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Donald Trump torna a minacciare l’Europa, e lo fa con la consueta veemenza che ormai contraddistingue il suo approccio alla politica estera e commerciale. In un post pubblicato sul suo social network Truth, il tycoon ha annunciato l’intenzione di imporre dazi fino al 50% sulle importazioni europee a partire dal primo giugno, sostenendo che le trattative in corso con l’Unione Europea “non stanno andando da nessuna parte”. “Non cerco un accordo”, ha aggiunto, lasciando intendere di voler giocare la carta del confronto frontale.
Nel mirino, però, non c’è soltanto Bruxelles. Pochi minuti prima dell’affondo contro l’Europa, Trump aveva rivolto le sue minacce anche ad Apple, evocando dazi del 25% sugli iPhone nel caso in cui l’azienda non dovesse spostare la produzione negli Stati Uniti. Un ultimatum che ha fatto subito tremare i mercati: a Wall Street, il colosso di Cupertino ha perso oltre il 3%, bruciando circa 100 miliardi di dollari già nelle prime ore di contrattazione.
Dall’Europa arriva una risposta diplomatica ma ferma. Maros Sefcovic, commissario europeo al Commercio, ha dichiarato che “l’Unione Europea è pienamente coinvolta e impegnata a garantire un accordo che vada bene per entrambe le parti. Il commercio tra Ue e Usa deve essere guidato dal rispetto reciproco, non dalle minacce”. Ma la tensione resta altissima. L’uscita di Trump arriva nel pieno di una fase negoziale delicata, con Bruxelles e Washington impegnate a ridurre il rischio di una nuova guerra commerciale. In questo contesto, la minaccia di dazi al 50% non può che essere letta come una forzatura che rischia di far deragliare definitivamente i colloqui.
A tentare di fornire una chiave di lettura ufficiale è intervenuto anche il segretario al Tesoro Scott Bessent, secondo il quale il presidente ritiene che le proposte europee sui dazi siano “scarse e poco coerenti” rispetto a quelle avanzate da altri partner commerciali. Bessent ha inoltre criticato il funzionamento interno dell’Ue, sottolineando un presunto problema di “azione collettiva” che ostacolerebbe l’efficacia delle trattative. Tuttavia, secondo alcune fonti interne alla Casa Bianca, la minaccia di Trump potrebbe essere solo uno strumento negoziale, un’escalation tattica volta a ottenere maggiori concessioni prima della scadenza fissata al 9 luglio. Non tutti, però, condividono questa lettura.
Molti osservatori ritengono che Trump sia intenzionato ad andare fino in fondo, anche a costo di colpire duramente l’economia globale. In gioco non c’è solo il commercio transatlantico, ma la stabilità stessa delle relazioni economiche tra due dei principali blocchi del pianeta. E a farne le spese, almeno per ora, sono soprattutto i mercati: le principali piazze europee hanno chiuso tutte in calo. Milano ha perso l’1,94%, Parigi e Francoforte hanno seguito a ruota, con una perdita complessiva stimata in circa 183 miliardi di euro.
Negli Stati Uniti, anche l’impatto sull’economia domestica potrebbe essere tutt’altro che marginale. Oltre al colpo subito da Apple, già sotto pressione per la complessa riconfigurazione delle sue catene di produzione, c’è il timore che nuovi dazi possano aggravare la crisi dei consumi e peggiorare ulteriormente i conti pubblici americani, già appesantiti da un deficit e un debito in crescita. Il recente downgrade inflitto da Moody’s alla solidità del debito statunitense resta un campanello d’allarme ancora ben presente.
Dietro questa nuova ondata di minacce, si intravede chiaramente l’impronta elettorale della strategia trumpiana. Agitare lo spettro di un’America sfruttata e promettere il ritorno della produzione nazionale rappresentano da sempre due pilastri retorici della sua comunicazione. Colpire l’Europa e persino Apple non è solo una mossa economica, ma un messaggio diretto alla sua base elettorale: l’America prima, a ogni costo. Ma quel costo, se le minacce dovessero trasformarsi in realtà, potrebbe rivelarsi altissimo per tutti.
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