Connect with us

Economia e Finanza

LA SFIDA ORMAI E’ TRA DEMOCRAZIA E DITTATURA: LA POLITICA NON ESISTE PIÙ!

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 5 minuti L'analisi dell'Avvocato Marco Mori

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 5 minuti
image_pdfimage_print

di Cinzia Marchegiani

A scattare una fotografia della nostra nazione interviene l’Avv. Marco Mori, non un semplice professionista dei fori italiani, a maggio 2014 ha provveduto a depositare a nome dell’associazione “Salviamo gli Italiani”, sette denunce penali relative al colpo di Stato finanziario in essere, e come dice lo stesso Mori, da allora la situazione è già profondamente mutata, purtroppo in peggio. Un’analisi cruda e irreale sembra avvolge il nostro paese dove sul banco degli imputati per primo l’avv Mori mette l’assenza di vero dibattito politico:”Pare davvero sconfortante giungere a tale conclusione Basta solo pensare che, il semplice fatto che un paese torni al voto, diventa un motivo per un catastrofico crollo della borsa, come successo ieri in Grecia. Tutto ciò è completamente inaccettabile. Se i mercati manipolano la democrazia, significa semplicemente che essa non esiste più. Non è la forza economica che deve determinare le scelte politiche in un paese, ma tali scelte devono essere frutto della volontà popolare, che si forma sulla base della maggioranza, secondo l’esercizio del diritto di voto (diritto che in Italia non si esercita legittimamente dal 2005, come sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 1/2014). La maggioranza deve avere anche il sacro diritto di sbagliare, non si può commissariare la democrazia.”
E lo specchio di questa società viene metodicamente studiato da chi in quelle maglie delle leggi fa i conti tutti i giorni e ne conosce il valore e le potenziali trappole che purtroppo a prima, ma anche a seconda attenta lettura non se ne comprende immediatamente né il pericolo e l’imponderabile irreversibilità. Con un viaggio quasi materico l’avvocato Mori ci spiega come mai siamo finiti a dover assistere quasi inermi alla sfida tra democrazia e dittatura, nella sua interezza lasciamo al lettore la lettura:

«Oggi, nel nostro paese, non è più possibile nutrire, come democrazia vorrebbe, il medesimo rispetto o la medesima dignità verso ogni avversario politico. Si può fare solo ed unicamente un distinguo: da una parte coloro che voglio smantellare la sovranità nazionale ed i diritti individuali di ogni cittadino in nome del profitto dei mercati, divenuti la nuova forma di espressione dei rapporti di forza internazionale, dall’altra chi, indipendentemente dal colore politico attuale o di un tempo, legittimamente pretende che solo il popolo sia sovrano in qualsiasi scelta nazionale nel pieno e totale rispetto della Costituzione.
Chi appartiene alla prima fazione non può essere considerato una controparte con cui dialogare. Deve essere considerato come un soggetto eversivo, deve essere considerato come colui che sta per cancellare, in un sol colpo, i secoli di lotte e sangue che hanno portato alla nascita delle moderne democrazie. Oggi la sfida è tra forze democratiche, di ogni colore e credo politico, ed una dittatura finanziaria e relativista che cancella scientemente valori, identità nazionale e diritti umani.

Chi, come me, crede fermamente nella democrazia e nella forza della legge, come espressione dei valori fondamentali naturalmente riconosciuti, non può che avere la morte nel cuore mentre espone simili concetti. Non è piacevole ammettere che una fazione, un’importante fazione del panorama politico italiano, non ha più alcuna legittimazione democratica, ma rappresenta esclusivamente un movimento di carattere eversivo. La maggioranza del PD (dunque fatti i salvi i sempre più numerosi esponenti del partito aspramente critici con la politica ordoliberista), nonché i partiti che ne appoggiano le politiche non rappresentano un’espressione del libero pensiero democratico, ma costituiscono una gravissima minaccia per la Repubblica.

La parte del PD e gli altri partiti che portano avanti le politiche criminali della Troika sono divenuti associazioni contro l’ordine costituzionale. Come sempre, anche per non incorrere in conseguenti responsabilità penali, alla luce della forza dei concetti che espongo, risulta necessario riepilogare brevemente da dove derivi la totale fondatezza, ed assoluta insindacabilità, degli stessi (se si hanno adeguate basi scientifiche in materia economica e giuridica).
Nel nostro paese la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (ex art. 1). Laddove tale sovranità è strappata a chi la dovrebbe detenere legalmente non può che parlarsi di atto eversivo, e ciò a prescindere dai metodi all’uopo usati (un corso sul tema servirebbe, come noto, a Giorgio Napolitano…). Imporre un vincolo esterno al controllo popolare della sovranità, nello specifico un vincolo economico e monetario da parte di un ordinamento straniero qual’è l’UE, è un atto contrario al diritto ed alla democrazia.

Quando i mercati influenzano l’andamento della democrazia solo un’opzione è legittima e conforme alla forma Repubblicana del nostro Stato. Qual’è l’opzione? Banalmente, cancellare i mercati, estinguerli! Ovviamente parlo di estinguere questi mercati parassitari che non producono alcunché a vantaggio dell’economia reale, ma la depredano. Si parla dunque di ripristinare il modello economico di cui alla nostra Costituzione, ovvero un modello liberale che tuttavia deve necessariamente anteporre l’interesse pubblico al profitto del singolo (art. 35 e ss. Cost.). Qualcosa dovrà pur distinguere l’uomo dalle bestie, oppure no?
Chiedere di cedere sovranità è pertanto una manifesta eversione dell’ordinamento democratico di cui si sono macchiati, a vario titolo, tutti gli esponenti degli ultimi Governi. Soggetti da punire ai sensi degli art. 241 e ss. c.p., ovvero di quei reati che sanzionano specificatamente la lesione di quel bene supremo che è la sovranità.

La Costituzione, come noto, prevede la sola possibilità di “limitare” la sovranità popolare, in condizioni di reciprocità con le altre nazioni, all’esclusivo fine di aderire ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia. Tali limitazioni devono avvenire, come riconfermato dalla Corte Costituzionale anche con la recentissima sentenza n. 238/2014, nel pieno rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento (art. 1-12 Cost.) e dei diritti inviolabili dell’uomo.
Le cessioni di sovranità monetaria ed economica verificatesi con le ratifiche dei Trattati UE sono palesemente contrarie, sia ai principi fondamentali della nostra carta (in primis in quanto appunto cessioni e non già mere limitazioni), che ai diritti inviolabili dell’uomo, che anzi tendono a smantellare progressivamente. Il mezzo con cui si è realizzato tutto ciò sono i vincoli di bilancio via via imposti fin dal poco noto “Protocollo 12″ allegato al Trattato di Maastricht, per poi arrivare oggi al terribile Fiscal Compact. Tali regole hanno causato e causeranno una crisi economica che costituisce e costituirà, ogni giorno di più, la leva con cui cooptare le popolazioni inducendole ad accettare lo smantellamento della democrazia.

Come hanno potuto dei parametri economici distruggere l’economia reale? Semplicissimo. E’ stato sufficiente fissare regole che imponessero agli Stati di tassare più di quanto spendono (a partire dal famoso 3% del rapporto deficit-pil). Uno Stato che tassa più della moneta che immette nel sistema attraverso la spesa, sottrae matematicamente risorse alla collettività finendo con il fermare l’economia reale per carenza di liquidità (come avverrebbe per un corpo a cui è stato tolto troppo sangue). La moneta non cresce nei campi, ma viene creata dal nulla (per lo più telematicamente), dunque se lo Stato non la immette in misura superiore a quanta ne toglie, ed in ogni caso in misura adeguata alle proprie necessità di scambio di beni o servizi dipendenti dalla produzione reale, non c’è via d’uscita alla recessione. La crescita è azzerata ed il risparmio negato istituzionalmente, con buona pace del dettato dell’art. 47 Cost. e della fondazione stessa della Repubblica sul lavoro.

Ovviamente lo scopo recondito di tutto ciò è che uno Stato inefficiente, perché obbligato a dimagrire a causa dei tagli necessari a “sostenere” simili suicidi economici, diventa inviso ai suoi stessi cittadini che a quel punto finiscono necessariamente per sostenere con passione il suo smantellamento, così andando esattamente laddove la finanza voleva portarli, ad un mondo dove l’unico diritto è rappresentato dalla forza economica ed in cui anche la vita ha un prezzo, spesso piuttosto contenuto. Bello privatizzare vero?
Ecco dunque che chi difende queste posizioni è solo e semplicemente un nemico della democrazia e della Repubblica con cui non è possibile rapportarsi. Speriamo che la Magistratura sappia prendere atto che gli artt. 241 e ss. c.p. vanno applicati, ed occorre farlo subito.

Ciascuno deve prendersi la propria responsabilità secondo il ruolo e la posizione occupata nella società, non si attende la manna dal cielo oppure il consenso, prima di far rispettare la legge. Falcone e Borsellino dovrebbero aver insegnato qualcosa a riguardo.
Che l’anno nuovo porti coraggio a chi di dovere. La mia coscienza è a posto, ho già fatto quanto potevo per la Repubblica e proseguirò.
Buon anno a tutti! Che sia quello della liberazione, vorrei tornare a fare solo l’avvocato…»

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Economia e Finanza

Quale futuro per i diritti dei lavoratori? intervista al professor Alberto Lepore, professore associato di diritto del Lavoro

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.

Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.

La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese?
Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente.
Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società.
Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.

Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi.
Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni?

Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto.
La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole.
Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro.
Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione.
C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato.

Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni?
Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione.
L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro.
Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta.
D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale.
È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare.

Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri?
A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle.
Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.

Continua a leggere

Castelli Romani

Banca Popolare del Lazio, il 4 maggio c’è l’assemblea a Castel Gandolfo

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Il prossimo sabato 4 maggio 2024, alle ore 10 presso il Centro Mariapoli Internazionale, Via
S. Giovanni Battista de la Salle a Castel Gandolfo si terrà l’assemblea dei soci della Banca Popolare del Lazio per deliberare su argomenti molto importanti.

Nello stesso giorno a Velletri si tiene la Festa della Madonna delle Grazie e processione dei Ceri nel pomeriggio. Ma sicuramente i soci interessati alle attività e assemblea della Banca troveranno comunque il modo di partecipare.

L’Articolo 6 del regolamento assembleare Bpl dice chiaramente che “gli aventi diritto possono intervenire su ciascuno degli argomenti posti in discussione una sola volta, facendo osservazioni, chiedendo informazioni e formulando eventuali proposte. La richiesta può essere avanzata fino a quando il Presidente non abbia dichiarato chiusa la discussione sull’argomento oggetto della stessa. Coloro che intervengono hanno altresì diritto di replica”.

Gli argomenti all’ordine del giorno sono, tra gli altri:

Presentazione del Bilancio di esercizio al 31.12.2023, proposta di ripartizione dell’utile e di
determinazione del valore di rimborso delle azioni per i casi di scioglimento del rapporto sociale; proposta di determinazione dell’ammontare complessivo da destinare a scopi di beneficenza, assistenza e di pubblico interesse, proposta di determinazione del compenso degli amministratori, acquisto e disposizione di azioni proprie, nomina di 3 Sindaci effettivi e 2 Sindaci supplenti e designazione del Presidente del Collegio Sindacale, fissazione degli emolumenti dei membri del Collegio Sindacale, nomina di 5 Probiviri effettivi e 2 Probiviri supplenti.

Dopo un lungo periodo dove le assemblee ancora si continuavano a tenere in remoto per via del Covid, e succedeva fino a poco tempo fa, oggi si svolgono di persona e sarà dunque un’occasione di confronto e partecipazione democratica.

Continua a leggere

Economia e Finanza

Taglio di 500 miliardi di Spesa Pubblica, Maria Grazia Cucinotta: “Basta elemosinare per il diritto alla salute”

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print


Il Comitato Promotore della Legge d’iniziativa Popolare per il Taglio di 500 miliardi della Spesa Pubblica STIAMO UNITI “capitanato” dal presidente, l’avvocato Evandro Senatra, è al gran completo.

Due donne sono i veri motori dell’iniziativa nata dalla “intuizione geniale” dell’onorevole Roberto Mezzaroma: Maria di Prato e Maria Grazia Cucinotta.
Due donne che fanno comprendere come questa sia l’ultima possibilità per il nostro Paese di rimettere non solo i “conti in ordine” ma per porre basi solide per il nostro rilancio sociale, economico e politico.
Ed in più ci sono: Civita di Russo, Evelina Amadei, Giuseppe Scarano, Gianluca di Ascenzo, Antonio Tanza, Massimo Zignani, Paolo Sabbioni, Pier Giorgio Poretti, Antonio Gambino, Michele Navaglio, gli altri componenti il Comitato Promotore.


Non ci sono bandiere di partito, ci sono donne ed uomini, professionisti, imprenditori che hanno le idee ben chiare sui mali endemici della nostra Repubblica.

“Vede – dice Roberto Mezzaroma che risponde alla nostra domanda su come gli è arrivata questa intuizione – ci sono arrivato avendo alla spalle la mia esperienza di imprenditore e di padre di famiglia. Questo che oggi noi proponiamo è solo un 10% di quello che il nostro Paese potrebbe risparmiare avendo la volontà di farlo

Quindi mi vuole dire che questa è la punta di un iceberg?

Certamente. Ridurre i ritardi dei lavori, qualificare l’offerta lavorativa, una accoglienza che metta in risalto le qualifiche e la professionalità sono altre componenti.
Se ci aggiungiamo una rivalutazione di tutto quel patrimonio immobiliare nelle mani di Stato, Regioni, Comuni etc, glielo dico da architetto, avremmo ulteriori risparmi e ricchezza.

Prima parlavamo di mancanza di sinergie. Rivestono un peso importante nella società odierna?

Concordo con Lei. Se considera che la formazione non essendo ancora del tutto parte fondamentale del lavoro porta, purtroppo, ad un deprezzamento del valore che questo può generare.
Maestranze poco adeguate e poco formate sono un realtà che può e deve essere incrementata e migliorata.

L’Europa come può esserci di aiuto visto i suoi trascorsi al Parlamento di Bruxelles?

Mi spiace dovere constatare che quella unità di azione politica europea viene sempre più meno.
Le diversità Europee che posso essere valore aggiunto diventano ostacolo.
Le faccio un esempio: la politica estera e di difesa: oggi non vi è una unità di intenti.

nella foto l’onorevole Roberto Mezzaroma e Maria Grazia Cucinotta

Maria di Prato, già promotrice del Referendum contro il Finanziamento Pubblico ai partiti, è il “motore” di questo Comitato.
Dottoressa di Prato ma come ci si arriva a 50.000 firme in due mesi?

Ci si arriva ricordando agli italiani i troppi sprechi.
Ci si arriva facendo non solo capire ma facendo toccare con mano che quella che Lei chiamava “intuizione” è qualcosa di concreto: sanare l’Italia

Maria Grazia Cucinotta sempre attenta ai problemi sociali in modo concreto ed attivo “ci mette la faccia”
Oggi, signora Cucinotta, Lei è qui come Italiana e mamma

Certo e ne vado profondamente fiera. Tocco ogni giorno con mano il dolore della gente.
Vedo donne ed uomini elemosinare la salute che deve essere la base del vivere civile.

Lei con la sua fondazione è molto attenta e vicina alle tante e troppe fragilità che coinvolgono l’Italia.

Si! Troppe volte ascolto il dolore di molte cittadine, di molti cittadini. Assisto troppe volte a situazioni in cui il personale medico e paramedico fa davvero i miracoli per portare avanti ospedali e strutture sanitari.
Loro operano con quello spirito che è frutto della loro professionalità troppe volte arginata dagli sprechi.

Nella foto Maria Grazia Cucinotta ed il presidente del Comitato, avvocato Evandro Senatra

In conclusione Evandro Senatra, avvocato, presidente di questo Comitato Promotore.
Avvocato Senatra, l’onorevole Mezzaroma parlava di pianificazione e formazione. Il suo pensiero?

Concordo in pieno con Roberto (Roberto Mezzaroma n.d.s.) Come vede non è solo il taglio di 500 miliardi il cuore della nostra proposta.
È facile dire: taglio 500 miliardi. È difficile dire e poi attuare la “spendibilità” di questo capitale.
200 miliardi per tagliare il debito pubblico sarebbero la migliore medicina per la nostra economia.
Vede riprendo le parole di Roberto: Lei da padre di famiglia va in banca a chiedere un mutuo perché ha bisogno di comprare casa o iniziare una attività ma ha un debito già esistente.
Trova qualcuno pronto a concederglielo? Sicuramente no.
Oggi il nostro Paese resta ancora in queste condizioni.

E – aggiunge – bisogna investire nelle famiglie, cuore vivo di ogni Nazione.
Ridare dignità con 40 miliardi ai malati in difficoltà
Altri 40 miliardi per i troppi italiani che sono in difficoltà con i mutui.
Un nuova e concreto rilancio per il Paese.

Non c’è solo entusiasmo nei loro visi. C’è la consapevolezza, passata la porta che li condurrà alla Accettazione da parte della Corte di Cassazione di questa “intuizione genitale”, di rendere davvero un servizio come “padri e madri” del nostro Paese.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti