Albano Laziale, centro psicologia: il bullismo

 

A cura della Dott.ssa Francesca Bertucci Psicologa-Psicodiagnosta dell’età evolutiva-Mediatore familiare


ALBANO LAZIALE (RM)
– Il bullismo è una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l'atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi. Le caratteristiche peculiari sono: l'intenzionalità, il comportamento aggressivo viene messo in atto volontariamente e consapevolmente; la sistematicità, il comportamento aggressivo viene messo in atto più volte e si ripete quindi nel tempo; l'asimmetria di potere, tra il bullo e la vittima c’è una differenza di potere, dovuta alla forza fisica, all’età o alla numerosità quando le aggressioni sono di gruppo. La vittima, in ogni caso, ha difficoltà a difendersi e sperimenta un forte senso di impotenza.


Il bullismo può assumere svariate forme
, alcune evidenti ed esplicite, altre sottili e sfuggenti all’osservazione degli adulti: diretto: comportamenti che utilizzano la forza fisica per nuocere all’altro. In questa categoria sono presenti comportamenti come picchiare, spingere, fare cadere, ecc.; verbale: comportamenti che utilizzano la parola per arrecare danno alla vittima. Ad, esempio, le offese e le prese in giro insistenti e reiterate; infine, indiretto: comportamenti non direttamente rivolti alla vittima ma che la danneggiano nell’ambito della relazione con gli altri. Sono comportamenti spesso poco visibili che portano all’esclusione e all’isolamento della vittima attraverso la diffusione di pettegolezzi e dicerie, l’ostracismo e il rifiuto di esaudire le sue richieste. Quando le azioni di bullismo si verificano attraverso Internet (posta elettronica, social network, chat, blog, forum), o attraverso il telefono cellulare si parla di cyberbullismo.
Perché si diventa bulli? Perché si diventa vittime?


Una serie di studi hanno messo in luce che
un buon concetto di sé, cioè le credenze riguardo se stessi, le capacità, le impressioni, le opinioni che ogni individuo pensa di avere  e che lo contraddistinguono dagli altri, aiuta bambini e ragazzi a ottenere dei successi, sia a livello relazionale che di rendimento scolastico (Marsh e all., cit. in Camodeca, 2008). Un basso concetto di sé conduce alla vittimizzazione, mentre, i ragazzi/bambini che utilizzano condotte aggressive, che sembrano mostrare un elevato concetto di sé, in realtà non hanno una buona immagine di sé, piuttosto un senso di narcisismo e un tentativo di sembrare ciò che non  si è. Nel caso dei bulli, per esempio, sembrerebbe che il comportamento prepotente da essi attuato sia efficace a fargli guadagnare potere, ammirazione e attenzione e, in questo modo, migliorare poi l’immagine di sé (Marsh e all, 2001).

Le conseguenze
Essere vittima o essere prepotente ed esserlo a lungo nel corso del tempo può rappresentare un fattore di rischio. Chi rimane a lungo nel ruolo di prepotente corre più rischi di altri di entrare in quella escalation di violenza che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a incorrere in problemi seri con la legge. Questi bambini hanno quindi più probabilità da adulti di venire condannati per comportamenti antisociali. Per contro chi rimane a lungo nel ruolo di vittima rischia di andare incontro a livelli di autostima sempre più bassi (“non valgo nulla”, “non sono capace di far nulla”, “gli altri ce l’hanno tutti con me”), a forme di depressione che possono aggravarsi sempre di più, fino a diventare forme di autolesionismo con conseguenze estreme come il suicidio.

Le cause
Sono molteplici e interagenti tra loro, infatti oltre alla personalità del soggetto, sono da considerare il sistema familiare ed il contesto culturale. Il bambino che vive in una famiglia in cui regnano un’educazione coercitiva, violenza e sopraffazione ha più probabilità di interiorizzare schemi di comportamento disadattivi, si sentirà quindi autorizzato ad utilizzare gli stessi modelli di comportamento anche nelle relazioni al di fuori della famiglia. Al contrario, se la famiglia presenta uno stile educativo permissivo e tollerante, il bambino sarà incapace di porre adeguati limiti al proprio comportamento. Inoltre, il bullismo è figlio di un contesto culturale più ampio, in cui si persegue un modello di forza e potere, in cui vige la distinzione dell’umanità tra vincenti e perdenti, l’esaltazione di leader autoritari e di immagini maschili e femminili di successo, in cui la sconfitta non è ben vista. I mass media, televisione, cinema, videogiochi, ci presentano modelli di violenza giovanile come espressione di forza e vitalità, risolutrice di conflitti e depurata da ogni segno di sofferenza o conseguenza per le vittime. In una cultura fondata sui (dis)valori della sopraffazione, dell’arroganza, della furbizia e della competizione, sarà naturale per il piccolo bullo prevaricare il compagno più debole. Infine, i coetanei hanno un ruolo importante nello sviluppo, mantenimento o modificazione del comportamento aggressivo nel gruppo. Il bullo non agisce da solo, alcuni compagni svolgono un ruolo di rinforzo, altri formano un pubblico che incita e sostiene, altri ancora si disinteressano a quello che accade, non manca poi chi tenta di opporsi alle prepotenze per proteggere la vittima, in questo ruolo di difesa si trovano spesso le bambine. Il bullismo è quindi un fenomeno di gruppo.

Cosa si può fare?
La strategia migliore per combattere il bullismo, nelle scuole e online, è la prevenzione, contro il bullismo si dovrebbero attivare sia la scuola che la famiglia. È importante che genitori e insegnanti comunichino tra loro, e si metta in atto un intervento condiviso e coerente. Se un genitore ha il sospetto che il proprio figlio sia vittima o autore di episodi di bullismo a scuola, la prima cosa da fare è parlare e confrontarsi con gli insegnanti. Viceversa, se è un insegnante ad accorgersi di atti di bullismo, dovrebbe individuare insieme ai genitori una strategia condivisa per porre fine alle prevaricazioni. Inoltre, anche il contesto terapeutico familiare è spesso molto utile in questi casi per sostenere i genitori nell’aiutare i propri figli in un momento particolare della loro crescita, per lavorare sul riconoscimento delle emozioni proprie ed altrui e ad aiutare il ragazzo vittima di prevaricazioni ad elaborare i propri vissuti.

Centro psicologia Castelli Romani-Dott.ssa Francesca Bertucci
Psicologa-Psicodiagnosta dell’età evolutiva-Mediatore familiare
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