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ALESSIA E LIVIA SCHEPP: DOVE SONO LE GEMELLINE? LA CORSICA RESTA UN MISTERO

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Tempo di lettura 4 minuti Una rivelazione della scorsa estate parlava della testimonianza di un avvocato sardo alla Procura di Cagliari, nella quale riferiva di informazioni giuntegli da un carcerato

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di Simonetta D'Onofrio

Dove sono finite le piccole gemelline svizzere Alessia e Livia Schepp? Rapite da Saint Sulpice, paese nelle vicinanze di Losanna dove vivevano con la madre il 30 gennaio 2011, dal padre Matthias, finora non sono mai state ritrovate. Sono ancora vive, o il padre le ha uccise prima di togliersi anche lui la vita nei pressi della stazione di Cerignola?

L’ipotesi più accreditata dagli inquirenti, al momento, porterebbe essere l’uccisione delle bambine da parte del padre subito dopo il sequestro, il quale poi ha effettuato un lungo viaggio (che è passato per Francia e Corsica), prima di giungere in Puglia dove ha deciso di mettere fine alla sua vita.

Ci sono comunque una serie di segnalazioni che ipotizzano conclusioni diverse della storia, e che alimentano la speranza di poter ritrovare un giorno le gemelline vive.

 C’è comunque la pista della Corsica che forse meriterebbe altri approfondimenti. Una rivelazione giunta nell’estate del 2013 ad un quotidiano sardo riportava la testimonianza di un avvocato sardo alla Procura di Cagliari, nella quale riferiva di informazioni giuntegli da un carcerato, il quale avrebbe saputo che Alessia e Livia vivevano in un campo Rom in Sardegna.

Il fatto che le ultime tracce delle gemelline portavano in Corsica, distante solo poche miglia dalla Sardegna, aveva reso credibile questo indizio.  A seguito della segnalazione sono state condotte ispezioni accurate nelle provincie di Nuoro e Oristano, ma di Livia e Alessia non si trovò alcuna traccia.

Non è follia pensare che le due bambine siano vive. Anche e soprattutto perché forse Schepp ha fatto credere alla moglie di averle uccise con il suo messaggio agghiacciante “riposano in pace” ma in realtà non ne ha avuto il coraggio e può averle affidate a dei nomadi, facendogli cambiare completamenti vita e identità. La Corsica resta un mistero.

Ma c’è anche altro. Altri scenari. Le ultime notizie che hanno una certa credibilità sono riconducibili a una lettera mandata alla redazione di “Chi l’ha visto” da un tipografo che afferma di aver stampato due passaporti falsi per le gemelline, probabilmente potrebbero essere a Ottawa, capitale del Canada, ma non sembra che nella città nordamericana ci siano elementi che possano avvalorare la tesi indicata nella missiva.

Nel mese di aprile scorso inoltre è tornata d’attualità una perquisizione che la Polizia fece un mese dopo la morte di Matthias in una villa dell’Irpinia. In seguito a una lettera inviata da un frate svizzero, che dichiarò “[…] Il 19 febbraio le bambine hanno lasciato la loro prigione di Arnaccio per Andretta. A sud di Andretta c'è un grande lago, la casa dove si trovano le bambine è a sud del lago e non troppo lontana dal lago. La casa è recente, si trova all'interno di una grande proprietà. Vi è un muro di cinta che circonda la proprietà. C'è una piscina piena d'acqua. La casa è di proprietà di una società italiana. I rapitori si sono rifugiati in questa casa. Non è possibile vedere dall'esterno se qualcuno passa”. Nel racconto del frate le bambine erano state portate da quattro criminali svizzeri, su un’auto scura immatricolata nel paese dei cantoni.

Il proprietario della villa ispezionata, che è residente in Svizzera e non era presente al momento della perquisizione, una volta avuto accesso agli atti, ha fatto notare alle telecamere come la sua proprietà non corrispondesse assolutamente con la descrizione del frate, per cui ci si chiede se non si fece un errore di individuazione e la villa indicata nella lettera potrebbe fornire ancora oggi, una volta individuata con certezza, nuove rivelazioni sul caso delle gemelline.

 

La storia

A seguito della separazione non accettata dalla moglie italiana, Irina Lucidi, originaria di Ascoli Piceno, il padre Matthias si gettò suicidandosi sotto un treno nella stazione della linea ferroviaria adriatica il 3 febbraio 2011, circa dopo un mese dalla sparizione delle sorelline elvetiche.

 

Il padre prima di compiere il tragico gesto aveva fatto recapitare alla ex-consorte un lettera che lasciava intendere la brutalità dell’uomo: “Le bambine riposano in pace, non hanno sofferto. Non le rivedrai mai più”.

Matthias Schepp è partito da Saint Suplice in direzione Marsiglia, da lì si è imbarcato per la Corsica. Certamente l’uomo ha acquistato tre biglietti, e una donna ha confermato di aver sentito la voce delle bambine sul traghetto (non le ha viste, per cui la voce avrebbe potuto essere stata registrata dal padre). Quando è tornato in Francia dall’isola l’uomo sembra essere stato solo, e ha proseguito il viaggio verso l’Italia.

 

L'appello di mamma Irina

Nella puntata del 23 febbraio 2011 Irina Lucidi, la madre delle gemelline Schepp, aveva lanciato un appello: "Purtroppo siamo arrivati ad un punto dove non possiamo escludere l’ipotesi più brutta che è quella che Matthias ha descritto nella lettera, ovvero che abbia ucciso Alessia e Livia e le abbia nascoste da qualche parte. Dunque bisogna ritrovarle, anche se è solo un’ipotesi da escludere perché una volta che abbiamo perlustrato per bene tutto il territorio da San Sulpice a Ginevra e che si è fatto il possibile e non si è trovato niente ovviamente la speranza che le abbia date a qualcuno è una strada che rimane da percorrere. Bisogna assicurarsi che si cerchi bene anche nel territorio svizzero. Quindi mi rivolgo alle associazioni di volontari di speleologia, a chi ha cani ben addestratati e ai volontari che in Svizzera, Germania, Francia e Italia ci volessero dare una mano a verificare il territorio; e mi rivolgo anche alle autorità svizzere spero che loro possano assumere un ruolo di coordinamento, anche solo per escludere questa evenienza.".

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Israele: imminente l’attacco sull’Iran

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Netanyahu: “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”

A poco meno di 48 ore dalla pioggia di droni e missili arrivati sul territorio dello Stato ebraico, il governo di Benyamin Netanyahu sembra aver fatto la sua scelta, mentre Teheran – che ha già messo in stato di massima allerta le sue difese aeree – ha ammonito che l’eventuale azione armata di Israele stavolta “avrà una risposta molto dura”.

Quattro funzionari statunitensi hanno dichiarato però alla Nbc News che un’eventuale risposta israeliana all’attacco iraniano sarà di portata limitata e riguarderà probabilmente attacchi contro armamenti militari iraniani e agli alleati al di fuori dell’Iran. Poiché l’attacco iraniano non ha provocato morti o distruzioni diffuse, secondo i funzionari americani, Israele potrebbe rispondere con una delle sue opzioni meno aggressive: una di queste potrebbe includere attacchi all’interno della Siria.

I funzionari non si aspettano che la risposta prenda di mira alti funzionari iraniani, ma che colpisca le spedizioni o le strutture di stoccaggio con parti di missili avanzati, armi o componenti che vengono inviati dall’Iran a Hezbollah. L’emittente specifica che la valutazione degli Stati Uniti si basa su conversazioni tra funzionari statunitensi e israeliani avvenute prima che l’Iran lanciasse più di 300 droni e missili contro Israele: mentre Israele si stava preparando per l’attacco iraniano la scorsa settimana, i funzionari israeliani hanno informato gli omologhi Usa sulle possibili opzioni di risposta.

L’operazione verso cui si sta dirigendo Israele si scontra inoltre con la forte opposizione Usa e di quella degli alleati che l’hanno affiancato nell’abbattere il 99% dei proiettili lanciati da Teheran. Joe Biden, che aveva frenato la reazione israeliana nelle prime ore, ha ribadito chiaramente che “occorre evitare un’escalation in Medio Oriente” ricevendo il primo ministro iracheno alla Casa Bianca. Mentre il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, dopo che erano filtrate indiscrezioni su un possibile coordinamento tra Gerusalemme e Washington, ha chiarito che “il governo israeliano deciderà da solo se ci sarà e quale sarà la risposta” all’affronto iraniano.

“Gli Stati Uniti non sono coinvolti”, ha sottolineato Kirby, definendo poi “uno spettacolare fallimento” l’offensiva di sabato di Teheran, quasi a blandire l’alleato israeliano, smentendo peraltro che Teheran “avesse fornito agli Usa tempi e target” dei raid. “Non c’è altra scelta se non quella di rispondere all’attacco di Teheran”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al capo del Pentagono Austin. E anche il comandante dell’Idf, Herzi Halevi, ha confermato che “la risposta ci sarà”. “Il lancio di così tanti droni e missili sul nostro territorio avrà la sua risposta”, ha avvertito.

Se la reazione armata appare a questo punto scontata, cruciale sarà capire come reagirà Teheran. Il gabinetto di guerra – che al dossier Iran ha già dedicato due riunioni e un’altra è in programma martedì – sta studiando “diverse opzioni”. Ognuna delle quali, è stato spiegato, rappresenta “una risposta dolorosa” per gli iraniani, senza tuttavia rischiare di scatenare “una guerra regionale”. Nel ristretto gruppo di ministri – da Netanyahu a Gallant a Benny Gantz – che deve prendere la decisione, l’obiettivo è quello di scegliere un’opzione che “non sia bloccata dagli Usa” e che rientri in una strada praticabile. Israele, fanno notare molti analisti anche in patria, non può ignorare del tutto le preoccupazioni degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali su un’escalation che avrebbe conseguenze devastanti per la regione e non solo.

Così i vari scenari vanno da un contrattacco diretto sul territorio iraniano a operazioni che colpiscano gli alleati del regime degli ayatollah nella regione fino ad azioni mirate sui capi delle Guardie rivoluzionarie. Nella prima ipotesi, la più pericolosa, nel mirino potrebbero finire addirittura i siti legati al nucleare iraniano il cui programma, secondo il premier britannico Rishi Sunak, “non è mai stato a uno stadio così avanzato”.

L’Iran da parte sua ha messo in guardia Israele. “L’attacco limitato di sabato sera – ha affermato il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian in un colloquio telefonico con l’omologo russo Serghei Lavrov – mirava ad avvertire, scoraggiare e punire il regime sionista. Ma se Israele intraprenderà una nuova azione contro l’Iran, dovrà affrontare una risposta molto più forte”. 

Netanyahu, Iran dovrà aspettare nervosamente nostra risposta

L’Iran dovrà aspettare “nervosamente senza sapere quando potrebbe arrivare l’attacco, proprio come ha fatto fare lo stesso a Israele”. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu ad una riunione dei ministri del Likud. Poi ha aggiunto – secondo la stesse fonti – “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”.

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Russia, Evgenya Kara-Murza: “Putin va fermato”

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“La Russia ha un unico ed enorme problema interno ed è il regime di Putin.

Tutto il resto proviene a cascata da questo” perciò “Putin va fermato. L’unica garanzia di pace e stabilità per il nostro continente è una Russia democratica”. A parlare, in un’intervista esclusiva al Festival Internazionale del Giornalismo 2024 anticipata all’ANSA, è Evgenya Kara-Murza, moglie di uno dei più noti politici d’opposizione in Russia, Vladimir Kara-Murza, dall’aprile 2022 in carcere dove sta scontando una condanna a 25 anni di reclusione con l’accusa di vilipendio alle forze armate e alto tradimento.“Mio marito è sopravvissuto a ben due agguati, nel 2015 e nel 2017, da parte del gruppo di spionaggio Fsb (i servizi segreti russi, ndr), una banda di criminali al servizio del governo russo, implicati anche nell’avvelenamento con il Novichok”, racconta la moglie dell’oppositore che ha dovuto rinunciare alla sua partecipazione in presenza al Festival di Perugia, in programma dal 17 al 21 aprile. Nella video intervista, che sarà trasmessa sabato 20 aprile, Kara-Murza racconta di non vedere il marito dal giorno del suo arresto nell’aprile 2022: “Mi è stato concesso di parlargli al telefono solo un paio di volte. L’ultima a dicembre per soli 15 minuti. Abbiamo tre figli e ho lasciato che parlassero con il padre per cinque minuti ciascuno. Non ho scambiato nemmeno una parola con lui perché non volevo togliere tempo prezioso ai suoi figli”. La donna è un fiume in piena e le accuse a Mosca sono dirette e circostanziate.

“Questa è un’autentica tortura psicologica che il regime utilizza nei confronti di chi rifiuta di rimanere in silenzio di fronte alle atrocità del governo russo e denuncia la guerra in Ucraina. Il regime di Putin ha rispolverato tutto l’intero arsenale della macchina repressiva sovietica, incluso l’uso di punizioni psichiatriche. Vuol dire che oppositori e dissidenti possono essere rinchiusi con la forza in cosiddetti ‘ospedali psichiatrici’ ed essere sottoposti a trattamenti psichiatrici contro la loro volontà”. Evgenya Kara-Murza non nasconde la sua preoccupazione per la salute del marito che ha perso 25 kg da quando è in carcere. Dallo scorso settembre è rinchiuso in una cella di isolamento nota con le sue iniziali russe come EPKT. La cella di sei metri quadrati ha un solo sgabello, una piccola finestra chiusa da sbarre e un letto che si ripiega nel muro durante il giorno. Nessuna possibilità di comunicare con l’esterno, neanche tramite lettere. “L’obiettivo del regime di Putin – spiega Kara-Murza – è quello di isolare gli oppositori dal mondo. Di farli sentire soli e dimenticati. Per questo è importante continuare a parlare di loro, che i nomi dei dissidenti russi e che le loro storie siano conosciuti”.

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Zaporizhzhia, Aiea: rischio di un grave incidente nucleare

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Gli “attacchi sconsiderati” alla centrale nucleare di Zaporizhzhia “aumentano significativamente il rischio di un grave incidente nucleare e devono cessare immediatamente”: lo ha detto il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Rafael Grossi, come riferisce l’Agenzia stessa.

L’attacco di ieri alla centrale rappresenta “una chiara violazione dei principi fondamentali per la protezione della più grande centrale nucleare d’Europa”, ha aggiunto. 

Ieri l’Aiea ha confermato che “le principali strutture di contenimento dei reattori della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia hanno subito ieri almeno tre attacchi diretti”.

E’ il primo caso del genere “dal novembre 2022 e dopo aver stabilito i 5 principi di base per evitare un grave incidente nucleare con conseguenze radiologiche”, ha detto Grossi.

“Nessuno può in teoria trarre beneficio o ottenere alcun vantaggio militare o politico dagli attacchi contro gli impianti nucleari – continua Grossi in un post sul suo account X -. Faccio appello fermamente ai responsabili militari affinché si astengano da qualsiasi azione
che violi i principi fondamentali che proteggono gli impianti nucleari”.

Poco prima l’Aiea aveva dichiarato che “attacchi di droni hanno causato un impatto fisico su uno dei sei reattori dell’impianto e una vittima”, specificando che “i danni all’unità 6 non hanno compromesso la sicurezza nucleare ma si tratta di un incidente grave che potrebbe minare l’integrità del sistema di contenimento del reattore. 

 I responsabili dell’impianto, sotto controllo russo, hanno denunciato che “droni ucraini hanno attaccato la centrale nucleare di Zaporizhzhia” e questi raid hanno “danneggiato un camion parcheggiato vicino alla mensa”. Da parte sua, il governatore ucraino Ivan Federov ha detto che l’esercito russo ha bombardato con missili Grad Gulyaipole la regione di Zaporizhzhia, uccidendo tre civili nella stessa abitazione.

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