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Roma

Albano, rubrica psicologia: la famiglia incontra la morte. Resilenza e crescita davanti al dolore

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Tempo di lettura 3 minutiL’equilibrio di una famiglia è facilmente influenzabile dai cambiamenti da una nascita così come dalla morte di un suo componente

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A cura della Dottoressa Catia Annarilli – Psicologa Psicoterapeuta 


ALBANO LAZIALE (RM)
– La morte è un evento biologico che mette fine ad una vita ed è l’evento vitale in grado di suscitare nelle persone pensieri carichi di una intensa emotività, è uno degli argomenti che maggiormente crea disagio e tabù, molti muoiono portandosi nella tomba tante cose di cui non sono riusciti a parlare, tanti segreti di cui sono stati custodi durante la loro vita, altri invece riescono ad affrontare molte questioni ma non il tema della morte sia quella naturale a cui tutti andiamo incontro sia quella che si subisce per la perdita di un caro. Il malato incurabile o quello terminale, colui che affronta la morte da vicino attiva intorno a sé diversi sistemi di comunicazione automatici che hanno tutti la funzione di proteggere dall’ansia:


– chi è malato terminale ha la consapevolezza della morte incombente, stato che però non comunica a nessuno, lo custodisce dentro di sé alimentando lo stato di sofferenza interna;
– la famiglia che riceve le informazioni dal medico, aggiunge a queste altre informazioni che ha raccolto da altre fonti per poi aggiustare il tutto e comunicare al paziente e al medico ed infine imposta un discorso che eviti al paziente una reazione ansiosa troppo eccessiva;
– medici e sanitari hanno un loro sistema di comunicazione chiuso basato su dati medici ritarato dall’ansia della famiglia: più il medico è emotivo più userà un gergo che i familiari non comprendono e più questo alimenterà nella famiglia e nel paziente lo stato ansioso;

La maggior parte dei problemi sorgono quando il sistema chiuso della medicina si scontra con il sistema chiuso del paziente e della famiglia e la minaccia della malattia mortale amplifica l’ansia. Nella pratica clinica si è visto come le persone gravemente malate sono molto riconoscenti quando si offre loro la possibilità di parlare della morte, questo tipo di dialogo permette loro di sentirsi rafforzati, li rende partecipi e consapevoli di quello che sta accadendo loro e non solo vittime impotenti, ciò è fortemente in contrasto con la credenza che la persona possa essere troppo fragile per accettare tutto questo.
L’equilibrio di una famiglia è facilmente influenzabile dai cambiamenti da una nascita così come dalla morte di un suo componente e davanti alle perdite la famiglia ha bisogno di un tempo per trovare un nuovo equilibrio, la durata di questa ricerca dipende anche dal grado di integrazione emotiva precedente al disturbo: una famiglia ben integrata può avere una reazione molto forte al momento della perdita per poi però riorganizzarsi abbastanza rapidamente in modo adattivo; al contrario, famiglie meno integrate possono rispondere con una reazione tiepida al momento del fatto salvo mostrare poi sintomi importanti più avanti, sintomi che possono andare da manifestazioni fisiche come malattie gravi ad altri diversi invece più legati a fenomeni di dipendenza (sostanze, alcool o dipendenza emotiva) o alla devianza più in generale. L’onda d’uro emotiva – una sorta di colpo di frusta dopo la morte di un familiare – è un complesso intreccio di contraccolpi sotterranei costituiti da eventi vitali gravi che possono prodursi ovunque nel sistema familiare esteso nei mesi o negli anni che seguono la morte o un evento luttuoso e non ha a che fare con quello che accade subito dopo l’evento ma è più legato ad una certa rete sotterranea di dipendenza emotiva reciproca fra i membri della famiglia. Questa dipendenza è spesso negata e quando si cerca di metterla in luce il sistema familiare si riorganizza per modificarla, nella maggior parte dei casi questo fenomeno di onda d’urto appare dopo la morte di un membro importante della famiglia la cui perdita mette il sistema davanti ad uno stress fortissimo i cui effetti si manifestano a distanza di tempo sui membri rimasti con i sintomi diversi. Ad esempio la morte di un nonno significativo non di rado può comportare – in una famiglia ad alta fusione emotiva – la comparsa di sintomi nei figli e nei nipoti.
Lavorare in psicoterapia con le famiglie che stanno affrontando la morte di un componente significativo o che stanno affrontando una malattia grave terminale può essere un aiuto prezioso ed estremamente utile perché tutela la famiglia stessa da ripercussioni emotive disfunzionali e aiuta tutti a gestire un dolore altrimenti incontenibile emotivamente.

Dott.ssa Catia Annarilli
Psicologa Psicoterapeuta
www.centropsicologiacastelliromani.it
cell. 3471302714

Bigliografia:
Murray Bowen “Dalla famiglia all’individuo” ed Astrolabio, Roma 1979