Tumori e fattore ereditarietà, con l’esame del DNA si può fare prevenzione. Marina Baldi: ecco come funziona

La prevenzione da malattie che possono essere identificate con largo anticipo grazie all’esame del nostro Dna. Una delle ultime conquiste nel campo della biologia molecolare che vede in prima linea la dottoressa Marina Baldi direttore sanitario di Eurofins Genoma Group Roma, la più grande realtà in questo campo a livello europeo.

Il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 03/06/2021

Esistono famiglie in cui la malattia tumorale è più frequente rispetto al resto della popolazione.  Alcuni tipi di cancro infatti infatti hanno un origine ereditaria cioè sono causati dalla presenza di una mutazione che viene tramandata di generazione in generazione aumentando il rischio delle persone che la possiedono di sviluppare un certo tipo di tumore. Grazie allo studio delle famiglie a rischio alcune di queste mutazioni sono state identificate e si conosce il gene coinvolto e anche il tipo di mutazione ovvero l’alterazione della sequenza del DNA.

La possibilità di distinguere, prima dell’insorgenza della malattia, trattiene la famiglia a rischio a una sequenza normale e chi è portatore della mutazione è importante perché chi non ha la mutazione possiede lo stesso rischio del resto della popolazione mentre chi la possiede ha un rischio molto maggiore di sviluppare la malattia

Officina Stampa del 03/06/2021 – la dr.ssa Marina Baldi spiega le tecniche di prevenzione che si possono attuare con l’esame del DNA

L’identificazione dei portatori della mutazione viene fatta attraverso un test genetico che generalmente a partire da un prelievo di sangue consente di isolare il DNA e di analizzarlo

Nel caso in cui la mutazione presente nella famiglia sia già nota si sequenzia solo la regione del gene coinvolto per accertare la presenza o meno della mutazione

Il risultato del test è positivo se viene trovata la mutazione e le persone che la possiedono potranno entrare a far parte di in un preciso programma di sorveglianza sanitaria per diagnosticare precocemente l’eventuale insorgenza della malattia

Il risultato è invece negativo quando il sequenziamento non rivela la presenza della mutazione cercata, in questo caso il rischio di sviluppare il tumore è simile a quello della popolazione in generale.

Nel caso in cui in una famiglia a rischio non venga individuata la mutazione saranno sequenziati più geni con l’obiettivo di trovare quello mutato e il tipo di mutazione e il risultato del test sarà positivo qualora venga identificata una mutazione in uno dei geni analizzati. In questo caso il paziente viene indirizzato verso precisi protocolli di sorveglianza sanitaria e di prevenzione e ai familiari che lo desiderano viene offerta la possibilità di fare il test.

Il risultato del test è negativo quando nessuna mutazione associata a un rischio maggiore venga invece rilevata.  

Esiste anche un risultato incerto quando si identificano delle mutazioni di cui ancora non si conosce l’effetto sullo sviluppo della malattia. In questi casi la presenza di una storia familiare di predisposizione al cancro indirizza il paziente e i familiari comunque verso una precisa sorveglianza.

Vista la complessità nell’interpretazione di questi dati e le implicazioni di tipo etico per il paziente e i propri familiari legate al conoscere la predisposizione, i test genetici sono gestiti solo in ambito ospedaliero e sono preceduti e seguiti da una consulenza genetica.

La scoperta di geni che quando sono mutati rendono le persone più suscettibili a sviluppare un tumore ha consentito di sviluppare test  per riuscire a individuare i portatori della mutazione prima che sviluppino la malattia. 




Officina Stampa, speciale ricerche delle persone scomparse: dal caso Ragusa, un focus su un fenomeno sociale allarmante

Grande attesa per la puntata della trasmissione web tv OFFICINA STAMPA che andrà in diretta oggi giovedì 1 marzo alle 18. Sarà uno speciale dedicato al delicato tema delle ricerche delle persone scomparse. Avrà come filo conduttore principale il caso di Roberta Ragusa, la donna scomparsa nel 2012 in provincia di Pisa e per il cui omicidio è stato condannato a 20 anni di reclusione il marito, Antonio Logli.

Il prossimo 14 marzo 2018 Logli dovrà presentarsi davanti alla giuria popolare della Corte d’Assise d’Appello di Firenze.

In occasione della trasmissione giornalistica ci sarà un contributo speciale della giornalista pisana di 50 Canale Simona Giuntini che fornirà importanti aggiornamenti di cronaca. Sono passati sei anni dalla scomparsa di Roberta.

Chiara Rai, giornalista e conduttrice del programma Officina Stampa, a due settimane dal processo d’appello sul caso Ragusa trasmetterà in diretta anche un contributo sul caso gentilmente concesso da uno dei cugini di Roberta, Carlo Ragusa.

Gli inquirenti ritengono che Logli abbia ucciso la moglie al culmine di un litigio dopo che la donna aveva scoperto la sua relazione con Sara Calzolaio, l’amante ed ex baby sitter dei figli. E ritengono anche che dopo averla uccisa, Logli, si sarebbe anche disfatto del cadavere nella stessa notte fra il 13 e il 14 gennaio 2012. L’uomo ha sempre respinto ogni accusa sostenendo che la moglie quella notte si sia allontanata volontariamente da casa a San Giuliano. La famiglia continua a non darsi pace. I cugini e gli zii di Roberta aspettano ancora di sapere che fine abbia fatto Roberta

Seguiranno le interviste agli ospiti in studio: il Prefetto Francesco Tagliente all’epoca Prefetto di Pisa, La criminologa Imma Giuliani e lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Mignacca che si sono occupati direttamente del caso Ragusa, la geologa Rosa Maria Di Maggio e l’ingegnere informatico Paolo Reale, Marina Baldi Biologa genetista forense

In particolare, Francesco Tagliente nominato prefetto di Pisa sei mesi dopo la scomparsa, richiesto dal procuratore della Repubblica Ugo Adinolfi, diede attuazione ad una pianificazione delle ricerche a tappeto su tutto il territorio dei 39 comuni della provincia coinvolgendo circa 15 mila uomini in una sola settimana. Ad una delle riunioni settimanali per fare il punto di situazione partecipò anche l’allora Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, Paola Basilone ora Prefetto di Roma. Nonostante il dinamismo del Prefetto Tagliente e la passione e determinazione del personale impegnato nelle ricerche estese anche nel sottosuolo con speciali apparecchiature georadar, quel cadavere non è stato trovato. Nonostante il mancato ritrovamento, i familiari della vittima sono rimasti sempre vicini e grati alle Forze di Polizia per quanto fatto per la propria congiunta




MASSACRO DEL CIRCEO: PARLA LA GENETISTA MARINA BALDI

di Angelo Barraco
 
Roma – Il massacro del Circeo è una di quelle pagine nere della storia italiana che sono indelebili, irremovibili a causa dell’efferata crudeltà messa in atto da Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido ai danni di Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, due ragazze che all’epoca dei fatti avevano rispettivamente 17 e 19 anni. Due ragazze di bell’aspetto e che vivevano in condizioni economiche modeste che vengono portate in una Villa si San Felice Circeo. Ghira, Izzo e Guido torturano per 36 ore le ragazze con bastonate, violenze sessuali. Le chiudono in bagno ed esercitano ripetute violenze fisiche. Rosaria Lopez è morta a seguito dell’immersione della sua testa nella vasca da bagno piena d’acqua che ne ha causato l’annegamento, aveva subito anche numerose violenze fisiche. Donatella Colasanti invece si è salvata perché si è finta morta. Nel 1976 arriva il processo: ergastolo per Izzo, Ghira e Guido. Ma Ghira non c’è poiché si da latitante e fugge nella legione spagnola.  Nel 2004 Izzo ottiene la semilibertà e uccise Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), madre e figlia. Le donne vennero legate, soffocate e sepolte nel cortile di una villetta in provincia di Campobasso. Gianni Guido, il terzo killer del Circeo viene affidato ai servizi sociali in data 11 aprile 2008, dopo 14 anni nel carcere di Rebibbia. E’ evaso dal carcere diverse volte e per 11 anni ha vissuto all’estero, in carcere ha trascorso poco meno di 22 anni. 
 
Oggi il caso può considerarsi ufficialmente chiuso poiché è arrivata la conferma che il corpo sepolto nel cimitero di Melilla appartiene ad Andrea Ghira. La conferma arriva dalla consulenza sui resti del corpo che è stato riesumato in data 15 gennaio 2016 dopo che la Procura ha deciso di riaprire nuovamente il caso e mettere la parola fine su questa orribile vicenda. Il Corriere Della Sera, che ha dato la notizia esclusiva, riporta che la “relazione dei medici legali nominati dall’accusa, i professori Giovanni Arcudi e Giuseppe Novelli, stabilisce con assoluta certezza che il materiale organico analizzato è dell’unico dei tre mostri del Circeo sottrattosi alla giustizia, già prima della sentenza all’ergastolo pronunciata in primo grado nel 1976”. La consulenza conferma quindi l’esito degli esami effettuati nel 2005, Massimo Testa De Andres è Andrea Ghira. 
 
Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo intervistato in esclusiva la Dott.ssa Marina Baldi, Biologa e specialista di Genetica Medica nonché consulente tecnico in materia di genetica forense che è stata contattata dall’Avvocato Chiriatti per conto della famiglia Lopez per seguire la vicenda.
 
– E’ ufficiale, i resti rinvenuti a Melilla sono di Andrea Ghira: I tempi che hanno portato alla tanto attesa conferma sono stati lunghi, come mai?  
Al momento la notizia è solo giornalistica e non abbiamo ancora avuto modo di vedere la relazione tecnica depositata in procura. Comunque le procedure che devono essere utilizzare per l'analisi da ossa sono lunghe e complesse e in questo caso la situazione era peggiorata dal cattivo stato di conservazione delle stesse. È stato quindi necessario un lungo trattamento di decalcificazione che ha preso tanto tempo.
 
– Qual’era lo stato di conservazione delle ossa di Ghira e quali sono state le difficoltà in cui vi siete imbattuti?
Le ossa erano immerse nella terra, quindi lo stato di conservazione era pessimo. Terra, muffe e batteri hanno reso difficile l'estrazione del DNA, che può avvenire solo dopo lunghi periodi di incubazione e lavaggi accurati. Inoltre è stato necessario utilizzare kit di amplificazione tra i più moderni ed efficaci, in grado cioè, di consentire l'ottenimento di profili leggibili anche a partire da campioni degradati.
 
– Che genere di analisi vengono effettuate sulle ossa?
L'analisi effettuata è stata la classica analisi forense del DNA nucleare, che ormai viene eseguita su salme anche scheletrizzate senza problemi interpretativi
 
– Come mai l’esito di 10 anni fa non diede certezza assoluta?
10 anni fa i kit di amplificazione erano meno sensibili e non fu possibile estrarre ed analizzare il DNA nucleare, ma solo il mitocondriale che non serve per l'identificazione personale, ma consente solo di attribuire un soggetto ad una famiglia con una parentela per via femminile.
 
– Quando ha iniziato ad occuparsi della vicenda e in che veste?
Sono stata contattata dall'Avvocato Stefano Chiriatti per seguire la vicenda per la famiglia di Rosaria Lopez, dopo alcuni anni dalla prima esumazione. Preparai una relazione in cui evidenziavo che l'analisi del DNA mitocondriale non era esaustiva,  e tale consulenza fu studiata dalla procura e dai suoi consulenti i quali confermarono le mie conclusioni e concordarono sulla necessità di dover procedere ad una nuova esumazione e a nuove analisi 
 
– Che opinione ha in merito a questa terribile vicenda che ancora oggi è un “nervo scoperto” per l’Italia ma che oggi finalmente ha avuto un epilogo?
Sono contenta che sia finita e che si sia messo un punto fermo su una vicenda che ha sconvolto una generazione, ma rimane l'amarezza che un efferato assassino non abbia fatto nemmeno un giorno di carcere.