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Grand Theft Auto: The Trilogy, scatta l’operazione nostalgia di Rockstar Games

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Grand Theft Auto: The Trilogy – The Definitive Edition è finalmente realtà. Una fra le saghe più amate dai gamers di tutto il mondo vede finalmente tre dei suoi capitoli più importanti arrivare in versione rimasterizzata. Ma andiamo con ordine: pochi prodotti hanno segnato il mercato videoludico come la serie di Grand Theft Auto, capace di riscrivere la grammatica degli open world con i capitoli usciti su PlayStation 2, vere e proprie pietre miliari dei videogiochi. Il loro successo ha scavalcato i semplici confini della console Sony, arrivando su PC con migliaia di mod e nella cultura pop, consacrando Rockstar come una delle più grandi software house di sempre. Il successo di GTA ha poi raggiunto l’apice con l’ultimo episodio uscito, quel GTA V che ancora vende milioni di copie e detiene il record di incassi, spalmato su due generazioni di console, con un’ulteriore edizione per PS5 e Series X in uscita il prossimo anno. Il 2021 è invece il momento di un ritorno storico, a lungo atteso da tantissimi fan, quello della Grand Theft Auto: The Trilogy – The Definitive Edition composta da GTA III, Vice City e San Andreas. I tre giochi fanno parte di un unico universo narrativo, a cavallo tra gli anni ottanta e duemila, dove spesso personaggi e fatti si incrociano brillantemente permettendo quindi solamente al giocatore che ha vissuto tutte e tre le storie di avere un quadro completo dei fatti. In ognuno dei titoli i giocatori prensono il conrollo di un personaggio diverso, ciascuno con un suo scopo da perseguire mentre si fa strada nel sottobosco criminale di Liberty City, Vice City e San Andreas, incontrando via via personaggi sempre più grotteschi e machiavellici. Ogni capitolo di GTA introduce novità nel gameplay e nella struttura, mostrando chiaramente e a distanza ravvicinata il percorso artistico che Rockstar Games ha plasmato per diventare la software house che è oggi. Ed è per questo motivo che tutti i gamers desideravano che questa Definitive Edition portasse con sé tutta l’eredità che questa trilogia ha rappresentato al massimo della sua espressione visiva ad un pubblico nuovo, o chi magari semplicemente è affamato di ri-giocare a un GTA diverso dalle ultime incarnazioni del brand. Quando il titolo venne annunciato al mondo, Rockstar Games aveva dichiarato che Grand Theft Auto: The Trilogy – The Definitive Edition avrebbe migliorato la resa grafica, con nuove texture in alta definizione, nuovi riflessi e un sistema d’illuminazione completamente rinnovato, effetti meteorologici rivisti, con miglioramenti alla vegetazione e ai vari biomi, aumentando infine la profondità visiva. La buona notizia è che effettivamente tutte queste novità ci sono, quella cattiva è che spesso non funzionano come dovrebbero. Ad esempio, la pioggia che si abbatte sulle strade di GTA III è molto bella da vedere, ma è talmente realistica con le sue nubi cupe e la fitta pioggia, da compromettere negativamente l’esperienza di gioco. La palette di colori scura con cui è modellata Liberty City rende la vista durante questi acquazzoni difficile, quasi impossibile di notte, mentre nella soleggiata Vice City, grazie ai suoi colori accesi, questo problema si presenta fortunatamente in maniera minore. Inoltre questo effetto meteorologico contrasta con la nuova resa del mare, portando a fastidiosi glitch grafici. Per quanto riguarda il lavoro svolto sui riflessi, il lavoro svolto è davvero impressionante, con i grattacieli delle metropoli che risplendono di vita nuova, regalando spesso e volentieri scorci davvero magnifici. Nuovi effetti grafici rendono la devastazione che il giocatore può scatenare molto più bella da vedere, con esplosioni e fiamme ricche di luce e dettagli. Per quanto riguarda la vegetazione, in tutti e tre i giochi è stato realizzato un lavoro di fino, dando ai prati e ai parchi un look inedito e a volte di grande pregio. L’aumento di dettaglio delle texture di tutte e tre le location, poi, ha fatto davvero bene a tutte e tre le produzioni, soprattutto Vice City e Las Venturas, le cui strade strabordano di neon colorati e insegne luminose, regalano un colpo d’occhio inedito per chi ha già esplorato queste città decenni fa. Peccato che nelle aree meno illuminate della mappa, gli ambienti risultino a volte piuttosto scuri, creando contrasti tra i vari quartieri di cui le città si compongono.


In generale, quindi, la resa grafica degli ambienti quindi è decisamente migliorata, anche se tra alti e bassi, il tutto però viene purtroppo penalizzato da un terribile effetto pop-up ereditato dalle versioni originali dei titoli che ormai si portano diversi anni sulle spalle. Vedere veicoli materializzarsi lungo la strada, ad una distanza di appena 10-15 metri, non è quello che ci si aspetterebbe da un remaster di questa portata. Lo stesso accade con cartelloni e molti altri elementi dello scenario, portando i giocatori in più di un’occasione a scontrarsi con muri invisibili prima di veder apparire l’oggetto di turno davanti ai propri occhi. Vent’anni fa era l’unico modo per far girare questi giochi sull’hardware dell’epoca, ma osservare tutto questo al giorno d’oggi, non può che lasciare l’amaro in bocca. Anche le texture e i modelli poligonali dei grattacieli in lontananza soffrono del medesimo problema, risultando visibili ad una definizione talmente bassa da far sorridere. Sempre sul versante grafico, i modelli poligonali dei personaggi e la struttura della mappa di San Andreas purtroppo non fa gridare al miracolo. Quando la trilogia è stata annunciata, fu reso noto l’intento di mantenere quel look cartoon che caratterizza tutti e tre i giochi. Il problema è che la migliore definizione dei personaggi ha portato a risultati grotteschi e spesso ridicoli. Su GTA III i personaggi sono veramente spogli, con animazioni facciali datate che li fanno sembrare dei buffi personaggi di pezza. Sarebbe bastato sistemare e aggiornare almeno i volti dei personaggi maggiori, per donare alle cut-scene una piacevolezza inedita. I personaggi di GTA San Andreas invece, che erano più definiti anche nella versione 2004, risultano semplicemente ridicoli a causa dei miglioramenti grafici, con strani glitch nelle animazioni e riflessi innaturali sulla pelle. Le mani del protagonista CJ, inoltre, per qualche motivo, sono sproporzionate rispetto al corpo. Discorso diverso per il capitolo centrale di questa trilogia, dove i personaggi di GTA Vice City, essendo un’evoluzione di quelli di GTA III senza arrivare ai dettagli presenti in San Andreas, risultano essere quelli più naturali e meglio riusciti con tutte le migliorie grafiche applicate. Terminiamo l’analisi grafica parlando della mappa di San Andreas, che nonostante abbia giovato indubbiamente dei miglioramenti, presenta un problema alquanto insolito. Nella versione originale del 2004 il mondo di gioco era avvolto da una specie di nebbia, utilizzata per motivi tecnici al fine di celare elementi dello scenario troppo lontani, evitando di stressare troppo gli hardware dell’epoca. La nebbia inoltre donava un senso di scoperta ed esplorazione. In questa remaster della nebbia non c’è traccia, rendendo di fatto tutta la mappa visibile da ogni punto, specialmente quando ci si trova nelle zone più elevate. Questo purtroppo è un problema in quanto comporta la terribile scoperta che la mappa di GTA San Andreas non era stata pensata e progettata all’epoca per essere vista per intero. Proprio per tale ragione la visione del mondo di gioco risulta poco appagante nei confronti di un level design pensato per ingannare il giocatore sulla struttura e ampiezza della zona di gioco. Fortunatamente quanto vi abbiamo raccontato non compromette in alcun modo il gameplay, ma appena si avrà l’opportunità di sorvolare la mappa con un aeroplano, l’illusione di trovarsi a vivere l’avventura in un immensa area degli Stati Uniti verrà rimpiazzata dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a una mappa davvero bruttina da vedere.

Per quello che concerne il sistema di controllo, che stando alle dichiarazioni effettuate in sede di annuncio avrebbe dovuto introdurre diverse soluzioni prese da GTA V, la resa finale non rispecchia quanto detto. Il layout dei comandi è lo stesso del capitolo più recente della saga, sia per la guida dei veicoli che per il controllo del personaggio, con l’introduzione della ruota di selezione per l’armamentario oltre che delle stazioni radio. Inoltre sono stati aggiunti due sistemi di puntamento che si affiancano a quello classico, come la mira assistita e quella manuale. Le novità del sistema di controllo però terminano qui, quindi se si sperava di poter prendere il controllo dei personaggi della GTA Trilogy alla stessa maniera di GTA V, magari sfruttando le coperture e altre soluzioni più moderne, si rimarrà delusi. A far storcere ancora di più la bocca c’è poi il fatto che in GTA III e GTA Vice City il nuovo sistema di mira funziona molto male. Il motivo risiede in una bassa precisione delle armi e un hitbox disastroso, che rendono le sparatorie piuttosto macchinose. Il nostro consiglio è quello di usare la mira assistita o classica, ignorando del tutto quella manuale. C’è un altro problema, però, che risiede nel sistema di mira delle varie armi. Con le armi leggere ci si può tranquillamente muovere mentre si fa fuoco, mentre con quelle più pesanti come fucili a pompa e Mitra d’assalto, si rimane inchiodati a terra, impossibilitati quindi a muoversi durante la fase di mira. Da sottolineare inoltre che su GTA III non ci si può nemmeno chinare o abbassare in alcun modo. Il discorso cambia di molto con San Andreas, che già nella versione originale aveva introdotto una mira e un hitbox più curato, con la possibilità di chinarsi e muoversi senza problemi. Funzionano e risultano delle gradite aggiunte le novità introdotte per migliorare l’esperienza globale di gioco. La mini-mappa ora segna con il GPS la strada migliore per raggiungere la destinazione, utile specialmente in aree più grandi come quella di San Andreas, con la possibilità di aggiungere punti di navigazione personalizzati. Sono stati poi introdotti il riavvio immediato di una missione fallita, e i checkpoint lungo le missioni di GTA San Andreas, rendendo l’esperienza di gioco molto più piacevole. Concludiamo segnalando l’aggiunta di una tabella sfide che sblocca riconoscimenti nel Social Club di Rockstar. Per quanto riguarda il comparto tecnico, il titolo gira a 1080p sulle console old gen ed a 4k sulle nuove console di fascia alta. Detto ciò, possiamo dire che questa Grand Theft Auto: The Trilogy – The Definitive Edition, nonostante i suoi troppi limiti è sempre piacevole da giocare. Di sicuro non è la Remaster che speravamo di avere tra le mani, ma nonostante ciò si tratta comunque di classici immortali che sanno ancora divertire e talvolta persino stupire. Se non li avete mai giocati, il nostro consiglio è di aspettare qualche aggiornamento correttivo combinato con un calo di prezzo; i nostalgici, troveranno invece la conferma delle ottime qualità dei tre titoli. Al di là di questioni tecniche, frame-rate e glitch grafici, questa Grand Theft Auto: The Trilogy – The Definitive Edition sa ancora divertire ed emozionare, sintomo questo che quando un titolo è un grande titolo, esso è destinato a rimanere comunque nella storia.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7
Sonoro: 7
Gameplay: 7
Longevità: 9

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise

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  1. Pingback: I migliori videogiochi in uscita nel 2022 | L'Osservatore d'Italia

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Anno 1800, la Rivoluzione industriale sbarca anche su console

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Anno 1800 è un videogame del genere city builder, ossia un gioco dove bisogna costruire e far progredire un agglomerato urbano tenendo conto di tutti i parametri socioeconomici. Oggi, il titolo targato Ubisoft finalmente vede la luce anche su Xbox e PlayStation a distanza di alcuni anni dal lancio per Pc (avvenuto nel 2019). Il software è la settima incarnazione della leggendaria saga ed è un esponente del suo genere denso di contenuti, eterogeneo, complesso e soprattutto molto divertente. Anno 1800 quindi è un videogame contraddistinto da una grandissima qualità di fondo, qualità che lo ha reso amatissimo tra gli appassionati, e da una complessità non da poco grazie soprattutto a una miriade di funzioni. Insomma, è veramente un’opera magistrale che sa esprimersi al massimo su computer, ma che mostra tutta la sua potenza anche su console dove il pad riesce a sostituire mouse e tastiera rivelandosi un alleato formidabile nella costruzione del proprio impero nel bel mezzo della rivoluzione industriale. Ma partiamo dal principio, lo scopo dei giocatori una volta avviato Anno 1800 è costruire una colonia florida sia dal punto di vista sociale, sia da quello economico. Partendo da un piccolo porto e una nave, bisognerà essere in grado di espandere il proprio centro abitato in modo tale da trovare un equilibrio tra industrie e agricoltura, scuole ed elementi di svago, così da avere una popolazione attiva, ma nel complesso soddisfatta. Nel caso in cui non si riuscisse a creare una società tale da soddisfare le aspettative degli abitanti il rischio di una rivolta è sempre dietro l’angolo, quindi amministrare con saggezza e prudenza è sempre il segreto alla base di un buon governo.

In Anno 1800 la progressione della propria città avviene per gradi. Blue Byte ha pensato ad un sistema che consente di sbloccare progressivamente tutte le sue funzioni man mano che si raggiungono determinati obiettivi. Si parte con un’economia basata sull’agricoltura e una manifattura di base per poi sbloccare edifici sempre più avanzati ed esteticamente moderni (per l’epoca in cui è ambientato il titolo ovviamente), come le acciaierie o i pozzi petroliferi, che richiedono una filiera produttiva alle loro spalle per generare introiti. Ognuna di queste industrie attinge ad un pool specifico di lavoratori, che corrisponde ad un tipo particolare di abitazione. Quelle rustiche servono per creare dei braccianti. Migliorando l’edificio i suoi abitanti da contadini si trasformeranno in lavoratori, poi in artigiani e così via. Questo sistema è per esigenze di gameplay un po’ semplificato e forzato, le fattorie di grano possono essere sbloccate nell’era dei lavoratori e le distillerie o i falegnami utilizzano al loro interno gli agricoltori, ma gli sviluppatori hanno creato un bilanciamento piuttosto interessante, che spinge costantemente a dover rivedere il proprio insediamento. Facendo evolvere le case si va quindi a sostituire la vecchia tipologia di lavoratori con la nuova, costringendo in questo modo a rimpolpare a cascata anche tutti gli anelli della catena ogni volta che si desidera avviare un’attività avanzata. Per aprire una fonderia, infatti, non basta semplicemente gettarne le fondamenta, ma va creata un’infrastruttura di sostegno, fatta di magazzini, miniere e, abitazioni sufficienti a poter ospitare i lavoratori di un’attività così pesante. Non facendo ciò si creeranno degli squilibri che rallenteranno gli altri aspetti dell’economia o renderanno scontenti i lavoratori. Quindi non si tratterà semplicemente di accatastare le risorse necessarie per costruire un edificio, ma di gestire il substrato lavorativo dello stesso. Insomma, Anno 1800 è un’esperienza davvero complessa e che per essere goduta pienamente non va mai gestita con fretta. La mappa di gioco si compone di un numero di isole imprecisato, alcune popolate e altre pronte ad essere colonizzate. C’è da dire però che non tutte le isole sono autosufficienti. Alcune, per esempio, sono poco adatte ad un tipo di coltura, altre non hanno una determinata materia prima. In questo modo si renderà necessario il dover utilizzare le navi costruite nei cantieri per creare rotte commerciali e acquistare ciò che manca nei magazzini. Le navi saranno anche l’unico modo che si ha per combattere gli altri governatori, o per scoprire nuovi continenti verso i quali inviare delle spedizioni. Una volta che si ha a disposizione una flotta si potrà organizzare un equipaggio e racimolare delle scorte per avviare una vera e propria colonizzazione dei territori ancora vergini. In base ad un divertente sistema di scelte multiple si può provare ad indirizzare il modo in cui queste spedizioni si svilupperanno e le conseguenze che avranno. Le navi, infatti, potrebbero non tornare del tutto, perdendo il prezioso carico, o potrebbero trovare qualcosa di particolarmente esotico da esporre nella propria città, così da renderla una gettonata meta di turisti.

Così facendo Blue Byte ha aggiunto un sistema di imprevedibilità all’interno della serie, che porta un’interessante ventata di aria fresca all’interno della canonica struttura da city builder offerta da Anno 1800. Oltre alla modalità libera, gli sviluppatori hanno inserito anche una modalità “storia” che funge da lungo tutorial che consente, una volta completato, di aver ben chiare le meccaniche di base. Forse mancano alcuni strumenti per avere una lettura completa al cento per cento della propria comunità, come un’enciclopedia nella quale è spiegato il funzionamento puntale di ogni edificio o un sistema di analisi del proprio territorio e della propria economia, così da comprendere nel dettaglio cosa fare per non andare in bancarotta, ma tutto funziona bene ed è stato incastrato con cura con gli altri elementi. Per quanto riguarda l’utilizzo del controller, i miglioramenti non si fermano ai soli utilissimi menu radiali, ma vanno più nel profondo. L’intera user interface in generale è infatti stata adattata per la versione Xbox e PlayStation, inoltre altri piccoli accorgimenti, come la connessione automatica del manto stradale durante la costruzione di blocchi di case o alcune comode shortcut per selezionare beni e oggetti, rendono il tutto più fluido. Se proprio dobbiamo trovare qualche lato negativo in questa conversione di 1800, possiamo dire che l’assenza della possibilità di utilizzare mouse e tastiera potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Inoltre, le differenze con la versione madre di Anno 1800 non si fermano però qui. Alcuni scenari e DLC, come ad esempio The Passage, New World Rising e Land of Lions, ossia i più sostanziosi rilasciati per il titolo, non sono attualmente previsti su PlayStation e Xbox e resteranno quindi con ogni probabilità esclusive PC. Dal punto di vista strettamente tecnico, Anno 1800 Console Edition si difende davvero bene. Abbiamo provato la versione Xbox Series X del gioco e non abbiamo trovato nulla di cui poterci effettivamente lamentare. Certo, alcune texture non sono esattamente il massimo, ma nel complesso il titolo di Ubisoft ci ha convinto sia dal lato estetico che da quello meramente ludico. La possibilità di vedere il proprio villaggio espandersi e diventare città nell’ardore della rivoluzione industriale su un televisore 55 pollici OLED è del resto un vero e proprio spettacolo. Quindi, proprio per tali ragioni, il nostro consiglio è quello di non lasciarsi sfuggire la versione console di Anno 1800.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Gameplay: 8,5

Sonoro: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

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Costume e Società

Meta non rinnova l’accordo con la Siae, via la musica italiana da Facebook e Instagram

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Meta, la holding proprietaria di Facebook e Instagram, ha reso noto di non aver raggiunto un accordo con la Siae per il rinnovo della licenza sul diritto di autore. Di conseguenza sui social vengono bloccati o silenziati i brani che rientrano nel repertorio Siae, gli altri continuano ad essere disponibili. ”Una decisione unilaterale che lascia sconcertati”, dichiara la Società degli autori ed editori italiani. “Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo, continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti”, ribatte la società di Mark Zuckerberg. “No al far west, i colossi rispettino le opere d’ingegno e la sovranità legislativa degli Stati”, sottolinea il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano che aggiunge: “La indiscutibile libertà di mercato va esercitata all’interno di regole condivise e rispettate da tutti: è il fondamento di una convivenza pacifica e produttiva”. “La scelta di Meta è un danno enorme che preoccupa” dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione a all’editoria, Alberto Barachini. Meta per consentire l’uso della musica sui social, che rende più accattivanti i post di creator e influencer, stringe accordi sul copyright con i titolari dei diritti musicali in tutto il mondo. Nel territorio europeo ha partner in Spagna, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito e Turchia. La rottura con la Siae rappresenta un precedente mondiale per il colosso di Menlo Park. Ha un impatto sui Reels (i video brevi su Facebook e Instagram), sul flusso delle notizie di Instagram, e sulle Storie di Facebook e Instagram. Su Facebook i contenuti impattati vengono bloccati, su Instagram silenziati. “Purtroppo non siamo riusciti a rinnovare il nostro accordo di licenza con Siae – rende noto Meta – da oggi avvieremo la procedura per rimuovere i brani del loro repertorio nella nostra libreria musicale. Continueremo a impegnarci per raggiungere un’intesa che soddisfi tutte le parti, crediamo sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano”. ”A Siae viene richiesto di accettare una proposta unilaterale di Meta prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio – ribatte la Società degli autori ed editori italiani – Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti. Siae ha continuato a cercare un accordo con Meta in buona fede, nonostante la piattaforma sia priva di una licenza a partire dal 1 gennaio 2023″. Per Mogol, presidente onorario di Siae e celebre autore e compositore, la battaglia in difesa degli autori “è sacra, queste piattaforme guadagnano miliardi e sono restie a pagare qualcosa”. L’industria musicale, attraverso il suo presidente Enzo Mazza, auspica che “Siae e Meta trovino presto un accordo nell’interesse del crescente mercato musicale in Italia e degli aventi diritto”. “Chiediamo che Meta riapra immediatamente in buona fede un tavolo negoziale con Siae”, gli fa eco il presidente della Federazioni Editori Musicali, Paolo Franchini. L’associazione influencer, in una nota, auspica “che il dialogo tra le due realtà abbia un epilogo costruttivo”, nella convinzione che, “specialmente per quanto concerne le professioni creative, sia importante ripristinare il precedente stato dell’arte”. Infine, rilievi anche da parte di Soundreef, gestore indipendente dei diritti d’autore. “Sappiamo che il take down dei brani da parte di Meta sta riguardando anche il repertorio integralmente amministrato da Soundreef e i repertori esteri – sottolinea il gruppo – È evidente che l’esito della trattativa tra Meta e Siae sta danneggiando tutte le società di collecting operanti, in Italia e non. Stiamo contattando entrambe le parti per capire come l’intera negoziazione sia stata condotta e stiamo lavorando per ripristinare sulle piattaforme Meta tutti i brani di cui amministra totalmente i diritti”.

F.P.L.

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Scienza e Tecnologia

Mato Anomalies, il “Jrpg” cyberpunk dall’atmosfera unica

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Mato Anomalies è un “Jrpg” sviluppato dallo studio cinese Arrowiz e fortemente ispirato alle ambientazioni cyberpunk. Il titolo, come i più attenti potranno notare dopo poche ore di gioco, si ispira chiaramente a produzioni quali Shin Megami Tensei e soprattutto al suo spin-off Persona, soprattutto sul piano dell’impostazione narrativa e tematica. La città fittizia di Mato colorata, ricca di “vita” e densa di persone, che si susseguono con fare scanzonato e assolutamente ignaro sui freddi cocci di una strada apparentemente ricca di vita, nasconde più di un misterioso e tetro segreto. Nascosti nei meandri dell’oscurità si annidano infatti tantissimi punti oscuri, che proprio come in Persona, e in particolare Persona 5, la fanno da padrona nell’economia generale della trama. I desideri, l’odio, la sede di potere, la voglia di sovrastare a ogni costo il prossimo: questi sono tutti i temi che ruotano intorno alla giostra narrativa di Mato Anomalies, di cui il mondo di gioco ne è lo scenario perfetto. In questo complesso universo si va a incastonare il protagonista della storia, ossia il Detective Doe, trovatosi, suo malgrado, imbrigliato in un susseguirsi di eventi che vanno ben al di là della sua comprensione. Proprio come accade nei lavori di Atlus, la città di Mato è soltanto la parte visibile di un mondo oscuro che si cela in profondità, dominato dalle più terribili delle emozioni umane, che prendono forma in molteplici modi, sotto lo sguardo ignaro della gente comune. Insomma: la città di Mato ha un disperato bisogni di aiuto, così come lo stesso protagonista, che appare sin dalle prime battute un personaggio fragile ma che cerca in tutti i modi di fare la cosa giusta. Proprio il poter contare sul prossimo rappresenta infatti un altro passo in termini di caratterizzazione del mondo in cui si svolge la storia, e tal proposito diventa fondamentale il discorso dei comprimari, Genma su tutti, che entrano via via in contatto con il protagonista e lo aiutano, anche per motivi strettamente personali, a tentare di far luce sull’oscurità che sembra destinata a prendere il sopravvento su una città sempre più in balia della perdizione, ma soprattutto su chi trama dietro tutto questo. Complice un cast ben caratterizzato e discreto esercizio di worldbuilding, il canovaccio narrativo di Mato Anomalies è complessivamente interessante, soprattutto nel caso in cui il giocatore apprezzi il paranormale e le tematiche mature, angoscianti e attuali quali la lotta alla corruzione e al potere esercitato dalle grandi aziende e dai gruppi malavitosi, la tendenza del governo a insabbiare gli incidenti, e via discorrendo. A non funzionare, però, è l’esposizione del racconto, che a causa degli odiati dialoghi prolissi in stile visual novel e di un’abbondante dose di backtracking, rallenta enormemente lo sviluppo degli eventi. Se i primi 15 minuti della campagna inondano l’utente con una valanga di informazioni confuse e che cominciano ad avere un minimo di senso solo col passare del tempo, le successive 30 ore necessarie per giungere ai titoli di coda ci sono sembrate molto più lente del dovuto.

Se l’impianto narrativo non è esattamente il punto di forza di di Mato Anomalies, bisogna riconoscere che il titolo si comporta molto meglio sul piano ludico, anche perché gli sviluppatori – pescando nuovamente da Persona 5 – hanno suddiviso il gameplay in due fasi ben distinte, realizzando un vero e proprio mix di generi. Ambientate nel mondo umano, le sequenze che vedono per protagonista Doe chiedono al giocatore di perlustrare le strade di Mato per raccogliere indizi sugli incidenti avvenuti in città e parlare con gli NPC per estorcere loro qualche segreto, mentre quelle incentrate su Grim si consumano nei labirinti dell’altro mondo, dove l’esorcista e gli altri combattenti reclutabili nel corso della campagna sono chiamati ad affrontare in battaglia la Marea Funesta. Benché inizialmente ci stessero convincendo più delle seconde, le prime sono le sequenze che alla lunga abbiamo apprezzato di meno, poiché la raccolta di prove e informazioni costringe il giovane detective a spostarsi continuamente da un luogo all’altro della città e a tornare anche moltissime volte in posti già visitati fino allo sfinimento, nella speranza che gli abitanti abbiano qualche nuovo indizio utile alla causa. Tenendo presente che la città di Mato non è poi tanto vasta e che nella prima parte dell’avventura le location accessibili sono molto poche, le fasi dedicate al cammino di Doe risultano assai ripetitive e monotone. Per ravvivare ciò, pero, gli sviluppatori di Arrowiz hanno dotato l’investigatore di un potere sovrannaturale attraverso il quale può letteralmente entrare nella mente del proprio interlocutore e persuaderlo a collaborare. Instaurata una connessione mentale, il detective gioca fondamentalmente una partita a carte con l’interrogato di turno, dove lo scopo è quello di azzerare i suoi punti salute. Per riuscire in tale impresa, il giocatore è chiamato a scegliere uno dei vari mazzi posseduti da Doe, ognuno dei quali favorisce un diverso tipo di approccio: se per esempio il primo è indicato agli scontri uno contro uno, il secondo favorisce l’eliminazione di più bersagli, anche perché nella maggior parte delle persuasioni bisogna vedersela non solo con l’interrogato, ma anche con qualche demone intenzionato a far fallire l’operazione. Seppur simpatica, la trovata di Arrowiz convince solo a metà, in quanto il segreto per vincere le sfide neurali non risiede tanto nella strategia o nella personalizzazione dei mazzi, quanto nella casualità: se con alcuni deck è praticamente impossibile ottenere la vittoria in determinati duelli, ve ne sono altri in cui sembra quasi di avere il pilota automatico. Selezionare il giusto mazzo all’inizio dello scontro è insomma l’unico vero requisito per completare l’intrusione mentale con successo. Per la gioia di coloro a cui non piacciono i card game, lo studio Arrowiz ha comunque abilitato la possibilità di saltare gli scontri neurali dopo tre fallimenti, senza incappare in alcuna penalità o malus. Per quanto riguarda il combattimento vero e proprio di Mato Anomalies, esso sarà disponibile una volta individuate nuove fenditure dimensionali. Infatti a questo punto le fasi investigative cedono il passo all’esplorazione dei dungeon, che fondamentalmente consistono in lunghi corridoi abbastanza lineari e stracolmi di nemici visibili a schermo da abbattere per potersi spianare la strada verso l’uscita e l’immancabile boss del Covo. La fight avviene rigorosamente a turni e il sistema di combattimento consente di schierare in campo un massimo di quattro lottatori, i cui punti salute sono però condivisi. Anziché avere tre barre HP distinte, la squadra ne ha una soltanto, e dal momento che l’utilizzo delle tecniche speciali non richiede alcun punto magia, ma è soggetto a tempi di cooldown talvolta anche lunghi, è molto importante pianificare le proprie mosse e scegliere il momento adatto per ricorrere alle abilità di guarigione. Dovendo prestare attenzione a debolezze e resistenze di ciascun nemico, Mato Anomalies offre insomma una apprezzabile quanto impegnativa componente strategica, che se sfruttata a dovere semplifica persino gli scontri sulla carta più impegnativi. A questo proposito segnaliamo che lo studio cinese ha preferito implementare un selettore di difficoltà, che permette di modificare in qualsiasi momento il livello di sfida e adattarlo alle necessità del giocatore. Fra le tre opzioni disponibili (Facile, Normale e Difficile), durante la nostra lunga prova su Xbox Series X abbiamo scelto il livello intermedio, che solo in poche occasioni è incappato in qualche picco di difficoltà neanche troppo elevato. Peccato soltanto che la rosa degli antagonisti sia abbastanza carente dal punto di vista della varietà, ragion per cui purtroppo ci si ritroverà a dover affrontare legioni di nemici comuni quasi sempre uguali.

Sul piano artistico e tecnico, Mato Anomalies vive di un dualismo costruttivo difficile da non individuare praticamente subito. Il lavoro svolto dai ragazzi di Arrowiz è molto interessante sul piano dell’ispirazione e delle concezione artistica. Da vedere, infatti, Mato Anomalies è un prodotto che funziona, pur senza alcun tipo di magia creativa, che fa del “dualismo” cromatico la sua arma migliore, un dualismo generato dalla continua mescolanza tra l’oscurità di una città che sembra bloccata in una notte continua, illuminata però dalle luci dei negozi e delle case che hanno un peso specifico diametralmente opposto all’oscurità di cui parlavo poco sopra. Questa scelta di art design viene appoggiata anche dalla scelta di avvalersi di un cel-shading che funziona molto bene e che, anzi, riesce ad amplificare ancora di più il contrasto tra i colori forti dei personaggi e delle strutture in generale rispetto agli sfondi più oscuri e meno “violenti” sul piano cromatico. Anche il design dei cast è molto interessante. Arrowiz ha svolto un ottimo lavoro in tal senso, creando un insieme di personaggi, sia tra quelli principali sia tra i comprimari e tra gli antagonisti, che non hanno nulla da invidiare alle migliori produzioni animate. Da questo punto di vista, per quanto le mappe siano comunque molto piccole e poco “aperte” il lavoro svolto dal team di sviluppo è decisamente vincente, soprattutto se si considera la parte più “umana” del mondo e non quella cognitiva. Nel mondo “nascosto”, infatti, si ha la sensazione che i covi e in generale le mappe siano troppo ripetitive e poco ispirate, così come il design dei mostri che vivono al loro interno, tutti complessivamente abbastanza anonimi e poveri di particolari. La complessiva buona riuscita del comparto artistico, però, si scontra con quella tecnica, che non ci ha entusiasmato particolarmente. Per quanto complessivamente “stabile” nella sua fruizione, Mato Anomalies è un prodotto tecnicamente superato e poco performante. Tempi di caricamento lunghi e molto frequenti, anche per effettuare piccoli spostamenti, e in generale una povertà complessiva in termini di pixel danneggiano Mato Anomalies mettendo a nudo il suo sviluppo “limitato”. Purtroppo è un peccato, anche perché la scelta di affidarsi a una sorta di stile “manga” in alcune cutscene e nelle fasi di dialogo è sicuramente una trovata molto originale e che si sposa alla grande con lo stile anime dell’opera, ma che viene in qualche modo messo in cattiva luce proprio dalla veste eccessivamente minimal ed essenziale del resto del pacchetto. Discorso molto simile anche per il comparto sonoro, che risulta essere troppo anonimo. Le tracce che accompagnano il viaggio di Doe si contano sulla punta delle sita e sono sempre poco ispirate. Sufficiente il doppiaggio inglese, che non si eleva verso nessuna vetta clamorosa e che si limita a svolgere in maniera discreta il proprio compito, senza alcun tipo di picco o colpi di genio vari. Buoni i sottotitoli in italiano che faranno la gioia di chi non mastica la lingua d’oltre Manica. In conclusione, Mato Anomalies nonostante i difetti sopra elencati e un comparto tecnico decisamente vecchio, riesce a difendersi grazie a una buona giocabilità e a una narrativa tanto criptica quanto capace di incuriosire. La doppia anima un po’ gioco di carte, un po’ Jrpg con tantissimi dialoghi e le innumerevoli tematiche mature, sono gli ingredienti che riescono a mantenere Mato Anomalies su buoni livelli nonostante una grafica nata vecchia e un sonoro fin troppo anonimo. Insomma, ci troviamo dinanzi a un titolo in grado sicuramente d’intrigare ma che non riesce a stupire del tutto.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise

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