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Cronaca

Cambio della guardia ai vertici della Guardia di Finanza

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Lo scorso 15 novembre si è svolta, presso la Caserma “Gen. B. Sante Laria” del Comando Generale a Roma, la cerimonia di avvicendamento nella carica di Comandante in Seconda della Guardia di Finanza, tra il Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Vicanolo e il Generale di Corpo d’Armata Andrea De Gennaro.
 
Alla cerimonia, che si è tenuta alla presenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza, Generale di Corpo d’Armata Giuseppe Zafarana, hanno partecipato i vertici del Corpo e una rappresentanza di Ufficiali, Ispettori, Sovrintendenti, Appuntati e Finanzieri in forza al Comando Generale.
 
Il Generale Zafarana ha ringraziato, a nome di tutte le Fiamme Gialle, il Generale Vicanolo, destinato a ricoprire, quale Ufficiale in servizio, altro prestigioso incarico, per l’impegno e la collaborazione profusi con la massima generosità e professionalità in questi due anni di intensa attività e ha rivolto al nuovo Comandante in Seconda, il Generale De Gennaro, un caloroso “benvenuto” nel nuovo importante incarico nell’ambito del quale fornirà il proprio apporto di esperienza per il raggiungimento delle missioni istituzionali, prima fra tutte quella di contribuire alla tutela della sicurezza economica e finanziaria dell’Italia e dell’Unione Europea.
 
Il Generale Andrea De Gennaro, nato a Roma nel 1959, è entrato in Accademia nel 1978; sposato, ha tre figli. Laureato in Giurisprudenza e Scienze della Sicurezza Economico Finanziaria, titolato Corso Superiore di Polizia Tributaria, vanta, fra l’altro, un master di II livello conseguito presso la Bocconi di Milano in Diritto Tributario Internazionale. Ha svolto attività di docenza sia presso l’Accademia della Guardia di Finanza sia presso la Scuola di Polizia Economico Finanziaria del Corpo. Nel corso della sua brillante carriera, ha ricoperto molteplici, delicati incarichi in tutti i settori operativi e funzionali del Corpo nonché in seno ad organismi internazionali. Nei gradi di Generale, è stato Capo del V Reparto “Comunicazione e Relazioni Esterne” del Comando Generale, Comandante Provinciale di Roma, Direttore Centrale per i Servizi Antidroga presso il Ministero dell’Interno e Comandante Regionale Toscana. Promosso nel giugno del 2016 al grado vertice di Generale di Corpo d’Armata, è stato nominato Comandante Interregionale dell’Italia Meridionale. Dal gennaio 2017 ha assunto la responsabilità del Comando Reparti Speciali congiuntamente al Comando Aeronavale Centrale, entrambi con sede in Roma.

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Cronaca

Mafia nigeriana, in manette 16 persone

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La Polizia di Stato ha eseguito numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Torino, su delega della Procura della Repubblica di Torino, nei confronti di un gruppo di cittadini nigeriani sospettati di appartenere al sodalizio criminale di stampo mafioso denominato “EIYE”.

I provvedimenti restrittivi sono stati disposti all’esito di lunghe e complesse indagini e hanno riguardato complessivamente 16 persone, delle quali 11 sono state rintracciate sul territorio nazionale.

Per la realizzazione della fase esecutiva, sono stati impiegati complessivamente oltre 100 uomini della Polizia di Stato, con l’utilizzo di Reparti di rinforzo del controllo del territorio. Oltre alla Squadra Mobile di Torino, l’attività ha coinvolto anche gli omologhi uffici delle Questure di Cuneo, Varese, Bergamo e Livorno.

Secondo l’ipotesi d’accusa i provvedimenti cautelari riguarderebbero personaggi sospettati di rappresentare il vertice del livello nazionale dell’organigramma, direttamente incaricato delle nuove affiliazioni e della gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti nelle varie piazze cittadine.

Le indagini hanno consentito la raccolta di rilevanti indizi in grado di suffragare l’ipotesi dell’esistenza e dell’incidenza sul territorio del capoluogo piemontese del cult degli EIYE, grazie alle evidenze emerse sia dalle intercettazioni che dalle testimonianze di alcune persone, appartenenti alla comunità nigeriana di Torino.

Tali acquisizioni sarebbero idonee a dimostrare, secondo l’ipotesi d’accusa, come l’organizzazione indagata venga percepita dalla comunità di riferimento come connotata da un carattere “mafioso” che, maturato nello Stato di origine, risulterebbe ormai noto ai nigeriani anche al di fuori della loro terra, i quali ben ne conoscono le peculiarità e il modus operandi in patria, che rendono i membri notoriamente pericolosi e violenti, tendenti a imporre con la forza la propria volontà.

Le attività investigative, avviate nel marzo del 2019, si sono sviluppate attraverso attività tecniche di intercettazione, nonché articolati e dinamici servizi di diretta osservazione e pedinamento sul territorio, e hanno consentito di individuare coloro che, secondo l’ipotesi accusatoria, rappresenterebbero i vertici nazionali del cult, in costante e diretto contatto con i leader operanti in Nigeria.

Le indagini hanno permesso altresì di ricostruire nel dettaglio la struttura del sodalizio criminale che, secondo gli elementi raccolti, appare caratterizzato da un’organizzazione gerarchica piramidale, che si qualificherebbe per la presenza di un organismo operante a livello nazionale e di numerose articolazioni locali, attive in singole città italiane. La struttura nazionale risulterebbe dotata di un’organizzazione verticistica che vede al proprio apice un “World Ibaka”, detentore del potere esecutivo, il quale godrebbe, sempre in ipotesi di accusa di prestigio internazionale ed è in contatto con l’organismo madre in Nigeria. Risulterebbe suddivisa in sezioni provinciali o locali chiamate “Zone”, ma loro volta guidati da un “Zona Head”.

L’attività tecnica ha documentato, come già emerso in precedenti investigazioni ed attestato in sentenze definitive emesse a carico di analoghe consorterie nigeriane, l’esistenza di una struttura organizzativa, connotata da un insieme di regole di condotta, violenti riti di affiliazione, l’uso di un linguaggio esclusivo tra i membri (finalizzato a rendere meno permeabile il contenuto dei dialoghi e a rafforzare il senso di appartenenza tra i sodali), la divisione in ruoli e cariche corrispondenti a precise funzioni, l’intimidazione ed il ricorso alla violenza fisica in caso di trasgressione delle norme comportamentali proprie dell’ organizzazione.

La solidità della struttura è risultata chiaramente un elemento distintivo della consorteria criminale investigata, che avrebbe posto solide radici in numerose regioni d’Italia.

Come tutte le confraternite nigeriane, vi sono elementi per ritenere che gli EIYE abbiano i loro segni distintivi: come simbolo un uccello, talvolta raffigurato mentre stringe tra gli artigli un teschio umano, mentre il colore abitualmente indossato è il blu.

Secondo l’ipotesi d’accusa, sono stati raccolti significativi indizi di colpevolezza a carico dei sodali: in base alle risultanze dell’indagine, il Tribunale di Torino ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere a carico di sedici persone, contestando, oltre al reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), i delitti di rapina, estorsione, lesioni e reati in materia di stupefacenti.

Vi sono gravi indizi per ritenere che l’organizzazione investigata presenti tutti i caratteri di un’associazione di tipo mafioso, poiché connotata, anzitutto, da una precisa struttura gerarchica con ruoli e cariche ufficiali, a cui corrispondono compiti ben precisi. Le affiliazioni, secondo quanto ricostruito dalle indagini svolte, risultano caratterizzate da atti violenti e rigidi rituali, che si traducono in un serio e concreto pericolo per la stessa vita degli aspiranti affiliati, che vengono sottoposti ad azioni brutali, all’esito delle quali manifestano l’accettazione del codice comportamentale dell’associazione e la loro fedeltà indiscussa. Altrettanto spietate, secondo l’ipotesi di accusa risulterebbero le conseguenze previste in caso di violazione delle regole dell’organizzazione, che si traducono in sanzioni corporali talmente efferate da sfociare talora in tentativi di omicidio. Gli elementi raccolti evidenziano inoltre come la violenza appare essere lo strumento di comunicazione privilegiato per affermare la forza dell’organizzazione sul territorio e creare lo stato di soggezione necessario per accrescere il proprio potere. Altro elemento che risulta dalle indagini è la capacità dell’organizzazione di autofinanziarsi, mediante il contributo dei sodali, strumentale anche al mantenimento economico degli affiliati detenuti, come tipico pure delle consorterie mafiose italiane.

Sulla piazza torinese, gli elementi indiziari raccolti indicherebbero che il cult EIYE controllava e gestiva il commercio su strada di sostanze stupefacenti in alcune aree individuate; in particolare, corso Vigevano e piazza Baldissera, e più genericamente la zona della stazione ferroviaria di “Dora”.

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Brigate Rosse, la Francia dice no all’estradizione di 10 terroristi

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Enrico Galmozzi, fondatore di Prima Linea: ‘Che goduria!’

La Cassazione francese ha confermato il rifiuto della Francia all’estradizione dei 10 Br degli anni di piombo in Italia.

 “La Corte di Cassazione – si legge nel dispositivo annunciato oggi a Parigi sull’estremo ricorso contro il rifiuto di estradare i 10 ex Br in Italia – respinge i ricorsi presentati dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Parigi contro le decisioni della Corte d’Appello, ritenendo che i motivi addotti dai giudici, che discendono dal loro apprezzamento sovrano, sono sufficienti”. La Cassazione conclude che “il parere sfavorevole sulle richieste sfavorevoli alle richieste di estradizione è, in considerazione di ciò, definitivo”.

Il rifiuto di accogliere il ricorso alla Corte di Cassazione sull’estradizione di 10 ex militanti di estrema sinistra italiani, in gran parte ex delle Brigate rosse, rifugiati in Francia dopo gli “anni di piombo”, era atteso.

Per i 10 , di cui 8 uomini fra i quali Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio Calabresi, e 2 donne (le ex Br Marina Petrella e Roberta Cappelli), il tribunale francese aveva già negato, il 29 giugno dello scorso anno, l’estradizione chiesta dall’Italia. La presidente della Chambre de l’Instruction aveva motivato il rifiuto con il rispetto della vita privata e familiare e con il diritto a un processo equo, garanzie previste dagli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, il giorno dopo, aveva però affermato che “quelle persone, coinvolte in reati di sangue, meritano di essere giudicate in Italia”. Di conseguenza, il procuratore generale della Corte d’appello di Parigi, Rémy Heitz, in rappresentanza del governo, aveva immediatamente presentato un ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendo necessario appurare se gli ex terroristi condannati in Italia in contumacia beneficeranno o meno di un nuovo processo se la Francia li consegnerà. Lo stesso procuratore contestava la decisione del tribunale sulla presunta violazione della vita privata e familiare degli imputati.

“Quanto mi fa godere la Cassazione francese…”. Questo il commento su Facebook di Enrico Galmozzi, fondatore delle Brigate combattenti di Prima Linea, alla decisione dei giudici di Parigi di confermare il rifiuto all’estradizione dei 10 ex Br degli anni di piombo in Italia. Galmozzi è stato condannato per gli omicidi dell’avvocato Enrico Pedenovi e del poliziotto Giuseppe Ciotta.

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Auto a benzina e diesel, la Ue ratifica lo stop dal 2035

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Le stazioni di ricarica per le auto elettriche dovranno essere installate ogni 60 chilometri entro il 2026

I ministri europei dell’Energia hanno ratificato a maggioranza il regolamento sullo stop ai motori termici alimentati a benzina e diesel nel 2035. L’Italia si è astenuta nel voto sulla ratifica finale, secondo quanto emerge dal resoconto finale della votazione in seno al Consiglio Energia.

Insieme a Roma, anche Sofia e Bucarest si sono astenute sull’accordo ratificato a maggioranza dai ministri Ue. L’unico voto contrario è stato espresso dalla Polonia.

Favorevole invece la Germania, dopo l’intesa sull’utilizzo futuro degli e-fuels raggiunta nel weekend con la Commissione europea.

Prima intesa, intanto, fra Consiglio e Parlamento Ue per la realizzazione sulle principali reti stradali dei Paesi dell’Unione delle stazioni di ricarica elettriche e a idrogeno per auto e mezzi pesanti. Lo ha reso noto l’Europarlamento. 

In base all’intesa, le stazioni di ricarica per le auto elettriche dovranno essere installate ogni 60 chilometri entro il 2026 sui principali assi stradali indicati nelle reti prioritarie dei trasporti europee (Ten-T). Per mezzi pesanti e pullman, le stazioni di ricarica dovranno essere ogni 120 chilometri entro il 2028. Gli impianti di distribuzione dell’idrogeno dovranno invece essere installati ogni 200 chilometri entro il 2031. 

L’intesa prevede che i singoli Paesi presentino piani nazionali per il raggiungimento degli obiettivi indicati ma anche la possibilità di eccezioni per i territori più svantaggiati, le isole e le strade con poco traffico. 

“Le nuove regole – ha commentato il relatore dell’europarlamento, il socialista tedesco Ismail Ertug – contribuiranno alla realizzazione delle nuove infrastrutture per i carburanti alternativi senza ulteriori ritardi e garantiranno che l’utilizzo e il rifornimento delle autovetture di nuova generazione sia altrettanto semplice e conveniente come per i mezzi a benzina”.

L’intesa, prima di diventare definitiva, dovrà ora essere esaminata ed approvata dagli ambasciatori dei 27 e dal Consiglio nonché dalla commissione trasporti e della plenaria dell’Europarlamento.

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