna non corrisponde con quello trovato sugli slip e sui leggings della 13enne, l’analisi delle celle telefoniche dimostrano che il tunisino non è andato nel campo di Chignolo d’Isola, dove la vittima è stata uccisa e abbandonata. Tuttavia secondo il giudice ci sono delle “incongruenze” nelle telefonate di Fikri e “in assenza di una plausibile ricostruzione alternativa”, queste “incongruenze” potrebbero far ritenere che la sera del 26 novembre 2010, l’uomo “ha visto o è venuto a conoscenza di circostanze collegate alla scomparsa e all’ omicidio di Yara “. Per il gip appare verosimile che sia stato spinto a nascondere quello che ha visto, “per proteggere o favorire la persona che ritiene in qualche modo coinvolta nel delitto”. Nei mesi scorsi la sua posizione è stata archiviata e il sospettato numero uno esce di scena. E le indagini proseguono ripartendo dalle analisi genetiche sulle tracce trovate sugli abiti della vittima, circa 18mila i Dna prelevati e analizzati da carabinieri e polizia che lavorano fianco a fianco nell’inchiesta. Ora che pare essere giunti ad una soluzione, si studiano attentamente le venti mila pagine d’inchiesta per cercare di scovare il particolare che sarà determinante per questa triste vicenda.

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