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Costume e Società

TERRORISMO E CRIMINALITA': 1 MILIONE DI FIRME FURONO RACCOLTE DAL MSI-DN PER LA PENA DI MORTE

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Giorgio Almirante: "Vorrei sapere se i terroristi, dei quali son piene le cronache dei nostri giornali, non siano lupi e non vadano trattati come lupi. Io non chiedo che vengano trattati come lupi, chiedo che vengano sottoposti alla legge militare"

"Quando vi si chiede di salvare la pelle degli italiani, siate solleciti per lo meno quanto lo siete nell' intascare o nel lasciare che s'intaschi o nel non voler denunziare i loschi traffici in cui sono impastati, senza alcuna eccezione, tutti i vostri partiti".

"È un po' poco, onorevoli colleghi, discutere, fra qualche ora, della legge sui pentiti. È un po' poco, banchi vuoti; è un po' poco, Camera irresponsabile; è un po' poco, Governo al vertice della irresponsabilità… Vergognatevi nel ricordo di Ugo La Malfa!"

di Giuseppa Guglielmino

Il partito dello Stato, per combattere il terrorismo dilagante, cerca il consenso del popolo italiano. Così Giorgio Almirante allora segretario del Movimento Sociale Italiano lanciò una petizione per chiedere l'applicazione della pena di morte nei confronti del terrorismo.

La proposta raccolse oltre un milione di firme, la prima fu quella di Anna Mattei, madre dei martiri di Primavalle. Tra i firmatari della petizione ci fu anche il figlio di Giacomo Matteotti, numerose adesioni furono raccolte anche nella «rossa» Bologna: l'Italia è stufa del terrorismo. Dopo numerosi tentativi di procrastinare il dibattito sulla petizione popolare, arrivò finalmente il momento in cui se ne discusse alla Camera.

Giorgio Almirante parlò così, alla seduta del 23 Febbraio 1982 della Camera, all'indomani di un congresso che lo rielesse per acclamazione segretario del Msi-Dn.

Pena di morte: la petizione popolare del Msi-Dn

Giorgio Almirante:
"Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il mio compito stamane è quello di replicare all'intervento svolto ieri dal rappresentante del Governo. Non posso peraltro cominciare senza ringraziare affettuosamente l'onorevole Franchi per la brillantissima illustrazione della nostra mozione. Ringrazio anche i tre deputati del gruppo radicale, che hanno ritenuto ieri di intervenire nella discussione pronunciandosi contro le nostre tesi, ma compiendo per lo meno il loro dovere di parlamentari. Poiché i giornali di questa mattina riportano largamente la notizia che ieri quest', aula era vuota (e oggi è quasi vuota), io desidero dire con onesta franchezza che come parlamentare ne sono mortificato, come segretario del Movimento sociale italiano e firmatario della nostra mozione ne sono invece orgoglioso, perché non si tratta di approvare o di respingere un documento presentato dal Movimento sociale italiano destra nazionale, si tratta di approvare o di respingere una mozione presentata a norma del regolamento sulla base di una petizione popolare, che è stata firmata da oltre un milione di cittadini elettori. Il che vuol dire che la distinzione tra il paese reale e il paese legale non è mai stata tanto netta ed evidente quanto oggi. Ringraziamo i banchi vuoti, ringraziamo i colleghi assenti, perché essi ci concedono, al di là delle nostre stesse speranze e dei nostri stessi meriti, la rappresentanza del paese reale contro il paese legale, contro questo Parlamento inerte, sonnolento e fazioso fino all'inverosimile, anche nell'assenza.

Ciò premesso, onorevole rappresentante del Governo, io debbo denunciare come irresponsabile l'atteggiamento del Governo quanto al merito della questione: lo denuncio come irresponsabile, riferendomi correttamente alla prima parte delle dichiarazioni del sottosegretario, in particolare là dove ha affermato che le nostre argomentazioni, dalla data di presentazione della petizione ad oggi, hanno perduto molto della loro efficacia dialettica. Io ritengo che lei abbia dichiarato ciò in relazione al successo conseguito dalle forze dell'ordine nel «caso Dozier».

Ci siamo rallegrati a suo tempo di quel successo; voglia Iddio che successi ancora più clamorosi abbiano a determinarsi; voglia Iddio che il fenomeno del terrorismo possa essere stroncato con i vostri metodi; ma oggi stiamo ragionando dopo quanto è accaduto dopo la liberazione miracolosa del generale Dozier. Sono accadute alcune cose, onorevole rappresentante del Governo, sulle quali tornerò più avanti, che hanno colpito l'esercito italiano nel suo prestigio, hanno colpito il sindacalismo di regime pesantemente nella sua residua credibilità, hanno colpito notizie di questa mattina la giustizia, perché nell'aula di sicurezza di un tribunale a Napoli è avvenuto proprio ieri un efferato delitto, terroristico nella sostanza (e poi parlerò dei legami tra delinquenza comune e delinquenza terroristica), e in questo momento siamo sotto vigilanza speciale qui, nell'aula di Montecitorio, e voglia Iddio che non ci capiti qualche cosa, perché si ritiene che il lucernario debba essere adeguatamente protetto. Le pare possibile, onorevole sottosegretario, in una situazione di questo genere, in cui per la prima volta nel dopoguerra, anzi, per la prima volta in assoluto, la frequentazione interna dei palazzi del Parlamento rappresenta un rischio anche personale (lo dico sorridendo perché io non ho scorte all'esterno e quindi il non averle all'interno non fa che aumentare il mio compiacimento per questo doveroso rischio che tutti quanti noi corriamo), le pare di poter, proprio in questo momento, iniziare il suo intervento in quel modo? Questo denota, non lo dico a lei personalmente, che è stato estremamente corretto e gentile, ma mi riferisco in generale a tutti i membri del Governo, che voi siete affetti da una mentalità coloniale, coloniale in senso negativo, insomma siete colonizzati. È stata salvata la vita ad un generale americano, che importa poi se diciotto soldati italiani si sono fatti legare come altrettanti salami? Credo che il prestigio dell'esercito italiano valga almeno quanto la vita di un generale americano! E vorrei che questo potessero dirlo i rappresentanti di tutti i gruppi. C'è da vergognarsi, onorevole rappresentante del Governo, a sentir sostenere tesi di questo genere. Ma questa è stata la sua premessa, dopo di che lei si è riferito agli aspetti giuridico – costituzionali della questione. Ed allora, anche a questo riguardo il confronto ci onora, perché noi chiediamo l'applicazione delle norme di legge vigenti e il Governo invece continua a presentare disegni di leggi speciali. Quando lei, onorevole sottosegretario (adesso ne parlerò, sia pure rapidamente, perché,m' interessano gli effetti politici del problema), dichiara che quanto noi chiediamo sarebbe opinabilmente sottolineo: opinabilmente fuori dalla Costituzione, lei dimentica che immediatamente dopo la discussione e la votazione di questa nostra mozione si inizierà l'esame della cosiddetta «legge propenditi» e noi cominceremo presentando una pregiudiziale di incostituzionalità, che non ci siamo inventati, onorevole sottosegretario, visto che cito dai giornali di più recente pubblicazione l'onorevole Violante, a proposito del progetto di legge sui pentiti e della sua costituzionalità, dice: «La nostra linea, essendoci un sospetto di incostituzionalità, è comunque quella di lavorare in futuro per estendere quanto previsto in favore dei terroristi anche ad altri imputati». Le pare poco una eccezione di incostituzionalità a proposito del progetto di legge sui pentiti, perché si fissano, si statuiscono per legge due categorie, direi quelli che si possono pentire e quelli cui è vietato pentirsi o, più esattamente, coloro che asserendo di essersi pentiti ottengono delle guarentigie eccezionali e coloro che, se anche si pentono sinceramente e lo dichiarano, non ottengono alcuna guarentigia eccezionale? Mi sembra che questa sia una eccezione di incostituzionalità grossa come una casa e il Governo dovrebbe vergognarsi nell' affrontare il problema sollevato dalla nostra mozione proprio sul terreno della incostituzionalità, perché si tratta proprio della pagliuzza in confronto alla trave. C'è una dichiarazione dell'onorevole Felisetti a questo stesso riguardo: «Dal punto di vista morale e da quello del diritto questa legge» non questa mozione, questo progetto di legge, che fra poco voi sosterrete e voterete tutti quanti insieme «grida vendetta. Essa si giustifica solo come legge di emergenza». Oh, santa pace, come fate a dichiarare queste cose onestamente e al tempo stesso a denunziare come incostituzionale la nostra proposta che si riferisce invece a leggi vigenti e che non consiste nel chiedere nuove leggi e tantomeno leggi eccezionali, ma consiste soltanto nel chiedere che la legge vigente venga rispettata e fatta rispettare?

Ma questo discorso sulla costituzionalità della legge cui noi ci riferiamo, questo discorso sulla costituzionalità del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, datato inizialmente, se non erro, 1931, questo discorso sulla costituzionalità dei codici penali militari di guerra in tempo di pace, questo discorso, onorevole rappresentante del Governo e onorevoli colleghi nostri avversari, ci riporta al più ampio discorso sulle responsabilità di tutta la classe dirigente «ciellenistica», di tutta la classe dirigente del cosiddetto «arco costituzionale», da 40 anni a questa parte.

Prendiamo, ad esempio, l'importantissima norma che va sotto il nome di testo unico per le leggi di pubblica sicurezza, una tra le più importanti leggi che esistano: bella o brutta che sia, è una norma fondamentale. Voi ci venite a raccontare oggi che gli tabella più qualificanti di quel testo unico sarebbero contrari alla Costituzione. Siamo nel 1982, voi esercitate in solido il potere qui dentro (voglio essere generoso) dal 1° gennaio 1948 (non alludo ai periodi precedenti), dall'entrata in vigore cioè della Costituzione repubblicana; voi esercitate il potere, noi non lo abbiamo mai esercitato, non vi abbiamo mai nemmeno partecipato; e ci pensate ora? E vi accorgete adesso che sono incostituzionali norme fondamentali di quel testo unico? Voi avete disatteso completamente il vostro dovere, lo avete disatteso da ogni punto di vista. Potevate, con un semplice tratto di penna, sostituire quel testo con un altro testo; potevate abrogare con i voti di tutti quanti quel testo perché «fascista» (lo dico tra virgolette); avete convissuto con la «legislazione fascista» (sempre tra virgolette) in taluni degli aspetti che potevano maggiormente lo dico io e più direttamente richiamare il regime e la mentalità di quel tempo, perché si tratta di norme pesantemente repressive; non vi siete serviti di quelle norme per tentare di salvare l'Italia dal terrorismo: non volete servirvene, non avete avuto il coraggio e la capacità di modificarle, quando altro rimedio non esiste, non solo a nostro avviso, ma ad avviso di milioni di italiani. Infatti, a prescindere dalla nostra petizione popolare, ci sono state le indagini Doxa, le quali, in crescendo, denotano che più della metà degli elettori italiani è favorevole alla nostra proposta della dichiarazione dello stato di guerra, e pertanto al ripristino della pena di morte.

E voi ci venite a raccontare che queste norme sono «opinabilmente» lei, signor sottosegretario, non poteva andare oltre fuori dalla Costituzione! E allora, la Corte costituzionale, che dovrebbe essere presidio della costituzionalità di tutte le norme? E lo stesso intervento del signor Presidente della Repubblica? Ci risulta che il signor Presidente della Repubblica abbia dichiarato che egli non farà mai grazia ad un terrorista o ad un grande spacciatore di droga. Qui si tratta di fare grazia a priori a centinaia o a migliaia di terroristi dopo che essi abbiano compiuto i loro crimini! Non ci risulta, però, che il signor Presidente della Repubblica abbia rifiutato l'assenso a che quel provvedimento insano venisse esaminato dal Parlamento (infatti, è già stato esaminato dal Senato, e oggi arriva in aula alla Camera)!

Ma con quale coerenza? Come vi permettete di sbarrare la strada nella coscienza popolare a questo provvedimento, che noi invochiamo come attuazione di leggi vigenti, non abrogate, non modificate e consacrate dalla compagnia che ci hanno tenuto per quasi 40 anni? Al termine di 40 anni, quando non sapete come cavarvela, quando il terrorismo incombe sui destini di tutti, quando il lucernario di quest'aula incombe su di noi non come una luce, sia pure attenuata, ma come una minaccia, non vi accorgete del ridicolo in cui cadete tutti quanti e dell'irresponsabilità profonda con la quale vi state comportando?

Se volete esserne ancora più convinti, tiro fuori un foglio ingiallito (qualche giornalista in tribuna c'è): è il Corriere della sera di mercoledì 30 dicembre 1908, un'era della quale non posso essere nostalgico, perché, per quanto vecchio, sono nato un po' dopo. Ci si riferisce al terremoto di Reggio e Messina, agli sciacalli e all'immediata reazione di quel Governo, che non era certamente fascista ma che, come sapete, si servì immediatamente dei codici penali militari per fucilare gli sciacalli. Ma quel che io non ricordavo e che penso nessuno di voi possa ricordare è che la posizione più netta in favore di quei provvedimenti fu presa dal Partito socialista, attraverso l' Avanti! Dice infatti, il Corriere della sera di quel giorno che l' Avanti! era uscito in edizione straordinaria e che, a proposito degli atti di saccheggio compiuti a Messina e dei pieni poteri conferiti alle autorità militari per salvare gli sventurati superstiti «dall'assalto di quei feroci», scriveva: «Noi non esitiamo ad approvare il provvedimento. A San Francesco di California i depredatori venivano sommariamente impiccati. Noi diciamo che in certi casi come questi la difesa sociale può farsi legittimamente anche a suon di fucilate. Uomini che si lancino al saccheggio in quest'ora non sono uomini, ma lupi e vanno trattati come lupi».

Vorrei sapere se i terroristi, dei quali son piene le cronache dei nostri giornali, non siano lupi e non vadano trattati come lupi. Io non chiedo che vengano trattati come lupi, chiedo che vengano sottoposti alla legge militare
, in caso di proclamazione dello stato di emergenza, che noi reclamiamo o in tutto il territorio dello Stato italiano o per lo meno in quelle zone che sono particolarmente oggetto di attentati terroristici.

C'è qualcuno il quale non sia disponibile a ripetere oggi il linguaggio che i socialisti (forse Mussolini era ancora nel Partito socialista e chissà che non le abbia vergate lui quelle righe) usavano allora? Credo dobbiate meditare su queste pagine di storia patria, quelle che abbiamo vissuto insieme e quelle che, per ragioni di età, non abbiamo, evidentemente, vissuto insieme.

Non si dica allora, onorevole sottosegretario, che si vorrebbero da parte nostra imporre metodi e sistemi autoritari, che potrebbero portare alla guerra civile. In guerra civile vi piaccia o no sciaguratamente ci siamo. Io, per dir meglio, siamo in guerra incivile, ma incivili sono coloro che applicano la pena di morte e civili siamo noi che fino a questo momento non la abbiamo avuta a disposizione come vorremmo. Qui, onorevole rappresentante del Governo, ripeto una cosa che ha già detto ieri ottimamente l'onorevole Franchi. La voglio ripetere perché mi sembra sia, fra le tante, la considerazione più seria e importante. Guerra civile. La guerra civile esiste, è in atto; è una guerra che si combatte come una partita di calcio ad una porta sola, una guerra che viene combattuta contro il popolo lavoratore italiano senza che lo Stato italiano intervenga a difesa della vita dei cittadini.

Quando parlo della vita dei cittadini italiani ho evidentemente, onorevoli colleghi, l'umano diritto di ricordare a me stesso e anche a voi, e anche agli assenti, che il partito che ho l'onore di dirigere ha pagato un altissimo tributo di sangue:sono stati fino ad oggi ventitré i nostri ragazzi o anziani (ma si è trattato soprattutto di ragazzi) stroncati dal terrorismo. Debbo anche dirvi cosa che mi dispiace di rilevare, perché rientra in un mio esame di coscienza che mi vergogno, mi vergogno profondamente (e ne chiedo scusa al mio partito, alle famiglie degli assassinati) che non siamo riusciti neppure in un caso ad ottenere giustizia. E non parlo di giustizia sommaria, parlo di giustizia attraverso i tribunali. Perché l'unico caso in cui ci siamo parzialmente riusciti c'è stato guastato e corrotto tra le mani dall'intervento del «Soccorso rosso», capitanato dal senatore comunista onorevole Terracini; sicché l'assassinio, a Salerno, di un nostro ragazzo diciannovenne è stato punito con tre anni e mezzo di reclusione effettiva. L'assassino è uscito in libertà e qualche giorno fa mi ha telefonato da Salerno il padre dell'ucciso, credendomi un personaggio importante (e non lo sono), per chiedermi che io facessi tutto ciò che potevo, perché quell' anarchico sciagurato che gli aveva ucciso il figlio venisse ridotto fuori da Salerno, città nella quale egli continua a passeggiare, davanti alla casa di quel padre che teme ulteriori tragedie per gli altri suoi figlioli!

La prima firmataria della petizione è Anna Mattei: gli assassini dei fratelli Mattei (il primo di 8 e l'altro di 23 anni) sono in questo momento in Sudafrica, dopo essere stati in Svezia, perché «Soccorso rosso» ve li ha mandati: la giustizia italiana li aveva condannati, ma per colpa dei magistrati non è stata nella condizione di catturarli… Onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, non parlo come uomo di parte perché lo stesso cordoglio io provo ed esprimo nei confronti di tutti coloro che sono caduti in questa battaglia. Non dimentichiamo perché l'abbiamo compianto tutti insieme, quale che fosse il nostro pensiero politico l'onorevole Moro, il più illustre tra i caduti in questa battaglia; non dimentico, colleghi della sinistra, il sindacalista Rossa assassinato a Genova, nella città che ha visto il primo caduto per terrorismo (lo ha visto accanto a me, esattamente accanto a me) il 18 aprile 1970, Ugo Venturini, operaio di 33 anni, assassinato da «prebrigatisti» (ancora le Brigate rosse non avevano cominciato il loro triste ufficio funebre); non dimentico i giornalisti di parte socialista, anche illustri; non dimentico le vittime appartenenti alla Democrazia cristiana; non dimentichiamo soprattutto gli agenti delle forze dell'ordine, i soldati, gli agenti di polizia, i carabinieri. Nei confronti di tutti costoro io mi vergogno, e credo che, entro voi stessi, dobbiate vergognarvi soprattutto voi, uomini di Governo, perché quasi mai la giustizia ha raggiunto i colpevoli! Ora che sembrava possibile che la giustizia cominciasse a raggiungerli, subito interviene la legge «pro pentiti», per salvarne e rimetterne in circolazione una buona parte: e a questo punto la mia personale vergogna si trasforma in sdegno e denunzia. Si raggiungono e superano i vertici della viltà: mai c'eravamo trovati di fronte ad uno spettacolo così degradante!

Voglio rileggere una dichiarazione per me fondamentale, ieri citata giustamente dall'onorevole Franchi: sono le motivazioni del giudice Francesco Amato per il mandato di cattura contro 260 brigatisti rossi: «Il piano eversivo apertamente conseguito e propagandato mediante la diffusione di volantini, opuscoli ed altri scritti, prevede il compimento d'azioni delittuose volte sistematicamente a colpire le strutture portanti ed i gangli vitali dello Stato e della società; a mobilitare la più vasta ed unitaria offensiva armata contro la Repubblica; a suscitare la guerra civile, ad attaccare e distruggere il vigente sistema democratico, ad organizzare ovunque il potere proletario armato per l'insurrezione e la presa di potere. La dimensione e l'efficienza dell' organizzazione politico-militare, dotata di denaro, armi, basi, tipografie e strumenti di falsificazione, nonché servizi logistici, pongono un concreto pericolo per l'esistenza e l'incolumità dei poteri dello Stato, per l'ordine e la sicurezza interna. Tutto ciò porta alla configurazione dei reati d'insurrezione armata per suscitare la guerra civile». Lo dice un magistrato, responsabilmente e nel momento in cui denunzia 260 brigatisti rossi; lo dice avendo evidentemente compiuto indagini, sia pur preliminari; lo dice sulla base di documenti e di ciò che tutti sappiamo e viviamo, in ogni parte d'Italia! Lo dice anche perché, onorevole rappresentante del Governo, sembra vi sfuggano (nel suo intervento quasi non se ne parla o non se parla affatto) i due dati fondamentali: la saldatura in atto tra la delinquenza politica e quella comune. I magistrati napoletani si sono accorti che occorre approvare al più presto la «leggina» per l'equiparazione della camorra alla mafia. Ma quand'anche tale equiparazione avvenisse, il problema rimarrebbe irrisolto; il problema a Napoli dovrebbero saperlo non è solo politico. Il rapimento del democristiano Ciro Cirillo rapimento che era politico e di malavita ha dimostrato con tutta evidenza la realtà di quanto affermo: è in atto la saldatura tra la delinquenza comune e quella politica. Questo vuol dire che i portatori della guerra civile non sono le centinaia o le migliaia di unità che ci eravamo abituati a ritenere; si tratta invece di decine di migliaia di persone, che operano in questa Italia devastata dalla corruzione, dalla delinquenza, che voi, attraverso la gestione clientelare del potere, avete favorito, tutelato, protetto. Non c'è comune d'Italia che non sia un centro di malavita, che non abbia i fautori, i padrini della malavita. Voi avete esteso la mafia in tutt' Italia; vi sono, oggi, decine di migliaia di delinquenti organizzati. Vi è la delinquenza dei sequestri di persona, quella della droga ancor più vasta e ramificata , quella dei ricatti, quella camorristica, quella della «'ndrangheta» calabrese e quella della mafia, che ormai si è trasferita anche nel settentrione d'Italia. Tutto ciò si salda con la delinquenza politica, e la legge relativa ai «pentiti» offre la possibilità di nuovi reclutamenti. Sarà infatti comodo, d'ora in poi nel caso questo sciagurato provvedimento venga approvato, delinquere, incassare, uccidere, per poi «pentirsi» ed infine ricominciare dopo qualche tempo a delinquere, incassare, ed uccidere nuovamente. Voi ci state consegnando alla delinquenza; tra quella di vertice e quella di base la saldatura è stretta.

Il secondo aspetto inquietante della situazione lo ha riconosciuto persino il Presidente del Consiglio Spadolini è rappresentato dalle intese a livello internazionale. Anche in questo caso voglio citare come testimonianza la voce di un magistrato, il giudice istruttore Carlo Nordio di Venezia, il quale, rinviando a giudizio un gruppo di brigatisti rossi, ha affermato: «Il giudice istruttore ritiene di dover rilevare, sulla base non di illazioni gratuite, ma di prove concrete, che sono emersi solidi legami tra le Brigate rosse ed altre formazioni internazionali e che l'Italia sia stata e sia tuttora oggetto di mire destabilizzanti ed egemoniche di paesi stranieri». Il Presidente Spadolini, pochi giorni fa cito a memoria, ma lo avete letto su tutti i giornali, ha parlato finalmente di due riferimenti precisi: il KGB ed il «bandito» Gheddafi. Bandito lo dico io, però mi dovete consentire di sottolineare in questa sede vi dirò poi il motivo, che è anche personale un giudizio che è parso imprudente o eccessivo a coloro che lo hanno ascoltato attraverso la televisione o lo hanno visto scritto sui giornali.

Onorevoli colleghi, io leggo i giornali molto attentamente, ma qualche volta ho l'impressione che voi non li leggiate. Su Gheddafi e sul «banditismo» gheddafiano in Italia vi sono documentazioni impressionanti, vi sono prese di posizione in ogni parte del mondo. Alcune prese di posizione sono state, tra l'altro, pubblicate con evidenza da alcuni nostri giornali. Ho qui davanti un titolo apparso sul periodico Oggi, in cui il presidente del Sudan si esprime in tal guisa da giustificare un titolo a tutta pagina: «Appello al mondo: isolate Gheddafi». Nel sottotitolo il capo dello Stato del Sudan così si esprime: «Mi rivolgo a tutti i capi di Stato affinché non collaborino con un uomo indegno di stare in un consesso civile; so che dopo Sadat toccherà a me, ma non temo la morte. Il tiranno di Tripoli ha già fatto bombardare alcuni nostri villaggi di confine abitati da poveri contadini ed ha fatto gettare petrolio nelle acque del Nilo per inquinarle. Gheddafi non è un essere umano! Solo quando sparirà dalla terra molta gente, e non solo in Africa, potrà vivere in pace».

Su Il mattino del 30 giugno 1980 leggo una denunzia che si riferisce sia a Gheddafi come fautore del terrorismo in Italia, sia alla solita Cecoslovacchia, di cui tanto si parla. Onorevole Sanza, penso che lei debba ascoltare questa parte del mio intervento perché, non oggi ma in seguito, il Ministero dell'interno dovrà dare qualche notizia o fornire qualche smentita sull'argomento. Finora il suo Ministero ha taciuto di fronte a quello che è stato pubblicato e che sto per leggere. Dunque, su Il mattino del 30 giugno 1980 è scritto: «Sui più segreti scaffali dell'archivio del Ministero dell' interno dedicato al terrorismo, accanto al «dossier Cecoslovacchia», c'è quello sulla Libia. Sono ormai entrambi piuttosto voluminosi. Riposano nelle stanze blindate dei sotterranei del Viminale». Se si custodissero le vite dei carabinieri come si custodiscono i dossier che non bisogna tirare fuori perché, altrimenti, i rapporti con Gheddafi o, più esattamente, i traffici di petrolio con Gheddafi, nei quali siete tutti, nessun settore escluso tranne il nostro, alquanto esercitati si potrebbero guastare, penso che si sarebbe risparmiata la vita di molti carabinieri, di molti soldati, di molti agenti di polizia, di molti giovani ed anziani d'ogni parte politica, anche se avreste incassato qualche tangente in meno.

Continua l'articolo: «Per evitare che commandos di terroristi possano arrivare fin lì per distruggerli, ogni documento è stato miniaturizzato ed «imparato a memoria» da un cervello elettronico che ha classificato nomi, dati, rapporti riservati ed episodi. Il secondo fascicolo (il dossier Libia) è tenuto nascosto perché la sua pubblicazione potrebbe indurre Gheddafi a chiuderci i rubinetti del suo petrolio, revocando affari d'enorme portata». Io impegno il Governo, ed il Ministero dell'interno in particolare, a dare, non oggi perché non voglio metterla in difficoltà, onorevole Sanza, ma nei prossimi giorni una risposta. Altrimenti, apriremo un'inchiesta a livello popolare e parlamentare, su questi dati vergognosi. Credo che potremo farlo anche per un altro motivo, onorevole sottosegretario: c'è qualcuno che ricorda ancora, qui dentro, la strage di Fiumicino ? Come mai vi ricordate giustamente, per carità? di tutte le altre stragi? Come mai, da anni a questa parte, si parla tanto delle stragi falsamente attribuite alla destra, mentre della strage di Fiumicino non si parla più? Perché? Cosa c'è dietro? Lo sappiamo benissimo! Gheddafi! Dunque anche questo, onorevole sottosegretario ed onorevole ministro assente, si trova negli archivi segreti, memorizzato e miniaturizzato? Voi conoscete dati e nomi: perché l'inchiesta non procede? Come mai, di recente, il Governo italiano, si è precipitato per offrire a Gheddafi l'acquisto di petrolio pagando qualche dollaro in più per ogni barile? Come mai? Forse è ancora la guerra del petrolio contro il sangue? Il sangue è quello dei poveri diavoli, dei poveri «cristi» del nostro paese! E il petrolio abbonda! Ed allora si parla, a suon di petrolio, di socialismo tricolore! Le speranze dell'onorevole Craxi procedono e poi procedono quelle dei nuovi raggruppamenti di «solidarietà nazionale», tanto cari all'onorevole Andreotti! E dietro ogni formula di Governo, dietro ogni possibile crisi di Governo, ci sono le tangenti ed i traffici! Continuate pure i vostri traffici, ma non fateli pagare con il sangue al popolo lavoratore italiano.

Quando vi si chiede di salvare la pelle degli italiani, siate solleciti per lo meno quanto lo siete nell' intascare o nel lasciare che s'intaschi o nel non voler denunziare i loschi traffici in cui sono impastati, senza alcuna eccezione, tutti i vostri partiti.

Perché parlo del «bandito» Gheddafi? Perché pur essendo io una modesta persona, mentre il «bandito» Gheddafi è un uomo importante mi sembra che esista un fatto personale. La rivista Sicilia oggi si stampa con il denaro di Gheddafi. Voi sapete che Pantelleria è per metà di proprietà di Gheddafi e conoscete pure la vicenda perché ne hanno parlato tutti i giornali della moschea costruita a Catania in onore dì Gheddafi; voi sapete che in Sicilia gli affari «gheddafiani» procedono . Ebbene, in questa rivista, che reca in prima pagina l'effigie dell'«eroe» e che è tutta in sua difesa, anzi in sua esaltazione, una pagina è dedicata al sottoscritto. In essa, fra le tante amenità sanguigne, si dice: «Non si capisce come si possa prescrivere una ricetta politica secondo la quale si dovrebbero chiudere le porte in faccia a Gheddafi, che dà lavoro a tanti italiani, per aprirle a chi vuole vendere all'Italia qualche decina di miliardi di dollari di armi». A prescindere dai miliardi di dollari di armi, a proposito di Gheddafi che dà lavoro a tanti italiani nessuno ricorda la vicenda, ben più grave di quella dell'aeroporto di Fiumicino, della cacciata a pedate nel sedere dei lavoratori italiani dalla Libia? Nessuno ricorda, sui banchi governativi, che si è trattato di una cacciata vile, di un furto collettivo? Nessuno sa che i nostri coloni sono stati ricacciati in Italia senza una lira, che sono stati persino derubati dei conti correnti postali? Che sono stati derubati di tutti i loro averi, di tutto quello che avevano costruito? Onorevole sottosegretario in questo caso Almirante non parla come fascista, ma come vecchio combattente in Africa settentrionale, io ero un ragazzo quando conobbi la Libia e la conobbi, certamente attraverso le armi, ma soprattutto attraverso le strade che erano state costruite dagli italiani. Ho potuto vedere l'opera dei coloni, le case costruite dai 20 mila coloni, Chi si ricorda più dei 20 mila coloni cacciati a pedate nel sedere dal «bandito» Gheddafi? E adesso si sputa sul sangue dei morti, sul lavoro dei sopravvissuti, si sputa su questa vicenda che non ha niente di nostalgico e niente di imperiale, perché è la vicenda, auspicata da Giovanni Pascoli, della «grande proletaria» che si era mossa finalmente nel Mediterraneo e più in là, per dare lavoro, per far fiorire il deserto! Siamo a questo punto: per quattro barili in più l'Italia ufficiale si vende persino le memorie del passato, perfino le memorie che sono sacre a tutti noi, perché penso che in questo, almeno, tutta l'Assemblea possa essere concorde e ricordare con riconoscenza l'opera dei coloni italiani che hanno affermato non il colonialismo italiano, ma la capacità italiana di dare la civiltà. I libici ebbero persino, in tempo fascista, la cittadinanza speciale: riconoscimento che nessun altro popolo colonizzatore ha mai pensato di dare ai propri «colonizzati»! Ma adesso dimentichiamo tutto: e si trattasse solo di affari, onorevole rappresentante del Governo! Si tratta, infatti, anche di ingerenza ignobile negli affari interni del nostro paese!

Non posso, e non voglio, farvi perdere tempo, ma ho qui, per esempio, un'intervista del «bandito» Gheddafi ad Epoca del 25 novembre 1980, in cui si parla della situazione alla FIAT. Se ne parla perché Gheddafi è uno dei più grossi azionisti della FIAT ed egli, in questa intervista del 1980, diceva che avrebbe volentieri spinto all'occupazione della fabbrica gli operai attraverso l'influenza di cui, come grande azionista, poteva godere. Certo, si è trattato di minacce a vuoto ma, se si vuole davvero capire quel che sta accadendo nel sindacalismo di regime in questo momento, posso rifarmi alla dolorosa confessione di Giorgio Benvenuto, che forse avete letto, ma che è interessante rileggere. Giorgio Benvenuto, su La Repubblica del 12 febbraio 1982, afferma: «Sì, i terroristi nel sindacato ci sono e sono anche più diffusi e presenti di quanto non si pensi di solito. È un terrorismo di tipo nuovo, che non spara a questo e a quel dirigente » per ora, dico io «ma ha come obiettivo quello di attaccare il sindacalismo anni '80. Questo nuovo terrorismo io lo respingo nelle grandi fabbriche: ci attaccano, ci dileggiano e non ci lasciano parlare. Non abbiamo proposte, sappiamo solo dire di no e rischiamo di essere emarginati, di non contare più niente. Siamo in presenza di una nuova generazione di terroristi, ad una nuova fase, ben più pericolosa delle precedenti». Giorgio Benvenuto respira il terrorismo in fabbrica, noi respiriamo il terrorismo a Montecitorio: si respira il terrorismo ovunque! Lo Stato democratico è infetto di terrorismo e, invece di reagire con delle antitossine virulente ed efficaci, reagisce attraverso una immissione di ulteriori tossine terroristiche nel tessuto connettivo del nostro paese. Questa è la realtà. Tra gli argomenti adottati dal rappresentante del Governo e adottati largamente anche sulla stampa contro di noi e contro la nostra mozione, nonché, a suo tempo, contro la nostra petizione popolare, il più diffuso e, al tempo stesso, il più singolare è quello che, se venisse approvata la nostra proposta, si darebbe ai terroristi il «riconoscimento» (tra virgolette) come combattenti. Ma vogliamo paragonare il «riconoscimento» (tra virgolette) come combattenti che noi daremmo (con tre emme, perché due non bastano) ed il riconoscimento come pentiti che voi vi accingete a dare? Se lo stato di guerra che noi chiediamo, se lo stato di emergenza, lo stato di pericolo venissero messi in funzione e i tribunali militari giudicassero sui reati compiuti dai terroristi, di quali reati si tratterebbe? Evidentemente, si tratterebbe di reati di sabotaggio, di attentato contro i militari impegnati. Secondo voi, i disertori, riconosciuti come tali e puniti come tali, fanno parte dei combattenti? Secondo voi, i sabotatori, riconosciuti come tali e giustiziati come tali, fanno parte dei combattenti? Secondo voi, le spie che, secondo la legge di guerra, devono essere punite con la condanna a morte fanno parte dei combattenti?

Ma dove siamo, onorevole sottosegretario, anche con l'uso della lingua italiana? Voi continuate a parlare il linguaggio ciellenista dopo tanti anni. Non avete ancora stabilito la differenza tra il combattere per la patria ed il combattere contro la patria? Non lo avete ancora capito? Eppure, quello che è successo tanti anni fa dovrebbe avervi messo in guardia contro equivoci di questo genere. Quando noi chiediamo l'applicazione della legge di guerra nei confronti dei terroristi, perché lo stato di guerra (avete sentito la testimonianza del magistrato) non può purtroppo non essere riconosciuto, noi chiediamo che la legge di guerra venga attuata contro i nemici.

Non riusciamo a capire perché applicare la legge di guerra significherebbe disarmare i combattenti o significherebbe dare dignità di combattente al nemico. Scusate, in guerra che cosa impone la legge? Si spari contro il nemico! In tempo di guerra che cosa impone la legge? Si giustizi, s'impicchi, si fucili il sabotatore, il traditore, il disertore! E come li volete considerare nella più benevola tra le ipotesi? Non volete equiparare il terrorista al disertore, al traditore in guerra, al pugnalatore alle spalle? Come li volete considerare? E noi diamo loro onore applicando la legge di guerra, inchiodandoli al muro, chiedendo che siano fatti fuori? Mi sembra veramente che stiate esagerando, proprio nel momento in cui voi state per innalzare a categorie da privilegiare, da beneficiare, da salvare, la vecchia, squalificata categoria dei confidenti. Ma servitevi dei confidenti! Per carità, servitevi dei confidenti! Li avete nelle vostre file! Il Partito socialista, nella sua ala manciniana, ha tutti i confidenti che vuole! Il Partito socialista ha preso Piperno, che è venuto in Italia sotto l'usbergo delle mancate estradizioni. Lo ha fatto parlare a Mondoperaio, lo ha fatto parlare al balcone della federazione socialista di Cosenza. Perché non lo avete invitato a confidarsi? Poteva confidarsi! Quante cose avrà raccontato Piperno a Mancini! E Mancini a Piperno! E Flora Ardizzone! C'è tutta una fungaia di terroristi al vertice del Partito socialista. Usateli! E chi si scandalizza! Date loro denaro! Chi si scandalizza! Chiedete fondi speciali perché il Ministero dell'interno possa pagare i confidenti: noi voteremo a favore. Tra i tanti denari che rubate questi saranno almeno spesi bene, se li spenderete in quel modo! Ma quando mai il confidente è stato promosso a categoria politica, addirittura a categoria morale? In tutti i paesi del mondo, in tutte le polizie ci si serve dei confidenti e li si tratta adeguatamente. Forniteli di passaporti falsi! Forniteli di tutte le tutele! Non fateli ammazzare, come li fate ammazzare stupidamente e vilmente, perché poi con queste segnalazioni ad honorem, evidentemente, qualche Peci finisce sempre per pagare. E ce ne dispiace sinceramente, perché si trattava di una creatura umana, che non meritava quel destino, perché tentava di comportarsi bene. Ma non dite a noi che trasformiamo i terroristi in combattenti e diamo loro un rango d'onore, perché l'unico rango che noi vogliamo dare ai terroristi, naturalmente dopo il giudizio…"

Presidente: "Onorevole Almirante, il tempo a sua disposizione non è scaduto ma, poiché non vorrei strozzare il suo discorso, la avverto che ha ancora due o tre minuti a disposizione.

Almirante: "Grazie, Presidente. Credo quindi che la più pesante tra le accuse che ci vengono rivolte sia questa e che io abbia potuto agevolmente dimostrarne non solo l'infondatezza ma la paradossale inadeguatezza. Concludo subito, signor Presidente, con le parole di un altro parlamentare, molto più illustre di me e caro al cuore di tutti noi, il quale, il 16 marzo 1978, il giorno di via Fani, ebbe a dire: «Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, abbiamo tutti credo la consapevolezza di vivere l'ora più drammatica della nostra Repubblica. Dopo aver sacrificato decine di vite di cittadini che compivano il loro dovere (forze dell'ordine, magistrati, avvocati e giornalisti), queste bande di terroristi sono arrivate al vertice della nostra vita politica democratica. Credo che a questo occorra reagire: guai a pronunciare discorsi di circostanza, perché questa non è una circostanza. Si è dichiarata guerra allo Stato, si è proclamata la guerra allo Stato democratico, ma lo Stato democratico risponde con una dichiarazione di guerra. Una democrazia cui si rivolge una sfida di guerra non risponde con proclamazioni di pace. Salta l'economia, saltano le finanze, salta l'ordine pubblico e si uccidono magistrati, avvocati, poliziotti; saltano i vertici della vita democratica e noi siamo qui a discutere della fiducia al Governo. È un po' poco, onorevoli colleghi!».

È un po' poco, onorevoli colleghi, discutere, fra qualche ora, della legge sui pentiti. È un po' poco, banchi vuoti; è un po' poco, Camera irresponsabile; è un po' poco, Governo al vertice della irresponsabilità… Vergognatevi nel ricordo di Ugo La Malfa!"

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Rai Yoyo, per la gioia di grandi e piccini torna “L’Albero Azzurro”

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Tremila puntate per “L’Albero Azzurro”. Da lunedì 6 maggio il programma per bambini più longevo della tv italiana torna in una rinnovata edizione e per l’occasione viene promosso in prima serata “L’Albero Azzurro”. Appuntamento dal lunedì al giovedì, alle ore 20.50, su Rai Yoyo e RaiPlay.
 
Unico nel panorama televisivo italiano “L’Albero Azzurro” è il programma che ha saputo conquistare i cuori di intere generazioni: 32 edizioni, 34 compleanni dalla prima trasmissione del 1990, e ben 2099 puntate andate in onda fino a ora sono la forza di un progetto editoriale e di un brand Rai che ha da sempre saputo rinnovarsi nel segno di una evoluzione dei linguaggi e dell’estetica senza mai tradire l’intuizione originale e il significato poetico di un luogo speciale per i più piccoli. Quella di lunedì 6 maggio sarà la puntata numero tremila: un record per un programma dedicato ai bambini.
 
In occasione dei 70 anni della Tv, L’Albero Azzurro trova una nuova collocazione alle 20.50, regalando 15 storie originali ai bambini prima di andare a dormire. È un cambiamento che trasforma lo spazio luminoso dell’Albero Azzurro con una magica e suggestiva nuova luce. Le avventure di Dodò e dei suoi amici si aprono a una dimensione più intima, dove, attraverso storie coinvolgenti e qualche brivido, sono indagate le emozioni e le paure dei cuccioli. Il momento è speciale, al limite della giornata, prima o dopo il sonno, o dopo un momento intenso di attività. Le avventure ci accompagnano nel mondo fantasmatico che si delinea tra la coscienza e l’immaginazione, alla ricerca di parole e comportamenti che fanno ritrovare sicurezza e allontanano i timori.
 
Sempre nel segno del divertimento, Dodò (che ha la voce di Paolo Carenzo ed è animato da Emanuele Buganza) e i suoi amici Zarina e Ruggero incontrano creature buffe e bizzarri personaggi, fanno viaggi speciali e sogni incredibili guidati dalla stella più splendente, scoprendo così che anche i suoni provenienti dalle zone sconosciute o buie, molto spesso, possono essere più amichevoli che paurosi. A condurre il gioco sono sempre Laura Carusino e Andrea Beltramo, che con il loro sguardo attento rappresentano i rassicuranti ruoli di adulti di riferimento. Laura e Andrea proteggono, sostengono, invitano all’autonomia, aiutano ad affrontare con gioia e leggerezza, ma anche con chiarezza e verità, le piccole e “grandi” conquiste di ogni giorno.
 
In un ideale percorso di crescita, le avventure del nostro beniamino Dodò partono dalla “sua” casa, il set con l’albero azzurro, un nido che accoglie e disegna uno spazio colorato e rassicurante per tutti i bambini. L’innesco di trama è sempre un “problema” che impedisce al cucciolo di rilassarsi, che sia la paura del buio o dei mostri, la paura di fare brutti sogni o di lasciare andare un giocattolo rotto, fino ad arrivare a paure più complesse come la paura che i grandi litighino o quella di diventare grandi. Il passaggio segna l’ingresso nell’immaginario di Dodò.
 
Un nuovo set che porta la firma di Franco Bottara mette in scena il mondo del fantasmatico dove il problema e la paura vengono affrontati e risolti con l’aiuto di personaggi spaventosamente buffi e travestimenti capaci di suscitare stupore. Laura e Andrea danno vita a personaggi di fantasia in grado di tradurre le emozioni dei cuccioli e di aggiungere una nota comica e sdrammatizzante a situazioni che altrimenti potrebbero risultare troppo minacciosi. In questo modo, il format mantiene e rinforza il suo modo tipico di strizzare l’occhio a un tipo di ironia e di estetica che aggiunge una nota di contemporaneità e comicità che piace anche ai più grandi.
 
A problema risolto, si torna all’Albero. L’ultimo passaggio è quello della canzone che aiuta a ricomporre il conflitto e a spostare il focus del bambino dalle proprie paure individuali a un rituale condiviso e rassicurante…. Cantando, anche gli ultimi timori si dissolvono. Il corredo musicale è in linea con questa edizione speciale, proponendo qualche sano antidoto contro la paura, rime scaccia fantasmi e nuovi arrangiamenti per le canzoni già in repertorio. All’Albero Azzurro la cosa importante è stare insieme e rinnovare un modo autentico per crescere.
 
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Friuli Venezia Giulia, prosegue con successo il Festival delle Dimore Storiche

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Prosegue con successo con la seconda edizione il Festival delle Dimore Storiche organizzato da ADSI FVG (Associazione delle Dimore Storiche): quattro giorni per conoscere la storia del Friuli Venezia Giulia, visitando e vivendo il ricco patrimonio artistico ed architettonico della regione che spesso resta nascosto dietro siepi e cancelli.
 
Dal 25 al 28 aprile, con l’apertura straordinaria delle dimore e dei parchi, è stato realizzato un ricco programma di eventi organizzati grazie all’iniziativa dei proprietari: degustazioni, concerti, presentazioni di libri, esercizi di cucina..
 
Sono 21 le dimore private, ancora oggi abitate, che hanno aperto le porte e proprio i proprietari hanno fatto da guida per raccontarne non solo storia e caratteristiche architettoniche, ma anche aneddoti e curiosità dei luoghi che si tramandano da generazioni.
 
“È una grande soddisfazione poter organizzare il secondo Festival dopo la sfida della prima edizione: il nostro obiettivo era proprio quello di renderlo un appuntamento annuale; – sottolinea il presidente di Adsi Fvg Raffaele Perrotta –lavorando da mesi per costruire un programma ricco e vario in modo da attrarre sia chi vive sul territorio sia chi arriva da fuori regione e da oltre confine. Si tratta di un’occasione unica per far conoscere un patrimonio unico in Europa per storia, per valore culturale ed artistico.”
 
Sono sedici le dimore ad aver aperto in provincia di Udine: partendo dalla Carnia con Palazzo De Gleria (Comeglians), scendendo nelle colline a nord della città con Casa Asquini (Fagagna), La Brunelde Casaforte d’Arcano (Fagagna), Villa del Torso Paulone (Brazzacco di Moruzzo), Villa Gallici Deciani (Cassacco), Villa Schubert (Marsure), passando per il centro di Udine con Palazzo Orgnani,  Palazzo Pavona Asquini e Villa Garzoni, fino ad arrivare a sud con Casa Foffani (Clauiano), il Folador di Villa Rubini (Trivignano), Villa Iachia (Ruda), Villa Lovaria (Pavia di Udine), Villa Pace (Campolongo Tapogliano), Villa Ritter de Zahony (Monastero di Aquileia), Villa Vitas (Strassoldo di Cervignano del Friuli).          
 
Tre dimore invece nel goriziano, Villa Attems Cernozza di Postcastro (Lucinico), Villa del Torre (Romans d’Isonzo) e Villa Marchese de Fabris (San Canzian d’Isonzo), e due nel pordenonese, il Palazzo d’Attimis Maniago (Maniago) e Palazzo Scolari (Polcenigo).
 
Il programma è risultato ricco e variegato con oltre 40 eventi comprendenti aperitivi in villa e degustazioni, cene, presentazioni di libri, mostre d’arte e fotografiche, concerti, conferenze, spettacoli teatrali.
 
Per la visita guidata alle dimore era richiesta un’offerta minima di 10 euro a persona: i fondi raccolti serviranno a sostenere ulteriori progetti di valorizzazione del patrimonio culturale privato ADSI FVG e del territorio circostante. Bambini e ragazzi fino a 17 anni entravano gratis.
 
Il programma completo delle aperture e degli eventi con luoghi, orari e prezz disponibile su: bit.ly/3VryIWM, oppure consultando i profili social (Instagram e Facebook del Festival).
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A Milano l’arte elegante del pugliese parigino

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Palazzo Reale a Milano  sta celebrando, per la prima volta, con una mostra monografica, il talento di Giuseppe De Nittis esponendo una novantina dipinti, tra oli e pastelli, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, i Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunquerke, gli Uffizi di Firenze – solo per citarne alcuni – oltre allo straordinario nucleo di opere conservate alla GAM di Milano e una selezione dalla Pinacoteca di Barletta, intitolata al Pittore, che ne conserva un eccezionale numero a seguito del lascito testamentario della vedova Leontine De Nittis.
 
La consacrazione di Giuseppe de Nittis come uno dei grandi protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo è avvenuta grazie alla fortuna espositiva di cui ha goduto a partire dalla magnifica retrospettiva dedicatagli nel 1914 dalla 11a Biennale di Venezia. Altre tappe fondamentali sono state la mostra ‘Giuseppe De Nittis. La modernité élégante’ allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013 la fondamentale monografica a lui dedicata a Padova a Palazzo Zabarella.
 
In ‘De Nittis. Pittore della vita moderna’ si intende esaltare la statura internazionale di un pittore che è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha saputo condividere, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi per raggiungere quell’autonomia dell’arte che è stata la massima aspirazione della modernità.
 
I francesi e De Nittis, che si è sempre sentito profondamente parigino di adozione, hanno affrontato gli stessi temi, come il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna che De Nittis ha saputo catturare lungo le strade delle due metropoli da lui frequentate, in quegli anni grandi capitali europee dell’arte: Parigi e Londra. Ha saputo rappresentare con le due metropoli, in una straordinaria pittura en plein air, i luoghi privilegiati della mitologia della modernità, che saranno collocati al centro di un percorso espositivo articolato lungo un arco temporale di vent’anni, dal 1864 al 1884, ricostruendo un’avventura pittorica assolutamente straordinaria, conclusasi prematuramente con la sua scomparsa a soli 38 anni di età. I risultati da lui raggiunti si devono a un’innata genialità, alla capacità di sapersi confrontare con i maggiori artisti del suo tempo, alla sua curiosità intellettuale, alla sua disponibilità verso altri linguaggi. È inoltre tra gli artisti dell’epoca che meglio si è saputo misurare con la pittura giapponese allora diventata di moda.La mostra vede infine la collaborazione di METS Percorsi d’Arte, che ha contribuito al progetto espositivo con l’apporto di un importante nucleo di opere provenienti da collezioni private, tra le quali il Kimono color arancio, Piccadilly e la celeberrima Westminster.
 
Tutto questo è sottolineato dalla mostra e dal ricco catalogo Silvana Editoriale.
 
Una vita breve ma sufficiente per entrare nella storia dell’arte
 
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre si suicidò dopo due anni di carcere per motivi politici e Giuseppe crebbe con i tre fratelli nella casa dei nonni paterni. Fin dall’infanzia manifestò una forte propensione alla pittura e, nonostante il parere contrario della famiglia, si iscrssee nel 1861 all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insofferente agli schemi accademici, fu espulso due anni dopo ed iniziò a dipingere en plen air con altri artisti, come Federico Rossano e Marco De Gregorio. Nel 1866 partì per Firenze dove prese contatto con il gruppo dei Macchiaoli. Dopo aver visitato Palermo, Roma, Venezia e Torino, nel 1867 si trasferì a Parigi dove due anni dopo sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 partecipò per la prima volta al Salon con opere molto vicine al gusto parigino. Il soggiorno napoletano del 1870 vide il suo stile arrivare alla maturità e all’indipendenza artistica e il ritorno a Parigi nel 1872 segnò il suo successo con la partecipazione al Salon dell’opera ‘Una strada da Brindisi a Barletta’. Il dipinto ‘Che freddo!’ esposto al Salon nel 1874 rappresentò l’affermazione definitiva dell’artista, che si meritò anche l’appellativo ‘peintre des Parisiennes’ (pittore della parigine). Nello stesso anno partecipò con ben cinque tele alla prima esposizione di quello che sarà il gruppo impressionista tenutosi nello studio del fotografo Nadar. In cerca di nuovi stimoli partì poco dopo per Londra, dove realizzò una serie di opere dedicate alla vita quotidiana della città. Partecipò all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 con dodici lavori che polarizzarono l’attenzione sia del pubblico che della critica. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sulla tecnica del disegno a pastello. Colpito da una forte bronchite nel 1883, rimase per mesi bloccato a letto e dipingere diventò sempre più difficile; morì a  Saint-Germain-en-Laye (Francia)   il 21 agosto del 1884 a causa di un ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta.
 
Informazioni:
 
Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | CMS.Cultura
 
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti , fino al  30.06.2024
 
Orario: Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
 
Biglietti
 
Aperto: € 17,00; Intero: € 15,00;Ridotto: € 13,00; Esclusi i costi di prevendita.
 
Info e prenotazioni: palazzorealemilano.it     mostradenittis.it
 
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