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F35, ECCO PERCHÉ NON ACQUISTARLI
Tempo di lettura 3 minutiIl JSF è un programma che sta continuando a registrare consistenti problemi di progettazione e debolezze strutturali ingegneristiche
Tempo di lettura 3 minutiIl JSF è un programma che sta continuando a registrare consistenti problemi di progettazione e debolezze strutturali ingegneristiche
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12 anni faon
Paolo Quinto
Uno dei principali temi politici di questi giorni è relativo agli ormai famigerati F35. Dopo accese polemiche tra il fronte del si all'acquisto e quello della sospensione si è arrivati ad una posizione di mediazione attraverso la presentazione in Parlamento di una mozione in cui sostanzialmente si rimanda ogni decisione relativa all'acquisto di nuovi caccia solo dopo un attento esame parlamentare.
La mia posizione negativa sugli F35 è nota da tempo, vorrei però, senza entrare nel merito di un dibattito meramente ideologico, cercare di analizzare criticamente la questione da un punto di vista squisitamente di politica industriale.
Le capacità militari della nostra Aeronautica oggi sono garantite da tre diverse linee di volo con distinte caratteristiche: AMX, Tornado, Eurofighter, F-16 Harrier. Il programma JSF(F35) dovrebbe sostituire AMX, Tornado e Harrier che sono ormai obsoleti.
La sostituzione di queste 3 linee di volo è una necessità reale della nostra Aeronautica, si tratta di valutare se esistono alternative al Jsf, specie considerando quali saranno i compiti che verranno affidati alle nostre Forze armate nei prossimi 15-20 anni.
Il JSF è un programma che sta continuando a registrare consistenti problemi di progettazione e debolezze strutturali ingegneristiche che hanno determinato slittamenti del calendario previsto oltre a un aumento dei costi.
A causa di questi problemi si sono ritirati o hanno sospeso lo loro partecipazione al programma i seguenti Paesi: Norvegia, Olanda, Danimarca e Canada. La Gran Bretagna ha falcidiato le previsioni di spesa (ne doveva comprare circa 130, oggi ne vuole 20); persino gli Usa stanno valutando l'annullamento della versione «B», a decollo corto e atterraggio verticale, che interessava la nostra Marina.
Al momento il costo per l’Italia è valutabile, come stima prudenziale, intorno ai 110 milioni di euro per apparecchio, esclusi i costi per il munizionamento e gli ulteriori costi per l’adeguamento delle strutture logistiche destinate ad ospitarlo e per la formazione del personale.
Il Joint Strike fighter F-35 è un jet multi-ruolo, con queste caratteristiche: capacità di attacco al suolo, funzione "stealth" (bassa visibilità radar), dotato di altissima autonomia e in grado quindi di svolgere missioni di proiezione in teatri lontani dal nostro territorio. Sono caratteristiche di un aereo progettato al tempo della guerra fredda, e restano forti dubbi sulla necessità di questa tipologia di aereo in rapporto alle esigenze strategiche delle nostre Forze Armate.
Le ricadute industriali e tecnologiche sulle imprese industriali coinvolte italiane sono molto limitate; nello specifico dell'industria della difesa la strategia di sviluppo, deve essere vista nell'ottica del modello europeo di difesa, la sola opzione in grado di permettere una riduzione dei costi, un aumento dell’efficienza del sistema di difesa e uno sviluppo del nostro sistema industriale. Vale la pena di ricordare che, con riferimento al nostro settore della difesa e dell'aerospazio, è estremamente urgente elaborare un quadro strategico di politica industriale di lungo periodo, la cui attuale insufficienza rappresenta uno dei fattori di crisi del sistema produttivo italiano. Questo al fine di salvaguardare il patrimonio industriale, produttivo e occupazionale di aziende che rappresentano il nostro Paese su scala mondiale in settori strategici e a forte componente innovativa (vedi Alenia e Ansaldo ad es.).
Tornando al progetto JSf, le ricadute industriali, consistono nell’attività di assemblaggio delle semi-ali che verrà realizzata a Cameri. L’attività in questione, dal punto di vista tecnologico e occupazionale è estremamente povera. I dati reali dicono che verranno occupati circa 600-800 unità di personale, e nemmeno si tratterebbe di nuova occupazione, in quanto sarebbero in larghissima parte sostitutivi di quelli che oggi lavorano alla linea Eurofighter. Un segnale ben diverso sarebbe lanciare un progetto europeo che avrebbe ricadute tecnologiche, di know-how e occupazionali nettamente superiori. A questo proposito è utile ricordare a titolo esemplificativo che nel progetto Eurofighter siamo co-produttori, mentre nei progetti a guida Usa, tutte le nuove scoperte, i brevetti, il know-how che si realizza rimane di esclusiva proprietà statunitense. Dunque, se proprio si vuole rafforzare la difesa aerea italiana esiste un’alternativa valida che consiste nel rilanciare il progetto Eurofighter, che servirebbe a soddisfare le esigenze delle nostre Forze Armate,a risparmiare risorse e avere maggiori ricadute tecnologiche e industriali, infine rilancerebbe l’industria aeronautica e della difesa europea e la stessa politica di difesa comune europea. Questo sarebbe un fattore di importanza epocale, per la crescita del nostro sistema industriale del settore e per una occupazione di quantità e qualità elevata e per contribuire sempre più a rafforzare il progetto di costruire un Europa forte e indipendente anche da un punto di vista tecnologico. Per chiudere non fa male ricordare, che quando finirà la missione italiana in Afghanistan non ci saranno più missioni di ampie dimensioni e, sopratutto, che il nostro sistema di difesa deve essere orientato al progetto di peace-keeping piuttosto che a quello di offensiva.
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