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Amatrice, il sindaco: “Il commissario deve avere poteri speciali come a Genova” [Intervista]

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AMATRICE (RI) – L’Osservatore d’Italia, a distanza di un anno dal reportage nella zona rossa colpita dal terremoto del 2016, è tornato ad Amatrice per incontrare Filippo Palombini, neo sindaco dal 4 maggio scorso, che dopo aver raccolto l’eredità di “un grande sindaco” come Sergio Pirozzi, alza la voce sulle modalità delle misure da prendere per la zona terremotata dal sisma del 24 agosto 2016. Palombini si dice “indignato” dalle solite e sterili passerelle di politici. Le comunità del cratere necessitano di “progetti a più ampio respiro”.

Sindaco Palombini, prima di tutto, come sta Amatrice?

Posso essere molto sintetico? Male. È un momento di grande disagio, di incertezza sul futuro perché la vita precaria non fornisce certezze. È questa la situazione attuale.

Lei il 24 agosto scorso, giorno in cui tutti abbiamo riportato la mente ed il cuore al terribile sisma, ha detto che quello era il momento peggiore per gli abitanti di Amatrice che si rendevano conto che ci vuole molto tempo per tornare alla normalità.

Vivere precariamente, senza un progetto per il futuro, è quanto di peggio possa esserci per una comunità che ha bisogno di risposte.

Con una nota divulgata il 22 settembre, lei si diceva indignato per lo stato di immobilismo a cui è ridotta la politica nei confronti dei vostri bisogni. Nel nostro reportage dello scorso anno abbiamo riportato l’indignazione nei confronti delle solite passarelle di politici. Ma non pensa che il messaggio della prima visita del premier Conte sia sinonimo di vicinanza e cosa chiedete riguardo il commissario alla ricostruzione?

Sì, la visita del premier Conte è stata sicuramente gradita e importante come segno di vicinanza, però sono passati ormai 5 mesi, sono troppi. Non vedo decisione nell’affrontare un tema che è di fondamentale importanza.

Proprio per il commissariato alla ricostruzione si fa il nome di Pirozzi nell’area leghista mentre i grillini cercano un nome nella Regione Marche, che ne pensa?

Non credo sia importante discutere del nome quanto del ruolo. A Genova sono stati dati poteri speciali, il Commissario deve avere potere speciali. 

Qual è la sua considerazione riguardo la norma sulle seconde case approvata dalla Regione e pensa anche lei, come l’ex sindaco Pirozzi, che dovrebbe essere diminuito il numero di comuni del cratere?

Sicuramente, dal primo giorno di questa vicenda che ci ha colpito, diciamo che tutti i comuni nei quali la ricostruzione deve partire dalle strutture e dalle infrastrutture sono diversi da quelli che hanno avuto danni di altro tipo. Sulle seconde case, va concordata la applicabilità della legge con il Ministero dei Beni Culturali innanzitutto. Poi ritengo che possa aiutare qualcuno ma che non risolva il problema. Abbiamo bisogno di progetti di più ampio respiro per tornare ad abitare questi luoghi.

Gianpaolo Plini

Castelli Romani

Grottaferrata, il Coro Crypters si presenta!

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L’appuntamento è a Grottaferrata, in piazza. Ci incontriamo e li subito il mio stupore: Sei tu Benedetta Tomboletti? Non lo nascondo; sono piacevolmente meravigliato nel vedere una ragazza giovanissima – poco più di 20 anni – presidente di una Associazione di Promozione Sociale. Sono io! – la sua risposta gentile e sorridente.

Il coro Crypters, negli anni, ha saputo coniugare una modalità antica di cantare, la polifonia, con un repertorio estremamente giovane unendo il tutto dentro una compagine “orgogliosamente” mista.

I “requisiti” per farne parte: avere nel cuore e nella testa la voglia di cantare.
Benedetta sono estremamente sorpreso nel vedere una ragazza della tua età a capo di una Associazione che riporta una serie di successi davvero importanti
(sorride compiaciuta) Ti ringrazio pensa che sono diventata presidente di questa nostra associazione ben 5 anni fa.

Non ti hanno, passami il termine, tremato le gambe ad accettare questo ruolo?
Guarda sono circondata da un gruppo di persone che riesce, da sempre, a fare squadra.
Il direttore, il maestro Massimo Laurelli, che è nel contempo nostro direttore artistico insieme agli altri membri del direttivo della Associazione sono per me lo stimolo a fare meglio e le mie guide nel migliorare ogni giorno.

Partiamo proprio dal nome; perché Crypters?
Essendo anche tu dei Castelli Romani conoscerai bene la tradizione che vuole far risalire il nome di Grottaferrata alla “Grotta”, crypta in latino, con una grata, appunto ferrata che è, per la tradizione, il luogo del primo accampamento dei monaci di San Nilo da Rossano. Da lì il nome di Cryptaferrata che poi divenne “Grottaferrata”.

Quindi avete rinnovato nel nome la storia millenaria che caratterizza la vostra città collegandola poi alla meraviglia del canto polifonico che è vostra caratteristica prima?
E si! Noi siamo un giovane coro, dal punto di vista della propria storia, ma che spazia da una componente giovanile di adolescenti fino alle età più mature: un coro misto che amalgama diverse vocalità e tonalità che oggi supera il numero dei 30 componenti.
Una alchimia nata da una precedente esperienza che si è arricchiata nel corso di questo quinquennio.
Un gruppo che si è posto una serie di obiettivi che piano piano punta a raggiungere conscio e consapevole che il migliorare ed il mettersi in gioco sono gli elementi principali di questa ricetta.


Quindi mi stai dicendo che il segreto del vostro successo risiede in questo?
È uno degli elementi. Costruire un realtà necessita di scelte, di tempo, di dedizione. È un puzzle dove bisogna cercare di unire gli elementi e qualora necessario limare alcuni pezzi per renderli ancora di più importanti nella costruzione del quadro finale.
Quindi un lavoro continuo?
Certo che si. La passione che ci unisce, la voglia di migliorare, unita poi alla dedizione per questo che per noi resta, di sicuro, un gioco che ci appassiona è di certo la formula migliore per creare quella, passami il termine, magia che poi durante i nostri concerti vediamo negli occhi e nell’animo di chi ci viene a trovare.

Ricapitolando: presidente a 18 anni, oggi 23 … ma dove vuoi arrivare?
(sorride) Io mi sono messa a disposizione di un gruppo che veniva, come ti dicevo prima, da una esperienza corale. Noi tutti insieme ogni giorni ci poniamo delle sfide che servono esclusivamente ad alzare l’asticella del miglioramento. Sono più che altro una sorta di ascoltatore attento degli equilibri di questo gruppo. Cerco di capire le diversità dei singoli e farne, assieme al maestro, ed a tutti gli altri una operazione di sintesi per creare valore aggiunto. Ed ogni giorno che passa mi rendo sempre più conto della necessità di imparare e fare tesoro delle esperienze che stiamo creando insieme.

Tornando alla musica ed alla vostra caratteristica principale: un repertorio moderno in chiave “classica”. Permettimi la domanda: ma non correte il rischio di annoiare?
Vedi il nostro è un repertorio principalmente pop: spaziamo dai Queen, agli Abba, alle Spice Girl, fino ad arrivare a Michael Jackson.
Ti racconto un fatto: il brano Wannabe delle Spice Girl è stato per noi una sfida davvero importante. Il nostro maestro è riuscito ad avere questa partitura con un arraggiamente stile madrigale. Di fronte a noi avevamo persone di ogni genere entuasiaste di questa nostra particolare esecuzione. Per noi tutti è stata davvero una esperienza indimenticabile. Vedere persone che si divertivamo di fronte ai nostri occhi ci ha riempito il cuore di gioia dandoci una ulteriore voglia di continuare con questo nostro progetto.


Personalmente ho apprezzato moltissimo la vostra versione della canzone “Le ragazze” de I neri per Caso durante l’ultima Fiera di Grottaferrata. Quale è stato il motivo della scelta di questo brano davvero particolare?
Viviamo in un momento storico in cui la violenza di genere, ed in particolare, la violenza sulle donne sono notizie, ahimè, che riempiono le prime pagine. Abbiamo voluto dare un segnale forte.
La musica, da sempre, ha una valenza positiva che è principalmente declinata come “portatrice di pace”.

Eseguire questo brano è stato per noi dare testimonianza di una presenza forte.
Creare questo equilibrio musicale diventa stimolo a creare quell’equilibrio sociale necessario alla nostra collettività per comprendere i rischi di questo terribile fenomeno di violenza.


Come si svolgono le attività del Coro?
(sorride ancora di più) Guarda chi viene alle prime lezioni del nostro Coro può restare stupefatto dalla capacità del nostro maestro di coinvolgere ogni persone rendendoci abili nei ruoli che dobbiamo ricoprire. Spesso passiamo intere giornate insieme, ovviamente intervallate dalle chiacchierate tra amici, perché poi questo in fondo noi siamo, che ci portano ad entrare in piena sinergia gli uni con gli altri.
Poi – e qui si lascia scappare un piccolo segreto – a volte il maestro ci “interroga” singolarmente proprio perché ognuno deve essere ben consapevole della responsabilità che la parte gli attribuisce.
Un gioco ma che permette ad ognuno di poter essere parte principale di un progetto comune.

Che si prova prima di entrare in scena?
(e qui diventa seria) La paura c’è, non lo nascondo! Poi dipende dal luogo, dalla circostanza. Ma nel momento in cui c’è l’inizio del brano ritorna quella “magia” che crea il gruppo e le paure, le ansie, le preoccupazioni lasciano lo spazio a quella fiducia che insieme riusciamo a costruire e la gioia di poter regalare a chi ci ascolta qualche minuto di serenità fa il resto.


Un Diploma Oro in un concorso di Cori. Una popolarità sempre crescente. Addirittura nell’ultima Fiera di Grottaferrata avete fatto il pienone? Ma quali sono oggi i sogni dei Crypters?
Il primo è facile: vogliamo confrontarci con tutte le altre realtà coristiche di Roma e non solo.
E poi ti do una anteprima: assieme al Comune di Grottaferrata, alla Associazione Arché e alla Associazione Nesos abbiamo in esecuzione un progetto vinto per il recupero di quella che è la cosiddetta casa del Custode.
Ti spiego meglio: noi proviamo presso il Villino delle Civette, sempre a Grottaferrata.
Esiste quel complesso che era la vecchia casa del Custode. Abbiamo vinto questo bando da 150 mila euro con il quale ristruttureremo il locale creando un vero e proprio HUB CULTURALE.
Ci sarà la sede di una redazione giornalistica, una radio ed uno studio di registrazione.
Ma non finisce qui: questo che sarà poi chiamato YOUNG HUB sarà sede di tutta una serie di corsi indirizzati ai cosidetti NEET cioè ragazzi e ragazze che non studiano e non lavorano.
Vogliamo creare tutta una serie di figure professionali che possano essere di corredo alla redazione, al giornale, alla radio, ect. Un progetto dentro il progetto. Vogliamo fare in modo che la passione che come Coro mettiamo in essere divenga traino anche per far riscoprire desideri e sogni ai ragazze ed alle ragazze.

Cavolo, passami il termine, un progetto davvero ambizioso ma concreto e a che punto siete?
Per questo mese di maggio dovrebbero partire i lavori di ristrutturazione dei locali e poi partiranno una serie di corsi
Beh te lo dico già da subito: il giorno in cui si sarà l’inaugurazione noi come giornale saremo li per raccontare ancora questa vostra esperienza
Sarete i benvenuti ma vi diamo già da adesso un ulteriore appuntamento, diciamo, a breve: ad ottobre nella splendida cornice delle Scuderie Aldobrandini ci sarà, organizzata dalla nostra Associazione, la II edizione della rassegna “RYCANTO”.
Un rassegna coristica che sarà davvero, come ti dicevo prima, l’occasione per confrontarci con altre realta corali.

Che dirti Benedetta, non possiamo che ringraziarti di questa splendida energia che tramite le vostre attività, la vostra passione portate avanti.

Queste realtà meritano davvero tutta l’attenzione ed il fatto stesso di trovarsi di fronte una ragazza di 23 anni con questa carica è davvero il segno che le nuove generazioni sono davvero una garanzia per il nostro futuro.
… dimenticavamo … i Crypters vi aspettano sabato 18 maggio a Villa Celimontana per la Notte Europea dei Musei … non perdeteveli.

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Economia e Finanza

Quale futuro per i diritti dei lavoratori? intervista al professor Alberto Lepore, professore associato di diritto del Lavoro

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Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.

Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.

La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese?
Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente.
Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società.
Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.

Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi.
Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni?

Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto.
La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole.
Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro.
Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione.
C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato.

Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni?
Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione.
L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro.
Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta.
D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale.
È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare.

Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri?
A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle.
Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.

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Costume e Società

A Milano l’arte elegante del pugliese parigino

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Palazzo Reale a Milano  sta celebrando, per la prima volta, con una mostra monografica, il talento di Giuseppe De Nittis esponendo una novantina dipinti, tra oli e pastelli, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, i Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunquerke, gli Uffizi di Firenze – solo per citarne alcuni – oltre allo straordinario nucleo di opere conservate alla GAM di Milano e una selezione dalla Pinacoteca di Barletta, intitolata al Pittore, che ne conserva un eccezionale numero a seguito del lascito testamentario della vedova Leontine De Nittis.
 
La consacrazione di Giuseppe de Nittis come uno dei grandi protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo è avvenuta grazie alla fortuna espositiva di cui ha goduto a partire dalla magnifica retrospettiva dedicatagli nel 1914 dalla 11a Biennale di Venezia. Altre tappe fondamentali sono state la mostra ‘Giuseppe De Nittis. La modernité élégante’ allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013 la fondamentale monografica a lui dedicata a Padova a Palazzo Zabarella.
 
In ‘De Nittis. Pittore della vita moderna’ si intende esaltare la statura internazionale di un pittore che è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha saputo condividere, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi per raggiungere quell’autonomia dell’arte che è stata la massima aspirazione della modernità.
 
I francesi e De Nittis, che si è sempre sentito profondamente parigino di adozione, hanno affrontato gli stessi temi, come il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna che De Nittis ha saputo catturare lungo le strade delle due metropoli da lui frequentate, in quegli anni grandi capitali europee dell’arte: Parigi e Londra. Ha saputo rappresentare con le due metropoli, in una straordinaria pittura en plein air, i luoghi privilegiati della mitologia della modernità, che saranno collocati al centro di un percorso espositivo articolato lungo un arco temporale di vent’anni, dal 1864 al 1884, ricostruendo un’avventura pittorica assolutamente straordinaria, conclusasi prematuramente con la sua scomparsa a soli 38 anni di età. I risultati da lui raggiunti si devono a un’innata genialità, alla capacità di sapersi confrontare con i maggiori artisti del suo tempo, alla sua curiosità intellettuale, alla sua disponibilità verso altri linguaggi. È inoltre tra gli artisti dell’epoca che meglio si è saputo misurare con la pittura giapponese allora diventata di moda.La mostra vede infine la collaborazione di METS Percorsi d’Arte, che ha contribuito al progetto espositivo con l’apporto di un importante nucleo di opere provenienti da collezioni private, tra le quali il Kimono color arancio, Piccadilly e la celeberrima Westminster.
 
Tutto questo è sottolineato dalla mostra e dal ricco catalogo Silvana Editoriale.
 
Una vita breve ma sufficiente per entrare nella storia dell’arte
 
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre si suicidò dopo due anni di carcere per motivi politici e Giuseppe crebbe con i tre fratelli nella casa dei nonni paterni. Fin dall’infanzia manifestò una forte propensione alla pittura e, nonostante il parere contrario della famiglia, si iscrssee nel 1861 all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insofferente agli schemi accademici, fu espulso due anni dopo ed iniziò a dipingere en plen air con altri artisti, come Federico Rossano e Marco De Gregorio. Nel 1866 partì per Firenze dove prese contatto con il gruppo dei Macchiaoli. Dopo aver visitato Palermo, Roma, Venezia e Torino, nel 1867 si trasferì a Parigi dove due anni dopo sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 partecipò per la prima volta al Salon con opere molto vicine al gusto parigino. Il soggiorno napoletano del 1870 vide il suo stile arrivare alla maturità e all’indipendenza artistica e il ritorno a Parigi nel 1872 segnò il suo successo con la partecipazione al Salon dell’opera ‘Una strada da Brindisi a Barletta’. Il dipinto ‘Che freddo!’ esposto al Salon nel 1874 rappresentò l’affermazione definitiva dell’artista, che si meritò anche l’appellativo ‘peintre des Parisiennes’ (pittore della parigine). Nello stesso anno partecipò con ben cinque tele alla prima esposizione di quello che sarà il gruppo impressionista tenutosi nello studio del fotografo Nadar. In cerca di nuovi stimoli partì poco dopo per Londra, dove realizzò una serie di opere dedicate alla vita quotidiana della città. Partecipò all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 con dodici lavori che polarizzarono l’attenzione sia del pubblico che della critica. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sulla tecnica del disegno a pastello. Colpito da una forte bronchite nel 1883, rimase per mesi bloccato a letto e dipingere diventò sempre più difficile; morì a  Saint-Germain-en-Laye (Francia)   il 21 agosto del 1884 a causa di un ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta.
 
Informazioni:
 
Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | CMS.Cultura
 
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti , fino al  30.06.2024
 
Orario: Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
 
Biglietti
 
Aperto: € 17,00; Intero: € 15,00;Ridotto: € 13,00; Esclusi i costi di prevendita.
 
Info e prenotazioni: palazzorealemilano.it     mostradenittis.it
 
Privo di virus.www.avast.com



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