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Bari, strage dei treni: 19 avvisi di conclusione indagini per dipendenti e dirigenti di Ferrotramviaria

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BARI – La Procura di Trani ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini per il terribile incidente ferroviario che ha fatto tremare la Puglia lo scorso12 luglio 2016, sulla tratta Corato-Andria tra due mezzi che viaggiavano su un binario unico alla velocità di 100-110 chilometri orari. Uno scontro violentissimo, che ha frantumato vetri, piegato lamiere e distrutto 23 vite, 50 persone sono rimaste ferite.

 

Secondo gli inquirenti vi sarebbero 19 responsabili: il capotreno Nicola Lorizzo, i due capistazione Vito Piccarreta e Alessio Porcelli, Francesco Pistolato. Tra gli indagati, inoltre, c’è anche il Dg Virginio Di Giambattista e la dirigente Elena Molinaro e secondo gli inquirenti non avrebbero adottato i provvedimenti “urgenti necessari a eliminare il blocco telefonico” e a introdurre il sistema di controllo automatico della circolazione dei treni”. Devono rispondere, a vario titolo, di disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni gravi colpose.

 

I pm contestano ai dirigenti Ferrotramviaria di aver risparmiato sui lavori (700mila euro) per installare il blocco conta assi che avrebbe evitato l’immane tragedia. Il direttore generale Massimo Nitti, il direttore di esercizio Michele Ronchi, il conte Enrico Maria Pasquini e Gloria Pasquini sono accusati di non aver lavorato nella prevenzione del disastro ferroviario poiché avrebbero ignorato passaggi fondamentali per la salvaguardia del benessere pubblico e del cittadino come le direttive sulla sicurezza del lavoro, le circostanze sull’aggiornamento tecnologico e gli obblighi di contratto di servizio con la Regione. Su di loro cade la responsabilità in merito all’insufficiente “copertura della rete di telefonia mobile lungo la tratta Andria-Corato e quindi delle conseguenziali difficoltà di comunicazione tra personale di terra e personale di bordo”.  Si parla anche di 20 incidenti nascosti “i 20 incidenti che sarebbero stati sfiorati sulla linea tra il 2012 e il 2016 a causa della insufficiente copertura della rete di telefonia mobile lungo la tratta Andria-Corato e quindi delle conseguenziali difficoltà di comunicazione tra personale di terra e personale di bordo”.

 

La Puglia ricorda nitidamente quell’incidente, quelle lamiere contorte come fossero fogli di carta al chilometro 51 e le tante vite spezzate. Noi abbiamo seguito questa terribile vicenda sin dall’inizio e abbiamo intervistato la  Dottoressa Rossana Putignano che ha assistito le famiglie delle vittime, la Signora Daniela Castellano che ha perso il padre e la Signora Marita Schinzari, che in questo terribile incidente ferroviario ha perso il fratello Fulvio Schinzari, Vice Questore aggiunto 1 Dirigente a Bari.

 

La Dottoressa Putignano ci ha raccontato che “La tragedia ferroviaria del 12 Luglio u.s. ha colpito tutti noi profondamente: anche noi siamo madri, figli, sorelle,fratelli e ognuno si è proiettato nella situazione di dover far fronte a un dolore simile. Nessuno può sopravvivere a una perdita così ingiusta e nessuno è abbastanza anziano per perdere la vita in questa maniera. Bellissima è stata la catena di solidarietà che ha portato tantissima gente a riversarsi nei centri trasfusionali per la donazione del sangue e la presenza massiccia dei colleghi psicologi all’interno della U.O. di Medicina Legale del Policlinico di Bari che ha ospitato le salme per il riconoscimento fotografico e le autopsie. In qualità di Psicologa –Psicoterapeuta anche io ho potuto dare il mio contributo alle famiglie: non ci sono parole, solo carezze abbracci e lacrime, copiose lacrime da asciugare. Li ho accompagnati di sotto dai loro cari, l’odore di morte ti investe appena apri quella porticina che dalle scale conduce all’obitorio. Non scendo nel dettaglio per non soddisfare la macabra curiosità di chi vorrebbe sapere cosa ho visto; infatti,è mia intenzione solamente denunciare i comportamenti di alcuni professionisti. Non specifico la categoria professionale per non ledere l’immagine di chi lavora facendo il proprio dovere e nel silenzio del proprio studio, senza ambire all’inchiesta del momento o al risarcimento di chi si costituirà parte civile, ma è mio doveroso compito non chiudere gli occhi davanti al tentativo bieco di speculare sul dolore, approfittando della mancanza di lucidità delle famiglie. Oltre alla distribuzione di bigliettini da visita, ho visto fare promesse teatrali nei corridoi, assicurare giustizia a tutti i costi e per tutte le vittime del mondo, ho cacciato personalmente persone che non riuscivano a meglio identificarsi. Insomma, non mi aspettavo che uccelli carnivori venissero a mangiare le carcasse di quello che restava nella vita di quelle persone. Perché quei familiari sono solo corpi, fantasmi deambulanti, senza speranza di vita, senza progettualità. La loro quotidianità è stata interrotta bruscamente e devono riorganizzare, in base ai loro tempi, la loro vita senza i loro cari e in questo frastuono e grido di dolore alcune persone hanno avuto il coraggio di avvicinarsi a loro.  Gli sciacalli non sono i giornalisti che fanno il loro mestiere anche perché hanno dato “voce” a chi voleva dire qualcosa, gli sciacalli sono chi per ego personale non si rende conto della delicatezza della situazione sfruttando a tutti i costi la tragedia. Ora si va alla ricerca dei numeri delle famiglie, questo no proprio non lo ammetto!” Come ha detto una mia stimatissima collega “quando finiscono le parole, iniziano le parolacce”  ma io ho finito anche quelle”.

 

La Signora Daniela Castellano ha perso il padre in questo terribile incidente. Noi la intervistammo pochi giorni dopo la tragedia, si leggono parole in cui il dolore e la rabbia si scontrano con la voglia di lottare per arrivare alla verità. Ci ha raccontato che “la mia vita è cambiata in modo drastico. Ti parlo già iniziando da martedì quando apprendo la notizia dai televideo che i treni si erano scontrati, non sapevo che papà fosse su quel treno ma ho pensato subito a mio fratello, a mio cognata che vivono ad Andria e loro prendono quel treno per muoversi perché lavorano tutti e due a Bari. Mi muovo subito per avere notizie, purtroppo quando chiamo mia sorella e spiego che c’era stato l’incidente in treno, mia sorella ha iniziato ad urlare “Papà era su quel treno”. Da quel momento la mia vita è finita. Ci siamo messe in macchina io, mia mamma e mia sorella con il suo fidanzato e siamo accorse sul punto in cui c’è stato l’incidente. Da li è iniziato questo calvario, loro hanno aspettato li per avere notizie con mio fratello per vedere se papà era tra i feriti e poi io e mia mamma abbiamo iniziato a guardare in giro per Andria per avere notizia e riguardo: all’ospedale, dai Carabinieri, al palazzetto dello sport. Alle 17:00/18:00 ci dicono dal palazzetto dello sport che papà non era tra i feriti e che sarebbe stato il caso di trasferirci a Medicina Legale a Bari. Da Andria a Bari è stato il mio viaggio più lungo perché da un lato non vedevo l’ora di arrivare per avere notizie, dall’altro sapevo ormai che papà era morto perché me lo sentivo e non volevo arrivare. Quando poi sono arrivata li ci hanno riuniti; abbiamo avuto un grande supporto da parte degli psicologi, psichiatri e gli stessi medici legali che sono vicinissimi a noi. Li ci hanno chiesto che cosa indossasse mio padre, se c’erano delle caratteristiche particolari per poterlo riconoscere e che prima del giorno dopo non avremmo potuto fare il riconoscimento. Però venivo a sapere che papà è morto”.

 

Nel corso della nostra lunga intervista che qui riproponiamo parzialmente avevamo chiesto se prima dell’incidente vi fossero state delle avvisaglie da parte dei cittadini o dei pendolari in merito alle condizioni della ferrovia o del transito dei treni e ci rispose “No, no, assolutamente. Anche perché consideri che nessuno era a conoscenza della tratta che forse comunque scoperta d’impianto di sicurezza. Quando aprirono la tratta su Palese sembrava che Bari-Palese fosse la migliore ferrovia del mondo e quindi si pensava che fosse la più sicura perché comunque le interviste che rilasciarono all’epoca dalle istituzioni erano pervase da entusiasmo che mai avremmo pensato che si potesse arrivare a una tragedia del genere. Come fai a sapere che quel tratto era scoperto da qualsiasi sicurezza e che addirittura il treno partisse in vecchio modo, praticamente medioevale, col fischio e con la telefonata. Mai avremmo potuto immaginarlo, non l’avremmo mai preso. Nessuno prende un treno della morte, nessuno lo prende il treno della morte. Ma neanche tutti i pendolari i giorni prima e i giorni seguenti”.

 

Avevamo sentito anche la Signora Marita Schinzari, che in questo terribile incidente ferroviario ha perso il fratello Fulvio Schinzari, Vice Questore aggiunto 1 Dirigente a Bari. Ci raccontò che “Il dolore è immenso, distruttivo. Io sono confusa addolorata e sinceramente molto arrabbiata. Questa orribile tragedia si poteva evitare, bastava che chi di dovere prima di effettuare grandi lavori nella tratta Barletta Bari tenesse conto di una sola parola: sicurezza! È venuto a mancare il fulcro di tutto questo bel contorno di ammodernamento, la sicurezza”. Ci disse che “Mio fratello Fulvio Schinzari era Vice Questore aggiunto 1 Dirigente a Bari. Lui, come me, era un pendolare. Io lavoro in posta e da 5 anni, sono a Bari. Ecco, non si usava la macchina per evitare il pericolo e invece avevamo la morte sul collo. il treno, un mezzo sicuro, anzi sicurissimo. Lui amava leggere, ascoltare musica perché era un momento di calma alle giornate frenetiche, spesso viaggiavano insieme, di  solito prima carrozza per scendere per primi e arrivare in orario al lavoro, per lo meno per me”.

 

Avevamo chiesto anche a lei se vi erano state delle avvisaglie prima dell’incidente e ci rispose che “non c’erano avvisaglie di nessun tipo, treni stupendi controllori gentilissimi. L’unico problema è che a determinati orari, ad esempio al mattino presto, i treni erano super affollati con tantissima gente. Non oso immaginare se questo incidente fosse successo nel periodo scolastico.  Facile ora riversare tutta la colpa ai controllori, lo schifo sta in alto, non serviva neanche l’ aiuto della comunità europea visto che la famosa curva della tragedia, non c’era un sistema di GPS e uno di blocco automatico dei treni. Ma si può nel 2016 avere un controllo solo per telefono?  Scherziamo? Le piste dei trenini dei bimbi ce l’hanno. Io quel giorno ho perso quel treno per pochi minuti, dovevo essere li con lui e non ci sarebbe stato neanche il tempo di un abbraccio, Dio Mio! Perché? Perche?”.

 

Daniela Castellano ha rivolto un forte e sentito messaggio alle istituzioni: “Vorrei che stessero attenti quando dicono “vi staremo vicini”. Vorrei far capire che per le persone che subiscono un trauma de genere un messaggio di questo tipo è importante, magari per loro sono solo parole ma per noi è importante, è una sicurezza di non essere abbandonati nella ricerca della verità, nel caso dei terremotati nella ricostruzione di intere città. Quindi di fare molta attenzione e di calibrare le parole perché per noi sono importanti, magari per loro sono solo dei copia-incolla. Io mi sono permessa ieri di scrivere al Sindaco di Bari, perché so che stanno cercando un nome per il nuovo ponte dell’asse Nord-Sud. E’ richiesto di prendere in considerazione magari, di dedicare alle 23 vittime il nome di questo ponte. Che possa essere il 12 di luglio o qualsiasi altra data, l’importante è che ci sia un modo per onorare queste vittime, un modo affinchè Bari e la Puglia non dimentichino mai quello che è successo. Su quella ferrovia non esistevano messi di sicurezza e sono morti per l’incuria della politica, che non si dimentichi questa cosa perché ci sono tante altre ferrovie in Puglia che peccano di questo, magari se non è la sicurezza sono i vagoni vecchi. Non dimentichiamo che noi abbiamo il diritto di tornare dai nostri familiari, questo c’è stato negato quel 12 di luglio. Facciamo in modo che non succeda più, ne qui ne altrove. Io combatterò con questa associazione per questo, per la sicurezza, che ci venga garantita la vita. Basta morti per l’incuria, basta. Io piangerò mio padre come la mia famiglia per sempre perché c’è stato portato via in maniera violenta. La morte deve avvenire in modo naturale e non per mano di uomini che non hanno saputo tutelarci. Vogliamo giustizia e la messa in sicurezza della tratta Bari-Barletta che è obbligatoria e io spero che la Regione di questo ne sia consapevole e che blocchi quella ferrovia e aiuti quei pendolari ad arrivare sui luoghi di lavoro sani. Quindi che non vengano strappate di nuovo vite. Un appello: non dobbiamo dimenticare queste 23 vittime. Noi vorremmo una targa con i nomi, in loro ricordo, al chilometro 51 della Bari-Barletta perché chiunque prenda quel treno non debba mai dimenticare quello che è successo. Il loro ricordo non deve essere dimenticato. Vorremmo che qualcuno ci dia delle indicazioni su come fare ad apporre una targa con l’elenco delle 23 vittime, anche io come associazione vorrei fare una raccolta fondi per la targa. E soprattutto vorrei che il Sindaco prenda in considerazione il mio appello e che possa dare un nome a quel ponte in onore delle vittime. La cosa sconcertante anche, quando c’è stata la partita Italia-Francia, gli Ultras di Bari avevano creato un cartellone con due date importanti: 12 luglio 2016 e 24 agosto 2016. Il 12 di luglio era in onore delle 23 vittime e nessuno della Rai ne ha parlato, eppure erano ospiti in Puglia ma nessuno ha dato voce a questi 23 angeli”.

Angelo Barraco

 

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Guidonia Montecelio, botte tra ladri e padrone di casa: arrestato topo d’appartamento. E’ caccia al complice

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I Carabinieri della Stazione di Tivoli Terme hanno arrestato in flagranza di reato un 23enne georgiano, senza fissa dimora e con precedenti, gravemente indiziato del reato di rapina aggravata in concorso.
Lo scorso pomeriggio, a Guidonia Montecelio, località Villanova, due soggetti si sono introdotti in un appartamento di via D’Azeglio, di proprietà di un pensionato, in quel momento in vacanza all’estero. Sul cellulare del figlio dell’uomo, che vive a casa con lui, è arrivato il segnale d’allarme dell’impianto di videosorveglianza.
Il giovane nel visionare il filmato delle telecamere in tempo reale, ha effettivamente notato la presenza di 2 persone che si stavano introducendo nell’abitazione, così ha deciso di precipitarsi a casa, chiedendo aiuto anche ad alcuni amici. Arrivati presso l’abitazione, il figlio del proprietario assieme agli amici hanno notato la coppia vista poco prima nel video dell’impianto di video sorveglianza, allontanarsi con in mano dei borsoni pieni di refurtiva, tra cui orologi e gioielli. Ne è nata una violenta colluttazione, durante la quale uno dei due è riuscito a scappare.
Sul posto sono giunti anche i Carabinieri della Stazione di Tivoli Terme, allertati tramite 112 dal proprietario di casa, che sono riusciti a bloccare definitivamente il 23enne, che è stato arrestato, e su disposizione dell’Autorità Giudiziaria condotto presso il carcere di Roma Rebibbia, mentre sono ancora in corso le indagini per rintracciare il complice.

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Torvaianica, non si ferma all’alt dei Carabinieri: arrestato dopo un rocambolesco inseguimento

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I Carabinieri della Compagnia di Pomezia hanno arrestato un 41enne romeno, già noto alle forze dell’ordine, gravemente indiziato del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Più nel dettaglio, i Carabinieri dell’Aliquota Radiomobile, impegnati in un servizio perlustrativo, nel transitare a Torvajanica sul Lungomare delle Meduse hanno deciso di eseguire un controllo di un’autovettura di grossa cilindrata condotta dal 41enne che viaggiava con a bordo due connazionali. L’uomo, sprovvisto di patente di guida, di documenti d’identità e di assicurazione, si dava improvvisamente alla fuga, dando inizio ad un inseguimento lungo la via Pontina e la via Nettunense, venendo poi bloccato ed arrestato a Campo di Carne.

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1943/1944, “linea Gustav”teatro di feroci combattimenti: Medaglia d’Oro al Valor Civile per la Provincia di Frosinone

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“Territorio di rilevante importanza strategica, in quanto posto a ridosso della ‘Linea Gustav’ e attraversato dalla via Casilina, maggiore arteria di collegamento tra la Capitale ed il Sud del Paese, dal 10 settembre 1943 fu teatro di una violenta occupazione militare e subì devastanti bombardamenti che causarono la distruzione di ingente parte del patrimonio edilizio e culturale. La popolazione, oggetto di feroce barbarie e costretta allo sfollamento, sorretta da eroico coraggio, profonda fede nella libertà ed altissima dignità morale, sopportava la perdita di un numero elevato di concittadini ed indicibili sofferenze, offrendo un luminoso esempio di abnegazione, incrollabile fermezza ed amore patrio”. 1943/1944 – Provincia di Frosinone.
 
È questa la motivazione con la quale stamattina, presso il salone di rappresentanza dell’Amministrazione provinciale di Frosinone, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha fissato sul gonfalone della Provincia di Frosinone, la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Alla cerimonia di conferimento, dall’alto profilo istituzionale, accolti dal Presidente dell’Amministrazione provinciale Luca Di Stefano, hanno preso parte il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il Prefetto di Frosinone Ernesto Liguori, il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli e lo storico e giornalista Paolo Mieli. Presenti in sala anche le massime autorità civili, militari e religiose, gli amministratori provinciali e tantissimi sindaci del territorio.
 
A scandire i vari momenti della cerimonia è stata la presentatrice Valeria Altobelli che ha anche letto una testimonianza di Giuseppina Capuano, nata ad Aquino il 19-10-1905 e residente a Piedimonte San Germano in via Petrone, defunta il 16 aprile 2009, tratta dal libro ‘Tra le pieghe della memoria’ di Elena Montanaro.
 
 
IL PRESIDENTE DI STEFANO: “UN TRIBUTO AI NOSTRI VALOROSI CITTADINI”
 
“La Medaglia D’Oro al Merito Civile è un segno tangibile dell’ammirevole coraggio e della straordinaria resilienza dimostrata dalla nostra provincia durante i terribili eventi legati alla seconda guerra mondiale. Le ferite del passato hanno modellato il nostro presente, ma non hanno mai minato la nostra determinazione e la nostra speranza nel futuro” ha detto il Presidente dell’Amministrazione provinciale Luca Di Stefano.
 
“Quando ogni pilastro era stato raso al suolo, abbiamo trovato la forza di ricostruire, quando il destino sembrava contro di noi, abbiamo trovato la forza di resistere. Il conferimento di questa alta onorificenza su cui ho l’obbligo morale e istituzionale di ringraziare, per l’impegno profuso, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ci insigne di un compito ancora più importante: quello di impegnarci solennemente ad assicurare che le sofferenze patite non siano vane, che le vite perdute non siano dimenticate, e che le lezioni apprese siano tramandate alle future generazioni”, ha aggiunto.
 
“Questa medaglia rappresenta un tributo ai nostri valorosi cittadini, che hanno dimostrato con la loro forza d’animo che la vita e la speranza possono risorgere anche dalle ceneri della distruzione. In questo giorno solenne, giuriamo di onorare il passato, di abbracciare il presente e di costruire un futuro che rifletta la forza e la dignità che ha sempre contraddistinto il nostro territorio” ha concluso il Presidente di Stefano.
 
 
IL SINDACO MASTRANGELI: “LA NOSTRA POPOLAZIONE HA SUBITO L’IMMANE DRAMMA DELLE VIOLENZE”
 
Il primo cittadino della città capoluogo di Provincia ha ripercorso brevemente quei drammatici momenti. “La nostra è stata una popolazione civile che ha vissuto sulla propria pelle anche l’immane dramma delle violenze ad opera dei goumiers francesi su donne, uomini e bambini” ha spiegato in un passaggio il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli ricordando le ‘marocchinate’. Inoltre ha anche sottolineato “l’altissimo prezzo pagato dalla Città di Frosinone nel corso del sanguinoso conflitto bellico”. 
 
 
LO STORICO PAOLO MIELI: “NON DIMENTICHIAMO QUANTA DIGNITÀ LE NOSTRE FAMIGLIE ABBIANO AVUTO NEL RESISTERE”
 
Una attenta e puntuale lectio magistralis, quella tenuta dallo storico e giornalista, professor Paolo Mieli, ringraziato più volte dal Ministro e dal Presidente della Provincia per la sua presenza. Mieli ha raccontato delle “violenze subite da questa provincia” e delle “marocchinate”, evidenziando come “far passare la storia delle sofferenza di questa area solo per le violenze subite dai liberatori è stato un trucco per omettere le sofferenze degli otto mesi che hanno preceduto la liberazione”, che “sono il motivo della medaglia”. “Se potessi vivere in un mondo in cui tutti si comportano come si comportarono i cittadini di questo territorio né sarei lieto” ha ancora detto, mettendo in evidenza la dignità e la resistenza del popolo ciociaro e raccomandando di “non dimenticare quanta dignità le nostre famiglie abbiano avuto nel resistete, nel non farsi abbattere”.
 
 
IL MINISTRO PIANTEDOSI: “L’INTERA CIOCIARIA FU, IN VIRTÙ DELLA SUA VALENZA STRATEGICA, PESANTEMENTE SEGNATA E COLPITA”
 
“Sono lieto di poter consegnare questa medaglia alla Provincia di Frosinone – ha detto fra l’altro il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi -. Un importante riconoscimento voluto  a tributo delle ingenti perdite umane, delle immani sofferenze, delle privazioni, dei diffusi fenomeni di distruzione e devastazione che questo territorio ha dovuto patire durante il secondo conflitto mondiale”.
 
“Un conferimento, quello alla Provincia – ha aggiunto il titolare del Viminale in un altro passaggio – a cui tengo particolarmente, nella consapevolezza che l’intera Ciociaria fu, in virtù della sua valenza strategica, pesantemente segnata e colpita nel corso dei tragici eventi bellici”.
 
“Rievocare le pene sofferte dal popolo ciociaro da parte dei nazifascisti, e anche dalla parte di truppe aggregate degli alleati, deve servire a riconoscere il merito di una comunità che, nonostante le immani sofferenze patite, scelse di proiettarsi e credere nel futuro oltre ogni rivendicazione, senza cedere a tentazioni divisive. I ciociari, come il resto degli italiani, compirono enormi sforzi per contribuire, una volta conclusa la tragedia della seconda guerra mondiale, alla rinascita del nostro paese” ha concluso il Ministro dell’Interno.
 
CENNI STORICI
 
La Linea Gustav è stata una linea difensiva tedesca che si estendeva lungo l’Italia centrale durante la seconda guerra mondiale. Costruita nel 1943-1944 in risposta all’inasprimento dell’offensiva alleata in Italia, la Linea Gustav era uno dei principali ostacoli che l’Asse doveva superare per avanzare verso il nord e liberare il Paese dall’occupazione tedesca.
 
La linea si estendeva approssimativamente da Pescara sulla costa adriatica fino a Grosseto sulla costa tirrenica, attraversando montagne, fiumi e terreni difficili. Era costituita da una serie di fortificazioni, bunker, trincee, campi minati e ostacoli naturali, progettati per rallentare e bloccare l’avanzata delle forze alleate.
 
La battaglia per superare la Linea Gustav è stata estremamente feroce e ha visto pesanti combattimenti tra le forze tedesche e alleate. Gli Alleati hanno lanciato diverse offensive lungo la linea, tra cui la battaglia di Monte Cassino, una delle più celebri e sanguinose della guerra. Questa battaglia, in particolare, ha coinvolto scontri durissimi e pesanti perdite su entrambi i fronti, con gli Alleati che hanno cercato di sfondare le difese tedesche per avanzare verso Roma e il nord Italia.
 
Nonostante le difficoltà e le perdite, gli Alleati sono riusciti a rompere la Linea Gustav nell’ambito dell’operazione Diadem nel maggio 1944. Questo successo ha permesso loro di avanzare verso Roma, liberata il 4 giugno 1944, e di continuare la loro campagna per la liberazione dell’Italia settentrionale.
 
L’avanzata alleata per liberare l’Italia dopo aver superato la Linea Gustav ha rappresentato un momento cruciale nella guerra in Europa, portando alla caduta del regime fascista e alla fine dell’occupazione tedesca nel Paese. Tuttavia, la campagna per la liberazione dell’Italia è stata lunga e difficile, e ha comportato ingenti perdite umane e materiali su entrambi i lati.
 
 
 
 
Privo di virus.www.avast.com

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