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di Paolino Canzoneri
PALERMO – I Finanzieri del nucleo speciale di Polizia valutaria questa mattina hanno sequestrato beni dal valore di oltre 2 milioni di euro appartenenti a due costruttori mafiosi del capoluogo siciliano Francesco e Vincenzo Graziano, boss del quartiere Acquasanta.
L’ordine è partito dal GIP Fabrizio La Cascia a seguito di indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Al reciclaggio e trasferimento fraudolento dei beni sembra abbiano collaborato dei complici fra cui l’avvocato Nicolò Riccobene, il direttore di una agenzia dell’ex Banca di Roma M.S. e il notaio G.G. Disposta dal Giudice per le indagini preliminari il divieto di dimora nella provincia palermitana per i due costruttori mentre per il notaio sono scattati gli arresti domiciliari con l’accusa di associazione mafiosa con la conseguente interdizione e il divieto di esercizio della professione. Per l’avvocato Riccobene oramai 72enne il GIP ha disposto la sospensione temporanea dall’albo professionale con l’accusa di favoreggiamento.
Ad inchiodare l’avvocato Riccobene, abbastanza noto a Palermo, alcune intercettazioni che avrebbero rivelato la sua collaborazione quale “messaggero” del boss Graziano e sembra che il suo ruolo si sia spinto pure nel recuperare somme di danaro riciclate per conto del clan. Dalle indagini sembra emergere che i due fratelli Graziano abbiano immesso nel circuito legale degli immobili acquistati grazie a solvibilità proveniente dall’associazione mafiosa. Un giro di cessioni di beni attraverso compravendite tra amici, parentela e prestanome con la complicità compiacente del direttore di banca che opportunamente avrebbe concesso i mutui necessari per estinguere i pagamenti. Gli inquirenti hanno potuto cosi esaminare tutto il carteggio relativo ai contratti bancari scoprendo che dal luglio del 2007 fino al marzo del 2008 l’istituto bancario aveva concesso l’erogazione di 14 operazioni finanziarie del valore circa di 250mila euro cadauna consentendo alla famiglia mafiosa dei Graziano di poter disporre di un credito da capogiro di circa 3milioni e 310mila euro giustificato nella documentazione fiscale da redditi inesistenti atti a simulare regolari acquisti di immobili nuovi nell’apparenza ma già a disposizione della famiglia.