Siete alla ricerca di un videogame pieno zeppo di zombi,
veloce da giocare, ma che offra anche un tasso di sfida alto, divertimento di
gruppo e con possibilità di giocare sia in modalità cooperative che
competitive? Bene, allora il titolo che state cercando è World War Z. Uscito da
qualche giorno su PC, Xbox One e PS4, il gioco è ambientato nell’universo dell’omonimo
film con Brad Pitt di qualche anno fa e dà la possibilità di vivere l’apocalisse
zombi vestendo i panni di uno dei 16 sopravvissuti disponibili. Ma veniamo al
dunque, World War Z fa breccia nel cuore dei videogiocatori online, ispirandosi
alla lontana a produzioni ben più blasonate, come Left 4 Dead, ma le
arricchisce di contenuti e modalità per vivere al meglio il gameplay di gruppo.
Vi diciamo questo in quanto il titolo è valido se giocato in solitaria, ma dà
il meglio di se quando si affronta in compagnia di altri tre amici. World War Z
è uno sparatutto in terza persona che racconta gli apocalittici scenari
post-pandemici delle principali capitali mondiali attraverso gli occhi di
persone comuni che cercano di sopravvivere all’epidemia. Nei loro panni, i
giocatori devono superare ostacoli, imprevisti e un fiume inarrestabile di
zombi per avere finalmente salva la pelle. Tralasciando la parte puramente narrativa,
che in questo caso funge puramente da contorno, il giocatore viene coinvolto in
una serie di scontri adrenalinici enfatizzati dall’epicità di una battaglia
impari contro quelle stesse orde di infetti inferociti che caratterizzano la
pellicola cinematografica. Il focus della produzione è indubbiamente questo, e
lo si nota maggiormente spulciando tutti gli aspetti articolati di un gameplay
poco pretenzioso, che mette davanti a ogni cosa l’azione e il divertimento.
Ogni capitolo presenta degli scenari più o meno grandi
divisi per micro-aree in cui si respingono le ondate di zombi, giungendo infine
alla parte dove bisogna difendere per qualche minuto una zona di interesse così
da poter accedere, finalmente, al rifugio sicuro successivo o alla via di fuga.
A rendere ancora più complessa l’avventura dei survivors ci sono alcune creature
potenziate, pensate per costituire una minaccia maggiore da non prendere
assolutamente sottogamba: i corpulenti poliziotti in tenuta antisommossa, chiamati
tori, fanno una caricano il giocatore per poi sbstterlo ripetutamente a terra
fino a ucciderlo, gli screamer sono letteralmente degli urlatori che attirano
l’attenzione degli altri zombi generando ondate più numerose, mentre i lurker
spuntano da dietro gli angoli mirando direttamente alla giugulare. Queste
figure sono un modo pensato presumibilmente per scoraggiare il gioco
individuale e per favorire il gioco di squadra. Da un lato, infatti, queste
presenze riescono a rendere il gameplay più variegato e dall’altro rappresentano
un fastidiosissimo ostacolo verso la libertà. A variare questa struttura che,
alla lunga, potrebbe risultare troppo ripetitiva ci sono diversi livelli di
difficoltà che aumentano il livello di sfida al fine di rigiocare gli scenari
in cooperativa. Fuoco amico, munizioni e cure inferiori, potenza degli infetti
maggiorata e l’assenza del radar infatti rendono il completare ogni capitolo,
ai massimi livelli, un vero e proprio incubo. Solo un team di giocatori davvero
organizzati e molto coeso può riuscire a completare World War Z al livello più
difficile.
Uno degli aspetti meglio riusciti della produzione riguarda
la caratterizzazione dei personaggi. Essa è stata pensata seguendo un semplice
schema di suddivisione per skin e background narrativo. Ognuno dei sedici
personaggi presenti nel gioco può essere selezionato secondo l’ambientazione di
appartenenza e non inficia, in alcun modo, sulla selezione della classe da
giocare nello scenario designato. La parte interessante emerge proprio grazie a
quest’ultimo elemento, se non altro perché ognuna delle classi disponibili nel
gioco, per un totale di sei, ha una discreta utilità se adoperata in simbiosi
coi membri del team. Avere un medico in squadra garantisce un maggior indice di
sopravvivenza, specialmente perché a un determinato livello può sbloccare
interessanti abilità per la cura del party, finanche dimezzare i tempi di
recupero con cui quest’ultimo può rianimare i compagni. Il macellaio, invece, è
ottimo per le uccisioni corpo a corpo, ma non disdegna l’utilizzo di gadget
utilissimi contro i nemici speciali, dato che in dotazione vanta un particolare
taser capace di immobilizzare anche una piccola orda di zombi. Nei momenti più
“affollati” l’utilizzo di uno tra i tanti gadget disponibili, utilizzabili a
seconda della classe scelta, garantisce un buon livello di sopravvivenza, a
patto che come al solito funzioni prima di tutto la comunicazione nel gruppo di
gioco. Il titolo offre anche la possibilità di “livellare” le singole armi e
sbloccare interessanti potenziamenti che si renderanno indispensabili ai
livelli di difficoltà maggiori. Il level up dei personaggi segue il solito
sistema reiterato per questo genere di giochi e concede, al raggiungimento del
nuovo livello, la possibilità di sbloccare un’abilità spendendo la valuta in
game guadagnata alla fine dello scenario. Chiaramente all’inizio è bene
scegliere una classe preferita da implementare, se non altro perché potrebbe
risultare molto più utile potenziare prima un’arma al massimo piuttosto che
sbloccare dei talenti utili in una fase successiva. Potenziare più classi
regala al giocatore un discreto divertimento in qualunque scenario, se non
altro perché magari ha più senso giocare un medico nelle retrovie, così da
curare i compagni quando necessario, mentre demolitori e macellai possono
divertirsi a rompere le fila degli zombi. Da notare che oltre alle armi base,
suddivise per livelli di danno, ci sono anche delle armi speciali che possono
compiere delle vere stragi in massa di zombi, chiaramente per un lasso di tempo
molto breve dato che i colpi non possono essere ricaricati nelle stazioni
dedicate alle armi standard. Quando ci si trova per le vie di uno dei 4 scenari
disponibili, uno dei punti di forza di World War Z è il comportamento dello
sciame di zombi. Centinaia di singoli non morti si lanceranno a capofitto verso
la posizione del giocatore e in determinati frangenti si accatasteranno
furiosamente uno sull’altro per scavalcare muri e ostacoli. In queste occasioni
il giocatore dovrà organizzare una strenua difesa trovando equipaggiamento
difensivo particolare come filo spinato, pavimento elettrificato e torrette
automatiche. Gli sciami non possiedono alcun istinto di autoconservazione,
nessun ostacolo sarà mai di troppo fra loro e chi gioca, perciò si assisterà
spesso a scene inquietanti dove a centinaia cadono a cascata dalla cima di un
edificio o si calpestano l’un l’altro nel formare la fantomatica piramide
tramite cui possono scalare altezze impressionanti. Insieme alla campagna
cooperativa, la modalità principale, World War Z offre anche la possibilità ai
giocatori di competere gli uni contro gli altri a squadre in una modalità dal
ritmo differente e piuttosto profonda. L’idea di inserire gli zombi nel bel
mezzo dello scontro è senza dubbio interessante perché offre opportunità
strategiche interessanti come ad esempio farli rivoltare contro gli avversari e
sfruttare la furia degli infetti a proprio vantaggio.
Per quanto riguarda la modalità competitiva online, World War Z offre oltre al classico Deathmatch anche Re della Collina, Dominazione Orda, Approvvigionamento e Caccia al Vaccino. Queste sono tutte modalità pensate per giocare in squadre 4vs4 dove, come appena accennato, a svolgere il ruolo di variabile imprevedibile sono gli zombi, che possono comparire all’improvviso creando scompiglio e disagio. La parte online garantisce un sistema di progressione separato dalla campagna, oltre ad avere dieci classi tra cui scegliere, ma è comunque doveroso sottolineare come gli sviluppatori abbiano prodigato un discreto impegno nel confezionare un prodotto completo e pensato per intrattenere i giocatori che cercano diverse tipologie di svago. Tecnicamente il gioco si difende bene, anche se nelle fasi più movimentate mostra qualche imperfezione a livello di texture. Pur facendo un buon lavoro soprattutto grazie ai miglioramenti dal punto di vista grafico nell’ultimo decennio, World War Z non raggiunge un livello grafico da lasciare a bocca aperta, ma fortunatamente, vista la frenesia del gioco, difficilmente si bada al panorama o agli scorci caratteristici. Durante la fuga infatti fermarsi in un luogo per più del necessario equivale a morte certa in quanto gli infetti inizieranno ad arrivare sempre più numerosi fino a quando la situazione non diventa insostenibile. Il gioco supporta il 4K ma è ottimizzato anche per chi non ha la possibilità di sfruttarlo. A livello sonoro World War Z ha una colonna sonora ben realizzata, inoltre la musica del menù è il tema del film, quindi una vera goduria per gli appassionati. Tirando le somme, il titolo sviluppato da Saber Interactive non brilla per originalità, rimane comunque un prodotto derivativo che riprende le buone idee sviluppate per il genere cercando di difendersi come può sia per quanto riguarda la campagna, che per la modalità competitiva. Il prezzo accessibile decreta da una parte la sua piccola vittoria personale sul mercato, anche se alcune incertezze tecniche sono visibili e penalizzano lievemente l’avanzamento insieme a una campagna emozionante a tratti. Nel complesso però l’atmosfera di gioco offerta da World War Z, specialmente se giocata in gruppo, può garantire un buon numero di ore di divertimento. Inoltre gli appassionati di obbiettivi prima di poterli sbloccare tutti dovranno passare veramente molto tempo a uccidere non morti inferociti. A nostro avviso il gioco vale la candela e lasciarselo sfuggire sarebbe un errore.
Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.
Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.
La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese? Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente. Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società. Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.
Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi. Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni? Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato. Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto. La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole. Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro. Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione. C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato. Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni? Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione. L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro. Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta. D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale. È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare. Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri? A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle. Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.
Palazzo Reale a Milano sta celebrando, per la prima volta, con una mostra monografica, il talento di Giuseppe De Nittis esponendo una novantina dipinti, tra oli e pastelli, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, i Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunquerke, gli Uffizi di Firenze – solo per citarne alcuni – oltre allo straordinario nucleo di opere conservate alla GAM di Milano e una selezione dalla Pinacoteca di Barletta, intitolata al Pittore, che ne conserva un eccezionale numero a seguito del lascito testamentario della vedova Leontine De Nittis.
La consacrazione di Giuseppe de Nittis come uno dei grandi protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo è avvenuta grazie alla fortuna espositiva di cui ha goduto a partire dalla magnifica retrospettiva dedicatagli nel 1914 dalla 11a Biennale di Venezia. Altre tappe fondamentali sono state la mostra ‘Giuseppe De Nittis. La modernité élégante’ allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013 la fondamentale monografica a lui dedicata a Padova a Palazzo Zabarella.
In ‘De Nittis. Pittore della vita moderna’ si intende esaltare la statura internazionale di un pittore che è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha saputo condividere, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi per raggiungere quell’autonomia dell’arte che è stata la massima aspirazione della modernità.
I francesi e De Nittis, che si è sempre sentito profondamente parigino di adozione, hanno affrontato gli stessi temi, come il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna che De Nittis ha saputo catturare lungo le strade delle due metropoli da lui frequentate, in quegli anni grandi capitali europee dell’arte: Parigi e Londra. Ha saputo rappresentare con le due metropoli, in una straordinaria pittura en plein air, i luoghi privilegiati della mitologia della modernità, che saranno collocati al centro di un percorso espositivo articolato lungo un arco temporale di vent’anni, dal 1864 al 1884, ricostruendo un’avventura pittorica assolutamente straordinaria, conclusasi prematuramente con la sua scomparsa a soli 38 anni di età. I risultati da lui raggiunti si devono a un’innata genialità, alla capacità di sapersi confrontare con i maggiori artisti del suo tempo, alla sua curiosità intellettuale, alla sua disponibilità verso altri linguaggi. È inoltre tra gli artisti dell’epoca che meglio si è saputo misurare con la pittura giapponese allora diventata di moda.La mostra vede infine la collaborazione di METS Percorsi d’Arte, che ha contribuito al progetto espositivo con l’apporto di un importante nucleo di opere provenienti da collezioni private, tra le quali il Kimono color arancio, Piccadilly e la celeberrima Westminster.
Tutto questo è sottolineato dalla mostra e dal ricco catalogo Silvana Editoriale.
Una vita breve ma sufficiente per entrare nella storia dell’arte
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre si suicidò dopo due anni di carcere per motivi politici e Giuseppe crebbe con i tre fratelli nella casa dei nonni paterni. Fin dall’infanzia manifestò una forte propensione alla pittura e, nonostante il parere contrario della famiglia, si iscrssee nel 1861 all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insofferente agli schemi accademici, fu espulso due anni dopo ed iniziò a dipingere en plen air con altri artisti, come Federico Rossano e Marco De Gregorio. Nel 1866 partì per Firenze dove prese contatto con il gruppo dei Macchiaoli. Dopo aver visitato Palermo, Roma, Venezia e Torino, nel 1867 si trasferì a Parigi dove due anni dopo sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 partecipò per la prima volta al Salon con opere molto vicine al gusto parigino. Il soggiorno napoletano del 1870 vide il suo stile arrivare alla maturità e all’indipendenza artistica e il ritorno a Parigi nel 1872 segnò il suo successo con la partecipazione al Salon dell’opera ‘Una strada da Brindisi a Barletta’. Il dipinto ‘Che freddo!’ esposto al Salon nel 1874 rappresentò l’affermazione definitiva dell’artista, che si meritò anche l’appellativo ‘peintre des Parisiennes’ (pittore della parigine). Nello stesso anno partecipò con ben cinque tele alla prima esposizione di quello che sarà il gruppo impressionista tenutosi nello studio del fotografo Nadar. In cerca di nuovi stimoli partì poco dopo per Londra, dove realizzò una serie di opere dedicate alla vita quotidiana della città. Partecipò all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 con dodici lavori che polarizzarono l’attenzione sia del pubblico che della critica. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sulla tecnica del disegno a pastello. Colpito da una forte bronchite nel 1883, rimase per mesi bloccato a letto e dipingere diventò sempre più difficile; morì a Saint-Germain-en-Laye (Francia) il 21 agosto del 1884 a causa di un ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta.
Informazioni:
Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | CMS.Cultura
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti , fino al 30.06.2024
Orario: Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
Biglietti
Aperto: € 17,00; Intero: € 15,00;Ridotto: € 13,00; Esclusi i costi di prevendita.
Info e prenotazioni: palazzorealemilano.it mostradenittis.it
È stato siglato a Roma l’accordo tra la Polizia di Stato e BCC Banca Iccrea, capogruppo del Gruppo BCC Iccrea, per la prevenzione e il contrasto dei crimini informatici che hanno per oggetto le reti e i sistemi informativi di supporto alle funzioni istituzionali della società.
La convenzione, firmata dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Prefetto Vittorio Pisani e da Mauro Pastore, Direttore Generale di BCC Banca Iccrea, è finalizzata a sviluppare una collaborazione strutturata tra le parti, per l’adozione ed il potenziamento di strategie sempre più efficaci in materia di prevenzione e contrasto al cybercrime, considerato il delicato e strategico settore di intervento del Gruppo.
Il Gruppo BCC Iccrea è il maggiore gruppo bancario cooperativo, l’unico gruppo bancario nazionale a capitale interamente italiano e il quarto gruppo bancario in Italia per attivi. BCC Iccrea, in qualità di Capogruppo esercita le attività di direzione, coordinamento e controllo sulle Società del Perimetro di Direzione e Coordinamento e, in tale ambito, supporta l’operatività bancaria delle BCC, fornendo prodotti, servizi e consulenza al fine di soddisfare le esigenze dei loro Soci, clienti, famiglie e territorio di riferimento.
La tutela delle infrastrutture critiche informatizzate di istituzioni e aziende che erogano servizi essenziali è una delle mission specifiche della Polizia Postale, l’articolazione specialistica della Polizia di Stato deputata alla prevenzione e contrasto della criminalità. La Polizia di Stato assicura attraverso la Polizia Postale e delle Comunicazioni, Organo del Ministero dell’Interno deputato alla sicurezza delle comunicazioni. In particolare, tale compito viene assolto attraverso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) che, con una sala operativa disponibile h24, rappresenta il punto di contatto per la gestione degli eventi critici delle infrastrutture di rilievo nazionale operanti in settori sensibili e di importanza strategica per il Paese.
Alla firma della convenzione erano presenti per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato, Prefetto Renato Cortese, il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, Dott. Ivano Gabrielli mentre per BCC Banca Iccrea erano presenti Renato Alessandroni,
Responsabile Sicurezza e Continuità Operativa, Chief Information Security Officer, Pasquale De Rinaldis, Responsabile Sicurezza delle Informazioni, Giuseppe Cardillo, Head of Architecture & Innovation e Raffaella Nani, Responsabile Comunicazione Istituzionale.