Trump vieta l’importazione di sigari e rum da cuba

Gli Usa vieteranno l’importazione di sigari e rum, e proibiranno ai viaggiatori americani di soggiornare in strutture di proprietà del governo cubano: lo ha annunciato #Trump alla Casa Bianca in una cerimonia per ricordare l’invasione della baia dei Porci.

Il fallito tentativo di rovesciare il governo di Fidel Castro con la regia della Cia. La mossa del presidente ha un sapore elettorale, per conquistare l’elettorato ispanico in Florida, uno degli Stati in bilico




Tensioni USA – Iran: Trump pronto ad attaccare

Trump ha promesso una risposta degli Usa “di grandezza mille volte maggiore” a qualsiasi attacco dell’Iran, dopo informazioni di stampa su un presunto piano di Teheran per assassinare un diplomatico statunitense.

Il ministro degli Esteri americano Pompeo ha detto che sta prendendo “seriamente” tali informazioni, tacciate invece come “infondate” da Teheran.

Secondo il sito d’informazione Politico, che cita due funzionari statunitensi in condizione di anonimato, i servizi di intelligence Usa ritengono che il governo iraniano stia prendendo in considerazione il tentativo di assassinare l’ambasciatrice statunitense in Sudafrica, Lana Marks, vicina al presidente Donald Trump. Teheran intenderebbe vendicare la morte del suo potente generale Soleimani, ucciso a gennaio da un attacco americano su ordine di Trump.




Coronavirus: Trump accusa l’OMS di aver dato informazioni false e sospende i finanziamenti

Donald Trump sospende i finanziamenti all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ad annunciarlo lo stesso Presidente USA dopo aver criticato duramente l’Organizzazione che ha “fallito nell’ottenere tempestive informazioni sul coronavirus”.

I finanziamenti americani all’Oms saranno sospesi mentre l’amministrazione conduce un esame su come l’Organizzazione ha gestito il coronavirus, spiega Trump mettendo in evidenza che i contribuenti americani versano all’Oms fra i 400 e i 500 milioni di dollari l’anno. La Cina contribuisce con circa 40 milioni, aggiunge Trump precisando che gli Stati Uniti “nutrono forti dubbi sul fatto che la generosità americana sia stata messa a buon uso”.

“L’Oms – afferma il presidente Usa – ha dato informazioni false sul coronavirus: i suoi ritardi sono costati vite umane” sottolineando che l’epidemia del coronavirus poteva essere contenuta. I piani per la riapertura del Paese sono in via di finalizzazione: “Parlerò a breve con i governatori e autorizzerò ognuno di loro ad attuare il piano per riaprire” a seconda delle particolarità dei singoli Stati. “Alcuni stati potrebbero riaprire prima dell’1 maggio”. 

“Nel mezzo di una pandemia globale – critica il Democratic National Committee – Trump vuole fermare i finanziamenti all’organizzazione incaricata di combattere le pandemie. Trump è pronto a mettere la salute a rischio per cercare di scaricare la colpa dei suoi fallimenti” su altri.




Coronavirus, Cina fuori dal picco dell’epidemia. Trump critica l’Europa

Il presidente Trump accusa l’Europa di essere stata lenta a reagire all’epidemia di coronavirus e blocca per 30 giorni i viaggi negli Stati Uniti dal Vecchio continente, tranne che dal Regno Unito.

Il tycoon ha annunciato altre misure per alleviare la crisi economica causata dalla pandemia: ha promesso un’azione di emergenza per fornire aiuto finanziario ai lavoratori che sono ammalati, in quarantena o che si stanno prendendo cura di altri contagiati. Intanto c’è il primo caso confermato al Congresso americano.

Il picco in Cina dell’epidemia del coronavirus è stato ormai superato: secondo Mi Feng, portavoce della Commissione sanitaria nazionale, i nuovi casi stanno diminuendo nel Paese e l’intera situazione epidemica rimane “a livelli molto bassi”. Mi, durante il briefing quotidiano, ha ricordato che i nuovi contagi a Wuhan, focolaio del Covid-19, sono diminuiti fino ad attestarsi a una singola cifra, con soli 8 casi riportati ieri. Sette sono poi i casi nel resto della Cina, di cui 6 importati dall’estero come “contagio di ritorno”.

La Corea del Sud ha rilevato ieri 114 nuovi casi di contagio, il livello più basso da più di due settimane, portando le infezioni da coronavirus a 7.869.




Usa – Cina, è tregua sui dazi: firmato accordo storico

Donald Trump e il vice premier cinese Liu He hanno firmato il mini accordo commerciale fra Stati Uniti, aprendo di una fatto una tregua nella guerra commerciale in atto. La firma è avvenuta nella East Room della Casa Bianca dove, fra gli altri, sono presenti l’ex segretario di stato Henry Kissinger, il consigliere economico del presidente Larry Kudlow, il segretario al Commercio Wilbur Ross, la figlia-consigliere del presidente Ivanka Trump e il marito Jared Kushner.

L’accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina prevede che Pechino acquisti ulteriori 200 miliardi di dollari di prodotti e servizi americani. La Cina si impegna anche a non lanciarsi in svalutazioni valutarie e a comunicare regolarmente e a consultarsi sul mercato valutario. In base all’intesa a partire dall’1 aprile la Cina consentirà il pieno controllo da parte di società finanziarie straniere.

Trump esulta, ringrazia il presidente cinese Xi Jinping definendolo un suo “grande amico” e ribadisce che in “un futuro non lontano andrà in Cina”. Fra sorrisi e battute parla di un “accordo storico”, di un “importante passo in avanti” verso una relazione più equilibrata fra i due paesi.

“La Fase 1 è un importante passo in avanti verso scambi commerciali corretti con la Cina”, afferma aprendo al cerimonia per la firma del mini-accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina. Trump, definendo la cerimonia “un’occasione straordinaria”, ringrazia il presidente cinese Xi Jinping e dice che andrà in Cina in un futuro non lontano.

I dazi esistenti saranno rimossi se la Fase 2 dell’accordo commerciale con la Cina sarà chiusa, afferma il presidente americano, sottolineando che la Fase 2 inizierà a breve. Secondo Trump, potrebbe non esserci bisogno di una Fase 3 dell’accordo.

L’accordo è buono per la Cina, gli Stati Uniti e il mondo intero, afferma il presidente cinese Xi Jinping in una lettera indirizzata a Donald Trump e letta dal vice premier Liu He nel corso della cerimonia per la firma dell’accordo commerciale fra i due paesi. “E’ un’intesa vantaggiosa per tutti” aggiunge Liu.

Il mini accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina è una “vittoria per le nostre aziende tecnologiche e per i lavoratori americani”, sottolinea il segretario al Tesoro americano.




Donald Trump sotto impeachment: vogliono annullare il voto. Ecco le accuse

Accusato di “abuso di potere” e “ostruzione del Congresso”. Sono questi i due articoli d’accusa per l’impeachment annunciati in conferenza stampa dai democratici. Il presidente americano è accusato di abuso di potere per aver anteposto le sue preoccupazioni politiche agli interessi nazionali e di ostruzione del Congresso per aver cercato d’intralciare le indagini.

Agognava di finir nei libri di scuola come un presidente migliore di Abramo Lincoln. Invece Donald Trump e’ entrato nella storia indossando gli umilianti panni del terzo presidente Usa messo in stato d’accusa con la procedura di impeachment.

Prima di lui sono finiti a giudizio solo Andrew Johnson nel lontano 1868 e Bill Clinton nel 1998. Entrambi sono stati assolti in Senato, come succederà con ogni probabilità in gennaio anche al tycoon, che conta sulla granitica maggioranza repubblicana nella camera alta del parlamento. Richard Nixon invece si dimise nel 1974 prima di essere imputato. Due i capi di imputazione: abuso di potere per le pressioni su Kiev per far indagare il suo principale rivale nella corsa alla Casa Bianca Joe Biden e ostruzione del Congresso per aver bloccato testimoni e documenti. Il voto della Camera e’ arrivato dopo settimane di aspre polemiche e dopo un lungo, a tratti velenoso dibattito in un ramo del Congresso saldamente controllato dai democratici.

Alcuni repubblicani sono arrivati a paragonare l’indagine di impeachment all’attacco di Pearl Harbor o alla crocefissione di Cristo, sostenendo che Ponzio Pilato si e’ comportato meglio con Gesù. Alla fine i due articoli sono stati approvati rispettivamente con 230 e 229 voti, tutti dem tranne tre contrari. Compatto invece il no del Grand Old Party. Ma ora si apre un nuovo fronte di guerra: dopo il voto la speaker della Camera Nancy Pelosi ha annunciato che i due articoli non saranno inviati al Senato finche’ non ci saranno garanzie di un processo giusto in quel ramo del Congresso, finora negate a suo avviso dalle mossa del leader dei senatori Mitch McConnell, che e’ andato alla Casa Bianca per coordinare le strategie e affermato che non sarà un giudice imparziale.

Nel giorno più buio della sua presidenza, il tycoon ha aspettato la votazione prima twittando nel bunker della Casa Bianca e poi tenendo un comizio in Michigan, Stato cruciale per la sua rielezione. E’ li che ha saputo la notizia ma ha reagito come sempre attaccando, osannato dalla folla che gridava “altri quattro anni”. «Non abbiamo fatto nulla di sbagliato. Abbiamo l’appoggio del partito repubblicano”, ha esordito. “Dopo tre anni di caccia alle streghe, bufale, vergogne, truffe, i democratici stasera stanno cercando di annullare il voto di decine di milioni di patrioti americani”, ha denunciato, accusando l’opposizione di “abuso di potere”. “Questo è il primo impeachment dove non c’è un reato”, ha incalzato, convinto che sara’ un “suicidio politico” per i dem. E ha vantato l’unita’ del partito: “non abbiamo perso neanche un voto dei repubblicani e tre democratici hanno votato con noi”. La sua bestia nera resta Nancy Pelosi, cui alla vigilia del voto aveva inviato un’infuocata lettera di sei pagine accusandola di aver “dichiarato guerra aperta alla democrazia americana” con la “crociata” di un impeachment che è “un fazioso e illegale colpo di stato”. Una lettera “ridicola” e “triste”, ha replicato la Pelosi, ammonendo che “se consentiamo ad un presidente, qualsiasi presidente, di proseguire su questa strada, diremo addio alla repubblica e buongiorno al presidente re”. La speaker democratica ha rincarato la dose aprendo il dibattito alla Camera. “Trump non ci ha dato altra scelta.

Il presidente ha violato la costituzione e resta una costante minaccia per la sicurezza del nostro Paese e l’integrità delle nostre elezioni”, ha denunciato, dopo aver letto accanto ad un tricolore americano il Pledge of Allegiance, il giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti. Nel frattempo davanti a Capitol Hill centinaia di attivisti manifestavano a sostegno dell’impeachment, dopo gli oltre 600 tra raduni e marce in varie città di tutti i 50 Stati Usa, a partire da New York. “Che atroci bugie. Questo è un assalto all’America e al partito repubblicano”, le ha risposto su Twitter il tycoon, che mira a galvanizzare la sua base e a trasformare l’impeachment in un boomerang politico contro i democratici. I sondaggi mostrano un Paese spaccato a metà sulla messa in stato d’accusa ma nel frattempo il gradimento del presidente sembra salire, stando all’ultimo sondaggio di Gallup: dal 39% di quando è iniziata l’indagine all’attuale 45%.




Trump vuole comprarsi la Groenlandia ma il Governo Danese frena: “Non è in vendita!”

“La Groenlandia non è in vendita”: così con una dichiarazione ufficiale riportata dai media americani il governo danese commenta quanto scritto dal Wall Street Journal, secondo cui il presidente americano Donald Trump sarebbe interessato a comprare l’isola.
“Siamo comunque aperti al business”, aggiunge però il governo danese con un tweet del ministero degli esteri di Copenaghen, in quella che alcuni leggono come un’apertura verso eventuali investimenti dagli Stati Uniti in Groenlandia, soprattutto sul fronte del turismo. Sull’isola gli Usa sono stati presenti nel tempo con alcune stazioni meteo ed alcune postazioni militari risalenti alla seconda guerra mondiale. Attualmente c’è una grande base militare, la Thule Air Base, che rappresenta l’installazione militare americana più a nord, non lontano dal Circolo Polare Artico.




Caso Huawei-Google, concessa una proroga di tre mesi al colosso cinese

Caso Huawei-Google, gli U.S.A. concedono una proroga di 90 giorni al colosso cinese dell’informatica dopo la rottura.

Nel corso di questi tre mesi, la società asiatica potrà beneficiare di una sorta di tregua da parte degli Stati Uniti, così da poter trovare una strategia di uscita più morbida. Durante questo lasso di tempo non è da escludere che Huawei possa trovare una mediazione con Google e col governo statunitense. La decisione è stata comunicata dal ministero del Commercio americano, e di fatto fa slittare la stretta legale, che ricordiamo comportava l’addio immediato ad Android per i nuovi smartphone del brand asiatico, al prossimo 19 agosto. Per quella data, in ogni caso, non è esclusa una nuova proroga. Anche se questa ipotesi al momento rimane abbastanza remota. Nel frattempo, però, grazie a questa proroga, i possessori di smartphone Huawei possono tirare un primo respiro di sollievo. Chi temeva che a partire da ieri qualsiasi aggiornamento venisse bloccato, oggi sa che almeno fino al 19 agosto questo non accadrà. Quello che succederà dopo è un enigma, anche se c’è la volontà di Google di non abbandonare i suoi utenti. L’impressione, dunque, è che se questa bomba tecnologica è destinata a detonare, farà malissimo a Huawei ma a partire dai prossimi modelli in uscita, e non da quelli già esistenti. Come ha spiegato il Segretario al Commercio, Wilbur Ross, quella concessa a Huawei è una Licenza Temporanea Generale che “concede agli operatori il tempo di prendere altre misure” e autorizza alcune attività necessarie per il funzionamento delle reti e per supportare i servizi mobili esistenti, inclusa la ricerca sulla cybersicurezza “fondamentale per il mantenimento dell’integrità e dell’affidabilità delle reti e delle apparecchiature esistenti e pienamente operative”. Questa tregua, ovviamente, riguarda anche le aziende di microchip come Qualcomm, Broadcom e Intel che ieri – in contemporanea alla decisione di Google – avevano fatto sapere di interrompere le partnership con il colosso di Shenzhen. Relativamente alla componentistica, però, Huawei potrà fare scorta di semiconduttori per prodotti già sviluppati. Mentre per l’acquisizione di microprocessori da destinare a device in fase di progettazione, servirà un’autorizzazione del ministero Usa che appare molto difficile. Perché il documento del governo Usa è abbastanza chiaro: la sospensione riguarda solamente tecnologie già in commercio, mentre rimane in vigore sui nuovi prodotti in fase di sviluppo. Intanto in molti si aspettavano una risposta da Pechino. Invece per ora il governo cinese ha preferito la strada del silenzio. C’è solo una dichiarazione sibillina del portavoce del ministero degli Esteri, Lu Kang: “Il governo sostiene le imprese cinesi che ricorreranno agli strumenti legali per difendere i propri interessi legittimi”. Al momento c’è chi sostiene che la tregua fino al 19 agosto prossimo sia un segnale della Casa Bianca. Una sorta di porta aperta, lasciata da Trump, per trovare un accordo commerciale con la Cina. Ipotesi che potrebbe riportare Huawei fuori dalla blacklist. Altri analisti sono invece più scettici. In ogni caso per saperne di più sul futuro del binomio Huawei-Google, bisognerà attendere il mese di agosto.

F.P.L.




Scontro Usa e Cina: Google rompe con Huawei dopo il bando di Trump. Ecco i rischi per gli utenti

Google rompe con Huawei, sospendendo ogni attività portata avanti con il colosso tecnologico cinese, all’avanguardia nella realizzazione delle reti di nuova generazione 5G. Lo riporta in esclusiva Reuters. Si tratta di uno schiaffo dolorosissimo per Huawei, dopo che l’amministrazione Trump ha inserito l’azienda nella lista nera vietandone l’uso per motivi di sicurezza nazionale. Nel dettaglio – spiega Reuters – gli smartphone e gli altri apparati Huawei venduti fuori dalla Cina dovrebbe perdere l’accesso agli aggiornamenti del sistema operativo di Google, Android. Non solo, dovrebbero perdere l’accesso anche ad alcuni dei popolarissimi servizi di Google come il Google Play Store, YouTube e il servizio di posta elettronica Gmail.

Ma da Mountain View rassicurano gli utenti: “Ci stiamo conformando all’ordine e stiamo valutando le ripercussioni. Per gli utenti dei nostri servizi, Google Play e le protezioni di sicurezza di Google Play Protect  – afferma un portavoce di Google – continueranno a funzionare sui dispositivi Huawei esistenti”. Parole che tranquillizzano i possessori di smartphone e tablet Huawei, assicurando l’accesso al negozio di app e alla protezione da minacce informatiche.

Anche le aziende Usa produttrici di chip e microchip – da Intel a Qualcomm, da Xilinx a Broadcom – si sono adeguate alla linea dettata dall’amministrazione Trump e hanno tagliato i ponti con Huawei, congelando le forniture destinate al colosso tecnologico cinese. Lo riporta l’agenzia Bloomberg, che spiega come le varie società hanno già informato i propri dipendenti. Si tratta di sviluppi che rischiano di portare alle stelle le tensioni tra Washington e Pechino, già impegnate in un braccio di ferro sui dazi.

“Huawei continuerà a fornire aggiornamenti di sicurezza e servizi post-vendita a tutti gli smartphone e tablet Huawei e Honor esistenti, coprendo sia quelli già venduti sia quelli in stock a livello globale”. Lo afferma Huawei in merito alle indiscrezioni di stampa sulla perdita dell’accesso, per i dispositivi Huawei, agli aggiornamenti del sistema operativo di Google, Android.
 
La Cina “sostiene” le sue società nel ricorso “ad armi legali a difesa dei loro diritti legittimi”: così il portavoce del ministero degli Esteri, Lu Kang, in merito alla sospensione delle fornitura a Huawei degli aggiornamenti di Android da parte di Google. La mossa è l’effetto dell’inserimento del colosso delle tlc di Shenzhen nella lista nera del commercio Usa per motivi di sicurezza nazionale, ultimo capitolo dello scontro commerciale tra Usa e Cina. 




Trump vince al Senato, perde la Camera ed esulta: “Siamo andati oltre le aspettative” . Obama: “Spero che si torni ai valori dell’onestà”

Donald Trump vince il Senato, ma perde la Camera che torna ai democratici dopo 8 anni (i dem hanno sfondato la quota 218 seggi necessaria per riconquistare il controllo di questo ramo del Parlamento). Questo l’esito delle elezioni di midterm negli Usa. Per i prossimi due anni, il presidente governerà avendo contro uno dei due rami del Parlamento. ‘Repubblicani oltre ogni aspettativa’, dice però mentre tende la mano ai dem: ‘Ora collaboriamo‘. ‘E’ solo un punto di partenza’, spiega Barack Obama.

Al Congresso entrano per la prima volta due donne musulmane e una nativa-americana. I repubblicani ottengono 25 governatori, 21 ai democratici. Record di partecipazione: i votanti sono stati 113 milioni, il 49% degli elettori registrati. Il ministro della Giustizia Jeff Sessions si e’ dimesso con effetto immediato su richiesta di Donald Trump. Matthew Whitaker, capo dello staff di Sessions, sarà ministro della giustizia ad interim.

A scrutinio non ancora completato, nelle elezioni di Midterm i democratici sono proiettati a vincere il voto popolare con uno scarto di circa il 9%. Una percentuale, sottolinea il Washington Post, piu’ grande di quella delle ‘onde’ repubblicane nel 1994, 2010 e 2014 e di quella ‘blu’ nel 2006. Anche Hillary Clinton aveva vinto il voto popolare contro Donald Trump perdendo pero’ la gara negli Stati decisivi.

Mentre continua in molti stati Usa il conteggio dei voti delle elezioni di metà mandato, sono ancora tre i seggi da assegnare al Senato americano, dove i repubblicani hanno già conquistato una maggioranza di 51 seggi (+2) contro i 46 dei democratici. Il democratico Jon Tester ha vinto un seggio al Senato in Montana, portando a 46 i senatori eletti dai dem contro i 51 dei repubblicani. Si attendono ancora i risultati di Florida, Arizona e del ballottaggio in Mississippi.

Il Mississippi ha poi eletto un suo primo senatore ma manca all’appello un secondo, con i candidati che sono andati al ballottaggio previsto per il 27 novembre. Alla Camera dei Rappresentanti, quando sono ancora in corso le ultime operazioni di spoglio delle schede, su 415 seggi a disposizione i democratici ne hanno già guadagnati 222, strappandone 29 ai repubblicani e superando di quattro punti la soglia di 218 deputati necessaria per la maggioranza. I repubblicani sono fermi a quota 199.

Da parte sua, la leader dei progressisti alla Camera Nancy Pelosi – che l’anno scorso aveva evocato l’impeachment per il ministro della Giustizia – ha affermato che i dem hanno intenzione di ripristinare i controlli e gli equilibri costituzionali sull’amministrazione Trump.

“La storia si ripete. Un partito al potere deve sempre affrontare sfide difficili nelle sue prime elezioni di medio termine”, ha detto lo speaker repubblicano della Camera Paul Ryan. E poi: “Mi congratulo con i democratici per la nuova maggioranza alla Camera e con i repubblicani per avere mantenuto il Senato. Non serve un’elezione per sapere che siamo una nazione divisa, e ora abbiamo una Washington divisa. Come Paese e come governo dobbiamo cercare un terreno comune”.

L’appello ai dem, ora collaboriamo in Congresso

Queste elezioni hanno visto un numero record di donne elette alla Camera: almeno 99 diventeranno deputate (su 237 candidate), un numero che supera il record precedente di 84. Tra loro c’e’ la 29enne democratica Alexandria Ocasio-Cortez, la donna più giovane mai eletta al Congresso americano; la democratica Rashida Tlaib, figlia di immigrati dalla Palestina, la prima donna musulmana ad essere eletta al Congresso; e la democratica Sharice Davids, la prima donna nativo-americana in Congresso.

Per i dem sembrava una ‘mission impossible’ conquistare il collegio per la Camera numero sette di Richmond, Virginia, appannaggio dei repubblicani dal 1970, ma l’ex agente Cia Abigail Spanberger è riuscita ad infiammare l’ala più liberal del partito e ha battuto il deputato uscente David Brat (50,01% contro 48,7%).

Arrivano le parole di Barack Obama: “Il nostro lavoro ora va avanti. Il cambiamento non può arrivare da una sola elezione, ma questo è un punto di partenza”. “Spero che si torni ai valori dell’onestà, della decenza, del compromesso e che si torni a un Paese non diviso dalle sue differenze ma legato da un comune credo”, aggiunge l’ex presidente.




Usa, Trump pronto a inviare 15mila soldati al confine col Messico per fermare i migranti

“Un’invasione”: così Donald Trump in un’intervista alla Abc dipinge la carovana di immigrati partita dall’Honduras e in marcia verso il confine tra Messico e Stati Uniti. “Per questo dobbiamo avere un muro di persone che li fermi, ha spiegato il presidente americano motivando la sua intenzione di inviare alla frontiera sud degli Usa fino a 15mila soldati, più di quanti ce ne sono in Afghanistan”.

Trump critica quindi i numeri sulla carovana fatti dai media

“Ci sono carovane in arrivo molto più grandi di quanto viene detto. Io sono molto bravo a stimare l’entità di una folla – ha aggiunto il presidente americano – e vi posso dire che la carovana in arrivo sembra molto più grande di quanto la gente pensi”. Il tycoon spiega quindi che è composta in gran parte da giovani e che “le donne e i bambini inquadrati in tv sono messi lì apposta per le telecamere. Mettono davanti le donne e i bambini, e non va bene”.