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VENEZUELA, CARLOS GULLI COSMO: L'INTERVISTA IN ESCLUSIVA DE L'OSSERVATORE D'ITALIA

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Tempo di lettura 5 minuti I media e la politica hanno l’obbligo etico di non chiudere gli occhi di fronte al dolore, l’angoscia e lo strazio dei nostri connazionali, che per diversi motivi si sono trasferiti nel paese del

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di Simonetta D’Onofrio

Accrescere la sensibilità nell’opinione pubblica per la sofferenza fisica e morale che sta vivendo un’intera nazione, il Venezuela. Ḗ questo lo scopo principale che mi ha portato a intervistare il dottor Carlos Gulli Cosmo, italo-venezuelano.

Nato a Caracas, giornalista, scrittore e collaboratore con l’Università degli Studi di Torino, quotidianamente si spende per far conoscere lo stato di malessere presente nel suo paese nativo. Con una serie di cortometraggi “Hola Italia”, molto popolari in rete, Carlos sta cercando di accrescere la coscienza degli europei sulla difficile situazione in Venezuela.

I media e la politica hanno l’obbligo etico di non chiudere gli occhi di fronte al dolore, l’angoscia e lo strazio dei nostri connazionali, che per diversi motivi si sono trasferiti nel paese dell’America Latina.

Ma questo non basta, assolutamente no. Sebbene siamo circondati da tante informazioni che avanzano da ogni parte del mondo e si diffondono molto velocemente sui mass-media, assistiamo sbigottiti ad una perdita di libertà e di diritti di una popolazione di milioni e milioni d’abitanti completamente schiacciati dai loro governanti, che quasi sembrano finire in uno scorticatoio. 

Intervista in esclusiva al dottore Carlos Gulli Cosmo

Lei ha detto che l’Italia, la politica in modo particolare, sta facendo poco per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla grave situazione che sta vivendo il Venezuela da qualche tempo. Recentemente anche alcune figure istituzionali italiane si sono recate nel Paese e in un comunicato stampa la Farnesina ha detto che “[…] L’Italia è profondamente legata al Venezuela, dove risiede una delle comunità italiane più numerose all’estero. E siamo parte integrante del sogno di Bolivar, che proprio a Roma nel 1805 ha giurato di lottare per un’America latina indipendente, unita e solidale”. Il Venezuela, ricorda Giro “è stato il primo Paese dell’America spagnola a ottenere l’indipendenza, a seguito della lotta di Bolivar”. Come altre volte nel corso delle sue recenti missioni nel Paese sudamericano, il sottosegretario Giro ha sottolineato “la vicinanza dei due popoli e il dialogo costante da parte italiana con il Governo e con tutti gli attori della società venezuelana”. 

Cosa ne pensa?

L’Italia mediatica e soprattutto la politica italiana non hanno informato e non stanno facendo proprio nulla per la grave situazione sociale in cui versa il Venezuela.  Si tenta di sdrammatizzare e minimizzare un situazione terribile che sta vivendo il popolo venezuelano che va dalla mancanza assoluta di libertà di pensiero e parola, al massacro e alla tortura di studenti colpevoli di aver manifestato contro l’insicurezza e la repressione di un governo dittatoriale come quello di Maduro.  Parliamo di riconosciuti reati contro i diritti dell’uomo e, prima o poi, anche l’attuale Presidente del Venezuela, tiranno e ignorante, dovrà renderne conto di fronte a un tribunale mondiale. Che poi l’Italia politica, e il Ministero degli Esteri, la parte che sguazza nelle situazioni di comodo e nei consueti incontri di “affari” con un Paese che è il maggior produttore di Petrolio al mondo, non vuol dire proprio nulla. Secondo il mio punto di vista non si dovrebbero stringere accordi con dittatori, perché stiamo parlando di una tirannia, la cosa è appurata. Addirittura il Sindaco di Roma ha dato l’ok per una serie di murales pro Chavez o a Napoli dove un giardino è stato intitolato a Hugo Chavez Frias, sono cose che ci feriscono profondamente. Come se un paese decidesse di intitolare una piazza a Hitler o a Ceasuscu. Si tratta d’ignoranza o di malafede? Non possiamo mettere sul piedistallo una dittatura, di qualunque colore politico sia. Una dittatura è una dittatura.

Da italo-venezuelano mi sento offeso due volte: perché il mio paese è ridotto alla fame e perché l’Italia, il paese dei miei genitori, di cui sono originario, tace completamente la verità. 

 

Il clima all’interno della società civile è insostenibile, anche per un’inflazione molto alta e per la carenza dei prodotti di prima necessità, reperibili solo tramite il mercato nero. Come spiega questo precipizio?

Il Chavismo, che piaccia o no, ha distrutto il Venezuela. Inutile attaccarsi a un ideale che in realtà ha dimostrato solo di essere l’errore più grande della Storia del Venezuela. Siamo il paese più pericoloso al mondo, la criminalità è il primo motivo di morte. Nel 2013 circa 25.000 persone sono decedute per rapine.  La politica economica di Maduro ha ulteriormente peggiorato la già triste situazione che ha lasciato il defunto Chàvez.  I rappresentanti di questo governo sono persone dedite soltanto al guadagno personale e alla scalata al potere. Mentre Chavez, da furbo dittatore, sapeva che affamando il popolo, tenendolo ignorante, per poi dargli le briciole, lo avrebbe legato a sé per una sorta di Sindrome di Stoccolma, l’attuale capo di Stato non ha capito nemmeno quello e quindi di ritrova ad aver contro anche molti Chavisti.  Non si trovano i generi alimentari di prima necessità, non si trovano farmaci e nemmeno prodotti per l’igiene personale. La gente ha paura di parlare e di votare, perché viene sorvegliata e minacciata. L’insegnamento proviene da Cuba, un’altra dittatura che vive sulle spalle del Venezuela. 

Non dimentichiamo che da troppi anni il denaro del Venezuela e, trattandosi di petrolio, parliamo di molto denaro, non viene spartito solo tra la casta al governo e i paesi parassiti e complici, ma è stato utilizzato per una propaganda mondiale in favore del regime che ha dato i suoi frutti soprattutto in Italia.

 

Lei è molto coraggioso a raccontare cosa sta accadendo nel Paese dove è nato, uno stato totalitario dove si ha paura e dove la libertà di espressione è negata. Non ha paura? Cosa spera per il futuro di questo Paese?

Non si tratta di coraggio, si tratta di disperazione.  Quando vedi il posto dove sei nato e cresciuto, in cui sei vissuto condividendo storia, cultura, folklore, problemi e territorio, non riesci a stare zitto.  Lavoro nell’ambito della comunicazione, quindi mi sono mosso nel mio terreno professionale e non avrei potuto esimermi dal farlo, perché parlo di un paese meraviglioso.

 Con la produzione degli episodi on line “Hola Italia” ho voluto sensibilizzare gli italiani. Il Pubblico non era al corrente di cosa accadeva in Venezuela, questo perché i media non se ne sono occupati per nulla. Neppure il Papa ha parlato granché di noi, nonostante i continui messaggi da parte della Comunità mondiale venezuelana. C’è una sorta di omertà che è da condannare. Che poi un filosofo italiano, qualche giornalista, un paio di attori che vivono di luce riflessa e un ex calciatore drogato e ignorante, che vivono nell’agiatezza e nella ricchezza, vogliano far passare una dittatura criminale per un paradiso sociale, è ridicolo.  Queste persone non possono non sapere che si tratta di un inferno e dovrebbero trasferirsi in Venezuela non stare qui con le chiappe sull’oro. Non si dovrebbe fare poiché si parla della vita di milioni di persone.

Le caratteristiche del Regime ci sono tutte: nessuna libertà di parola e di espressione; povertà ed ignoranza indotta con il tentativo costante di lavare il cervello ai bambini fin dalla prima elementare; sottomissione della povera gente tenendola segregata in casa usando il terrore; affamare la gente.  Da manuale, non per niente gli amici di Chavez erano i dittatori del mondo che hanno fatto tutti una brutta fine. Finiamola di definire ‘fascista’ chi non accetta il chavismo, di dire che l’America vuole impossessarsi del Paese perché il regime e i ricchi sono proprio quelli al governo e nel timore dell’impero siamo finiti nelle mani di Castro che ci sta spolpando come fa un cane famelico con un osso.

Non so cosa aspettarmi per il futuro, ma ho paura che non a lungo la situazione precipiterà. Il venezuelano non è come il cubano, non sopporterà la cancellazione di un’identità e non sarà facile come a Cuba, perché non siamo un’isola. Io spero che i miei fratelli venezuelani lottino ancora e che tutti insieme si possa ricostruire una democrazia e una società serena.  Quello che ci tengo a dire è che la colpa è sempre dei Regimi e non del popolo, quindi io propendo per unirsi tra i popoli dell’America latina, per garantire non quest’assurda rivoluzione castrista, ma la pace, la democrazia, la libertà. La lucha sigue

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Guerra medio oriente: forze israeliane avanzano verso Rafah

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Secondo rapporti palestinesi, ripresi da Ynet, “veicoli blindati delle Idf hanno attraversato la recinzione di confine nell’area di Kerem Shalom e stanno avanzando nei quartieri a est della periferia di Rafah”.

Secondo le stesse fonti ci sono “spari di carri armati e bombardamenti di artiglieria di tanto in tanto nella zona”. Ci sarebbero almeno 8 morti e numerosi feriti. L’Idf ha confermato di aver preso il controllo del valico di Rafah sul lato di Gaza.

Ad assumere il controllo questa mattina del lato di Gaza del valico di Rafah sono state le forze della 410/esima Brigata israeliana. Il valico con l’Egitto – secondo le informazioni – è ora disconnesso con la strada principale di Salah a-Din nella parte orientale della città di Rafah, a sua volta presa dalla Brigata Givati durante l’offensiva di questa notte. Secondo i dati dell’Idf – riportati dai media – circa 20 miliziani armati sono stati uccisi e i soldati hanno localizzato tre “significativi” imbocchi di tunnel.

In precedenza, rapporti hanno sostenuto che “l’esercito israeliano è arrivato al valico di Rafah nel lato di Gaza e che le spedizioni umanitarie sono state interrotte”. Lo ha riferito Haaretz. La tv Canale 12 ha mostrato un video diffuso sui social che mostra un tank israeliano avanzare nel lato di Gaza del valico di Rafah, al confine con l’Egitto. L’Idf finora non ha ancora fornito dettagli sulle operazioni avviate da ieri sera nella parte orientale di Rafah, tranne l’annuncio che stava operando contro obiettivi di Hamas nella zona. Finora non c’è’ stata alcuna conferma da parte dell’Idf.

L’invasione via terra di Rafah sarebbe “intollerabile” per le sue “devastanti conseguenze umanitarie e l’impatto destabilizzante nella regione”. Lo ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres incontrando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Guterres ha ricordato di aver lanciato un “forte appello a Israele e Hamas a concludere un accordo vitale, un’opportunità che non si può perdere”.

L’esercito israeliano ha annunciato intanto la morte di due soldati riservisti uccisi ieri a Metulla, nel nord del Paese, da un drone esplosivo degli Hezbollah. Il portavoce militare ha riferito che si tratta di Dan Kamkagi (31 anni) e Nahman Natan Hertz (31) della 551/esima Brigata. Il bilancio dei soldati caduti da ottobre scorso sul fronte nord è ora salito a 13. A questi vanno aggiunti anche nove civili uccisi negli attacchi Hezbollah.

La giornata

Israele ha deciso di inviare una delegazione al Cairo ma di continuare l’operazione a Rafah. Lo ha fatto sapere l’ufficio del premier citato dai media. “Il gabinetto di guerra – ha detto – ha deciso all’unanimità che Israele continui la sua operazione a Rafah per esercitare pressioni militari su Hamas”. Al tempo stesso, ha proseguito, “anche se la proposta di Hamas è lontana dai requisiti necessari per Israele” sarà inviata una delegazione al Cairo “per esplorare la possibilità di raggiungere un accordo in condizioni accettabili per Israele”.

Report palestinesi citati da Ynet riferiscono di un “improvviso ingresso via terra nella parte orientale di Rafah” di truppe israeliane. Le stesse fonti segnalano inoltre “interruzioni delle comunicazioni e dell’elettricità” mentre sono in corso intensi raid aerei israeliani sulla parte orientale di Rafah.

Nel tardo pomeriggio infatti Hamas ha accettato, in extremis, la proposta di Egitto e Qatar per un accordo con Israele sul cessate il fuoco. Forse nell’ultimo, disperato tentativo di fermare l’irruzione dei soldati israeliani nella città, dove in mattinata era scattato l’ordine di evacuazione di un centinaio di migliaia di civili già stremati da sei mesi di guerra. In una nuova telefonata, anche il presidente americano Joe Biden ha cercato ancora una volta di convincere il premier Benyamin Netanyahu a non invadere la città nel sud della Striscia, insistendo sul fatto che raggiungere un’intesa per un cessate il fuoco è il modo migliore per proteggere la vita degli ostaggi detenuti a Gaza.

Ma lo Stato ebraico per ora frena. “Adesso la palla è nel campo di Israele”, ha detto un esponente di Hamas dopo che il leader Ismail Haniyeh ha informato il premier del Qatar Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel – e l’Iran – di aver “accettato” la loro proposta di mediazione.

Secondo fonti della fazione palestinese, riportate dai media arabi, l’accordo sulla tregua prevede tre fasi di sei settimane ciascuna con l’obiettivo del cessate il fuoco permanente, il ritiro completo dell’Idf dalla Striscia, il ritorno degli sfollati al nord e lo scambio di prigionieri, a cominciare dai civili israeliani, donne, bambini, anziani e malati. Israele ritiene siano 33 gli ostaggi in questa categoria, definita “umanitaria”, e Hamas si è impegnato a rilasciarli, vivi o morti. Tra i detenuti palestinesi da liberare ci sarebbero, invece, anche 20 condannati all’ergastolo. Gli ultimi dettagli dovrebbero essere comunque discussi di nuovo martedì al Cairo.

Khalil al-Hayya, il vice di Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, ha detto in un’intervista ad al Jazeera che Hamas “ha concordato un cessate il fuoco temporaneo nella prima fase dell’accordo”. “Ma all’inizio della seconda fase, che include il rilascio dei soldati israeliani in ostaggio, sarà annunciato – ha spiegato – un cessate il fuoco permanente”. I mediatori di Qatar e Egitto avrebbero promesso – prosegue nell’intervista – che “il presidente Biden sarebbe un garante che l’accordo venga messo in atto”.

Ma mentre a Rafah la notizia è stata accolta da urla di gioia e spari in aria, fonti israeliane – nel silenzio di Netanyahu – hanno fatto sapere che Israele sta ancora “verificando la proposta e le sue conseguenze”, così come gli Stati Uniti. Pubblicamente però Israele, forse irritato dalla fuga in avanti dell’annuncio di Hamas, ha gelato gli entusiasmi: “Hamas non ha accettato. E’ il suo solito trucco”, ha detto il ministro dell’Economia, Nir Barkat, incontrando a Roma la stampa italiana e restando in contatto diretto con il suo governo. Si tratta di “una proposta unilaterale senza coinvolgimento israeliano. Questa non è la bozza che abbiamo discusso con gli egiziani”, ha spiegato un alto funzionario israeliano al sito Ynet, aggiungendo che in questo modo Hamas mira a “presentare Israele come chi rifiuta” l’intesa.

Mentre per il falco del governo di sicurezza Ben Gvir, “i giochetti di Hamas” meritano “una sola risposta: occupare Rafah”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece invitato “tutti i Paesi occidentali a fare pressione su Israele affinché accetti”. “Siamo lieti che Hamas abbia annunciato di aver accettato il cessate il fuoco, su nostro suggerimento – ha sottolineato -. Ora lo stesso passo dovrebbe essere fatto da Israele”. Accordo o meno, lo Stato ebraico va avanti nei preparativi dell’operazione militare contro i battaglioni di Hamas a Rafah, un’azione che dovrebbe cominciare “in pochi giorni”, sostenuta dal via libera ai piani già preparati dall’Idf votato all’unanimità dal Gabinetto di guerra. “Esaminiamo ogni risposta molto seriamente ed esauriamo ogni possibilità sui negoziati e il ritorno degli ostaggi alle loro case il più rapidamente possibile come compito centrale. Al tempo stesso continuiamo e continueremo ad operare nella Striscia”, ha chiarito il portavoce militare Daniel Hagari. L’avvio dell’evacuazione dall’est della città verso l’area umanitaria indicata dall’Idf ad al-Mawasi sulla costa ha allertato l’intera comunità internazionale, che tenta di impedire che gli eventi precipitino del tutto. Prima di annunciare di aver accettato l’intesa per la tregua, anche Hamas ha denunciato “un’escalation”. La zona dell’evacuazione – che l’esercito ha definito “temporanea, limitata e graduale” – comprende “ospedali da campo, tende e maggiori quantità di cibo, acqua, farmaci e forniture aggiuntive”.

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Finlandia, Finnair: ecco le novità su frequenze e rotte per la compagnia di bandiera

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La compagnia di bandiera finlandese, Finnair, ha aggiornato il suo programma di traffico per l’estate 2025. In Giappone, Finnair aggiungerà frequenze per Tokyo Narita, offrendo così voli giornalieri sia per Tokyo Haneda che per Tokyo Narita nell’estate 2025. Inoltre, Nagoya otterrà una terza frequenza settimanale.
 
Finnair introduce anche una nuova destinazione nella Norvegia settentrionale, la città di Kirkenes, a partire dalla stagione estiva 2025, volando a Kirkenes da Helsinki via Ivalo, Lapponia finlandese, tre volte a settimana, operando con un aereo ATR da 68 posti. La nuova rotta serve i viaggiatori finlandesi e internazionali che desiderano esplorare sia la Lapponia finlandese che la Norvegia settentrionale e sperimentare, ad esempio, la famosa crociera Hurtigruten che salpa da e per Kirkenes. 
 
“Siamo lieti di presentare una destinazione che rafforza ulteriormente la nostra già estesa rete nella regione artica. La nuova rotta consente un collegamento agevole per i clienti che viaggiano verso la Norvegia settentrionale, rendendo facile e veloce raggiungere la destinazione da Helsinki”, dichiara Ole Orvér, responsabile commerciale di Finnair. 
 
Nei Paesi Baltici, Finnair aggiungerà frequenze a Tallinn, Riga e Vilnius per l’estate 2025 ed ha altresì aggiornato il suo programma di traffico invernale 2024, aggiungendo frequenze per Dallas, rendendolo un servizio giornaliero tutto l’anno. I voli Finnair per Dallas offrono collegamenti fluidi con l’ampia rete di American Airlines dal suo hub di Dallas. 
 
I voli possono ora essere prenotati su Finnair.com. 
 
*Stagione invernale 2024: 27.10.2024-29.3.2025; stagione estiva 2025: 30.3.2025-25.10.2025
 
*Aggiornato il 12.4.2024 sulle frequenze verso i Paesi Baltici.
 
Lapponia e Kirkenes, per una fresca estate ed esperienze artiche
 
La citata Kirkenes, una graziosa cittadina dell’estrema Norvegia nordorientale, affacciata sul mar di Barents,è nota per il suo fascino artico e la natura mozzafiato. Grazie alla sua vicinanza a Russia e Finlandia, la città ha una storia complessa ma affascinante. Qui è possibile ammirare una vista tranquilla di fiordi, montagne e paesaggi di tundra. In inverno è possibile ammirare le magiche aurore boreali, mentre in estate il sole di mezzanotte illumina Kirkenes tutto il giorno. Per quanto piccola, Kirkenes, ca. 3500 abitanti, offre una lunga lista di attività che si possono svolgere. Gli appassionati di storia possono immergersi nel passato di Kirkenes visitando il Borderland Museum. Chi sia alla ricerca di un soggiorno in un hotel unico può visitare il Kirkenes Snowhotel, dove gli interni sono costituiti da ghiaccio e neve tutto l’anno. 
 
Se si è amanti dei frutti di mare, si può provare l’emozionante safari del granchio reale, con la possibilità di pescare personalmente la propria cena. Kirkenes offre anche un’infinità di attività per gli amanti della vita all’aria aperta, dalle slitte trainate da cani e dalle motoslitte in inverno alle escursioni e alla pesca in estate.
 
Kirkenes sarà la terza destinazione di Finnair nel nord della Norvegia: sia Tromsø che Bodø sono collegate con Rovaniemi e Helsinki.
 
Negli ultimi anni la Lapponia finlandese sta registrando un boom del turismo internazionale, soprattutto durante la stagione invernale. Dalla stazione sciistica di Saariselkä, autobus carichi, soprattutto di viaggiatori asiatici, si sono riversati quest’inverno a Kirkenes per sperimentare la costa del Mare di Barents e assaggiare il granchio reale.
 
Negli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, Finnair aveva una rotta da Helsinki via Ivalo a Kirkenes.
 
Kirkenes dista dall’Italia sui 4000 km.
Privo di virus.www.avast.com



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Israele: imminente l’attacco sull’Iran

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Netanyahu: “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”

A poco meno di 48 ore dalla pioggia di droni e missili arrivati sul territorio dello Stato ebraico, il governo di Benyamin Netanyahu sembra aver fatto la sua scelta, mentre Teheran – che ha già messo in stato di massima allerta le sue difese aeree – ha ammonito che l’eventuale azione armata di Israele stavolta “avrà una risposta molto dura”.

Quattro funzionari statunitensi hanno dichiarato però alla Nbc News che un’eventuale risposta israeliana all’attacco iraniano sarà di portata limitata e riguarderà probabilmente attacchi contro armamenti militari iraniani e agli alleati al di fuori dell’Iran. Poiché l’attacco iraniano non ha provocato morti o distruzioni diffuse, secondo i funzionari americani, Israele potrebbe rispondere con una delle sue opzioni meno aggressive: una di queste potrebbe includere attacchi all’interno della Siria.

I funzionari non si aspettano che la risposta prenda di mira alti funzionari iraniani, ma che colpisca le spedizioni o le strutture di stoccaggio con parti di missili avanzati, armi o componenti che vengono inviati dall’Iran a Hezbollah. L’emittente specifica che la valutazione degli Stati Uniti si basa su conversazioni tra funzionari statunitensi e israeliani avvenute prima che l’Iran lanciasse più di 300 droni e missili contro Israele: mentre Israele si stava preparando per l’attacco iraniano la scorsa settimana, i funzionari israeliani hanno informato gli omologhi Usa sulle possibili opzioni di risposta.

L’operazione verso cui si sta dirigendo Israele si scontra inoltre con la forte opposizione Usa e di quella degli alleati che l’hanno affiancato nell’abbattere il 99% dei proiettili lanciati da Teheran. Joe Biden, che aveva frenato la reazione israeliana nelle prime ore, ha ribadito chiaramente che “occorre evitare un’escalation in Medio Oriente” ricevendo il primo ministro iracheno alla Casa Bianca. Mentre il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, dopo che erano filtrate indiscrezioni su un possibile coordinamento tra Gerusalemme e Washington, ha chiarito che “il governo israeliano deciderà da solo se ci sarà e quale sarà la risposta” all’affronto iraniano.

“Gli Stati Uniti non sono coinvolti”, ha sottolineato Kirby, definendo poi “uno spettacolare fallimento” l’offensiva di sabato di Teheran, quasi a blandire l’alleato israeliano, smentendo peraltro che Teheran “avesse fornito agli Usa tempi e target” dei raid. “Non c’è altra scelta se non quella di rispondere all’attacco di Teheran”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al capo del Pentagono Austin. E anche il comandante dell’Idf, Herzi Halevi, ha confermato che “la risposta ci sarà”. “Il lancio di così tanti droni e missili sul nostro territorio avrà la sua risposta”, ha avvertito.

Se la reazione armata appare a questo punto scontata, cruciale sarà capire come reagirà Teheran. Il gabinetto di guerra – che al dossier Iran ha già dedicato due riunioni e un’altra è in programma martedì – sta studiando “diverse opzioni”. Ognuna delle quali, è stato spiegato, rappresenta “una risposta dolorosa” per gli iraniani, senza tuttavia rischiare di scatenare “una guerra regionale”. Nel ristretto gruppo di ministri – da Netanyahu a Gallant a Benny Gantz – che deve prendere la decisione, l’obiettivo è quello di scegliere un’opzione che “non sia bloccata dagli Usa” e che rientri in una strada praticabile. Israele, fanno notare molti analisti anche in patria, non può ignorare del tutto le preoccupazioni degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali su un’escalation che avrebbe conseguenze devastanti per la regione e non solo.

Così i vari scenari vanno da un contrattacco diretto sul territorio iraniano a operazioni che colpiscano gli alleati del regime degli ayatollah nella regione fino ad azioni mirate sui capi delle Guardie rivoluzionarie. Nella prima ipotesi, la più pericolosa, nel mirino potrebbero finire addirittura i siti legati al nucleare iraniano il cui programma, secondo il premier britannico Rishi Sunak, “non è mai stato a uno stadio così avanzato”.

L’Iran da parte sua ha messo in guardia Israele. “L’attacco limitato di sabato sera – ha affermato il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian in un colloquio telefonico con l’omologo russo Serghei Lavrov – mirava ad avvertire, scoraggiare e punire il regime sionista. Ma se Israele intraprenderà una nuova azione contro l’Iran, dovrà affrontare una risposta molto più forte”. 

Netanyahu, Iran dovrà aspettare nervosamente nostra risposta

L’Iran dovrà aspettare “nervosamente senza sapere quando potrebbe arrivare l’attacco, proprio come ha fatto fare lo stesso a Israele”. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu ad una riunione dei ministri del Likud. Poi ha aggiunto – secondo la stesse fonti – “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”.

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