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LIBERATI I DUE ITALIANI NELLE MANI DELL'ISIS IN LIBIA

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Tempo di lettura 4 minuti Gino Tullicardo e Filippo Calcagno “sono vivi”, è questo ciò che ha detto al Copasir il sottosegretario con delega all’Intelligence Marco Minniti

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di Angelo Barraco
 
Gino Tullicardo e Filippo Calcagno “sono vivi” sarebbero stati liberati, è questo ciò che ha detto al Copasir il sottosegretario con delega all’Intelligence Marco Minniti. La notizia emerge dopo che ieri è stata data la tragica notizia della morte di Fausto Piano e Salvatore Failla, anche loro tecnici della Bonatti rapiti in Libia nel mese di luglio. Piano e Failla sarebbero morti a seguito di un blitz delle milizie di Sabrata. Gino Pollicardo, il tecnico della Bonatti che era stato rapito in Libia nel luglio scorso, è libero. Lo ha detto egli stesso alla moglie, Emma, raggiunta telefonicamente. "Sto bene e presto vengo a casa", ha detto una fonte vicino alla famiglia, riferendo della conversazione.
 
 
Suonano a festa le campane di Momterosso alle Cinque Terre per la liberazione di Gino Pollicardo, uno dei quattro tecnici italiani rapiti in Libia il luglio scorso. "Siamo tutti felici – dichiara all'Adnkronos il sindaco di Monterosso Emanuele Moggia – i Pollicardo sono molto conosciuti e questa è una comunità coesa. Le campane del paese stanno suonando a festa. Sto andando dalla moglie insieme al comandante della stazione dei carabinieri e al vicesindaco per felicitarmi".
 
Ieri la notizia della morte di Piano e Failla. Un blitz delle milizie di Sabrata, a ovest di Tripoli, "contro una cellula dell'Isis" ha spezzato la vita di Fausto Piano e Salvatore Failla, due dei quattro tecnici della Bonatti rapiti in Libia lo scorso luglio. Gli altri due, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, "sono vivi", ha detto al Copasir il sottosegretario con delega all'Intelligence Marco Minniti, citando informazioni degli 007 sul terreno. Ora la priorità è "salvarli", ha sottolineato il presidente dell'organismo parlamentare, Giacomo Stucchi. Concetto ribadito il direttore del Dis Giampaolo Massolo: "Ci sono altri due da salvare e non bisogna dire cose che possano compromettere le attività che sono in corso". Le famiglie si sono chiuse nel riserbo e nel dolore, e sperano ancora in un errore nell'identificazione dei cadaveri. Le salme dei due italiani, secondo quanto si è appreso, dovrebbero essere trasferite a Tripoli nelle prossime ore.

La notizia degli scontri tra milizie e jihadisti a sud di Sabrata, nella località di Surman, è iniziata a circolare nella tarda serata di ieri, nelle stesse ore in cui i seguaci di Abu Bakr al Baghdadi tentavano un assalto, respinto, a Ben Guardane, in Tunisia. L'offensiva delle milizie contro l'Isis è iniziata all'indomani dell'assalto dei jihadisti nel cuore di Sabrata, il 24 febbraio: i seguaci di Baghdadi hanno ucciso 19 miliziani, decapitandone 12. Poi sono stati respinti. L'attacco è arrivato pochi giorni dopo il raid Usa su una base dell'Isis nell'area, oltre 40 le vittime tra le quali Noureddine Chouchane, la presunta mente delle stragi dello scorso anno in Tunisia, al museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse.

 
Ma chi sono le due vittime?
 
Salvatore Failla, 47 anni, originario di Carlentini, provincia di Siracura. Si trovava da tre anni in Libia per lavoro. Quando un amico gli scrisse su facebook se avesse paura di stare li, lui ha risposto: “qualche scontro c’è stato, ma dopo 3 anni ci ho fatto il callo”. Padre di due figlie di 12 e 22 anni, disse in merito al suo lavoro: “il lavoro me lo faccio piacere per forza, la famiglia bisogna pure camparla e mi dà modo di togliermi qualche sfizio”. La famiglia non vuole rilasciare dichiarazioni. 
Fausto Piano, 61 anni, sposato. Originario di Capoterra, provincia di Cagliari. Il suo lavoro per la Bonatti era iniziato nel 1991. Il suo ritorno in Libia era avvenuto di recente. 
 
 
Che cos’è la Bonatti?
La Bonatti è un’azienda di Parma fondata nel 1946 dall’ingegnere Saul Bonatti. Conta circa 6 mila dipendenti in 14 paesi. 
 
 
Storia del rapimento. Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla lavoravano come tecnici presso impianti petroliferi del nord-Africa, si occupano di attività di sviluppo, trasporto e manutenzione. I 4 connazionali stati prelevati nei pressi del compound dell’Eni nella zona di Mellitah, dipendenti della società di costruzione “Bonatti” che ha sede a Parma. In merito al rapimento, sin da subito si è parlato di Jihadisti. Ma le ipote avvalorate sono state tante, sin da subito. Secondo quanto riferiscono dall’emittente televisiva “al Jazeera”, i rapitori sono vicini al cosiddetto “Jeish al Qabail” (l'esercito delle tribù), milizie tribali che sono ospiti a quelle di “Alba della Libia” (Fajr) di Tripoli. L’emittente cita fonti militari di Tripoli e dall’emittente riferiscono che la zona dove è avvenuto il rapimento, fino a poco tempo fa, era teatro di scontri e soltanto di recente vi è stato una tregua che è stata sottoscritta dalle milizie tribali e da quelle di Alba della Libia. Secondo le fonti, i quattro italiani sarebbero stati rapiti nel villaggio di al Tawileh, nei pressi di Mellitah e sono stati portati verso sud. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine sul rapimento dei quattro italiani in Libia. Il reato ipotizzato è quello di sequestro di persona a scopo di terrorismo. E’ stato affidato ai carabinieri del Ros, dal pm, il compito di svolgere gli accertamenti per ricostruire l’accaduto. La pista del rapimento compiuto da scafisti non ha trovato alcun riscontro, come non ha trovato alcun riscontro l’ipotesi del rapimento ad opera di “Jeish al Qabail' (Esercito delle tribu'), alleati del generale Khalifa Haftar. Si leggeva sul profilo facebook del Comando generale delle forze armate che fa capo al generale Khalifa Haftar è scritto che i responsabili del rapimento dei quattro italiani sono le milizie di Zuara (Zuwarah), che sono legate alla coalizione Alba della Libia (Fajr) e che lo scopo del rapimento sia stato uno scambio con degli scafisti libici detenuti. Si legge che “nostre fonti confermano che le milizie della cosiddetta Fajr Libia di Zuara sono responsabili del sequestro dei quattro italiani, fare pressioni sull'Italia e ottenere la liberazione di sette libici arrestati per traffico di esseri umani nel Mar Mediterraneo”. Abdullah Naker, politico libico fedele al governo di Tobruk ha rivolto accuse contro le milizie di Alba della Libia (Fajr).

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Israele: imminente l’attacco sull’Iran

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Netanyahu: “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”

A poco meno di 48 ore dalla pioggia di droni e missili arrivati sul territorio dello Stato ebraico, il governo di Benyamin Netanyahu sembra aver fatto la sua scelta, mentre Teheran – che ha già messo in stato di massima allerta le sue difese aeree – ha ammonito che l’eventuale azione armata di Israele stavolta “avrà una risposta molto dura”.

Quattro funzionari statunitensi hanno dichiarato però alla Nbc News che un’eventuale risposta israeliana all’attacco iraniano sarà di portata limitata e riguarderà probabilmente attacchi contro armamenti militari iraniani e agli alleati al di fuori dell’Iran. Poiché l’attacco iraniano non ha provocato morti o distruzioni diffuse, secondo i funzionari americani, Israele potrebbe rispondere con una delle sue opzioni meno aggressive: una di queste potrebbe includere attacchi all’interno della Siria.

I funzionari non si aspettano che la risposta prenda di mira alti funzionari iraniani, ma che colpisca le spedizioni o le strutture di stoccaggio con parti di missili avanzati, armi o componenti che vengono inviati dall’Iran a Hezbollah. L’emittente specifica che la valutazione degli Stati Uniti si basa su conversazioni tra funzionari statunitensi e israeliani avvenute prima che l’Iran lanciasse più di 300 droni e missili contro Israele: mentre Israele si stava preparando per l’attacco iraniano la scorsa settimana, i funzionari israeliani hanno informato gli omologhi Usa sulle possibili opzioni di risposta.

L’operazione verso cui si sta dirigendo Israele si scontra inoltre con la forte opposizione Usa e di quella degli alleati che l’hanno affiancato nell’abbattere il 99% dei proiettili lanciati da Teheran. Joe Biden, che aveva frenato la reazione israeliana nelle prime ore, ha ribadito chiaramente che “occorre evitare un’escalation in Medio Oriente” ricevendo il primo ministro iracheno alla Casa Bianca. Mentre il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby, dopo che erano filtrate indiscrezioni su un possibile coordinamento tra Gerusalemme e Washington, ha chiarito che “il governo israeliano deciderà da solo se ci sarà e quale sarà la risposta” all’affronto iraniano.

“Gli Stati Uniti non sono coinvolti”, ha sottolineato Kirby, definendo poi “uno spettacolare fallimento” l’offensiva di sabato di Teheran, quasi a blandire l’alleato israeliano, smentendo peraltro che Teheran “avesse fornito agli Usa tempi e target” dei raid. “Non c’è altra scelta se non quella di rispondere all’attacco di Teheran”, ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al capo del Pentagono Austin. E anche il comandante dell’Idf, Herzi Halevi, ha confermato che “la risposta ci sarà”. “Il lancio di così tanti droni e missili sul nostro territorio avrà la sua risposta”, ha avvertito.

Se la reazione armata appare a questo punto scontata, cruciale sarà capire come reagirà Teheran. Il gabinetto di guerra – che al dossier Iran ha già dedicato due riunioni e un’altra è in programma martedì – sta studiando “diverse opzioni”. Ognuna delle quali, è stato spiegato, rappresenta “una risposta dolorosa” per gli iraniani, senza tuttavia rischiare di scatenare “una guerra regionale”. Nel ristretto gruppo di ministri – da Netanyahu a Gallant a Benny Gantz – che deve prendere la decisione, l’obiettivo è quello di scegliere un’opzione che “non sia bloccata dagli Usa” e che rientri in una strada praticabile. Israele, fanno notare molti analisti anche in patria, non può ignorare del tutto le preoccupazioni degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali su un’escalation che avrebbe conseguenze devastanti per la regione e non solo.

Così i vari scenari vanno da un contrattacco diretto sul territorio iraniano a operazioni che colpiscano gli alleati del regime degli ayatollah nella regione fino ad azioni mirate sui capi delle Guardie rivoluzionarie. Nella prima ipotesi, la più pericolosa, nel mirino potrebbero finire addirittura i siti legati al nucleare iraniano il cui programma, secondo il premier britannico Rishi Sunak, “non è mai stato a uno stadio così avanzato”.

L’Iran da parte sua ha messo in guardia Israele. “L’attacco limitato di sabato sera – ha affermato il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian in un colloquio telefonico con l’omologo russo Serghei Lavrov – mirava ad avvertire, scoraggiare e punire il regime sionista. Ma se Israele intraprenderà una nuova azione contro l’Iran, dovrà affrontare una risposta molto più forte”. 

Netanyahu, Iran dovrà aspettare nervosamente nostra risposta

L’Iran dovrà aspettare “nervosamente senza sapere quando potrebbe arrivare l’attacco, proprio come ha fatto fare lo stesso a Israele”. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu ad una riunione dei ministri del Likud. Poi ha aggiunto – secondo la stesse fonti – “Israele risponderà all’attacco dell’Iran ma lo farà in maniera saggia e non di pancia”.

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Russia, Evgenya Kara-Murza: “Putin va fermato”

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“La Russia ha un unico ed enorme problema interno ed è il regime di Putin.

Tutto il resto proviene a cascata da questo” perciò “Putin va fermato. L’unica garanzia di pace e stabilità per il nostro continente è una Russia democratica”. A parlare, in un’intervista esclusiva al Festival Internazionale del Giornalismo 2024 anticipata all’ANSA, è Evgenya Kara-Murza, moglie di uno dei più noti politici d’opposizione in Russia, Vladimir Kara-Murza, dall’aprile 2022 in carcere dove sta scontando una condanna a 25 anni di reclusione con l’accusa di vilipendio alle forze armate e alto tradimento.“Mio marito è sopravvissuto a ben due agguati, nel 2015 e nel 2017, da parte del gruppo di spionaggio Fsb (i servizi segreti russi, ndr), una banda di criminali al servizio del governo russo, implicati anche nell’avvelenamento con il Novichok”, racconta la moglie dell’oppositore che ha dovuto rinunciare alla sua partecipazione in presenza al Festival di Perugia, in programma dal 17 al 21 aprile. Nella video intervista, che sarà trasmessa sabato 20 aprile, Kara-Murza racconta di non vedere il marito dal giorno del suo arresto nell’aprile 2022: “Mi è stato concesso di parlargli al telefono solo un paio di volte. L’ultima a dicembre per soli 15 minuti. Abbiamo tre figli e ho lasciato che parlassero con il padre per cinque minuti ciascuno. Non ho scambiato nemmeno una parola con lui perché non volevo togliere tempo prezioso ai suoi figli”. La donna è un fiume in piena e le accuse a Mosca sono dirette e circostanziate.

“Questa è un’autentica tortura psicologica che il regime utilizza nei confronti di chi rifiuta di rimanere in silenzio di fronte alle atrocità del governo russo e denuncia la guerra in Ucraina. Il regime di Putin ha rispolverato tutto l’intero arsenale della macchina repressiva sovietica, incluso l’uso di punizioni psichiatriche. Vuol dire che oppositori e dissidenti possono essere rinchiusi con la forza in cosiddetti ‘ospedali psichiatrici’ ed essere sottoposti a trattamenti psichiatrici contro la loro volontà”. Evgenya Kara-Murza non nasconde la sua preoccupazione per la salute del marito che ha perso 25 kg da quando è in carcere. Dallo scorso settembre è rinchiuso in una cella di isolamento nota con le sue iniziali russe come EPKT. La cella di sei metri quadrati ha un solo sgabello, una piccola finestra chiusa da sbarre e un letto che si ripiega nel muro durante il giorno. Nessuna possibilità di comunicare con l’esterno, neanche tramite lettere. “L’obiettivo del regime di Putin – spiega Kara-Murza – è quello di isolare gli oppositori dal mondo. Di farli sentire soli e dimenticati. Per questo è importante continuare a parlare di loro, che i nomi dei dissidenti russi e che le loro storie siano conosciuti”.

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Zaporizhzhia, Aiea: rischio di un grave incidente nucleare

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Gli “attacchi sconsiderati” alla centrale nucleare di Zaporizhzhia “aumentano significativamente il rischio di un grave incidente nucleare e devono cessare immediatamente”: lo ha detto il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Rafael Grossi, come riferisce l’Agenzia stessa.

L’attacco di ieri alla centrale rappresenta “una chiara violazione dei principi fondamentali per la protezione della più grande centrale nucleare d’Europa”, ha aggiunto. 

Ieri l’Aiea ha confermato che “le principali strutture di contenimento dei reattori della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia hanno subito ieri almeno tre attacchi diretti”.

E’ il primo caso del genere “dal novembre 2022 e dopo aver stabilito i 5 principi di base per evitare un grave incidente nucleare con conseguenze radiologiche”, ha detto Grossi.

“Nessuno può in teoria trarre beneficio o ottenere alcun vantaggio militare o politico dagli attacchi contro gli impianti nucleari – continua Grossi in un post sul suo account X -. Faccio appello fermamente ai responsabili militari affinché si astengano da qualsiasi azione
che violi i principi fondamentali che proteggono gli impianti nucleari”.

Poco prima l’Aiea aveva dichiarato che “attacchi di droni hanno causato un impatto fisico su uno dei sei reattori dell’impianto e una vittima”, specificando che “i danni all’unità 6 non hanno compromesso la sicurezza nucleare ma si tratta di un incidente grave che potrebbe minare l’integrità del sistema di contenimento del reattore. 

 I responsabili dell’impianto, sotto controllo russo, hanno denunciato che “droni ucraini hanno attaccato la centrale nucleare di Zaporizhzhia” e questi raid hanno “danneggiato un camion parcheggiato vicino alla mensa”. Da parte sua, il governatore ucraino Ivan Federov ha detto che l’esercito russo ha bombardato con missili Grad Gulyaipole la regione di Zaporizhzhia, uccidendo tre civili nella stessa abitazione.

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