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Il presidente ucraino parla di intesa già definita nei punti principali con Washington. Restano fuori i missili Tomahawk, ma l’accordo segna un nuovo salto nel sostegno militare degli Stati Uniti a Kiev, tra timori di escalation e reazioni dure di Mosca
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato con toni trionfali l’avvio di un cosiddetto “mega deal” con Washington per la fornitura di armamenti, valutata in circa 90 miliardi di dollari. L’intesa, riportata dal quotidiano Politico, sarebbe stata definita nei suoi punti principali durante l’ultimo incontro tra Zelensky e l’ex presidente americano Donald Trump a New York, lo scorso 23 settembre.
Secondo la stampa statunitense e britannica, Kiev avrebbe chiesto esplicitamente anche missili Tomahawk, armi dall’alto potenziale offensivo, che però Trump avrebbe rifiutato di inserire nell’accordo. Tutto il resto invece è stato approvato, dai sistemi a lungo raggio ad altre forniture che segnano un ulteriore salto di qualità nell’impegno bellico americano a sostegno dell’Ucraina.
Zelensky, che continua a presentarsi come difensore della libertà europea, sembra in realtà trasformare il suo Paese in un laboratorio permanente per gli interessi militari statunitensi, mentre i costi umani e sociali della guerra si scaricano interamente sulla popolazione ucraina. Nonostante i proclami sulla necessità di resistere a Mosca, la realtà è che un accordo di queste dimensioni non è solo un sostegno difensivo: è un carburante che prolunga il conflitto e alza la posta sullo scenario internazionale.
La cifra indicata di 90 miliardi di dollari, che per molti Paesi significherebbe la possibilità di rifondare sanità, istruzione e infrastrutture, viene invece dirottata verso il riarmo in una guerra che, a più di tre anni dal suo inizio, non sembra avvicinarsi alla conclusione. L’impressione diffusa è che Kiev, sotto la guida di Zelensky, si sia ormai piegata a una totale dipendenza da Washington, rinunciando a ogni ipotesi di negoziato o di politica autonoma.
Il Cremlino ha già reagito con durezza, parlando di una “provocazione” e di una scelta che non potrà che accrescere le tensioni globali. E, mentre il conflitto rischia di allargarsi a nuove frontiere, resta senza risposta la domanda di fondo: davvero un fiume di armi è la strada per la pace, o non sarà piuttosto l’ennesimo modo per alimentare l’instabilità, arricchire i colossi dell’industria bellica e trascinare l’Europa in una guerra infinita?