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Redazione
Roma – Cna Cultura e Spettacolo si sta battendo per ritrasformare Cinecittà in un luogo dove si fa produzione cinematografica. Gli Studios non devono diventare un museo del ricordo, ma devono essere un centro vitale, che produce ricchezza e occupazione. Questo obiettivo può essere raggiungo solo riportando al loro interno le piccole e medie imprese e l’artigianato che da sempre ne costituiscono l’anima.
Negli anni ’60 quelle che operavano stabilmente nella cittadella del cinema erano 25. Negli ultimi dieci anni non hanno mai superato le dieci. Oggi se ne contano appena tre, ma potenzialmente, vista la capienza, l’area potrebbe ospitarne 200. Cna Cultura e Spettacolo ha quindi avviato con gli Studios un confronto che, si auspica, possa portare ad un accordo tra le parti a vantaggio di tutto il comparto. A crederci sono in molti. Primi fra tutti: sceneggiatori, produttori, distributori multi piattaforma, post-produttori e tecnici cinematografici.
E’ stato annunciato ieri 12 novembre nel corso del workshop organizzato da Cna Cultura e Spettacolo e Pmi Cinema e Audiovisivo nell’ambito delle attività del 7° Festival Internazionale del Film di Roma.
L’incontro è stata l’occasione per fare il punto sullo stato di salute del settore, fiore all’occhiello del territorio. Dal 2001 al 2012 il tasso di crescita delle imprese laziali del comparto cine-audiovisivo è stato del 32,5%. Gli occupati diretti sono circa 52mila con una ricaduta, nell’indotto, di circa 250mila addetti.
Nel Lazio si contano 1200 imprese attive nella produzione cinematografica e televisiva: il 58,8% del dato nazionale. La crisi ha rallentato una macchina che fino al 2008 ha creato migliaia di posti di lavoro. Tra il 1991 e il 2001 a Roma nell’occupazione c’è stato un vero e proprio boom. Nella produzione (+330,1%), nella distribuzione (+95,7%) e nell’esercizio (+138,5%). Gli addetti, in questi tre segmenti della filiera cinematografica, sono passati in quel periodo da 3.531 a 13.204. Poi è arrivata la crisi, i tagli alla cultura, la scure sui trasferimenti dallo Stato agli enti locali che hanno prodotto inevitabili ripercussioni sul settore. In Italia, negli ultimi cinque anni, l’intervento dello Stato nella cultura è sceso di oltre il 30%. La dotazione del ministero per i Beni e le Attività Culturali l’anno scorso è diminuita del 14,6%, passando da 1.710 a 1.459 milioni di euro.
Il Fus, poi, nel 2011 ha toccato il minimo storico: lo stanziamento è stato di 231 milioni di euro, quasi metà del finanziamento del 2010 (-43.52%). I tagli ai trasferimenti alle regioni, nel 2011, sono stati complessivamente di 4 miliardi. Alle province e ai comuni, rispettivamente, di 300 milioni e 1,5 miliardi. I tagli agli enti locali hanno avuto inevitabili ricadute anche sulla spesa in cultura delle amministrazioni locali. Al taglio dei trasferimenti a Regioni ed Enti locali si aggiungono, poi, norme che impediscono a questi enti di spendere risorse dei loro bilanci. Come ad esempio la limitazione al 20% di quanto speso nel 2009 per mostre e promozione.
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