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di Susanna Campione
Lo scorso maggio la Cassazione ha emesso la sentenza n. 11504/ 2017 in tema di assegno di mantenimento del coniuge divorziato. Si è subito acceso un vivace dibattito su televisioni e giornali: sentenza femminista, maschilista, rivoluzionaria. La sentenza appare innovativa perché per determinare il diritto del coniuge divorziato al mantenimento non considera il tenore di vita avuto durante il matrimonio ma l'autonomia economica del coniuge che richiede l'assegno.
Quattro i criteri enunciati per stabilire che il coniuge è economicamente autonomo: deve percepire un reddito, avere la titolarità di beni mobili e immobili, possedere capacità lavorativa e disporre di un alloggio. Si deve premettere che la pronuncia in esame riguarda un caso particolare: il divorzio dell'ex ministro Grilli dalla moglie imprenditrice e non appare applicabile concretamente ai casi comuni che quotidianamente vengono sottoposti ai giudici nei Tribunali.
Il provvedimento inoltre lascia molti aspetti irrisolti: non precisa quale sia il reddito da considerare sufficiente per l'autonomia economica, ne' stabilisce cosa succede quando il coniuge assegnatario della casa coniugale perde la disponibilità dell'alloggio a seguito del raggiungimento dell'autonomia economica da parte dei figli e sembra non tenere in alcuna considerazione il lavoro casalingo e familiare svolto dal coniuge per favorire la carriera dell'altro. Desta inoltre perplessità la precisazione della Corte secondo la quale il matrimonio non può più considerarsi una "sistemazione definitiva" ma deve essere un atto di libertà e responsabilità. Quasi che nella generalità dei casi ci si sposi per "sistemarsi". In realtà richiamare un concetto tanto arcaico e riduttivo e suggerire l'immagine del matrimonio come strumento per guadagnare una posizione appare in totale dissonanza con la realtà attuale. Non si può negare che l'istituto del matrimonio sia stato talvolta piegato a realizzare interessi economici, ne' che in epoche storiche remote il matrimonio fosse uno strumento per acquisire proprietà, titoli nobiliari, fondere dinastie. Attualmente però il rinvio a un'idea così antica non trova alcun riscontro in una fase storica in cui le donne sono in maggioranza dedite alla carriera e alla propria realizzazione e spesso guadagnano più dei mariti. Anche l'uso del vocabolo "sistemarsi " è inappropriato. Infatti come qualcuno ha sottolineato ironicamente il concetto di sistemazione è più adatto agli oggetti che alle persone. La prospettazione della Corte inoltre sembra spingere le donne a sacrificare sempre di più la vita familiare in nome di un affermazione professionale che nel quadro delineato dalla sentenza non sarebbe più una libera scelta da concordare con il coniuge ma una necessità dettata dall'evenienza di trovarsi, in caso di divorzio, senza mezzi economici adeguati. Questa si una vera forzatura.
La sentenza di per se' quindi non ha la portata rivoluzionaria che è stata tanto annunciata. Saranno i giudici di primo grado a valutare se e come potrà essere applicata, a dettare concretamente i parametri per valutare l'autonomia economica del coniuge che richiede il mantenimento in sede di divorzio. Si attendono inoltre altre pronunce di Cassazione sul punto, più adatte ai casi delle persone comuni e maggiormente in sintonia con il comune sentire attuale per dare risposte adeguate alle pressanti esigenze che sorgono quando si pone fine al matrimonio.