Connect with us

Cronaca

Bruno Contrada: quelle strane coincidenze del 1992

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 8 minuti In quello scorcio del 1992 Bruno Contrada aveva un’indicazione importante per catturare uno dei due latitanti più pericolosi di Cosa nostra: Bernardo Provenzano. Una fonte gli aveva passato i numeri di cellulare di alcune persone vicine al boss.

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 8 minuti
image_pdfimage_print

Un’altra puntata sul caso del neo reintegrato “sbirro” Bruno Contrada il quale è stato intervistato dalla giornalista Chiara Rai a Palermo. Una video intervista commentata negli studi della trasmissione giornalistica Officina Stampa arrivata ormai alla seconda stagione e che finora ha avuto tutti ospiti di rilievo che hanno trattato temi di respiro nazionale. La serie “Fango sulla divisa” che è cominciata con il caso Bruno Contrada è entrata nel vivo. In studio, lo scorso giovedì 19 ottobre, è stata ospite l’Onorevole Stefania Craxi che ha commentato un anno difficile che coincide proprio con l’anno dell’arresto di Contrada: il 1992.


Il paradosso delle sentenze e “i confidenti” Bruno Contrada, ha risposto a diverse domande della giornalista: “Mi chiede come si operava? Con i confidenti. E dove si vanno a trovare i confidenti? Nei conventi delle Orsoline?  O delle Clarisse o dei Francescani? Nll’ambiente della criminalità. E chi è che deve scovarli? Chi deve procurarseli? Gli sbirri, i poliziotti”.

Poi si è puntata l’attenzione sulla figura del boss di Mondello Rosario Riccobono: ”Riccobono con la sua cosca – ha proseguito Bruno Contrada –  era stato responsabile dell’omicidio dell’agente Gaetano Cappiello ed è stato uno dei criminali che più ho perseguito. Ammetto di essere uscito un po’ fuori dalla deontologia professionale perché lo considerai un nemico personale ma ero particolarmente legato a quel ragazzo napoletano, come me, di soli 22 anni che lavorava con noi alla Squadra Mobile di Palermo. Giurai, quando Gaetano Cappiello morì tra le mie braccia che avrei fatto di tutto per capire chi lo aveva ucciso. Dopo indagini e lavoro serrato riuscì a portare Rosario Riccobono e Gaspare Mutolo davanti alla Corte d’Assise che non solo li assolse per l’omicidio di Cappiello ma anche dall’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso dicendo che non c’erano prove che quei due criminali appartenessero alla mafia. Quel che è ancora più assurdo è che quella sentenza fu scritta da un giudice e dal presidente della V sezione penale  del Tribunale di Palermo che mi condannò dicendo che ero amico di Rosario Riccobono. Adesso, se è vero che è fisiologico che il magistrato assolva e il poliziotto arresti, è nel sistema e accade spesso, non è fisiologico però che un magistrato assolve per insufficienza di prove due criminali rimettendoli in libertà e poi condanna il poliziotto che li ha portati davanti a lui chiedendogli di farli condannare”.

 

Lo sbirro Contrada e i boss della mafia Poi Bruno Contrada ha rimarcato il fatto che se Rosario Riccobono fosse stato un suo confidente lo avrebbe detto perché quando si tenne il processo il boss era già morto nell’’82: “Riccobono non è stato mai un mio confidente perché ero contrario ad avere come confidenti gli esponenti di spicco, cercavo quelli con un piede dentro e uno fuori ma non i capi della mafia”.

 

Le dichiarazioni di Buscetta sulla Polizia di Stato di Palermo Bruno Contrada ha anche detto che quando Tommaso Buscetta fu interrogato da Giovanni Falcone il quale gli chiese informazioni sugli organi di polizia di Palermo, il pentito rispose: “A me risulta che gli organi di polizia a Palermo hanno fatto sempre il loro dovere”.

Bruno Contrada ricorda ancora: “Buscetta lo prelevai a Roma insieme a Ninni Russo e lo portammo a Palermo passando la nottata intera in treno a parlare con Buscetta e quando questo raccontava di come era stato trattato in Brasile dalla polizia politica “securitad social” e che era stato costretto a chinarsi in terra per mangiare io intervenni in maniera istintiva e sbagliai a parlare dicendo che  gli stessi sistemi dovevamo adottarli noi poliziotti a Palermo con voi mafiosi e d’allora lui non mi rivolse più la parola”.

Tra gli accusatori di Contrada c’è Gaspare Mutolo: “Io ho perseguito Mutolo e l’ho fatto condannare a 9 anni di carcere. Mutolo non aveva accusato solo Contrada ma anche il Pm Domenico Signorino che si sparò perché non resse l’accusa e i tre giudici che lo avevano condannato. Mutolo è stato a mio parere il più bugiardo tra tutti i pentiti”.

Stefania Craxi ha definito Bruno contrada: “Il più grande sbirro italiano che ha arrestato decine di mafiosi quando arrestare significava passare giornate intere a fare indagini senza mezzi, ne la tecnologia di oggi. Per lui – ricorda Stefania Craxi – hanno testimoniato centinaia di funzionari dello Stato e invece si è voluto ‘usare’ dei pentiti, gente che si è macchiata di delitti efferati perché era un momento in cui gli apparati dello Stato seguivano gli ordini e Bruno Contrada che è un uomo dello Stato agli ordini di qualcosa contrario alla nostra Repubblica non sarebbe mai stato capace di farlo”.

 

Stefania Craxi: “Nessun riconoscimento per mio padre ancora a Milano” Poi, inevitabilmente si è parlato di Bettino Craxi tra i più grandi rappresentanti della Prima Repubblica. A lui sono state dedicate tante vie e piazze in italia: “Certamente questi riconoscimenti che non sono una questione toponomastica ma una questione politica fanno molto piacere – dice stefania Craxi – ma ho il rammarico che proprio da Milano che è la sua città, la città del socialismo riformista, questi riconoscimenti non sono potuti ancora avvenire. E aggiungo anche che incredibilmente sono state le giunte di centrodestra di tanti Comuni italiani a dare riconoscimenti a mio padre, dico incredibilmente perché Craxi appartiene alla storia della sinistra socialista”.

 

Gli effetti della crisi di Sigonella raccontati da Stefania Craxi Nel parlare di Bettino Craxi, gli ospiti di Officina Stampa, hanno citato la crisi di Sigonella quando l’allora presidente del Consiglio piegò le decisioni di Ronald Regan: “Mi dà agio di ricordare – aggiunge Stefania Craxi – che il dvd della notte di Sigonella è in edicola con Panorama. Una ricostruzione fedele di ciò che è successo. Vorrei però dire che il “decisionista” Craxi in realtà era un riflessivo che prima di prendere una decisione rifletteva a lungo ma detto questo in quei cinque giorni, tanto durò il rapimento della nave Achille Lauro fino alla liberazione degli ostaggi e alla ripartenza dell’aereo Egiziano, Craxi ebbe poco tempo per decidere, poche informazioni sommarie e decise quindi da solo ma in base a delle sue convinzioni profonde, innanzi tutto che l’Italia era una Nazione e non un paesello e che doveva essere rispettata anche dai nostri maggiori alleati e poi che non dovesse passare il principio che a governare lo scenario internazionale dovesse essere “la legge del più forte” e non i principi del diritto internazionale. L’altra grande convinzione è che l’uomo viene prima di qualsiasi altra cosa e quindi il suo primo tentativo fu di usare le armi della diplomazia per salvare gli oltre 500 ostaggi nella nave e poi c’era sotto tutto questo una grande visione mediterranea l’idea che l’Italia dovesse avere nel Mediterraneo un ruolo di leadership e quindi un suo ruolo importante sullo scenario internazionale”

 

Bettino Craxi e la caduta della Prima Repubblica Parlando di distruzione del sistema politico italiano, del fatidico 1992, Stefania Craxi dice suo padre riteneva che certamente ambienti nazionali e internazionali dell’epoca che hanno approfittato della temperie politica per comprare le aziende di Stato a prezzi d’incanto non avrebbero voluto una classe dirigente che si fosse opposta alla svendita del patrimonio italiano: “Ebbene Craxi – continua sua figlia – aveva dato l’impressione di un personaggio che non si sarebbe mai piegato se non agli interessi del suo paese”.

Uno spirito di servizio che indubbiamente Stefania Craxi riconosce anche a Bruno Contrada: “Bruno non soffriva il carcere perché era un uomo abituato a vivere per strada. Lui subiva l’umiliazione e quindi la restituzione della divisa (ndR. il riferimento è alla revoca di destituzione effettuata nei giorni scorsi dal Capo della Polizia Gabrielli) è una sconfitta per questa malagiustizia ma anche un atto di riconoscimento per un uomo che ha speso la vita per servire il suo Paese”.

Chi dovrebbe avere il coraggio di scusarsi adesso? Non ci sarà nessuno che scriverà una lettera a Bruno Contrada? Ci si chiede in studio ad Officina Stampa: “Io credo – dice Stefania Craxi – che ci sono dei responsabili di questo atto di sciacallaggio, che hanno perpetrato questa infamia e che per dovere morale potrebbero anche chiedere scusa”

 

I nemici di Bruno Contrada e il 1992 Il riferimento fa pensare immediatamente e spontaneamente sempre al 1992 quando sono iniziati tutti problemi di Bruno Contrada che ricevette l’incarico dal direttore del Sisde di riorganizzare il servizio segreto civile per contrastare il pericolo dell’eversione mafiosa. A qualcuno probabilmente quell’incarico assegnato a Bruno Contrada non faceva piacere, nonostante il Governo avesse dato indicazioni precise in tal senso. I fatti e le testimonianze di Contrada dicono chiaramente che la Direzione Investigativa Antimafia non gradiva assolutamente. All’epoca, era diretta dal generale dei Carabinieri Giuseppe Tavormina, il suo vice operativo era Gianni De Gennaro, che aveva un grado inferiore a quello di Bruno Contrada. Insomma i due si muovevamo su strade parallele.

 

Il mancato arresto di Bernardo Provenzano, lo smantellamento del pool e le manette per Bruno Contrada In quello scorcio del 1992, Bruno Contrada aveva un’indicazione importante per catturare uno dei due latitanti più pericolosi di Cosa nostra: Bernardo Provenzano. Una fonte gli aveva passato i numeri di cellulare di alcune persone vicine al boss. D’intesa con l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi era stato creato un gruppo di lavoro misto, con elementi della Criminalpol e dei Servizi. Ma all’improvviso quel gruppo venne smantellato nonostante le ottime possibilità di arrivare all’obiettivo. E qualche settimana dopo Bruno Contrada fu arrestato. E lo “sbirro” non nasconde nulla: “Ho avuto anche dei nemici oltre a moltissimi estimatori – dice a Chiara Rai –  persone che per emergere avevano bisogno di abbassare il valore degli altri e questo l’ho avuto anche io nella mia amministrazione ma ho avuto anche 140 uomini delle istituzioni che sono venuti a deporre a favore della verità e della giustizia non di Bruno Contrada intendiamoci!

 

E proprio Contrada nella seconda parte dell’intervista dice chiaramente: “La mia storia bisogna contestualizzarla con l’anno 1992 un periodo in cui era in atto un processo politico di sovvertimento dei valori politici che avevano retto l’Italia dal dopoguerra in poi per circa 50 anni. C’era la volontà politica di distruggere il partito egemone rappresentato dalla Democrazia Cristiana con uomini di valore, statisti, anche il Partito Socialista che ha avuto sempre una grande importanza nella vita politica italiana e i vari partiti satelliti Repubblicano, Socialdemocratico, ecc, insomma statisti che dalle macerie della guerra nel ‘45, portarono l’Italia a rappresentare una delle massime potenze industriali del mondo. Così oltre a colpire quel mondo politico per distruggerlo e farlo crollare definitivamente dovevano essere colpiti anche quegli uomini di apparato che venivano considerati in quel contesto, tanto per citarne uno il Magistrato Corrado Carnevale”.

 

Il caso del Magistrato Corrado Carnevale Carnevale fu accusato di aver favorito, durante la presidenza della prima sezione penale della Cassazione, alcuni imputati eccellenti in processi di Mafia, annullando talvolta le condanne per vizi di forma (solitamente vizi procedurali, inosservanza delle norme di legge o difetto di motivazione ). Fu però definitivamente assolto nel processo per concorso esterno in associazione di tipo mafioso (in seguito ad accuse sempre del solito Gaspare Mutolo che lo coinvolse nel processo a Giulio Andreotti), in quanto il fatto non sussisteva; vista la richiesta volontaria di trasferimento a una sezione civile da parte di Carnevale, fu bloccato anche il procedimento di inchiesta a cui era sottoposto. ll 29 giugno 2001, dopo l’assoluzione in primo grado dell’8 giugno 2000 perché “il fatto non sussiste”, Corrado Carnevale fu condannato dalla Corte d’appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa a 6 anni di carcere, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale lungo l’arco della pena (Carnevale era in corsa per ottenere la carica di primo presidente della Corte). Poche voci si levarono in sua difesa, tra esse quella del leader radicale Marco Pannella che definì la sentenza “un’esecuzione, una condanna ignobile, un momento di trionfo del neofascismo etico di sinistra”. La sentenza finale in Cassazione del 30 ottobre 2002, davanti alle sezioni penali riunite, lo assolse invece con formula piena, tramite annullamento senza rinvio che ribaltò la sentenza della Corte d’appello e ripristinò la sentenza di primo grado, constatando prove insufficienti (articolo 530) a sostenere tali accuse, non essendo dimostrabile che Corrado Carnevale volesse aiutare la mafia (rilevando che gli annullamenti erano stati effettuati anche in processi che non riguardavano la mafia).

 

L’omicidio Cappiello Il proprietario di un noto laboratorio fotografico era stato più volte oggetto di minacce ed estorsione da parte di banditi che chiedevano soldi in cambio di protezione. Il commerciante si rivolge alla Polizia, che organizza un servizio per catturare gli estortori. Dopo numerosi appostamenti, andati a vuoto per la particolare cautela adoperata dai banditi, l’ultimo appuntamento, quello decisivo è previsto per le ore 21,30 del giorno 2 Luglio, davanti alla Chiesa della Resurrezione nel quartiere “Villaggio Ruffini”. La zona è circondata da agenti e sottufficiali in borghese, mentre un furgoncino civetta è posteggiato ad una ventina di metri dal luogo dell’appuntamento. L’agente Cappiello si trova nella macchina dell’imprenditore per proteggerlo durante la consegna del denaro e poi lasciare intervenire i colleghi. Alle ore 21,15 i banditi telefonano a Randazzo dicendogli di attendere il loro arrivo in macchina. Quando si avvicinano, Cappiello esce improvvisamente dalla vettura, dichiarandoli in arresto, ma viene raggiunto da cinque colpi al petto. Morirà poco dopo all’ospedale di Villa Sofia, tra le braccia del suo capo della mobile, Bruno Contrada. Cappiello lasciò la Moglie e un figlio in tenera età

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Cronaca

Andria, blitz nei negozi e ristoranti: boom di “lavoratori in nero”

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Numerosi i controlli effettuati dai militari dell’Arma a diversi esercizi commerciali bar e ristoranti nel centro di Andria dove sono state rilevate sanzioni amministrative e ammende per un totale di circa 20.000 euro.
Nei giorni scorsi i Carabinieri della Compagnia di Andria, coadiuvati da personale del Nucleo
Ispettorato del Lavoro eseguivano delle attività ispettive in alcuni ristoranti del comune di
Andria dove venivano riscontrate diverse violazioni del Testo Unico Sicurezza sul Lavoro,
entrato in vigore nel 2008, che costituisce indubbiamente il principale riferimento legislativo sul tema della sicurezza dei lavoratori.
Gli articoli contestati sono diversi e riguardano principalmente l’omessa sorveglianza sanitaria e la formazione dei lavoratori nonché la presenza di alcuni lavoratori senza relativo contratto, i cosiddetti “lavoratori in nero”, privi della tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie
professionali.
Sono state elevate sanzioni amministrative e ammende pari a circa 20.000 euro e nel contesto
ispettivo veniva applicato anche il provvedimento della sospensione dell’attività imprenditoriale a seguito degli accertamenti dei lavoratori irregolari e gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro.
Continueranno nei prossimi giorni i controlli da parte dei militari in tutta la Provincia BAT al
fine di ridurre, soprattutto con l’inizio della stagione estiva, il fenomeno del lavoro a nero.

Continua a leggere

Cronaca

Roma, blitz all’alba di Carabinieri e Polizia: in manette 11 persone:

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 2 minuti

image_pdfimage_print

I reati contestati sono di rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, riciclaggio di denaro, spaccio di sostanze stupefacenti
 
 
Dalle prime luci dell’alba, nelle province Roma, Viterbo e Frosinone, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma e gli agenti della Polizia di Stato del I Distretto Trevi Campo Marzio stanno dando esecuzione a un’ordinanza, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma, che dispone misure cautelari nei confronti di 11 persone, gravemente indiziate, a vario titolo, dei reati di rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, riciclaggio di denaro, spaccio di sostanze stupefacenti.
 
L’attività di indagine, nata nell’ottobre 2022, trae origine dalle denunce di un soggetto, consumatore di sostanze stupefacenti, che aveva maturato con i propri spacciatori un debito che non era riuscito più a onorare, generando le violente reazioni di questi ultimi. In particolare, l’attività d’indagine, durata oltre un anno, ha consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di un gruppo criminale, operante nel quartiere romano di Cinecittà, di cui farebbero parte gli indagati e di documentare come questi ultimi fossero soliti operare delle violente ritorsioni nei riguardi degli acquirenti di droga morosi.
 
Sono stati raccolti elementi indiziari per cui in alcuni episodi le vittime venivano trasportate all’interno delle abitazioni di alcuni sodali ove venivano percosse e minacciate con una pistola puntata alla tempia al fine di obbligarle a effettuare i pagamenti, anche attraverso bonifici bancari. Talvolta, poiché si era esaurito il “plafond” giornaliero presso la banca, venivano sequestrati e malmenati tutta la notte, in attesa di poter effettuare altri bonifici il mattino seguente. Nei casi in cui non riuscivano a ottenere il denaro preteso, le minacce venivano estese anche ai familiari dei malcapitati.
 
L’analisi del flusso di denaro estorto (oltre 300.000 euro) ha permesso di identificare tutti i beneficiari dei bonifici bancari in soggetti ritenuti vicini al soggetto più autorevole del gruppo criminale, Daniele Salvatori e di documentare le attività finalizzate al reimpiego e al riciclaggio del denaro che dai vari conti correnti veniva, tramite ulteriori bonifici o attraverso il prelievo in contanti, trasferito ad altri beneficiari.
 
A Daniele Salvatori, classe 1977, già noto alle forze dell’ordine, il 12 giugno 2023, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma avevano già notificato un fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, per l’estorsione ai danni di un trentaseienne residente nella provincia di Frosinone e dei suoi familiari. A conferma della pericolosità e della spregiudicatezza del destinatario del provvedimento restrittivo, in data 03.10.2022, il Salvatori era stato arrestato in flagranza di reato dai Carabinieri della Sezione Radiomobile di Cassino (FR), poiché sorpreso nei pressi dell’abitazione delle vittime in possesso di un’arma clandestina.
 
Privo di virus.www.avast.com



Continua a leggere

Cronaca

Settimo Milanese, tenta di violentare due minorenni : in manette un 22enne

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

A Settimo Milanese, i Carabinieri della locale Stazione hanno arrestato, in esecuzione ad una ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal GIP del Tribunale di Milano, su richiesta della locale Procura della Repubblica, un ventiduenne di nazionalità ecuadoriana, ritenuto responsabile del reato di tentata violenza sessuale ai danni di due minori, una classe 2010 e l’altra 2012, entrambe residenti in quel centro.

La misura scaturisce dall’attività investigativa, avviata dalla Stazione di Settimo Milanese nel mese di gennaio del 2023, che ha consentito di ricostruire in maniera dettagliata due distinti episodi avvenuti rispettivamente il 30 gennaio 2023 ed il 19 febbraio 2024 e che hanno visto quali vittime le due ragazze.

Dalle indagini condotte si è accertato che la prima vittima, mentre stava passeggiando con il proprio cane, veniva pedinata dall’uomo che dopo averla raggiunta all’interno dello stabile condominiale in cui la stessa vive, la avvicinava in prossimità dell’ascensore ed improvvisamente iniziava a stringerla a sé con la forza. In tale circostanza solo la pronta reazione della ragazza che riusciva a divincolarsi dalla presa riusciva ad interrompere il proposito delittuoso dell’uomo.

Nel secondo caso gli accertamenti investigativi espletati hanno consentito di appurare che lo stesso soggetto, con un’azione criminale pressoché identica, aveva avvicinato un’altra ragazza minore all’uscita da scuola, pedinandola fino all’ingresso del condominio in cui la stessa abita e dopo essere salito con quest’ultima all’interno dell’ascensore, all’apertura delle porte l’uomo, con una mossa repentina, la afferrava per il maglione tentando di tirarla verso di sé. Anche in questo caso la pronta reazione della minore, che riusciva a guadagnare la fuga, aveva consentito di evitare ulteriori conseguenze.

L’arrestato è stato condotto presso la propria abitazione e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, come disposto dalla competente Autorità Giudiziaria.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti