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Economia e Finanza

Il mercato delle auto usate in Italia nel 2023

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La crescita del mercato delle auto usate in Italia sembra confermata anche per il 2023, visto che, secondo i dati provenienti dall’UNRAE (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), già nel mese di maggio ha riscontrato un incremento del 9,6% rispetto all’anno scorso. Aggiungendo al calcolo anche le minivolture, ovvero le automobili usate che sono acquistate da concessionarie che offrono il servizio usato, come ad esempio Romana Auto, per essere rivendute al cliente, il dato sale fino a superare il 12%.

Sempre più italiani, quindi, sembrano preferire l’usato, per ragioni di risparmio ma anche di sostenibilità ambientale. Scopriamo di più in merito all’argomento.

Regioni in cui si acquistano più auto usate

Secondo un’analisi di ACI (Automobile Club Italia), rispetto allo scorso anno, nel 2023 in Italia si sono firmati il 9,6% in più di passaggi di proprietà: per l’esattezza, 242.842 nel mese di giugno. Un numero sempre maggiore di persone preferisce l’usato, anche se il bilancio rimane positivo anche sui nuovi acquisti. I dati diffusi da UNRAE, infatti, mostrano che alla fine del mese di giugno 2023 erano già state chiuse più di 138 mila immatricolazioni, con un incremento, anche qui, del 9,2% rispetto al 2022.

La crescita del mercato delle auto usate in Italia però risulta più esponenziale rispetto al trend degli ultimi anni, che vede sempre in testa per numero di trasferimenti la Lombardia (+15,6%). A seguire troviamo il Lazio, che vede una particolare concentrazione di auto usate Roma, e solo al terzo posto la Campania, che rappresenta anche una delle regioni in cui l’acquisto di veicoli usati risulta più vantaggioso in termini economici.

Auto usate più comprate nel 2023: tipologie e modelli

Anche i dati sulle tipologie e i modelli di auto usate più acquistati dicono molto sulla situazione odierna nazionale e internazionale. I trasferimenti di macchine alimentate a metano hanno subito un drastico calo, a seguito degli aumenti del costo del gas a cui il Paese è stato soggetto negli ultimi tempi.

Al contrario, rispetto all’anno scorso c’è stato un incremento del 4% sulla vendita di auto elettriche usate: l’attenzione alla sostenibilità e a fare scelte più green è una realtà sempre più diffusa. E ce ne accorgiamo anche da altri dati: continuano ad essere le più scelte le auto alimentate a diesel e benzina, ma l’incremento maggiore si è riscontrato per i veicoli ibridi.

Per quanto riguarda le tipologie più acquistate, invece, al primo posto troviamo i SUV, le utilitarie sportive: con la loro combinazione di design, praticità e prezzo, restano ancorate al podio. Anzi, aumentano il distacco passando dal 35% del 2022 al 42,8% di quest’anno.

A seguire crossover e berline, mentre con un distacco piuttosto definito troviamo più in basso le station wagon e le monovolume. Solo dopo arrivano le city car.

E quali sono i modelli di auto usate più richiesti, invece? Fiat rimane in testa con la Panda, mentre a completare il podio troviamo la Renault Clio e la Toyota Yaris.

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Agricoltura, decreto fotovoltaico: sì ai pannelli solari sui terreni coltivati, ma solo se sollevati

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Sì ai pannelli solari sui terreni coltivati, ma solo se sollevati da terra, in modo da permettere l’attività agricola sotto.

Gli impianti potranno anche essere realizzati in cave e vicino ad autostrade. Sono fatti salvi anche i progetti previsti dal Pnrr e quelli che hanno già presentato l’istanza per la realizzazione. E’ questa la decisione presa dal Cdm sul punto più spinoso del Decreto di aiuti al settore agricolo che il ministro Francesco Lollobrigida ha portato oggi in Consiglio dei ministri. “C’è stata grande serenità – ha detto Lollobrigida al termine della riunione – col collega dell’Ambiente Pichetto su un norma del 2021.

Dopo quattro anni poniamo fine alla installazione selvaggia di fotovoltaico a terra, ovviamente con grande pragmatismo. Abbiamo scelto di limitare ai terreni produttivi questo divieto, quindi nelle cave e nelle aree interne ad impianti industriali si potrà continuare a produrre queste agroenergie. Il tutto a salvaguardia dei piani Pnrr che non intendiamo mettere in discussione in alcun modo”. L’obiettivo, ha poi aggiunto, è quello di non sottrarre all’agricoltura terreni di pregio. La bozza del provvedimento prevedeva di fatto un divieto per l’agrivoltaico, cioè il fotovoltaico sui terreni agricoli: “le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”.

Un divieto chiesto da tempo a gran voce da Coldiretti. e sostenuto con convinzione dal ministro Francesco Lollobrigida. Sembra anzi che il titolare dell’Agricoltura considerasse lo stop come il punto più importante del suo decreto di aiuti. Il problema è che l’agrivoltaico è considerato invece strategico dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, per sviluppare le fonti rinnovabili in Italia. Il Mase a febbraio ha varato un decreto che stanzia 30 milioni all’anno per vent’anni per questo settore. L’obiettivo è di arrivare a oltre 1 Gigawatt di potenza installata già nel 2026. Quando la bozza ha cominciato a girare la scorsa settimana, il Ministero guidato da Gilberto Pichetto ha fatto subito sapere che il divieto dell’agrivoltaico “non era condiviso”. Il ministro non ha gradito la fuga in avanti del collega, che evidentemente aveva deciso sulla materia senza consultarlo, nonostante fosse anche di sua competenza. Dalla fine della scorsa settimana, è partita una trattativa fra i due ministeri per arrivare a un compromesso. Raggiunto in Cdm.

“Rafforziamo il ruolo del commissario per la siccità Nicola Dell’Acqua, che ha predisposto un piano straordinario e lo autorizziamo a svolgere gli interventi di urgenza per riuscire a efficientare il sistema idrico italiano”. Così il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, illustrando il decreto varato in Consiglio dei ministri, dove è stato audito il governatore della Sicilia Renato Schifani. Serve una “pianificazione per affrontare in termini infrastrutturali una criticità ormai ciclica – ha aggiunto -: la siccità non è un’emergenza, ogni cinque anni circa colpisce in modo devastante il nostro territorio, in questo caso la Sicilia ma è capitato ad altre regioni. Con il cambio climatico gli effetti rischiano di aumentare”.

Su proposta del ministro per la Protezione civile Nello Musumeci, il Governo ha deliberato lo stato di emergenza nazionale per 12 mesi, in relazione alla situazione di grave deficit idrico in atto nel territorio della Regione Siciliana. È stato anche deliberato un primo stanziamento di 20 milioni di euro per consentire alla Regione di far fronte all’attuazione degli immediati interventi.

“Diamo la possibilità di ampliare il ruolo di guardia venatoria alle associazioni legittimate allo svolgimento dell’antibracconaggio e del controllo dello svolgimento regolare di tutte le attività previste per legge”, dice il ministro Lollobrigida. “Questo – ha spiegato – ampia lo spettro delle associazioni che potranno avere, con una certificazione che deve essere data a coloro che svolgono questa funzione, il controllo in particolare dell’antibracconaggio, che è l’elemento sul quale auspichiamo si muovano le guardie che hanno questo tipo di configurazione”.

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Economia e Finanza

Quale futuro per i diritti dei lavoratori? intervista al professor Alberto Lepore, professore associato di diritto del Lavoro

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Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.

Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.

La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese?
Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente.
Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società.
Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.

Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi.
Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni?

Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto.
La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole.
Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro.
Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione.
C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato.

Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni?
Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione.
L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro.
Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta.
D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale.
È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare.

Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri?
A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle.
Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.

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Castelli Romani

Banca Popolare del Lazio, il 4 maggio c’è l’assemblea a Castel Gandolfo

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Il prossimo sabato 4 maggio 2024, alle ore 10 presso il Centro Mariapoli Internazionale, Via
S. Giovanni Battista de la Salle a Castel Gandolfo si terrà l’assemblea dei soci della Banca Popolare del Lazio per deliberare su argomenti molto importanti.

Nello stesso giorno a Velletri si tiene la Festa della Madonna delle Grazie e processione dei Ceri nel pomeriggio. Ma sicuramente i soci interessati alle attività e assemblea della Banca troveranno comunque il modo di partecipare.

L’Articolo 6 del regolamento assembleare Bpl dice chiaramente che “gli aventi diritto possono intervenire su ciascuno degli argomenti posti in discussione una sola volta, facendo osservazioni, chiedendo informazioni e formulando eventuali proposte. La richiesta può essere avanzata fino a quando il Presidente non abbia dichiarato chiusa la discussione sull’argomento oggetto della stessa. Coloro che intervengono hanno altresì diritto di replica”.

Gli argomenti all’ordine del giorno sono, tra gli altri:

Presentazione del Bilancio di esercizio al 31.12.2023, proposta di ripartizione dell’utile e di
determinazione del valore di rimborso delle azioni per i casi di scioglimento del rapporto sociale; proposta di determinazione dell’ammontare complessivo da destinare a scopi di beneficenza, assistenza e di pubblico interesse, proposta di determinazione del compenso degli amministratori, acquisto e disposizione di azioni proprie, nomina di 3 Sindaci effettivi e 2 Sindaci supplenti e designazione del Presidente del Collegio Sindacale, fissazione degli emolumenti dei membri del Collegio Sindacale, nomina di 5 Probiviri effettivi e 2 Probiviri supplenti.

Dopo un lungo periodo dove le assemblee ancora si continuavano a tenere in remoto per via del Covid, e succedeva fino a poco tempo fa, oggi si svolgono di persona e sarà dunque un’occasione di confronto e partecipazione democratica.

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