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Costume e Società

Carnevale: va in scena l’attesa festa tra maschere e tradizioni

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Abbiamo appena finito di festeggiare il Natale che subito per strada vediamo negozi addobbati con elementi che ci ricordano il Carnevale, con coriandoli e maschere, tutto questo mette allegria perché vuol dire che l’inverno è quasi alle spalle.

Il Carnevale ha origini antichissime ed è una festa che si celebra nei paesi di tradizione cattolica, e l’elemento caratterizzante di questa festa sono le maschere. L’etimologia
della parola Carnevale deriva dal latino “carnem levare” (eliminare la carne), poiché indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale e si tratta del martedì grasso, subito dopo del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.

Il Carnevale è una festa che fa parte della tradizione italiana, oltre ai costumi carnevaleschi che vengono indossati maggiormente dai bambini per la festa a scuola o di qualche quartiere legato a questi festeggiamenti, ad essa sono legati alcuni piatti, come le lasagne, oppure i dolci che vengono chiamati “le chiacchiere”.
I costumi carnevaleschi che i bambini di oggi preferiscono indossare sono dei “nuovi eroi”: i cartoni animati o qualche personaggio di cinema fantastico. La maschera di “tendenza” ascoltando le mamme in richiesta dai loro figli a quanto pare è Pjmasks chiamati anche i Super pigiamini, l’anno scorso Frozen oppure i Superoi (Wonder woman, Spiderman, Capitan America ecc.).

Le maschere antiche di una volta raramente sono indossate dai bambini molti dei quali non sanno nemmeno l’esistenza come Arlecchino, Il dottore Balanzone, Meo Patacca, Colombina ecc.. e sono quasi del tutto dimenticate dalla maggior parte delle persone adulte.

Le maschere di Carnevale napoletane!
Le maschere antiche simboleggiavano le regioni italiane per la maggior parte, tra le più antiche delle maschere italiane che caratterizzavano la regione Campania era la maschera di Pulcinella, ma anche la meno famosa la maschera di Tartaglia, prese questo nome perchè balbuziente. In passato la maschera di Pulcinella era una maschera doppia, e veniva chiamata dal nome “La vecchia del Carnevale” nel senso che lo stesso interprete era vestito da pulcinella e stava a “cavalcioni” su di una donna vecchia, il costume portava all’altezza del busto la donna anziana fatta con la paglia, stoppa o altro. La maschera di Pulcinella veniva rappresentata sempre gobba ed in mano le nacchere esse erano chiamate anche “castagnelle”, generalmente Pulcinella era accompagnato nelle sue uscite da un’orchestra, i musicisti suonavano il “putipù”, il “triccaballacco” le “castagnelle” e la “canna”. L’antagonista di Pulcinella era Il Capitan spagnolo anch’esso andava in giro con un corteo festoso con i tamburelli a ballare la tarantella.
Altra maschera che non si ricorda quasi più nell’area partenopea è Il Ciarlatano del molo, era il dottore che andava in giro con la sua cassetta di medicine, che usava durante le sue rappresentazioni, era una maschera molto conosciuta e popolare nella seconda metà del XIX secolo, era famosa perchè si vantava di essere il miglior medico della medicina, molto simile alla maschera del Cacciamole e il cavadenti.

Il Ciarlatano del molo era anche simile alla maschera bolognese del Dottore Balanzone, anche lui dotto e sapiente. Nel XVII secolo era presente la maschera di “Don Nicola” il “principe del forum” era il costume di un avvocato, e andava in giro insieme al suo servo declamando versi, rime e filastrocche e onoranze funebre per il Carnevale morto per tutta la città di Napoli.

A che epoca risale il Carnevale a Napoli?
La più antica testimonianza sul Carnevale napoletano come concordano gli studiosi è legato al ricordo di una giostra nel 1385 quando fu incoronato Carlo III di Durazzo re d’Ungheria dove la regina Margherita coi due figli si trovavano “sopra un talamo”. Del Carnevale popolare napoletano si hanno poche notizie perché non lo si riteneva degno di essere documentato dai letterati dell’aristocrazia, le prime testimonianze del carnevale popolare si hanno verso la fine del XVIII secolo ad opera dei viaggiatori del passato che in quel periodo affluivano a Napoli per il Grand Tour. Nella seconda metà del Settecento il Carnevale richiamava nella città di Napoli reali e signori di tutta Europa, e costituiva un evento importante di “grande visibilità” pubblica di potere politico e delle classi privilegiate. Nel 1774 il Carnevale costituiva un importante elemento per l’economia partenopea, grazie a questa festa il consumo complessivo cresceva tantissimo in tutti i settori portando benessere. Una testimonianza dell’epoca dice che sempre nel 1774 non vi erano più posti per alloggiare. Tutta Napoli era in festa e si divideva con il Carnevale pubblico popolare con i carri e il celebre palo della Cuccagna, che costituiva il banchetto plebeo carnevalesco che si svolgeva all’insegna dell’eccesso, del disordine e dell’intemperanza, al Carnevale aristocratico tutta la nobiltà partenopea partecipava ai balli in maschera al Palazzo, e il carnevale dei ceti medi con i loro veglioni nelle case.
(Domenico Scafoglio “Il Carnevale napoletano”).

Accenni del Carnevale e gli artisti!
Il carnevale nella storia dell’umanità è stato sempre un soggetto preso in considerazione dagli artisti, non è mai stato trascurato perché era una festa cattolica, ma essendo anche una festa legata ai grandi riti pagani come le dionisiache greche o ai saturnali romani, univa il sacro e profano e quindi non poteva passare inosservata. Fin dal Rinascimento all’età moderna gli artisti hanno dedicato le loro opere alle maschere di Carnevale e ciò che esse rappresentavano, ad esempio artisti come Picasso, Cezanne o Juan Gris hanno dedicato le loro opere alle maschere o al Carnevale e ciò che esso rappresentava.

Il soggetto preferito di Picasso era la maschera di Arlecchino perchè rappresentava il suo stato d’animo, “gli ultimi”, gli emarginati e gli afflitti, Picasso era noto anche come pittore dei circensi. Paul Cezanne omaggiò le maschere di “Pierrot and harlequin” l’opera è conservata al Museo Puskin di Mosca, Cezanne chiese al figlio e ad un suo amico di posare per lui vestiti da Pierrot e Arlecchino. Mirò del Carnevale prese in considerazione la simbologia carnevalesca più profonda: la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali che amava molto e che usava come simbolo in alcuni suoi soggetti come il “Gatto colorato”.

Juan Gris nel suo soggiorno a Parigi conobbe Picasso e ne seguì le orme dal punto di vista pittorico, egli infatti dipinse nel 1919 “Arlecchino”dal linguaggio molto vicino al cubismo sintetico.

Giuseppina Ercole

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Friuli Venezia Giulia, prosegue con successo il Festival delle Dimore Storiche

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Prosegue con successo con la seconda edizione il Festival delle Dimore Storiche organizzato da ADSI FVG (Associazione delle Dimore Storiche): quattro giorni per conoscere la storia del Friuli Venezia Giulia, visitando e vivendo il ricco patrimonio artistico ed architettonico della regione che spesso resta nascosto dietro siepi e cancelli.
 
Dal 25 al 28 aprile, con l’apertura straordinaria delle dimore e dei parchi, è stato realizzato un ricco programma di eventi organizzati grazie all’iniziativa dei proprietari: degustazioni, concerti, presentazioni di libri, esercizi di cucina..
 
Sono 21 le dimore private, ancora oggi abitate, che hanno aperto le porte e proprio i proprietari hanno fatto da guida per raccontarne non solo storia e caratteristiche architettoniche, ma anche aneddoti e curiosità dei luoghi che si tramandano da generazioni.
 
“È una grande soddisfazione poter organizzare il secondo Festival dopo la sfida della prima edizione: il nostro obiettivo era proprio quello di renderlo un appuntamento annuale; – sottolinea il presidente di Adsi Fvg Raffaele Perrotta –lavorando da mesi per costruire un programma ricco e vario in modo da attrarre sia chi vive sul territorio sia chi arriva da fuori regione e da oltre confine. Si tratta di un’occasione unica per far conoscere un patrimonio unico in Europa per storia, per valore culturale ed artistico.”
 
Sono sedici le dimore ad aver aperto in provincia di Udine: partendo dalla Carnia con Palazzo De Gleria (Comeglians), scendendo nelle colline a nord della città con Casa Asquini (Fagagna), La Brunelde Casaforte d’Arcano (Fagagna), Villa del Torso Paulone (Brazzacco di Moruzzo), Villa Gallici Deciani (Cassacco), Villa Schubert (Marsure), passando per il centro di Udine con Palazzo Orgnani,  Palazzo Pavona Asquini e Villa Garzoni, fino ad arrivare a sud con Casa Foffani (Clauiano), il Folador di Villa Rubini (Trivignano), Villa Iachia (Ruda), Villa Lovaria (Pavia di Udine), Villa Pace (Campolongo Tapogliano), Villa Ritter de Zahony (Monastero di Aquileia), Villa Vitas (Strassoldo di Cervignano del Friuli).          
 
Tre dimore invece nel goriziano, Villa Attems Cernozza di Postcastro (Lucinico), Villa del Torre (Romans d’Isonzo) e Villa Marchese de Fabris (San Canzian d’Isonzo), e due nel pordenonese, il Palazzo d’Attimis Maniago (Maniago) e Palazzo Scolari (Polcenigo).
 
Il programma è risultato ricco e variegato con oltre 40 eventi comprendenti aperitivi in villa e degustazioni, cene, presentazioni di libri, mostre d’arte e fotografiche, concerti, conferenze, spettacoli teatrali.
 
Per la visita guidata alle dimore era richiesta un’offerta minima di 10 euro a persona: i fondi raccolti serviranno a sostenere ulteriori progetti di valorizzazione del patrimonio culturale privato ADSI FVG e del territorio circostante. Bambini e ragazzi fino a 17 anni entravano gratis.
 
Il programma completo delle aperture e degli eventi con luoghi, orari e prezz disponibile su: bit.ly/3VryIWM, oppure consultando i profili social (Instagram e Facebook del Festival).
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A Milano l’arte elegante del pugliese parigino

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Palazzo Reale a Milano  sta celebrando, per la prima volta, con una mostra monografica, il talento di Giuseppe De Nittis esponendo una novantina dipinti, tra oli e pastelli, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, i Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunquerke, gli Uffizi di Firenze – solo per citarne alcuni – oltre allo straordinario nucleo di opere conservate alla GAM di Milano e una selezione dalla Pinacoteca di Barletta, intitolata al Pittore, che ne conserva un eccezionale numero a seguito del lascito testamentario della vedova Leontine De Nittis.
 
La consacrazione di Giuseppe de Nittis come uno dei grandi protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo è avvenuta grazie alla fortuna espositiva di cui ha goduto a partire dalla magnifica retrospettiva dedicatagli nel 1914 dalla 11a Biennale di Venezia. Altre tappe fondamentali sono state la mostra ‘Giuseppe De Nittis. La modernité élégante’ allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013 la fondamentale monografica a lui dedicata a Padova a Palazzo Zabarella.
 
In ‘De Nittis. Pittore della vita moderna’ si intende esaltare la statura internazionale di un pittore che è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha saputo condividere, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi per raggiungere quell’autonomia dell’arte che è stata la massima aspirazione della modernità.
 
I francesi e De Nittis, che si è sempre sentito profondamente parigino di adozione, hanno affrontato gli stessi temi, come il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna che De Nittis ha saputo catturare lungo le strade delle due metropoli da lui frequentate, in quegli anni grandi capitali europee dell’arte: Parigi e Londra. Ha saputo rappresentare con le due metropoli, in una straordinaria pittura en plein air, i luoghi privilegiati della mitologia della modernità, che saranno collocati al centro di un percorso espositivo articolato lungo un arco temporale di vent’anni, dal 1864 al 1884, ricostruendo un’avventura pittorica assolutamente straordinaria, conclusasi prematuramente con la sua scomparsa a soli 38 anni di età. I risultati da lui raggiunti si devono a un’innata genialità, alla capacità di sapersi confrontare con i maggiori artisti del suo tempo, alla sua curiosità intellettuale, alla sua disponibilità verso altri linguaggi. È inoltre tra gli artisti dell’epoca che meglio si è saputo misurare con la pittura giapponese allora diventata di moda.La mostra vede infine la collaborazione di METS Percorsi d’Arte, che ha contribuito al progetto espositivo con l’apporto di un importante nucleo di opere provenienti da collezioni private, tra le quali il Kimono color arancio, Piccadilly e la celeberrima Westminster.
 
Tutto questo è sottolineato dalla mostra e dal ricco catalogo Silvana Editoriale.
 
Una vita breve ma sufficiente per entrare nella storia dell’arte
 
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre si suicidò dopo due anni di carcere per motivi politici e Giuseppe crebbe con i tre fratelli nella casa dei nonni paterni. Fin dall’infanzia manifestò una forte propensione alla pittura e, nonostante il parere contrario della famiglia, si iscrssee nel 1861 all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insofferente agli schemi accademici, fu espulso due anni dopo ed iniziò a dipingere en plen air con altri artisti, come Federico Rossano e Marco De Gregorio. Nel 1866 partì per Firenze dove prese contatto con il gruppo dei Macchiaoli. Dopo aver visitato Palermo, Roma, Venezia e Torino, nel 1867 si trasferì a Parigi dove due anni dopo sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 partecipò per la prima volta al Salon con opere molto vicine al gusto parigino. Il soggiorno napoletano del 1870 vide il suo stile arrivare alla maturità e all’indipendenza artistica e il ritorno a Parigi nel 1872 segnò il suo successo con la partecipazione al Salon dell’opera ‘Una strada da Brindisi a Barletta’. Il dipinto ‘Che freddo!’ esposto al Salon nel 1874 rappresentò l’affermazione definitiva dell’artista, che si meritò anche l’appellativo ‘peintre des Parisiennes’ (pittore della parigine). Nello stesso anno partecipò con ben cinque tele alla prima esposizione di quello che sarà il gruppo impressionista tenutosi nello studio del fotografo Nadar. In cerca di nuovi stimoli partì poco dopo per Londra, dove realizzò una serie di opere dedicate alla vita quotidiana della città. Partecipò all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 con dodici lavori che polarizzarono l’attenzione sia del pubblico che della critica. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sulla tecnica del disegno a pastello. Colpito da una forte bronchite nel 1883, rimase per mesi bloccato a letto e dipingere diventò sempre più difficile; morì a  Saint-Germain-en-Laye (Francia)   il 21 agosto del 1884 a causa di un ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta.
 
Informazioni:
 
Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | CMS.Cultura
 
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti , fino al  30.06.2024
 
Orario: Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
 
Biglietti
 
Aperto: € 17,00; Intero: € 15,00;Ridotto: € 13,00; Esclusi i costi di prevendita.
 
Info e prenotazioni: palazzorealemilano.it     mostradenittis.it
 
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Isola delle rose e isola dei famosi: due esperimenti sociali agli antipodi

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L’Isola delle Rose e l’Isola dei Famosi rappresentano due realtà molto diverse tra loro, sia dal punto di vista sociologico che motivazionale, che riflettono cambiamenti significativi nella società nel corso del tempo.

L’Isola delle Rose è un’isola artificiale costruita nel 1967 al largo della costa italiana vicino a Rimini. Fu creata come una micronazione autoproclamata dallo scienziato e ingegnere italiano Giorgio Rosa, con l’obiettivo di sfidare la sovranità territoriale italiana e promuovere l’ideale di libertà e indipendenza. L’Isola delle Rose rappresenta una sperimentazione sociale e politica, con l’idea di creare una comunità utopica basata sulla cooperazione e l’autogestione.

D’altra parte, l’Isola dei Famosi è un reality show televisivo in cui un gruppo di persone famose viene portato in un’isola remota e deve affrontare sfide fisiche e mentali per sopravvivere e guadagnare premi. L’Isola dei Famosi è incentrata sull’intrattenimento e sulla competizione, con l’obiettivo di attirare l’attenzione del pubblico e generare interesse attraverso il dramma e le dinamiche interpersonali.

Le differenze sociologiche tra le due realtà sono evidenti:

  1. Finalità e motivazioni: L’Isola delle Rose era motivata da ideali di libertà, indipendenza e sperimentazione sociale, mentre l’Isola dei Famosi è incentrata sull’intrattenimento, la competizione e la celebrità.
  2. Struttura sociale: L’Isola delle Rose aveva una struttura sociale basata sull’autogestione e la cooperazione tra i membri della comunità, mentre l’Isola dei Famosi ha una struttura gerarchica con ruoli definiti e dinamiche di potere.
  3. Approccio alla vita quotidiana: Sull’Isola delle Rose, i residenti dovevano affrontare le sfide della vita quotidiana in un ambiente isolato e autonomo, mentre sull’Isola dei Famosi i concorrenti affrontano sfide create artificialmente per l’intrattenimento televisivo.
  4. Rapporto con il mondo esterno: L’Isola delle Rose era isolata dal resto del mondo e tentava di sfidare le autorità nazionali, mentre l’Isola dei Famosi è un programma televisivo che ha una forte connessione con il mondo esterno attraverso la trasmissione televisiva e i social media.

In conclusione, l’Isola delle Rose e l’Isola dei Famosi rappresentano due esperimenti sociali molto diversi tra loro, che riflettono valori, ideali e obiettivi differenti. Mentre l’Isola delle Rose rappresentava un tentativo di creare una comunità utopica basata sulla libertà e l’autogestione, l’Isola dei Famosi è un programma televisivo che si concentra sull’intrattenimento, la competizione e la celebrità.

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