Africa, emergenza migrazione: la Cina segna la strada da percorrere

Fino agli anni ’60 / ’70 le imprese europee colonizzavano l’intero territorio africano. Dal 1970 in poi, sono seguiti gli anni di decolonizzazione e gli spazi sono stati occupati massicciamente dalle imprese cinesi. Nel 2000, dopo la nascita del Forum Economico Cina-Africa, Pechino, in maniera molto lungimirante, decideva di investire miliardi di dollari con ingenti finanziamenti da impegnare nella costruzione di infrastrutture primarie nei paesi africani, come ponti, strade, scali portuali e aeroportuali. E l’Europa, pur essendo la settima potenza industriale mondiale, pur godendo di relazioni diplomatiche con molti di questi paesi africani, a oggi non sembra aver capito l’occasione che il continente africano le può offrire.

Il problema “immigrazione” non si risolve con slogan oppure proclami. La Cina segna la strada da percorrere

La Commissione europea, dibattendo sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi nell’ambito dell’agenda europea sulla migrazione, tenuta il 7 giugno 2016, verso la conclusione, si è così espressa: “Gli strumenti di cui dispone l’UE per gestire la migrazione non bastano per ottenere un impatto reale”. C’è dell’imprecisione in questa dichiarazione. Non sono gli strumenti che mancano bensì le idee, i veri progetti. In quella Commissione si stava dibattendo per l’ennesima volta sul “Migration Compact” progetto dell’allora governo Renzi. Un anno dopo, il 13 luglio 2017, l’Europa tornava su quell’idea italiana e il Parlamento europeo, in seduta plenaria, approvava in via definitiva il programma dell’UE da 3,3 miliardi di euro. Gli investimenti stimati da impegnare in Africa per il progetto ammonterebbero a circa 62 miliardi ma l’Europa, come al solito, al momento si è fermata e ha rimandato ogni decisione al riguardo per un prossimo futuro.

L’Africa non può aspettare

Quello che l’Europa non ha capito è che l’Africa non può aspettare, si è messa già in movimento e la Cina le porge sempre di più la mano allargando la sua influenza. Lo scorso 15 giugno 2018, nel loro breve incontro, Macron sembra avere prospettato a Conte la solita soluzione degli hotspot nei paesi africani. Questa soluzione è stata altre volte dibattuta e da molti scartata perché è solo una soluzione palliativa ed in più, gli hotspot non sono ben visti dai paesi che dovrebbero ospitarli.

Sulle previsioni pesa sempre lo scetticismo della Commissione e cioè che gli strumenti della UE non bastano

A rafforzare il timore dei commissari ci sarebbero due economisti dello sviluppo, Michael Clemens e Hammah Postel, estensori del documento “Deterring Emigration with Foreign Aid”, un’indagine di “Evidence from Low Income- Countries”, avanzano la tesi: “Lo sviluppo economico nei paesi a basso reddito aumenta generalmente la migrazione” C’è del vero nella loro teoria, non sono gli aiuti economici, bensì la fornitura di strutture e il know how, ovvero l’assistenza di carattere tecnico-industriale, del resto è ciò che sta facendo Pechino. Il Fondo Fiduciario per l’Africa, fondo da 1,9 miliardi di euro, lanciato nel 2015 al vertice maltese a La Valletta, oltre a non godere la fiducia piena dei membri del Parlamento Europeo, i quali mettono in guardia circa la deviazione dei fondi verso i regimi autoritari per arginare i flussi migratori, è inoltre da più parti criticato per i suoi fini dubbi e la sua poca trasparenza. Inoltre la mancanza di chiare linee guida su come accedere ai fondi disponibili rende l’operazione molto rischiosa. Forse anche per questi motivi che calano di quasi un quinto gli aiuti dell’Unione Europea a quindici verso i paesi dell’Africa sub sahariana. Molti dei paesi UE hanno ultimamente ridotto drasticamente la percentuale della spesa pubblica destinata agli aiuti per l’Africa. Molti hanno destinato una percentuale inferiore a quella del 2004 e fra questi figurano la Francia, la Danimarca, la Grecia, l’Olanda e la Spagna.

Mani sbagliate per gli aiuti finanziari

In cima a tutti questi ragionamenti rimane sempre il fatto che si parla principalmente di aiuti finanziari che spesso e volentieri finiscono nelle mani sbagliate. A tutto ciò ci si aggiunge la farraginosità dei partner che operano sul campo degli aiuti umanitari, convogliati attraverso 200 tra organizzazioni e agenzie e tra cui spiccano le organizzazioni non governative (ONG), le organizzazioni internazionali, le società della Croce rossa e le agenzie dell’ONU, il tutto gestito da Echo, la direzione per gli aiuti umanitari.

Domenica 24 giugno 2018 si è tenuto a Bruxelles l’ennesimo incontro

Un mini-summit inizialmente nato a otto e dopo il chiarimento del governo italiano che non intendeva firmare bozze già predisposte anticipatamente, la Merkel ha accantonato quel documento ed allargato il mini-summit a 16. L’esito di questo summit non è risultato alquanto incoraggiante e nulla di concreto si prevede per il Consiglio europeo in vista per i prossimi 28 e 29 giugno. C’è molto poco da sperare, usciranno da quel Consiglio i soliti piani quinquennali-progetti-attese-delusioni. L’Africa ha impellente urgenza di raggiungere l’obiettivo per consolidare il progresso economico e lo sviluppo degli ultimi anni. Il Sud Africa è il Paese più sviluppato del continente africano, garantisce un sistema legale e giudiziario, attua una politica di attrazione degli investimenti esteri, oltre naturalmente, a godere di una posizione strategica. Altri cinque paesi dell’Africa australe – Botswana, Lesotho, Namibia, Sudafrica e Swaziland hanno già stretto accordi commerciali con l’UE. C’è da augurarsi che l’Europa che gode di contatti diplomatici con tante realtà africane e la Cina, paese più interessato con i suoi investimenti in Africa, si uniscano in un unico progetto per finanziare ed incrementare lo sviluppo e favorire l’occupazione ed il risveglio del Continente. Per combattere lo scetticismo della stessa Commissione UE, per rimediare alla farraginosità del sistema nel distribuire finanziamenti, sussidi ed aiuti umanitari, ci vorrebbe il coinvolgimento dell’Onu per definire le priorità mentre la sorveglianza e la distribuzione verrebbe affidata alla Banca africana di sviluppo. In questo modo l’Africa si riapproprierebbe del proprio obiettivo mentre per le risorse finanziarie si occuperebbe l’eventuale progetto UE-Cina. L’Africa è un grande paese, ricco e prosperoso ma nel frattempo, sfruttato e martoriato. E’ un paese ferito. Chiede solo di potersi incamminare verso un suo futuro. L’Europa con la Cina la potrebbero accompagnare nel suo cammino.

Emanuel Galea




Immigrazione: dalla padella africana alla brace italiana

Sogni di paradisi lontani: quanti falsi miti, quanti venditori di sogni e quanti ingenui che rincorrono miraggi nella terra del bengodi, lasciandosi dietro “Cieli infiniti e volti come pietra, mani incallite ormai senza speranza.” Salutando frettolosamente la terra amata, abbandonano i loro paesi inconsapevoli di finire in una situazione peggiore di quella che lasciano.

 

Mancanza di fiducia nel loro domani: Mentre attraversano il mediterraneo con i loro zaini pieni di sogni, lasciano alle loro spalle un vasto continente ricco di risorse idriche, forestali, minerarie ed energetiche come petrolio e gas naturale. Solamente che tutta questa “ricchezza” è mal distribuita sull’intero territorio e il più delle volte non coinvolge la popolazione locale nel ricavo economico. Interi territori presentano le migliori condizioni per l’energia pulita come  quella solare, quella  idroelettrica e la eolica, energia che ben sfruttata potrebbe concorrere all’irrigazione delle coltivazioni, che in Africa abbondano.

 

Dategli la canna per pescare non il pescato: Uno dei tanti aiuti che si possono dare “a casa loro” potrebbero  essere dei finanziamenti e progetti per sfruttare questa energia  e renderla accessibile alle piccole iniziative, concedendo  maggiore partecipazione alla giovane imprenditoria  locale  per disincentivarli ad abbandonare la loro terra.

 

Terre da mille opportunità:  Scorrendo alcuni dati dell’Economia dell’Africa e Povertà in Africa,  si scopre che il Kenya è la  terza economia dell’Africa  subsahariana dopo Sudafrica e Nigeria. Nel quinquennio 2002-2007 il Kenya ha avuto uno balzo nella crescita dal 3,5%  al 6,5%  annuo. Un risultato di tutto rispetto. Chi ha beneficiato di queste risorse? E’ facile indovinare. Il 60% di queste risorse sono andate  in mano al 2% della  popolazione. Non considerando una piccola percentuale di classe media,  l’83% della popolazione non ha migliorato la sua posizione sociale perché è stata  esclusa dalla divisione della nuova ricchezza. Questo dato ci dice che i giovani non fuggono dalla povertà bensì dalla mala distribuzione delle risorse. I vantaggi economici che offre il Continente lo hanno ben capito la Russia, la Cina, l’India ed il Brasile, paesi che stanno investendo  miliardi di dollari in Africa per assicurare le risorse naturali necessarie alla loro economia e nel contempo affermare la loro influenza politica. Si calcola che entro il 2020, grazie anche al dinamismo del Sudafrica, il Pil del Continente raddoppierà. Quanto appena detto, rende difficile capire perché si preferisce di emigrare in Europa e non sfruttare le prospettive che offre loro il Continente.

 

Africa terra di conquista: I paesi della fascia subsahariana rappresentano una realtà straordinariamente dinamica e promettente. L’agricoltura costituisce il settore trainante  dello sviluppo economico africano. L’arrivo sul territorio di nuove tecnologie ed infrastrutture  è dovuto alla  crescita degli investimenti stranieri, maggiormente provenienti dai paesi emergenti dell’area asiatica e dell’America Latina.

 

L’immobilismo dell’Europa in ritardo con i tempi: E’ imbarazzante l’immobilismo dell’Europa in tutto questo scenario mentre  il proprio  interesse sarebbe  partecipare più attivamente allo sviluppo dei paesi della fascia subsahariana da dove partono principalmente i migranti che arrivano sulle coste italiane. Tante vite sono state salvate nel mediterraneo dalle Ong. Meglio farebbero ad aiutare i giovani africani a non lasciare i paesi d’origine, evitando loro“ l’inferno” nei centri di accoglienza in Libia. Le suddette organizzazioni umanitarie potrebbero offrire loro consulenze  ed attività sindacali , dandogli altresì istruzioni sul come utilizzare le nuove tecnologie senza dover spostarsi dal proprio paese. La Costa d’Avorio con la sua prospera economia e grandi potenzialità merita ogni cooperazione dell’Europa , delle istituzioni internazionali e non solo.

 

“Da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni” (Karl Marx): Le Ambasciate, i Consolati e anche i Nunzi Apostolici,cioè i rappresentanti diplomatici permanenti della Santa Sede presso gli Stati,  potrebbero, secondo  chi scrive, incoraggiare  quei giovani a non abbandonare il loro paese , al contrario convincerli di rimanere  per accompagnare  il processo produttivo, lottare  reclamando migliori condizioni sociale, contribuire  a fare  progredire la vita della loro comunità. Guardare al futuro con più fiducia anziché accontentarsi di raccogliere i pomodori in terra altrui a condizioni degradanti. Quello che si è detto della Costa d’Avorio si può tranquillamente dire della Repubblica Democratica del Congo. Il Congo è anche esso ricchissimo di risorse naturali, forestali e minerarie. Dopo il Sudafrica ha l’economia più industrializzata del Continente. Rimane sempre il terzo produttore mondiale di diamanti. L’agricoltura anche qui gioca una parte molto importante dell’economia ed eccelle in silvicoltura,l’allevamento del bestiame e la pesca. Nell’agricoltura trovano lavoro il 75% della popolazione e il settore contribuisce per il 40% al Pil.

 

Le previsioni per il suo sviluppo sono molto incoraggianti: Non si spiega, anche qui, la voglia di espatriare di questi giovani che arrivano sulle coste italiane. L’Africa ha altri paesi come questi e ciò dimostra che“ il diavolo non è così brutto come lo si dipinge”.  In fin dei conti la “padella africana” non si discosta molto da altre “padelle italiane”.

 

È ora che le parole lascino spazio ai fatti: L’Europa come istituzione dovrebbe fare TUTTO nel suo potere affinché il migrante non arrivi in Libia. Lo dovrebbe fare  l’Europa, e non capisco perché si pretende lo debba fare  l’Italia da sola.

 

L’inconsistenza della politica estera europea: Occorre investire nei paesi subsahariani  come lo stanno facendo i paesi emergenti,  evitando a coloro che sognano “paradisi oltre il  mediterraneo” di passare dalla padella africana allo sfruttamento della brace italiana.

Emanuel Galea




OBAMA IN AFRICA INCONTRA LA SUA FAMIGLIA. FOTO E RACCONTO DI QUEI MOMENTI COSI' INTIMI

di Angelo Barraco
 
Nairobi – Le radici sono forti, sono un legame indissolubile che vanno al di là del potere che si ha e quando c’è la voglia di riabbracciare un nonna o una sorella che vivono lontano, in un pezzo di mondo in cui la vita non è facile, dove il sacrificio è all’ordine del giorno e dove si lotta per la vita, per l’acqua e si rischia di morire per malattie e talvolta anche di fame, il potere non conta nulla. Ieri Barack Obama ha incontrato la sorella Auma, con la quale vi è stato un abbraccio commovente e poi ha cenato con la nonna “Mama Sarah”. “Se un albero dovesse scrivere la propria autobiografia, questa non sarebbe troppo dissimile da quella di una famiglia umana” decantò lo storico scrittore Kalhil Gibran. 
 
 
Dopo il commovente incontro con la famiglia, Obama ha incontrato oggi svariati imprenditori a Nairobi e a gran voce ha esclamato che la povertà in Africa sta diminuendo e i redditi stanno salendo e che la classe media è in crescita. Ma il presidente oggi ha tante visite da fare, tanti luoghi importanti da visitare, come il memoriale dell’attentato all’ambasciata Usa del 1998 e avrà un colloqui con il presidente Kenyatta in merito alla sicurezza. Ma Obama è ottimista e lo dice con fermezza e orgoglio alla platea citata poc’anzi che il Kenya sta crescendo e fa progressi e che per lui è motivo di fierezza. Ma il presidente si aspetta ovviamente ulteriori miglioramenti al fine di una crescita sempre maggiore e questo lo sottolinea, come sottolinea anche che l’Africa deve essere “il motore della crescita globale” e ha aggiunto che se le donne lavorassero e contribuissero alla vita economica del paese, la situazione potrebbe sicuramente cambiare. 
 
 
Obama vuole promuovere valori e per farlo vuole raggiungere una terra di cui si parla poco, l’Etiopia. Una terra in cui la Cina è già arrivata. In un’intervista alla BBC aveva dichiarato, con orgoglio e grande determinazione, che sarà “il primo presidente degli Stati Uniti non solo a visitare Kenya ed Etiopia – ha detto in un'intervista rilasciata alla Bbc poco prima di partire dagli Usa – ma a rivolgermi al continente intero, sull'onda del summit africano che è stato storico e che ha, credo, rafforzato i rapporti già solidi che abbiamo nel continente”. Obama parlerà inoltre con la platea del Global Entrepreneurship Summit e incontrerà il presidente Uhuru Kenyatta, che avrà il compito di siglare accordi che facilitano investimenti in Kenya per le società americane. La Cina lo ha già fatto ma Obama sottolinea “Vediamo con favore gli aiuti cinesi in Africa. Crediamo sia una cosa buona. Non vogliamo scoraggiarli – ha detto ancora Obama – ma quello che mi preme è assicurare che i benefici arrivino anche ai comuni cittadini e non siano solo per pochi. Credo quindi che possiamo dare forma ad un'agenda in cui Cina, Europa e Stati Uniti lavorino insieme su queste questioni”. Poi la delicata questione dei diritti umani “Non sono un fan della discriminazione di nessuno, sulla base di razza o religione o orientamento sessuale o genere” ribadisce il presidente. Poi cena con circa 30 persone con Obama al centro e al lati, la nonna “Mama Sarah” e la sorella Auma Obama. 



FORMIA: L'AFRICA E LA SUA MUSICA SENZA TEMPO

Redazione

C’è chi la definisce un ponte tra la terra e il cielo. Un’arpa a ventuno corde che traduce in musica i miracoli di un continente sterminato. Alla kora, strumento principe della tradizione musicale africana, è dedicato l’ultimo appuntamento del Festival “Tra Oriente e Occidente” promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Formia con la direzione artistica dell’etichetta discografica Finisterre. L’appuntamento è per lunedì 25 agosto alle ore 20.30 presso la Corte Comunale (l’ingresso è gratuito). Sul palco Madya Diebaté e il trio Violacontrakora proporranno uno speciale mix di suoni sospesi tra l’Africa occidentale e il bacino del Mediterraneo.

Madya Diebate è un griot proveniente dalla Casamance, regione nel sud del Senegal, che risiede a Roma da molti anni. E’ un “korafola”, un virtuoso della kora tra i più abili e sensibili della diaspora africana in Europa. Interprete attento della cultura mande, Diebaté suona come solista e in gruppi tradizionali, aperto alla fusione con culture musicali apparentemente lontane, in una sottile linea rossa che unisce il jazz alla musica popolare e alla tradizione orale dell’Africa occidentale. Note che incantano, una musica spirituale e rarefatta. Uno stile griot, su cui si innestano le storie senza tempo di un mondo tutto da scoprire.