Connect with us

Primo piano

Caso Bruno Contrada, la testimonianza di Roberto Scotto: “Eravamo a un passo dalla cattura di Provenzano quando fummo fermati”

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 6 minuti
image_pdfimage_print

Prosegue il commento nel salotto rosso di Officina Stampa all’intervista realizzata dalla giornalista Chiara Rai al dottor Bruno Contrada, già capo della Squadra Mobile di Palermo ed ex numero due del Sisde nei confronti del quale la Cassazione ha dichiarato ineseguibile e improduttiva di effetti penali la condanna del 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa. L’11 febbraio 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano perché ha ritenuto che la ripetuta mancata concessione degli arresti domiciliari a Contrada, sino al luglio 2008, pur se gravemente malato e malgrado la palese incompatibilità del suo stato di salute col regime carcerario, fosse una violazione dell’art. 3 Cedu (divieto di trattamenti inumani o degradanti). Il 13 aprile 2015 la stessa Corte europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano stabilendo un risarcimento per danni morali da parte dello Stato italiano perché Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa dato che, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non era ancora previsto dall’ordinamento giuridico italiano (principio di nulla poena sine lege), e nella sentenza viene affermato che “l’accusa di concorso esterno non era sufficientemente chiara”.

 

Subito dopo la messa in onda della seconda parte dell’intervista all’ex capo della Mobile palermitana si è iniziato ad approfondire la figura di Contrada e anche a fare chiarezza su quelli che erano i reali rapporti lavorativi che intercorrevano tra lo stesso e i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Qualche “articoletto” sul web ha tentato di gettare fango e discredito, facendo pensare che ci fosse della disistima dei magistrati nei confronti di Contrada ma finora, le varie lettere di encomio e le testimonianze degli uomini che hanno lavorato al fianco di Bruno Contrada e hanno conosciuto i giudici Falcone e Borsellino raccontano tutt’altro. Lo stesso Contrada, nel corso dell’intervista con Chiara Rai ha parlato in questi termini: “tra me i dottori Falcone e Borsellino intercorrevano buoni rapporti professionali che di solito intercorrono tra magistrato e poliziotto. Tra l’altro non c’è stato molto tempo per approfondire la conoscenza perché ho intrattenuto rapporti lavorativi con il dottor Falcone  il dottor Borsellino soltanto dall’’80 all’’82. Tra l’altro ci sono anche dei risultati lavorativi raggiunti insieme – ha proseguito Contrada – basti pensare alla prima grossa inchiesta svolta dal dottore Falcone sulla mafia siculo – americana, mi riferisco al rapporto Spatola Rosario, nome emerso anche nel falso sequestro di Michele Sindona.

Rosario Spatola fu protagonista della prima grande inchiesta del giudice Giovanni Falcone su mafia e droga. Esponente di una delle più influenti cosche italo-americane e imparentato con la famiglia Gambino di New York. La sua carriera imprenditoriale, cominciata come venditore ambulante di latte e proseguita come capomastro, aveva avuto una progressione folgorante grazie al riciclaggio dei capitali provenienti dalla droga. Ripercorrendo i canali finanziari del traffico, Falcone aveva messo sotto accusa 75 esponenti della cosca Spatola- Gambino-Inzerillo. Il processo si era concluso con la condanna di Spatola a 10 anni di reclusione. Tutte le indagini che hanno portato a questa condanna sono state svolte da me – aggiunge Bruno Contrada – con l’apporto della squadra mobile e Falcone seguì tutto il caso con grande competenza e dedizione fino ad arrivare al successo dell’operazione che fu un duro colpo per la mafia”. Insomma questo a significare i buoni rapporti che intercorrevano fra il poliziotto Contrada e il magistrato Falcone.

 

Anche per il giudice Borsellino contrada ha espresso parole di massima stima: “Il dottore Borsellino aveva una umanità e un modo di fare che mi hanno colpito e lo ricordo con rimpianto. Non ci siamo frequentati mai al di fuori dei rapporti professionali ma il mio rispetto nei suoi riguardi è stato sempre massimo e posso assicurare che non ho mai percepito diffidenza da parte sua nei miei riguardi. Non riesco a capire per quale motivo il fratello del dottore Borsellino che è a Milano ha avuto qualcosa di contrario da dire nei miei riguardi ma francamente io non sapevo neppure che Borsellino avesse un fratello perché come già detto, non ho avuto il tempo di instaurare rapporti che andassero oltre alla conoscenza in ambito lavorativo. Invece con il dottor Boris Giuliano, con il quale ho lavorato insieme per 16 anni c’era un rapporto fraterno tanto che Boris mi diceva: “Io non ho tre fratelli ma quattro e il quarto sei tu Bruno!”.

 

Il Dottor Roberto Scotto dirigente generale della Polizia di Stato ha avuto modo di commentare questa parte di intervista a Contrada durante la trasmissione web tv Officina Stampa.

Scotto non ha decisamente digerito le parole che Ayala ha indirettamente speso nei riguardi di Contrada quando ha ricordato un presunto episodio nel quale Falcone gli avrebbe detto al telefono “accura a Contrada”. Ayala ha ricordato questo episodio nell’ambito di una intervista a Chiara Rai, aggiungendo che “accura a Contrada”  detto da Giovanni Falcone “il suo peso ce l’ha”. Per Scotto è una parola che può dire tutto come nulla: “Stai attento detto tra due magistrati può significare tutto e niente ed io ritengo che non significhi niente. Poi, da quale pulpito, visto che anche Ayala è stato oggetto di accuse da parte del pentito Mutolo, accuse poi ritenute infondate ma che comunque avevano la stessa consistenza di quelle lanciate nei confronti di Contrada”.

“Diciamo che – ha proseguito Scotto – a fronte delle dichiarazioni di 15 pentiti ci sono 150 testimonianze di istituzioni dello stato, tra funzionari di polizia, prefetti ecc…, che hanno raccontato la verità, e cioè quanto era valido l’uomo Contrada, un servitore dello Stato. Ma dato che vige il principio del libero convincimento, la scelta dei Tribunali che lo hanno condannato è stata quella di dare credito alle dichiarazioni dei pentiti e non ai 150 appartenenti allo Stato”.

Scotto ha poi puntato l’accento sulla figura del cosidetto collaboratore di giustizia: “Il prototipo di pentito merita senz’altro di essere analizzato. Si tratta di un uomo tra i 40 e i 50 anni di età con alle spalle anche 10 omicidi, che è stato condannato e rischia l’ergastolo al 41 bis. Ebbene se a quest’uomo gli si dice “tu domani sei libero, domani puoi avere dei figli, ti aiutiamo a farti una vita”, lui che fa? Accusa anche suo padre. Ebbene nel caso di Contrada evidentemente i pentititi hanno capito in che direzione si indirizzava l’interesse dell’accusa e si sono mossi di conseguenza ma non ci sono prove a sostegno delle dichiarazioni di questi ex mafiosi ed è scandaloso che poi si sono dovuti attendere 25 anni per concludere che Contrada non favori il concorso esterno in associazione mafiosa”.

 

“A un passo dalla cattura di Provenzano quando fummo fermati”

“Io conosco Contrada dal 1975 – racconta Scotto –  quando insegnava alla scuola superiore di polizia dove erano ammessi i vincitori di concorso, non sono mai stato un suo diretto collaboratore, anzi mi correggo, in un caso abbiamo collaborato, Mi riferisco ad un episodio: era il 1992 quando il dottore Contrada prospettò all’allora capo della polizia Prefetto Vincenzo Parisi l’opportunità di creare un gruppo di lavoro dedicato esclusivamente alla cattura del boss Bernardo Provenzano. Parisi accettò e io fui nominato responsabile del gruppo formato da uomini della squadra mobile di Palermo, della Criminalpol e cosa non comune anche dei servizi segreti. All’epoca si riteneva che intercettando e pedinando il nipote di Bernardo Provenzano tale Carmelo Gariffo si potesse arrivare al boss.

L’attrezzatura tecnica se l’era procurata Bruno Contrada, consisteva in una valigetta che consentiva di intercettare le conversazioni mentre si era nella stessa cellula.

Queste indagini furono accelerate da un episodio straordinario perché all’epoca, al comune di Corleone, si presentarono la moglie e i due figli di Bernardo Provenzano che chiesero all’ufficio anagrafe di scriverli e considerarli quindi cittadini a tutti gli effetti. Riuscimmo così – prosegue Scotto – ad acquisire fotografie di primo piano della moglie e i figli e organizzammo anche una perquisizione nel corso della quale fummo scortesi e scatenammo volutamente una reazione al fine di acquisire le voci dei figli di Provenzano. Portammo le voci acquisite al vaglio da un professore di filologia linguistica che ci disse il posto preciso dove questi ragazzi erano cresciuti. Addirittura ben 54 ragazzi che appartenevano a un coro riconobbero il figlio piccolo di Provenzano che andava a lezione con una mountain bike. È vero che non si può dire di aver catturato il latitante se non gli hai messo le manette ma avevamo individuato l’esatto chilometro quadrato, il quartiere dove risiedevano, addirittura il parrucchiere di zona aveva riconosciuto la moglie di Provenzano come una abituale sua cliente. Insomma eravamo a un passo dalla cattura ma in quel momento storico fui chiamato dal Prefetto Luigi Rossi che mi comunicò che dovevamo sospendere l’indagine: io dovetti occuparmi di un omicidio di un dentista di Vibo Valentia e il gruppo di lavoro fu smantellato.

 

Ho un’opinione sullo smantellamento: ho la sensazione che non si poteva arrestare Contrada se Contrada la settimana prima avesse arrestato Provenzano. Ma ripeto questa è solo una mia sensazione non un dato di fatto e su Bruno Contrada posso concludere soltanto dicendo che è un uomo buono, intelligente e un servitore dello Stato”

Officina Stampa – Caso Contrada 1 puntata

 Officina Stampa – Caso Contrada 2 puntata

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Castelli Romani

Frascati: eletti i presidenti delle Commissioni Affari Istituzionali e Bilancio

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

Eletti ieri i presidenti della Commissione Affari Istituzionali e della Commissione Bilancio, Patrimonio e Partecipate del Comune di Frascati, rispettivamente Maria, detta Emanuela, Bruni e Roberto Mastrosanti.

Una nuova elezione che segue le dimissioni, sembrerebbe senza alcuna motivazione, di Anna delle Chiaie e Marco Lonzi.

La Commissione Affari Istituzionali, da Statuto del Consiglio Comunale, spetta di diritto alle opposizioni che siedono a Palazzo Marconi che oggi erano rappresentate dalla stessa Emanuela Bruni, Roberto Mastrosanti, Anna delle Chiaie e Matteo Angelantoni con la sola assenza di Marco Lonzi.

Maria, detta Emanuela, Bruni

All’unanimità dei presenti viene eletta la dottoressa Bruni, già candidata sindaco nel 2021 del centro destra Frascatano: un curriculum vitae che spazia dalla carriera giornalista, a ruoli istituzionali – la prima donna a presiedere il cerimoniale di Palazzo Chigi – ed, attualmente, consigliere del CdA del MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo.

Roberto Mastrosanti

Per la Commissione Bilancio, Patrimonio e Partecipate viene eletto, sempre all’unanimità dei presenti compresi i capogruppo dei partiti di maggioranza di Palazzo Marconi, l’avvocato Roberto Mastrosanti, già sindaco della città: una regola non scritta, ma sempre rispettata dall’assise tuscolana, attribuisce sempre alle opposizioni tale presidenza in virtù del fatto che trattasi, pur sempre, di una commissione di controllo.
Si ricuce così il rischio di un blocco dell’attività politica del Consiglio Comunale.
A caldo il commento del commissario cittadino di Forza Italia, nonché membro della segreteria provinciale, il dottor Mario Gori: “Eletti due consiglieri comunali con grande esperienza Amministrativa ed Istituzionale, oltre che stimati professionisti, che, sicuramente, eserciteranno le loro funzioni nell’interesse della collettività”. Si aggiunge poi, nella serata, dalle pagine Facebook, il commento della Lega Frascati che oltre ad augurare un “buon lavoro” ai neoeletti scrive: “su queste commissioni parta un percorso di costruzione di una alternativa politico-amministrativa all’attuale giunta a guida PD”.

Ai neo presidenti auguriamo un buon lavoro.

Continua a leggere

Ambiente

ANBI, trasparenza e sicurezza lavoratori: Consorzi di Bonifica bresciani primi firmatari protocollo con Prefettura

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 2 minuti

image_pdfimage_print

Massimo Gargano: “E’ il nostro, fattivo contributo a far sì che il 1 Maggio non sia mera celebrazione della Festa dei Lavoratori, ma impegno quotidiano”
 
“E’ un impegno concreto non solo per la trasparenza nell’utilizzo di risorse pubbliche, ma anche per il controllo sull’osservanza rigorosa delle disposizioni in materia di collocamento, igiene, sicurezza sul lavoro, tutela dei lavoratori sia contrattualmente che sindacalmente: temi di drammatica attualità e su cui ribadiamo la nostra, massima attenzione in tutta Italia.”
 
Ad affermarlo è Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), annunciando la  firma del Protocollo di Legalità per la Prevenzione dei Tentativi di Infiltrazione della Criminalità Organizzata negli Appalti Pubblici tra il Prefetto di Brescia, Maria Rosaria Laganà ed i Presidenti dei locali Consorzi di bonifica, Luigi Lecchi (Cdb Chiese) e Renato Facchinetti (Cdb Oglio Mella).
 
I due enti consortili sono impegnati nella realizzazione di importanti opere per la gestione dell’acqua, grazie alle risorse pubbliche, stanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.), nonchè da fondi nazionali e regionali; da qui l’esigenza di salvaguardare la realizzazione delle opere da possibili tentativi di infiltrazione da parte di gruppi legati alla criminalità organizzata, in grado di condizionare le attività economiche.
 
Come strumento efficace, per conseguire gli obbiettivi di tutelare la trasparenza nelle procedure concorsuali di appalto, è stato esteso l’obbligo di acquisire le informazioni antimafia prima della sottoscrizione dei contratti, che vedranno l’inserimento di precise clausole nel merito.
 
“Mai come ora devono essere rafforzati gli strumenti di prevenzione antimafia ed anticorruzione salvaguardando, al contempo, l’esigenza di assicurare certezza e celerità nell’esecuzione dei lavori pubblici” dichiara il Prefetto, Laganà.
 
La sottoscrizione del Protocollo di Legalità nasce su iniziativa dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) e vede i Consorzi di bonifica bresciani tra i primi firmatari.
 
“L’atto sottoscritto a Brescia conferma l’impegno dei Consorzi di bonifica ed irrigazione per la trasparenza e la prevenzione dei tentativi d’infiltrazione della criminalità organizzata: ora sono ampliate le informazioni antimafia nei bandi di gara e viene rafforzata la vigilanza sulla sicurezza dei lavoratori. E’ il nostro, fattivo contributo a far sì che il 1 Maggio non sia mera celebrazione della Festa dei Lavoratori, ma impegno quotidiano” dichiara Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI.
 
Con il Prefetto, i Presidenti dei Consorzi di bonifica “Chiese” ed “Oglio Mella” hanno condiviso anche la necessità di proseguire gli investimenti dedicati alle infrastrutture idriche, indispensabili all’intera provincia sia per l’irrigazione, sia per la salvaguardia di un territorio idrogeologicamente fragile.
 
Privo di virus.www.avast.com



Continua a leggere

Politica

Pescara, convention FdI: Meloni annuncia candidatura alle europee

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 3 minuti
image_pdfimage_print

Il colpo di teatro arriva solo alla fine: perché la candidatura in tutte le circoscrizioni era oramai più che scontata ma lei chiede anche di scrivere sulla scheda “solo Giorgia, il mio nome di battesimo” perché “io sarò sempre e solo una di voi, una del popolo”.

Lo dice Giorgia Meloni dopo quasi un’ora di comizio, tra una battuta e l’altra pure sulle sue condizioni, “sull’ottovolante” per gli otoliti.


Lanciando non solo la campagna elettorale di Fratelli d’Italia per le europee ma anche la sfida a pesare il suo consenso personale, dopo un anno e mezzo alla guida del governo.
La premier dal palco vista mare di Pescara chiama il suo popolo al plebiscito su di sé (‘Giorgia Meloni detta Giorgia” sarà la dicitura sulla lista che consentirà di indicare come preferenza solo il nome) mentre in platea la ascoltano “l’alleato fedele” Antonio Tajani, Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi.

Matteo Salvini, come annunciato all’ultimo, non c’è e fa solo una comparsata, collegato per strada, da Milano. “Ci ha preferito il ponte”, dice lei a metà tra lo scherzo e la punzecchiatura. Per poi infilarsi in 73 minuti di discorso in cui ripercorre la storia di Fratelli d’Italia, ricordando che alle scorse europee “mancammo di pochissimo il quorum del 4%” mentre ora il partito punta almeno a confermare quel 26% conquistato il 22 settembre scorso, che ha portato la destra al governo. Ora, è l’Europa a essere “a un bivio” e tutti “devono essere pronti a fare la loro parte” sprona parlamentari e militanti la premier, che è anche presidente di Fdi e di Ecr, quei conservatori europei che, è convinta, saranno “strategici e fondamentali” nella prossima legislatura Ue. L’impresa, “difficile ma non impossibile”, per Meloni, è quella di replicare a Bruxelles “il modello italiano” di una “maggioranza che metta insieme le forze del centrodestra” per “mandare all’opposizione la sinistra anche in Ue”.


“Mai con la sinistra” è il mantra, che serve a spazzare via, almeno per ora, le ipotesi di cedimenti dopo il voto, quando ci sarà da sedersi al tavolo delle trattative per i nuovi vertici europei. Anche perché – è il concetto che ripete da inizio anno la Meloni – un conto sono gli accordi per la Commissione, altro è una maggioranza stabile al Parlamento europeo.


Intanto, archiviata la conferenza programmatica (quello che ironicamente anche nel ‘fantacongresso’ che circola tra i Fratelli d’Italia viene definito il ‘Giorgia beach party”, che dava parecchi punti in classifica a chi lo pronunciava) ora “c’è la campagna elettorale”. E i dirigenti del partito già hanno iniziato a organizzare i prossimi appuntamenti. Non essendo “la leader del Pd so che il partito mi aiuterà”, ha detto Meloni lanciando una delle tante stilettate a Elly Schlein, cui tuttavia dà il ruolo di avversaria. E se “Giorgia”, come ha detto lei stessa dal palco, in giro andrà poco perché vuole restare concentrata sull’attività di governo, toccherà alla sorella, Arianna Meloni, uscire di più dalle retrovie di qui al voto dell’8 e 9 giugno (un appuntamento per la responsabile della segreteria e delle tessere sarà quasi sicuramente al Sud, in Salento).


Per il resto la premier sfodera il classico armamentario da comizio, attacca Schlein chiamandola direttamente per nome ma anche il Movimento 5 Stelle quando parla del Superbonus come della “più grande patrimoniale al contrario” fatta in Italia. E poi la natalità che deve diventare centrale, la difesa delle origini “guidaico-cristiane” dell’Europa, il cambio di passo già impresso a Bruxelles sulle politiche green, sull’auto, sui migranti. E l’ennesima difesa di Edi Rama (e un attacco a Report) “linciato da quella che poi chiamano Telemeloni, solo perché ha aiutato l’Italia”.

Alla fine il saluto con Ignazio La Russa (che si è perso l’Inter per sentire la premier ma ha la partita “registrata” e poi corre a vedersi il secondo tempo) e niente pranzo sul lungomare, dove pure la aspettavano. Non sta bene, sempre gli otoliti, dicono i suoi. “Se mi vedete sbandare – scherza lei dal palco – non vi preoccupate, cerco di stare ferma e ce la faccio”. Prima della frase più attesa: “Ho deciso di scendere in campo per guidare le liste di Fdi in tutte le circoscrizioni elettorali, se sopravvivo….”. 

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti