ARDEA, STORIA DI UN RAGAZZO DISABILE: QUELL’IRRAGGIUNGIBILE CENTRO RICREATIVO DI POMEZIA

di Simonetta D’Onofrio

Ardea (RM) – Scarsa attenzione per chi è costretto a rimanere inchiodato su una sedia a rotelle, desideroso di raggiungere un posto ricreativo distante dalla sua abitazione una decina di chilometri. Sembra essere questa la motivazione che ha spinto un giovane trentenne a contattarci per porre all’attenzione della redazione il suo annoso problema. Antonio (nome di fantasia per proteggere la sua privacy) è affetto da distrofia muscolare dall’età di tre anni ed è costretto a rimanere bloccato in una carrozzina. Ho sempre trovato difficoltà a poter raggiungere qualsiasi posto — ci dice — il ragazzo e devo essere sempre accompagnato in ogni occasione da mia madre.

Antonio, lo ripete diverse volte: vorrei, con questo mio “sfogo”, far accrescere l’interesse dell’opinione pubblica sulla mia condizione, una realtà comune a tanti altri disabili sparsi nel mondo. Persone con disagi che troppo spesso vengono dimenticate dai media e da chi ha il potere decisionale, uomini e donne che non solo subiscono il dolore fisico ma anche il disagio psichico provocato soprattutto dalle istituzioni che non garantiscono il raggiungimento della pari dignità sociale oltre che morale.

Il nostro protagonista, avrebbe voluto trascorrere un periodo di tempo di questa pausa estiva, presso un centro ricreativo diurno di Pomezia, specializzato per chi ha gravi disabilità, distante qualche chilometro dal territorio comunale dove risiede (si raggiunge con meno di un quarto d’ora in macchina).

“Sarebbe stato per lui una vera e propria terapia, proprio per stare insieme agli altri, per soddisfare l’esigenza di uscire e relazionarsi con il mondo esterno – sostiene la madre separata da molti anni – per questi motivi ho fatto questa richiesta al Comune dove Antonio risiede. Ho pensato che un ambiente con un clima positivo, gli avrebbe permesso un notevole sviluppo delle abilità cognitive, attraverso laboratori e attività di socializzazione”.

La mamma di Antonio ci racconta di aver tentato invano di contattare l’Amministrazione Comunale per richiedere assistenza specifica per lo spostamento di Antonio presso la struttura di Pomezia, perché non in grado di sostenere alcuna spesa aggiuntiva, già gravata da numerose altre spese che da sempre si sobbarca per il mantenimento di un ragazzo disabile.

Allora noi de la redazione ci siamo mossi e abbiamo immediatamente ricevuto una risposta: L’addetto stampa ci ha comunicato che al momento non c’è la possibilità di fornire adeguata copertura per questo tipo di servizio. Il caso sarebbe comunque sotto osservazione dai servizi sociali, che ne conoscono la situazione specifica.

Non è solo Antonio ad affliggersi, e non è un problema solo di Ardea, comune di oltre 42.000 abitanti alle porte di Roma.

La mobilità per le persone con la carrozzella, i servizi specifici da poter offrire per superare le difficoltà oggettive, riguardano molte realtà nel territorio nazionale.

In questo caso abbiamo parlato di trasporto “non obbligatorio” e non previsto da parte di una Pubblica Amministrazione, ma il tema della disabilità è molto vasto e articolato.

Il Censis, di recente, ha definito disabili, i più diseguali nella crescita delle diseguaglianze sociali. Secondo l’Istituto di Ricerca socio-economica le persone disabili saranno 4,8 milioni nel 2020. Dopo la scuola, i disabili saranno destinati all'invisibilità. In Italia la spesa pubblica (437 euro pro-capite all'anno) è molto inferiore a quella media europea (535 euro). Finita la scuola “obbligatoria”, afferma il Centro Studi Investimenti Sociali “tutti a casa”. Il destino dei ragazzi ormai grandi che escono dal sistema scolastico è sintetizzabile con una parola: dissolvenza.

Carreggiate sconnesse, dislivelli negli esercizi commerciali pubblici, mancanza dell’attuazione delle normali norme del codice della Strada sono ormai disagi con i quali, purtroppo, i disabili sono costretti a conviverci “normalmente”. Se aggiungiamo, inoltre, una forte mancanza di sensibilità verso chi soffre, una completa trascuratezza nell’accompagnare i bisogni di queste persone, non solo da chi ha incarichi istituzionali, ma da parte di chi dovrebbe interagire e promuovere percorsi accessibili, mettendo a disposizione strumenti che ne permettono il buon funzionamento, ci accorgiamo che si è fatto ben poco finora. Anche in questo caso la mancanza di una legge organica, affrontata a livello europeo, potrebbe fare molto, una direttiva ad hoc che “obblighi” tutte le istituzioni a comportarsi allo stesso modo, da Nord a Sud, Isole comprese.