Lutto nel mondo del cinema, è morta Carrie Fisher: addio "Principessa Leila"


di Angelo Barraco
 
Il mondo del cinema è in lutto per la morte di Carrie Fisher, meglio conosciuta come la “Principessa Leila” di Star Wars, interpretata da lei a 19 anni nel 1977. L’attrice si è spenta all’età di 60 anni e nei giorni scorsi aveva avuto un infarto mentre era a bordo di un aereo che da Londra la stava portano a Los Angeles. La notizia della sua scomparsa è stata resa nota da un portavoce della famiglia e in un comunicato si legge “E' con grande dolore che la figlia Billie Lourd conferma che la sua amata mamma, Carrie Fisher, si è spenta alle 8.55 di questa mattina”, il comunicato di Simon Halls prosegue “Era amata dal mondo e ci mancherà profondamente, vogliamo ringraziarvi per i vostri pensieri e le vostre preghiere”.
 
La sua scomparsa ha scosso profondamente i fan di Star Wars e del cinema mondiale che oggi piangono la dolce principessa Leila che in passato veniva ammirata sui grandi schermi da grandi e piccini e oggi invece quegli stessi teatri e schermi di Hollywood che l’hanno resa celebre sono diventati meta di fan che portano corone di fiori in sua memoria. Carrie Fisher viene ricordata da tutti coloro che l’hanno conosciuta come una donna molto intelligente, una grande attrice e una scrittrice di talento nonché dotata di un umorismo non indifferente agli occhi degli altri. George Lucas, regista di Star Wars nel 1977 ha commentato “In Guerre Stellari Carrie e' stata una nostra grande e potente principessa, combattiva, saggia, piena di speranza, in un ruolo molto piu' difficile di quanto si possa immaginare”. Ma non sono mancati ulteriori commenti da parte di grandi attori e registi che si sono uniti al dolore di questa grande perdita. Harrison Ford ha commentato: “Carrie era unica, brillante, originale, "Buffa e emotivamente senza paura, Carrie ha vissuto la sua vita coraggiosamente”.
 
La “Principella Leila” era figlia di un cantante pop, tale Eddie Fisher e della celebre attrice Debbie Reynolds. William Shatner di Star Wars, con la commozione di chi ha potuto conoscere Carrie, ha detto “Si è spenta una luce”. Una luce che nel corso della sua carriera ha recitato in numerosi film oltre a Star Wars, ricordiamo “L’impero colpisce ancora”, “Il ritorno del Jedi” e molti altri e il famosissimo Blues Brothers con un cast d’eccezione. Malgrado i film in cui ha recitato abbiano avuto un enorme successo, Star Wars rimane una gemma nella storia della cinematografia poiché ha permesso a molti giovani e non di poter far fluttuare laboriosamente la fantasia verso galassie sconfinate e dove la scienza ha annullato le proprie barriere per dar spazio ad un mondo in cui tutto era possibile e aveva una logica consequenziale. Addio Principessa Leila, ci mancherai. 



George Michael: una sottile linea bianca che conduce alla morte

 
di Angelo Barraco
 
Londra – Il giorno di Natale è morto all’età di 53 anni l’icona del pop mondiale George Michael, personaggio che negli anni, attraverso la sua musica, ha fatto sognare milioni di giovani, dai Wham! Fino alla carriera solista, vendendo oltre 100 milioni di dischi. Una carriera che costantemente è stata oggetti di attenzioni mediatiche per via delle sue scelte sessuali e le sue provocazioni sessuali che, nell’epoca del bigottismo e restrizione mentale, hanno rappresentato l’espressione incontrastabile di libertà e volontà di far reagire un popolo alla repressione di un paese ancorato a vecchi dogmi.
 
La morte di George Michael, secondo quanto dichiarato ufficialmente dal manager, sarebbe avvenuta per insufficienza cardiaca e la Polizia ha precisato che “non ci sono circostanze sospette” e il suo staff ha affermato che è “morto serenamente in casa sua”. Tutto sembrava apparentemente chiarito e risolto ma ecco che improvvisamente spunta su Daily Telegraph  un’agghiacciante tesi alternativa che ipotizza come causa dell’arresto cardiaco un’overdose di eroina. Sarebbe stato proprio il compagno a chiamare i soccorsi nel momento si sarebbe trovato di fronte il compagno privo di vita sul letto ad ora di pranzo.
 
Il quotidiano riporta inoltre che “nell'ultimo anno Michael ha lottato contro una crescente dipendenza dall'eroina”. Rivelazioni sconvolgenti emerse a seguito di alcune rivelazioni del compagno che fanno emergere ancora una volta l’entità del problema-droga all’interno del mondo del rock. In un periodo in cui tale problema sembrava apparentemente superato con lo sviluppo tecnologico e l’avvento di nuove forme di informazione e di prevenzione, sembra invece che la droga sia ancora un piaga sociale che si estende a macchia d’olio in modo inarrestabile, una sottile linea di sangue sta mietendo vittime nel mondo del rock e non solo, facendo calare il sipario ad uno spettacolo triste e dal sapore amaro.
 
La droga come appagamento personale per estraniarsi dalla realtà e raggiungere stati mentali alterati che consentono di poter nascondere velatamente un disagio o un’insoddisfazione, seppur momentanea,  è questa la costante psicofisica che vivono molti artisti che attraversano la sottile linea bianca che li separa da morte certa e si avviano verso un’assunzione periodica che  li rende dipendenti e alza notevolmente il margine di tolleranza, spingendoli pian piano ad assumere sempre maggiori quantità di droga, fino alla morte. Soldi, successo e creatività si tramutano in polvere e diventano il veicolo attraverso il quale si innesta nella mente dell’artista la convinzione di migliorare le proprie qualità creative con l’alterazione e la distorsione della mente, senza considerare minimamente le conseguenze. Come mosche in un piatto gli artisti si spengono lentamente e improvvisamente.
 
E’ il caso di Prince, artista eclettico 57enne che ha saputo trasformare l’arte in musica e viceversa venuto a mancare il 21 aprile scorso in circostanze che in un primo momento risultavano poco chiare. Le indagini hanno però appurato che Prince è morto per un’overdose di oppiacei e le indagini avevano puntato l’attenzione su alcuni medici che avevano prescritto dosi eccessive di antidolorifici. Quando la vita di un’artista brilla di luce è un privilegio nonché un prestigio per coloro che si attorniano ad essa, ma quando la luce si trasforma in fumosa nebbia senza margini di visibilità allora non esistono vie di contrasto alla rassegnazione.
 
E’ il caso di Whitney Houston, 48 anni rinvenuta cadavere nei primi di febbraio di quest’anno in un hotel di Beverly Hills. Una vita di successi contrastata agli innumerevoli eccessi e una tossicodipendenza divenuta persino oggetto di un reality show, ma sono stati tanti i percorsi di riabilitazione non portati a termine, le ricadute, la voglia di ricominciare da zero e scrollarsi un fantasma troppo grande per un’anima così pura dentro ma distrutta in viso dalla sottile dama bianca. Alla tragedia si è aggiunta un’ulteriore tragedia, Bobbi Kristina Brown, figlia di Withney Houston e Bobby Brown p stata rinvenuta cadavere il 28 luglio. La 22enne è stata rinvenuta priva di sensi nel bagno di casa alla periferia di Atlanta. La giovane era rimasta in coma per sei mesi per gravissimi danni cerebrali dopo aver assunto droga e alcool. Vite che si spezzano e si annientano all’improvviso di personaggi dello spettacolo che hanno avuto tutto dalla vita: fama, successo, gratificazione personale, soldi e soprattutto un riscatto sociale che in passato era stato negato a molti di loro. Una vita artistica e musicale che ogni fan ha trasformato in propria attraverso quella musica e quelle parole di una singola canzone che sono divenute la storia di tante vite, un senso di responsabilità che ogni musicista porta con se e che dovrebbe indurlo a comportarsi in modo coscienzioso onde evitare cattive imitazioni da parte di ammiratori. Ma ciò di cui abbiamo parlato non è altro che una sottile linea bianca che parla di morte, autodistruzione e decadimento, in cui l’arte viene platealmente messa in un angolo per far spazio alla necessità egoistica di soddisfare un piacere fine a se stesso che induce alla lenta e precipitosa autodistruzione che induce alla morte. “Le fumerie d’oppio, dove si può comperare l’oblio, sono covi di orrore dove il ricordo di vecchi peccati può essere distrutto dalla follia di quelli nuovi” Oscar Wild. 



Napoli, omicidio del pregiudicato Giuseppe Di Marzo: fermato un noto imprenditore

 
di Angelo Barraco
 
Napoli – Svolta nell’omicidio di Giuseppe Di Marzo, pregiudicato di 35 anni ucciso con un colpo di pistola alla tempia sinistra mentre si trovava in strada nella notte tra il 23 e il 24 dicembre in Via Pratola a Pomigliano D’Arco. I Carabinieri hanno fermato il noto imprenditore del settore di componenti aeronautici Vincenzo La Gatta, 47enne accusato di essere la mano che ha messo fine alla vita di Giuseppe Di Marzo. Le indagini sono state condotte dai Carabinieri di Castello di Cisterna, che hanno provveduto a fermare La Gatta, che adesso si trova agli arresti domiciliari. Secondo una ricostruzione degli inquirenti basata sulle testimonianze raccolte, la vittima sarebbe entrata all’interno di un resort arrecando fastidio ai clienti presenti, prontamente sarebbe stato allontanato dai dipendenti della struttura  ma ad un certo punto, all’esterno della struttura, avrebbe incrociato il titolare che era in compagnia di La Gatta.  Sarebbe scaturita una lite tra il titolare e Di Marzo e La Gatta si sarebbe messo in mezzo tirando fuori una pistola che deteneva regolarmente. Vincenzo La Gatta riferisce che il colpo dalla semiautomatica sarebbe partito in maniera accidentale ma gli inquirenti non hanno creduto a tale versione dei fatti. Dal sopralluogo effettuato sono stati repertati un bossolo e un’ogiva. Le indagini continuano senza sosta per far luce su quanto accaduto, gli inquirenti sentiranno quanto prima La Gatta e ricostruiranno nei dettagli l’omicidio attraverso il racconto dei testimoni. 



Bari, scandalo messa al boss Rocco Sollecito: tuona l'arcivescovo per la condotta del parroco

 
di Angelo Barraco
 
Bari – Non verrà celebrata nessuna messa per il funerale del presunto boss della ‘ndrangheta Rocco Sollecito. La funzione religiosa doveva svolgersi questa mattina alle ore sei  ma l’arcivescovo di Bari Mons. Francesco Cacucci ha posto il divieto a seguito dello scandalo suscitato nell’opinione pubblica per i  manifesti apparsi per le vie della città dove Don Michele Delle Foglie invitava la cittadinanza a partecipare calorosamente  alla funzione e sull’effige si legge in alto: “Chiunque crede in me, non morrà in eterno. -Dalla Liturgia-” in basso invece è riportata la seguente dicitura “Il Parroco Don Michele Delle Foglie, spiritualmente unito ai familiari residenti in Canada e con il figlio Franco venuto in visita nella nostra cittadina, invita la comunità dei fedeli alla celebrazione di una Santa Messa in memoria del loro congiunto”.
 
Inizialmente il rito era previsto per oggi, 27 dicembre, alle ore 18.30 ma il Questore di Bari ha successivamente disposto lo svolgimento della funzione in forma privata per motivi di ordine e sicurezza pubblica, l’Arcivescovo inoltre ha inviato una lettera a Don Michele Delle Foglie in cui scrive che questa sua decisione è stata “presa peraltro in modo arbitrario e senza consultare l'Ordinario Diocesano”. Ma viste le polemiche scatenate e il marasma che si sarebbe ulteriormente mosso, la Questura ha deciso che non ci sarà nessuna messa ponendo il divieto, giunto dopo l’ulteriore opposizione dell’Arcivescovo Francesco Casucci e qualora le disposizioni non venissero rispettate verranno presi i provvedimenti disciplinati previsti dalle norme giuridiche.
 
L’Arcivescovo ha sottolineato che “il grave scandalo che questa tua decisione, presa per altro in modo arbitrario e senza consultare l'ordinario diocesano, sta provocando”. Don Michele Delle Foglie dal suo canto si è pronunciato in merito alla questione evidenziando che la messa non verrà celebrata,  lanciando però un appello a Papa Francesco “La famiglia Sollecito ha revocato la prenotazione della messa a suffragio di Rocco Sollecito che, quindi, non si terrà alle 18:30 né si è tenuta stamattina alle sei, come stabilito dal Questore e come da divieto dell'arcivescovo. Penso di far giungere un appello a Papa Francesco affinché mi riceva come il padre accoglie un figlio nel dolore” parole scritte in un messaggio a Radionorba e aggiunge inoltre “Le sante messe on si celebrano in onore dei defunti, le sante messe si celebrano a suffragio dei defunti e quanto più si è peccatori tanto si chiede la misericordia di Dio”. Ma chi è Rocco Sollecito? Come mai tutta questa polemica? Il 28 maggio venne ucciso alla luce del sole mentre guidava la sua Bmw a Laval, nel Quebec. Un agguato in pieno stile mafioso che rappresentò per gli investigatori un duro colpo al potentissimo Clan Rizzuto poiché l’uomo era considerato un elemento di spicco del crimine organizzato e legato alla famiglia Rizzuto, una delle famiglie mafiose più potenti del Canada. La Polizia d’oltremanica seguì subito la pista mafiosa ma emerge inoltre che il nome dell’uomo spunta in un’indagine della Dia del 2004. 



Delitto Garlasco: dopo 9 anni svolta clamorosa nelle indagini

 
di Angelo Barraco
 
MILANO – Svolta clamorosa nel delitto di Chiara Poggi. Nella nuova inchiesta bis sul delitto è stato iscritto nel registro degli indagati Andrea Sempio. Si apprende che tale iscrizione è un atto dovuto a seguito della scoperta del Dna estrapolato dalle unghie di Chiara e che sarebbe compatibile con quello del ragazzo, che sarebbe amico del fratello della giovane brutalmente massacrata il 13 agosto del 2007.
 
L’esposto presentato dalla mamma di Stasi è stato accolto dalla Procura di Pavia e l’apertura di una nuova inchiesta sulla misteriosa morte della giovane ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati dell’ amico del fratello della vittima il cui dna, secondo la perizia, sarebbe compatibile con quello rinvenuto sotto le unghie di Chiara. Le analisi che hanno portato a questa incredibile svolta nel caso sono state eseguite da un genetista incaricato dal legale di Stasi che si è affidato a una società di investigazione. L’assassino di Chiara sarebbe quindi un amico del fratello della giovane, frequentatore abituale della casa di Via Pascoli 8. Ma gli elementi a carico di questo soggetto sarebbero diversi.
 
Si apprende intanto che il giovane era già stato interrogato ben due volte dagli inquirenti, la prima volta il giorno successivo all’efferato delitto e una seconda volta invece l’anno dopo. Come riporta il Corriere della Sera “l’alibi allora fornito (pur considerato «solido») presenterebbe anomalie e incongruenze. Il giovane avrebbe mentito sui propri movimenti convinto di non venire smascherato, come peraltro inizialmente era avvenuto”. Si parla quindi di verifiche che si sarebbero potute fare nel momento stesso ma che invece non sono state fatte.
 
Una notizia che dopo nove lunghi anni e dolorosi anni, svariate udienze arriva come un fulmine a ciel sereno, riportando alla mente il dolore dei familiari di Chiara che hanno vissuto questo calvario senza tregua e rimettendo in discussione la condanna di Alberto Stasi a sedici anni per omicidio volontario, che oggi sta scontando la sua pena nel carcere di Bollate.
 
Una vicenda che sembrava definitivamente chiusa ma che oggi, alla luce dei nuovi elementi emersi, viene rimessa in discussione con un’inchiesta bis partita da un elemento che sarebbe stato individuato dai difensori di Stasi e farebbe emergere una verità ben diversa da quella attualmente conosciuta e si indirizzerebbe su un giovane della zona. La legge consente che a seguito di una condanna in via definitiva è possibile ottenere la revisione del processo in presenza di elementi nuovi, tali elementi riguardano l’identità del presunto colpevole che gli investigatori avrebbero individuato dal Dna maschile rinvenuto sotto le unghie di Chiara. Il 12 dicembre del 2015 la Corte di Cassazione conferma la condanna a 16 anni per Alberto Stasi, per l’omicidio di Chiara Poggi. Alberto Stasi è stato assolto in primo e in secondo grado, e poi condannato con rito abbreviato a 16 anni di carcere nell'appello 'bis' per l'omicidio della sua fidanzata, uccisa il 13 agosto 2007 nel piccolo centro della Lomellina. A quasi un anno di distanza del verdetto con cui, dopo l'annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte dell' assoluzione di secondo grado, si è stabilito che Stasi avrebbe "brutalmente ucciso la fidanzata", la Cassazione ora dovrebbe mettere la parola fine ad un giallo che va avanti da oltre otto anni. "La sentenza di rinvio dà atto che il movente non è stato individuato ma poi si industria a costruirne uno legato alla vicenda delle immagini pornografiche", con il timore che Chiara potesse distruggere "l'immagine di ragazzo perbene e studente modello di Alberto" ma "la logica ci viene in soccorso e impone di escludere l'insostenibile ipotesi secondo la quale per evitare che la sua fidanzata rendesse nota la passione per la pornografia decidesse di ucciderla costituendosi come alibi proprio quel pc pieno di immagini pornografiche consegnato la mattina dopo ai carabinieri". Lo ha detto il sostituto procuratore generale della Cassazione, Oscar Cedrangolo, nella sua disamina nella sentenza di appello bis che ha condannato Alberto Stasi a 16 anni di carcere per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi a Garlasco nel 2007. Il pg ha sottolineato come emerge dagli atti una "debolezza dell'impianto accusatorio perché se gli indizi sono forti è inutile cercare a tutti i costi un movente che non si riesce a trovare". La sentenza d'appello condanna Stasi senza riconoscergli l'aggravante della crudeltà e ad avviso del pg, "alla fine di una sentenza del genere non si spiega l'indulgenza della Corte nell'escludere l'aggravante se si dice che Chiara è stata "brutalmente uccisa: è il solito inaccettabile sistema di un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma così non si fa giustizia, ma si aggiunge dolore a dolore".
 
L’omicidio Il 13 agosto del 2007 Alberto Stasi, studente di Economia e Commercio alla Bocconi, prova a contattare telefonicamente la fidanzata Chiara Poggi, con la quale aveva trascorso la sera precedente mangiando due pizze prima di tornare a casa, perché in quel periodo Alberto stava preparando la tesi di laurea. Verso le 13.30 si reca a casa della fidanzata, non ricevendo risposta al citofono decide di scavalcare il cancello. Arrivato sulla porta di casa, decide di entrare e trova molto sangue a terra, seguendo le tracce verso la tavernetta trova il corpo di Chiara. Chiama subito i soccorsi e si reca nella vicina caserma dei Carabinieri che distano pochi metri dalla villetta dei Poggi. Chiara è morta per una decina di colpi violenti inferti con un’arma appuntita che non sarà mai ritrovata, tra le 9 e le 12 di mattina (l’orario preciso non sarà mai stabilito). Nella villetta le uniche tracce presenti sono quelle di Chiara, dei suoi familiari, di Alberto e di un falegname che aveva fatto dei lavori pochi giorni prima della morte (oltre alle tracce dei soccorritori chiamati da Stasi). Le indagini si concentrarono sull’ex fidanzato. Ha destato sospetto l’atteggiamento dopo il ritrovamento del cadavere (sembra che il tono di voce di Stasi quando chiama il 118 fosse troppo “rilassato”), le tracce del DNA di Chiara sulla bici di Alberto, la mancanza di sangue sotto le sue scarpe, nonostante il pavimento della casa ne fosse pieno. Alberto Stasi venne arrestato il 24 settembre, ma la scarsità d’indizi certi convinse il GIP a scarcerarlo dopo quattro giorni. Nelle indagini successive (dicembre 2007) viene trovato nel computer di Stasi materiale pedopornografico, elemento che ha contribuito a minare l’immagine del fidanzato. Il 3 novembre 2008 Alberto Stati viene rinviato a giudizio per l’omicidio di Chiara Poggi.
 
Il parere di Mary Petrillo, criminologa, psicologa, Docente di criminologia Coordinatrice Crime Analysts Team (CAT) Vice Presidente Ass. Con Te Donna Lazio: “Allo stato attuale  non possiamo ritenere che tali risultati ora emersi siano non credibili i risultati di questa consulenza indubbiamente faranno discutere e probabilmente potrebbero dare una nuova svolta nel caso di Garlasco, Dna sotto le unghie non è di Alberto Stasi e ció basterebbe per tornare in aula il materiale sottoungueale é sicuramente di qualcuno che ha a che fare in qualche modo col delitto  e riesaminando la dinamica omicidiaria non é detto che ciò che ora emerge da queste analisi, se confermato, non esclude anche la presenza di colui che attualmente è in carcere. Sarà molto interessante sapere a chi appartiene questo materiale biologico, anche se pare appartenere ad un conoscente della coppia che ora verrà probabilmente indagato;  il profilo genetico riscontrato potrebbe farci  riconsiderare la dinamica del delitto di Chiara Poggi perché in effetti le criticità in questo caso non sono poche anche la motivazione alla luce di questo ritrovamento potrebbe essere più chiara. Una revisione del processo potrebbe essere fattibile. Al momento Stasi é condannato in via definitiva, ma se revisione ci sarà potremmo assistere anche ad un eventuale ribaltamento della sentenza o potrebbe essere che emerga la presenza di un eventuale complice.”
 
Il parere di Rossana Putignano Psicologa Clinica – Psicoterapeuta Psicoanalitica -Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Diagnosi Psicodiagnostica e Neuropsicologia Forense del CRIME ANALYSTS TEAM: “A distanza di 10 anni spuntano due cromosomi Y sotto le unghie di Chiara Poggi. La difesa di Stasi, condannato in Cassazione a 16 anni, ritiene di aver scoperto a chi appartiene uno dei due DNA maschili. Ebbene si, a distanza di qualche anno, non si parla più di “evitamento inconscio” delle macchie di sangue sul pavimento da parte di Stasi ma di prove ben più concrete che potrebbero scagionarlo. Come mai, finora, questo DNA non è stato mai individuato? In sede di autopsia, le unghie di Chiara furono “ripulite” con un cotton fioc speciale, tranne quella del mignolo della mano destra. Nel 2014, su richiesta dell’accusa furono ripetute le analisi, anche alla luce delle nuove scoperte in campo scientifico. Il Prof. Francesco De Stefano dell’Università di Genova “sciolse” le unghie in una soluzione, individuando solo DNA maschili e trovando solo alcuni punti di contatto con il DNA di Stasi, tuttavia, questi punti di contatto non apparirono sufficienti per poter dire che si trattasse del DNA del ragazzo. Al giudice la questione non interessava, dunque l’accusa si concentrò sull’assenza di sangue sotto le scarpe di Stasi (che poi sarebbe stato l’elemento che ha condotto alla condanna del ragazzo). La difesa non ha mai dimenticato quel dato, cosicchè, tramite un’ agenzia investigativa, lo studio Giarda ha incaricato un genetista forense il quale ha dimostrato che uno dei DNA maschili sotto le unghie di Chiara appartiene a un ragazzo già sospettato ma mai entrato nell’inchiesta, un amico del fratello che Chiara conosceva bene. Al di là delle prove, che dovranno ancora essere verificate insieme all’alibi del ragazzo, è giusto che ci sia una speranza anche per la famiglia di Alberto Stasi, la quale ha come obiettivo non solo scagionare Alberto ma trovare una verità limpida su Chiara Poggi, che poi è quello che vorremmo tutti.”




Salerno – Reggio Calabria, inaugurata dopo 55 anni: Gentiloni "Scusate il ritardo"

 
di Angelo Barraco
 
SALERNO – Gilbert Keith Chesterton, scrittore e giornalista inglese disse un giorno: “La cosa più incredibile dei miracoli è che accadono”. Un’affermazione che si riflette perfettamente negli occhi  degli italiani che questa mattina si sono svegliati e hanno appreso l’incredibile e fantascientifica notizia che dopo ben 55 anni sono terminati i lavori nella Salerno-Reggio Calabria e che da oggi è tutta percorribile a tre e due corsie per senso di marcia. Una notizia che si proporziona in importanza e spessore quasi alla durata dei lunghissimi anni impiegati per i lavori di completamento. Un traguardo importante per le istituzioni italiane che hanno voluto inaugurare il tutto con una traversata lungo tutto il tracciato compiuta dal Ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, il Presidente dell’Anas Armani e i giornalisti. Un viaggio che si è concluso a Villa San Giovanni, dove c’era il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che ha detto: “Oggi dichiariamo guerra al luogo comune della Salerno-Reggio Calabria, uno dei luoghi comuni forti del nostro Paese. E lo facciamo con sobrietà. Dobbiamo un ringraziamento al ministro dei trasporti Graziano Delrio come lo dobbiamo fortissimo a Matteo Renzi, che in questi due anni ha lavorato, insistito e martellato perché a
una giornata come oggi si riuscisse ad arrivare. Ringraziamo i cittadini per la pazienza” e ha aggiunto “A loro dico 'Scusate il ritardo' e credo che dobbiamo dirlo sinceramente nel momento in cui questo ritardo viene colmato”. Intanto emerge dal sottobosco del PD anche la voce di Matteo Renzi, che ancora provato dalle scelte politiche dei cittadini che lo hanno letteralmente mandato a casa, ha scritto un post sulla sua pagina facebook il 21 dicembre in merito alla Salerno- Reggio Calabria “Dieci mesi fa i giornalisti della stampa estera si misero a ridere. Avevo appena annunciato che la Salerno – Reggio Calabria sarebbe stata inaugurata il 22 dicembre 2016. Grazie al lavoro del Ministero, dell'Anas, dei tecnici e degli straordinari lavoratori questo impegno domani diventerà realtà. Sono felice per gli utenti di questa travagliata strada. Ma sono felice soprattutto perché ridere CON gli italiani è bellissimo. Ma ridere DEGLI italiani, No. Un abbraccio affettuoso a chi ha riso di noi: domani non avranno motivo per farlo. E ricordiamoci che l'Italia ha mille difetti. Ma è comunque il Paese più bello del mondo. E non dobbiamo permettere a nessuno di riderle dietro. Viva l'Italia”. E’ stato avviato da Anas un piano di manutenzione, d’intesa con il Governo e il Ministro delle Infrastrutture e trasporti, dal costo di 1 miliardo di euro, finanziato per interventi su un tratto di 58 km. La A2 diventerà la prima Smart Road in Italia ovvero la prima autostrada predisposta per le auto senza pilota in grado di ottimizzare i flussi di traffico. E’ previsto un piano di implementazione delle infrastrutture tecnologiche e la sicurezza sull’itinerario e un piano di interventi verrà terminato nel 2020. Un progetto innovativo in un tratto autostradale di circa 400 km, dove la saranno predisposti dispositivi wireless che consentiranno il dialogo autostrada-utente e autostrada-mezzo di trasporto. Lungo l’autostrada sorgerà un luogo chiamato “La bellezza del Creato”,  in memoria di tutte quelle persone che hanno perso la vita lavorando alla realizzazione del tratto nelle fasi storiche salienti: dal 1962 al 1972, quando fu realizzata e dal 1998 al 2016. Un angolo collocato a Villa San Giovanni, di proprietà di Anas, che collega l’autostrada agli imbarchi per la Sicilia. E’ stato istituito inoltre un bando di gara per la realizzazione del progetto dal costo di 3 milioni e mezzo di euro, reso pubblico a fine ottobre. 



Delitto Garlasco: l'uomo del DNA sotto le unghie di Chiara è stato iscritto nel registro degli infagati

di Angelo Barraco
 
Milano – Svolta clamorosa nel delitto di Chiara Poggi. L’esposto presentato dalla mamma di Stasi è stato accolto dalla Procura di Pavia e l’apertura di una nuova inchiesta sulla misteriosa morte della giovane ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati dell’ amico del fratello della vittima il cui dna, secondo la perizia, sarebbe compatibile con quello rinvenuto sotto le unghie di Chiara. Secondo la perizia eseguita dalla difesa, sarebbero state rinvenute le sue tracce di DNA proprio sotto le unghie di Chiara. Le analisi che hanno portato a questa incredibile svolta nel caso sono state eseguite da un genetista incaricato dal legale di Stasi che si è affidato a una società di investigazione. L’assassino di Chiara sarebbe quindi un amico del fratello della giovane, frequentatore abituale della casa di Via Pascoli 8. Ma gli elementi a carico di questo soggetto, la cui identità rimane al momento ignota, sarebbero diversi. Si apprende intanto che il giovane era già stato interrogato ben due volte dagli inquirenti, la prima volta il giorno successivo all’efferato delitto e una seconda volta invece l’anno dopo. Come riporta il Corriere della Sera “l’alibi allora fornito (pur considerato «solido») presenterebbe anomalie e incongruenze. Il giovane avrebbe mentito sui propri movimenti convinto di non venire smascherato, come peraltro inizialmente era avvenuto”. Si parla quindi di verifiche che si sarebbero potute fare nel momento stesso ma che invece non sono state fatte. Una notizia che dopo nove lunghi anni e dolorosi anni, svariate udienze arriva come un fulmine a ciel sereno, riportando alla mente il dolore dei familiari di Chiara che hanno vissuto questo calvario senza tregua e rimettendo in discussione la condanna di Alberto Stasi a sedici anni per omicidio volontario, che oggi sta scontando la sua pena nel carcere di Bollate. Una vicenda che sembrava definitivamente chiusa ma che oggi, alla luce dei nuovi elementi emersi, viene rimessa in discussione con un’inchiesta bis partita da un elemento che sarebbe stato individuato dai difensori di Stasi e farebbe emergere una verità ben diversa da quella attualmente conosciuta e si indirizzerebbe su un giovane della zona. La legge consente che a seguito di una condanna in via definitiva è possibile ottenere la revisione del processo in presenza di elementi nuovi, tali elementi riguardano l’identità del presunto colpevole che gli investigatori avrebbero individuato dal Dna maschile rinvenuto sotto le unghie di Chiara. Il 12 dicembre del 2015 la Corte di Cassazione conferma la condanna a 16 anni per Alberto Stasi, per l’omicidio di Chiara Poggi. Alberto Stasi è stato assolto in primo e in secondo grado, e poi condannato con rito abbreviato a 16 anni di carcere nell'appello 'bis' per l'omicidio della sua fidanzata, uccisa il 13 agosto 2007 nel piccolo centro della Lomellina. A quasi un anno di distanza del verdetto con cui, dopo l'annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte dell' assoluzione di secondo grado, si è stabilito che Stasi avrebbe "brutalmente ucciso la fidanzata", la Cassazione ora dovrebbe mettere la parola fine ad un giallo che va avanti da oltre otto anni. "La sentenza di rinvio dà atto che il movente non è stato individuato ma poi si industria a costruirne uno legato alla vicenda delle immagini pornografiche", con il timore che Chiara potesse distruggere "l'immagine di ragazzo perbene e studente modello di Alberto" ma "la logica ci viene in soccorso e impone di escludere l'insostenibile ipotesi secondo la quale per evitare che la sua fidanzata rendesse nota la passione per la pornografia decidesse di ucciderla costituendosi come alibi proprio quel pc pieno di immagini pornografiche consegnato la mattina dopo ai carabinieri". Lo ha detto il sostituto procuratore generale della Cassazione, Oscar Cedrangolo, nella sua disamina nella sentenza di appello bis che ha condannato Alberto Stasi a 16 anni di carcere per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi a Garlasco nel 2007. Il pg ha sottolineato come emerge dagli atti una "debolezza dell'impianto accusatorio perché se gli indizi sono forti è inutile cercare a tutti i costi un movente che non si riesce a trovare". La sentenza d'appello condanna Stasi senza riconoscergli l'aggravante della crudeltà e ad avviso del pg, "alla fine di una sentenza del genere non si spiega l'indulgenza della Corte nell'escludere l'aggravante se si dice che Chiara è stata "brutalmente uccisa: è il solito inaccettabile sistema di un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma così non si fa giustizia, ma si aggiunge dolore a dolore".
 
L’omicidio Il 13 agosto del 2007 Alberto Stasi, studente di Economia e Commercio alla Bocconi, prova a contattare telefonicamente la fidanzata Chiara Poggi, con la quale aveva trascorso la sera precedente mangiando due pizze prima di tornare a casa, perché in quel periodo Alberto stava preparando la tesi di laurea. Verso le 13.30 si reca a casa della fidanzata, non ricevendo risposta al citofono decide di scavalcare il cancello. Arrivato sulla porta di casa, decide di entrare e trova molto sangue a terra, seguendo le tracce verso la tavernetta trova il corpo di Chiara. Chiama subito i soccorsi e si reca nella vicina caserma dei Carabinieri che distano pochi metri dalla villetta dei Poggi. Chiara è morta per una decina di colpi violenti inferti con un’arma appuntita che non sarà mai ritrovata, tra le 9 e le 12 di mattina (l’orario preciso non sarà mai stabilito). Nella villetta le uniche tracce presenti sono quelle di Chiara, dei suoi familiari, di Alberto e di un falegname che aveva fatto dei lavori pochi giorni prima della morte (oltre alle tracce dei soccorritori chiamati da Stasi). Le indagini si concentrarono sull’ex fidanzato. Ha destato sospetto l’atteggiamento dopo il ritrovamento del cadavere (sembra che il tono di voce di Stasi quando chiama il 118 fosse troppo “rilassato”), le tracce del DNA di Chiara sulla bici di Alberto, la mancanza di sangue sotto le sue scarpe, nonostante il pavimento della casa ne fosse pieno. Alberto Stasi venne arrestato il 24 settembre, ma la scarsità d’indizi certi convinse il GIP a scarcerarlo dopo quattro giorni. Nelle indagini successive (dicembre 2007) viene trovato nel computer di Stasi materiale pedopornografico, elemento che ha contribuito a minare l’immagine del fidanzato. Il 3 novembre 2008 Alberto Stati viene rinviato a giudizio per l’omicidio di Chiara Poggi.
 
Il parere di Mary Petrillo, criminologa, psicologa, Docente di criminologia Coordinatrice Crime Analysts Team (CAT) Vice Presidente Ass. Con Te Donna Lazio: “Allo stato attuale  non possiamo ritenere che tali risultati ora emersi siano non credibili i risultati di questa consulenza indubbiamente faranno discutere e probabilmente potrebbero dare una nuova svolta nel caso di Garlasco, Dna sotto le unghie non è di Alberto Stasi e ció basterebbe per tornare in aula il materiale sottoungueale é sicuramente di qualcuno che ha a che fare in qualche modo col delitto  e riesaminando la dinamica omicidiaria non é detto che ciò che ora emerge da queste analisi, se confermato, non esclude anche la presenza di colui che attualmente è in carcere. Sarà molto interessante sapere a chi appartiene questo materiale biologico, anche se pare appartenere ad un conoscente della coppia che ora verrà probabilmente indagato;  il profilo genetico riscontrato potrebbe farci  riconsiderare la dinamica del delitto di Chiara Poggi perché in effetti le criticità in questo caso non sono poche anche la motivazione alla luce di questo ritrovamento potrebbe essere più chiara. Una revisione del processo potrebbe essere fattibile. Al momento Stasi é condannato in via definitiva, ma se revisione ci sarà potremmo assistere anche ad un eventuale ribaltamento della sentenza o potrebbe essere che emerga la presenza di un eventuale complice.”
 
Il parere di Rossana Putignano Psicologa Clinica – Psicoterapeuta Psicoanalitica -Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Diagnosi Psicodiagnostica e Neuropsicologia Forense del CRIME ANALYSTS TEAM: “A distanza di 10 anni spuntano due cromosomi Y sotto le unghie di Chiara Poggi. La difesa di Stasi, condannato in Cassazione a 16 anni, ritiene di aver scoperto a chi appartiene uno dei due DNA maschili. Ebbene si, a distanza di qualche anno, non si parla più di “evitamento inconscio” delle macchie di sangue sul pavimento da parte di Stasi ma di prove ben più concrete che potrebbero scagionarlo. Come mai, finora, questo DNA non è stato mai individuato? In sede di autopsia, le unghie di Chiara furono “ripulite” con un cotton fioc speciale, tranne quella del mignolo della mano destra. Nel 2014, su richiesta dell’accusa furono ripetute le analisi, anche alla luce delle nuove scoperte in campo scientifico. Il Prof. Francesco De Stefano dell’Università di Genova “sciolse” le unghie in una soluzione, individuando solo DNA maschili e trovando solo alcuni punti di contatto con il DNA di Stasi, tuttavia, questi punti di contatto non apparirono sufficienti per poter dire che si trattasse del DNA del ragazzo. Al giudice la questione non interessava, dunque l’accusa si concentrò sull’assenza di sangue sotto le scarpe di Stasi (che poi sarebbe stato l’elemento che ha condotto alla condanna del ragazzo). La difesa non ha mai dimenticato quel dato, cosicchè, tramite un’ agenzia investigativa, lo studio Giarda ha incaricato un genetista forense il quale ha dimostrato che uno dei DNA maschili sotto le unghie di Chiara appartiene a un ragazzo già sospettato ma mai entrato nell’inchiesta, un amico del fratello che Chiara conosceva bene. Al di là delle prove, che dovranno ancora essere verificate insieme all’alibi del ragazzo, è giusto che ci sia una speranza anche per la famiglia di Alberto Stasi, la quale ha come obiettivo non solo scagionare Alberto ma trovare una verità limpida su Chiara Poggi, che poi è quello che vorremmo tutti.”




Anzianità: l'indifferenza e l'abbandono ai tempi del materialismo indotto

di Angelo Barraco
 
“La vita, la sventura, l'isolamento, l'abbandono, la povertà, sono campi di battaglia che hanno i loro eroi, eroi oscuri a volte più grandi degli eroi illustri” scrisse Victor Hugo nel 1862 ne “I Miserabili”. Un lapidario quadro prospettico  che descrive perfettamente i drammi esistenzialistici a cui è sottoposto costantemente l’essere umano –indipendentemente dal periodo storico- che mirano ad un crescente cambiamento culturale che  però genera una discrasia evidente tra principi evolutivi esistenzialistici basati sulla cultura e l’intento unico di valorizzare lo status simbolo di un paese che dell’arte e di un certo tipo di approccio alla vita ha fortificato la propria colonna vertebrale, dall’altro lato invece si contrappone un’evoluzione sociale di tipo materialista che scardina notevolmente il valore e il peso che la cultura dovrebbe avere, lasciando spazio invece alla più totale deframmentazione degli ideali che costituiscono l’emblema di un costrutto societario. Lo sviluppo industriale ha indotto la società odierna ad un impoverimento di valori etici e morali, riducendo all’osso quelli che sono i fattori compassionevoli e altruistici per far spazio al materialismo che funge da sedativo costante per l’amor proprio. Ci ritroviamo tutti giorni a leggere sui giornali brutte storie di violenze domestiche in cui l’annullamento costante della vita non è l’esatta conseguenza di un fattore Darwiniano che induce un soggetto a reagire a suo simile per spirito di sopravvivenza dinnanzi al pericolo che incombe ma la maggior parte delle volte è la becera dimostrazione di supremazia di un soggetto che esercita violenza gratuita nei confronti di un altro suo simile. Atteggiamenti che sono il frutto di una società che è lo specchio di un proletario status quo che forzatamente e volutamente viene imborghesito dai cattivi esempi  che imposti dai diversi canali di informazione e dai principi di classificazione mediante modelli volgarmente preposti e costantemente propinati e ostentati da mezzi d’informazione che non esitano a disinformare sui principi e sui valori che costituiscono lo sviluppo sociale. La società odierna dipinge dei modelli sociali e culturali spesso diseducativi dove l’informazione e l’educazione civica viene fuorviata dall’induzione al materialismo quale bisogno indispensabile e primario che viene posto al di sopra di ogni valore umano.  Le radici rappresentano l’elemento tramite il quale un albero rimane ancorato al suolo per molti anni e si fortifica, senza mai spostarsi di un millimetro e per tale ragione sono inamovibili. La nostra cultura è profondamente legata al concetto di radice come elemento di continuità che lega il passato con il presente, e laddove tale inoppugnabile fattore di continuità viene a mancare per volere di un’etica voluttuaria, insorgono inequivocabilmente le imperfezioni di una cultura che presuntuosamente ha cercato di evolversi tentando in vano di nascondere il passato sotto il tappeto, credendo invece di valorizzarsi attraverso il tecnicismo indotto dalla cultura che elargisce benessere attraverso il valore oggettivo. Tali elementi portano spesso gli individui a trascurare il prossimo, a denigrare il “vecchio” preferendo il nuovo e tutto ciò che rappresenta un ostacolo viene semplicemente accantonato, messo in angolo e abbandonato. Tale concetto è applicabile a diversi fattori che rappresentano la società odierna ma l’aspetto che oggi abbiamo deciso di analizzare è il costante problema degli anziani che vengono lasciati da soli in casa dai loro congiunti, senza nessuno che si occupi di loro e senza alcun margine di possibilità di scampare alla morte laddove l’oscura signora dal mantello nero faccia capolino. Storie che fanno riflettere e devono assolutamente scuotere le coscienze di tutti coloro che hanno deciso di sradicare una radice pensando che un albero possa crescere senza di essa, perché un albero, ricordiamoci, senza radici non cresce e i nostri cari meritano le dovute attenzioni, esattamente come quelle che ci hanno dato nel momento in cui siamo venuti al mondo.  Spesso però tale concetto viene sobbarcato dall’indifferenza di molti e tristemente ci si trova dinnanzi a storie in cui gli anziani rimangono da soli e muoiono senza qualcuno a loro fianco. Come dimenticale quanto accaduto a Verona nel settembre scorso, quando un anziano è stato trovato morto in casa con le mani legate e diverse ferite sul corpo, o l’uomo di Milano che lo scorso dicembre è morto nella sua casa in Via Degli Alpini e i Vigili hanno rinvenuto il suo cadavere carbonizzato. Storie di solitudine, di uomini e donne che per dinamiche avverse non sono riusciti a trovare la giusta via di fuga e/o non hanno avuto a loro fianco la persona giusta che li abbia aiutati nel momento opportuno. Come successo a Valdicastello Pietrasanta, dove un uomo di 93 anni è morto nella sua casa a seguito di un incendio. Un incendio che si sarebbe generato mentre l’uomo accendeva il caminetto., o come Reggio Emilia, dove un altro anziano è morto carbonizzato nel suo appartamento, ma il caso più eclatante è accaduto nel maggio scorso a Cagliari, dove il corpo di un uomo è stato rinvenuto cadavere nella sua casa dopo ben cinque anni. L’aviatrice statunitense Amelia Earhart diceva: “Un solo atto di gentilezza mette le radici in tutte le direzioni, e le radici nascono e fanno nuovi alberi”.
 
Il parere di Rossana Putignano Psicologa Clinica – Psicoterapeuta Psicoanalitica -Responsabile della Divisione Sud e della Divisione di Diagnosi Psicodiagnostica e Neuropsicologia Forense del CRIME ANALYSTS TEAM: “È inammissibile che nel XXI secolo ci siano ancora anziani abbandonati a se stessi. A volte mancano i figli oppure questi ultimi sono negligenti e poco grati verso i propri genitori, senza contare l'assenza completa dei servizi sociali. Per tali ragioni les plus âgés, sovente, balzano alla cronaca per le condizioni misere in cui giacciono. Il quadro è quello di case fatiscenti da 'real time', sepolti vivi dall'immondizia o dagli escrementi e umori di chi ormai ha perso la facoltà di intendere e di volere. Nel peggior dei casi, questi poveri anziani, vengono rinvenuti privi di vita, in stato di decomposizione dei corpi senza che nessuno avesse denunciato la loro scomparsa (come nel caso dell'anziano in provincia di Cagliari trovato deceduto nel maggio u.s. dopo 5 anni!!!). Comprensibili, forse, quelle situazioni in cui manca la famiglia, ma la comunità non ha giustificazioni di sorta. Infatti, si è perso quello spirito di solidarietà e di comunità degli anni '80 quando si andava in soccorso dal vicino. Troppo presi dai selfies e dal culto del bello per occuparci della povertà e di chi necessita di assistenza, ovvero del vecchietto della porta accanto. Il 'narcisismo secondario', di cui si parla spesso nei convegni di psicologia e psicoterapia, è il nuovo male del secolo. La depressione viene solo seconda. Questo egoismo cieco non permette di vedere al di là dei nostri bisogni e l'altro non esiste nella nostra mente. È terribile tutto ciò, per poi riscoprirci a natale tutti più buoni e solidali in un clima di completa ipocrisia, in primis verso noi stessi. Durante l'anno cosa abbiamo fatto? Ora è il periodo delle messe, di Telethon, di solidarietà verso le famiglie povere, della dispensa per i meno abbienti ma non dimentichiamo che questi anziani sono stati giovani e hanno cresciuto ed educato figli, hanno lavorato duramente e meritano di essere ripagati nella vita. Se la vita è ingiusta è colpa della nostra aridità, patologia sociale che un giorno potrebbe portare noi stessi in quello stato di abbandono. Nessuno di noi vorrebbe essere trovato morto dopo 5 anni, vero? Meditiamo gente e non solo a Natale. La conversione di 'Scrooge',  protagonista del celebre romanzo 'Carless wisper' di Charles Dickens e dell'omonimo cartone in 3d firmato Walt Disney, ne è un buonissimo esempio per grandi e piccini”.



Delitto Garlasco: si apre inchiesta bis

 
di Angelo Barraco
 
 
MILANO – Si riaprono ufficialmente le indagini sulla morte di Chiara Poggi. Una notizia che dopo nove lunghi anni e dolorosi anni, svariate udienze arriva come un fulmine a ciel sereno, riportando alla mente il dolore dei familiari di Chiara che hanno vissuto questo calvario senza tregua e rimettendo in discussione la condanna di Alberto Stasi a sedici anni per omicidio volontario, che oggi sta scontando la sua pena nel carcere di Bollate. Una vicenda che sembrava definitivamente chiusa ma che oggi, alla luce dei nuovi elementi emersi, viene rimessa in discussione con un’inchiesta bis partita da un elemento che sarebbe stato individuato dai difensori di Stasi e farebbe emergere una verità ben diversa da quella attualmente conosciuta e si indirizzerebbe su un giovane della zona. La legge consente che a seguito di una condanna in via definitiva è possibile ottenere la revisione del processo in presenza di elementi nuovi, tali elementi riguardano l’identità del presunto colpevole che gli investigatori avrebbero individuato dal Dna maschile rinvenuto sotto le unghie di Chiara. Il 12 dicembre del 2015 la Corte di Cassazione conferma la condanna a 16 anni per Alberto Stasi, per l’omicidio di Chiara Poggi. Alberto Stasi è stato assolto in primo e in secondo grado, e poi condannato con rito abbreviato a 16 anni di carcere nell'appello 'bis' per l'omicidio della sua fidanzata, uccisa il 13 agosto 2007 nel piccolo centro della Lomellina. A quasi un anno di distanza del verdetto con cui, dopo l'annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte dell' assoluzione di secondo grado, si è stabilito che Stasi avrebbe "brutalmente ucciso la fidanzata", la Cassazione ora dovrebbe mettere la parola fine ad un giallo che va avanti da oltre otto anni. "La sentenza di rinvio dà atto che il movente non è stato individuato ma poi si industria a costruirne uno legato alla vicenda delle immagini pornografiche", con il timore che Chiara potesse distruggere "l'immagine di ragazzo perbene e studente modello di Alberto" ma "la logica ci viene in soccorso e impone di escludere l'insostenibile ipotesi secondo la quale per evitare che la sua fidanzata rendesse nota la passione per la pornografia decidesse di ucciderla costituendosi come alibi proprio quel pc pieno di immagini pornografiche consegnato la mattina dopo ai carabinieri". Lo ha detto il sostituto procuratore generale della Cassazione, Oscar Cedrangolo, nella sua disamina nella sentenza di appello bis che ha condannato Alberto Stasi a 16 anni di carcere per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi a Garlasco nel 2007. Il pg ha sottolineato come emerge dagli atti una "debolezza dell'impianto accusatorio perché se gli indizi sono forti è inutile cercare a tutti i costi un movente che non si riesce a trovare". La sentenza d'appello condanna Stasi senza riconoscergli l'aggravante della crudeltà e ad avviso del pg, "alla fine di una sentenza del genere non si spiega l'indulgenza della Corte nell'escludere l'aggravante se si dice che Chiara è stata "brutalmente uccisa: è il solito inaccettabile sistema di un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma così non si fa giustizia, ma si aggiunge dolore a dolore".
 
L’omicidio Il 13 agosto del 2007 Alberto Stasi, studente di Economia e Commercio alla Bocconi, prova a contattare telefonicamente la fidanzata Chiara Poggi, con la quale aveva trascorso la sera precedente mangiando due pizze prima di tornare a casa, perché in quel periodo Alberto stava preparando la tesi di laurea. Verso le 13.30 si reca a casa della fidanzata, non ricevendo risposta al citofono decide di scavalcare il cancello. Arrivato sulla porta di casa, decide di entrare e trova molto sangue a terra, seguendo le tracce verso la tavernetta trova il corpo di Chiara. Chiama subito i soccorsi e si reca nella vicina caserma dei Carabinieri che distano pochi metri dalla villetta dei Poggi. Chiara è morta per una decina di colpi violenti inferti con un’arma appuntita che non sarà mai ritrovata, tra le 9 e le 12 di mattina (l’orario preciso non sarà mai stabilito). Nella villetta le uniche tracce presenti sono quelle di Chiara, dei suoi familiari, di Alberto e di un falegname che aveva fatto dei lavori pochi giorni prima della morte (oltre alle tracce dei soccorritori chiamati da Stasi). Le indagini si concentrarono sull’ex fidanzato. Ha destato sospetto l’atteggiamento dopo il ritrovamento del cadavere (sembra che il tono di voce di Stasi quando chiama il 118 fosse troppo “rilassato”), le tracce del DNA di Chiara sulla bici di Alberto, la mancanza di sangue sotto le sue scarpe, nonostante il pavimento della casa ne fosse pieno. Alberto Stasi venne arrestato il 24 settembre, ma la scarsità d’indizi certi convinse il GIP a scarcerarlo dopo quattro giorni. Nelle indagini successive (dicembre 2007) viene trovato nel computer di Stasi materiale pedopornografico, elemento che ha contribuito a minare l’immagine del fidanzato. Il 3 novembre 2008 Alberto Stati viene rinviato a giudizio per l’omicidio di Chiara Poggi.
 
Da Garlasco ci spostiamo a Firenze, dove il 10 gennaio la Corte d’Appello dovrà decidere la richiesta di revisione del processo avanzata da Rudy Guede, condannato per il delitto di Meredith Kercher. I Giudici hanno chiesto l’acquisizione degli atti relativi alla sentenza di Cassazione che ha portato all’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Anche questa vicenda, come il delitto di Chiara Poggi, sembrava definitivamente chiusa con un colpevole in carcere ma anche in questo precipuo contesto c’è stata una specifica situazione che ha portato all’attuale richiesta avanzata da Guede. Il mese di gennaio del 2016 è iniziato con il programma di Franca Leosini “Storie Maledette” e nella prima serata di questo programma cult della televisione italiana è stato intervistato Rudy Guede, attualmente detenuto presso il carcere di Viterbo dove sta scontando una condanna a 16 anni per concorso in omicidio di Meredith Kercher. Nel corso della lunga intervista fatta da Franca Leosini, Guede ha raccontato la sua versione dei fatti e ha detto: “Nella sentenza della Cassazione – con cui Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati definitivamente assolti dall'accusa di omicidio – si legge che i giudici riconoscono che loro erano presenti in quella casa”. Inoltre precisa la sua posizione sottolineando che è arrivato al terzo grado di giudizio con l’accusa di concorso in omicidio e violenza sessuale “ma è scritto nero su bianco che non sono l'autore materiale del delitto”. Rudy Guede poi ricostruisce la sera del delitto e racconta che la sera di Halloween si era baciato con Meredith e si erano accordati per vedersi il giorno dopo a casa sua, per tale motivo lui è andato in quella casa. Ha dichiarato inoltre che ad aprire quella porta è stata la stessa Meredith e non Amanda Knox e ha precisato che la sua incursione non è stata neanche un’incursione forzata, come si è detto svariate volte. Ha precisato inoltre che tra lui e Meredith non c’è stato nessun rapporto sessuale, ma soltanto petting (palpeggiamenti nelle zone intime), tale circostanza è stata riscontrata negli atti del processo, poiché sono stati trovati nelle parti intime di Meredith segni del palpeggiamento riconducibili a Guede ed è stato riscontrato che tale atto non fu fatto con violenza poiché non vi erano tracce di DNA sugli indumenti della giovane studentessa. Guede ha raccontato che non hanno avuto un rapporto sessuale perché entrambi non avevano il preservativo: “Ci siamo rivestiti e dopo un po' di tempo avevo bisogno di andare in bagno. Sono andato in quello grande, era il più vicino al salotto e lontano dalla camera di Meredith". In quel preciso momento il giovane avrebbe sentito il campanello suonare e la voce di Amanda Knox, avrebbe sentito inoltre che Amanda e Meredith litigavano. “Sono sicuro al 101% che era lei” ha detto, aggiungendo di essere rimasto in bagno per 10-11 minuti e di essere sicuro del tempo perché ascoltava musica: “Sono rimasto in bagno per 10-11 minuti  e lo so perché perché ascoltavo la musica: due brani interi e il terzo fino a metà. Poi ho sentito un urlo più forte del volume della cuffia che avevo nell'orecchio. Era straziante”. Aggiunge poi di essere uscito in tutta fretta dal bagno, per vedere cosa fosse successo: “Tutte le luci della casa erano spente, tranne quella della camera da letto di Meredith. Davanti alla sua porta ho visto una sagoma maschile di schiena. Lui si è voltato e mi è venuto addosso cercando di farsi strada per la fuga. Ho cercato di difendermi perché muoveva le mani, mi sembrava che avesse un bisturi”. Guede ha riferito alla Leosini di aver sentito in quella casa una voce che diceva “Andiamo! Andiamo!” e ha aggiunto che “in casa c'era anche Amanda Knox”, ricorda inoltre di aver udito una frase che lo ha terrorizzato “nero trovato, colpevole trovato”, e a tale frase associa il coinvolgimento di Lumumba in questa vicenda.  Le dichiarazioni di Guede hanno sollevato certamente un polverone mediatico e di polemiche non indifferenti, soprattutto alla luce di un processo che ha portato all’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Ricordiamo che la  Corte di Cassazione ha assolto Raffaele Sollecito e Amanda Knox per l'omicidio di Meredith. Assoluzione per non aver commesso il fatto dopo 8 anni di processo. L'omicidio. Meredith è stata uccisa a Perugia la sera del 1 novembre del 2007. Era una studentessa inglese di 22 anni che faceva l’Erasmus in Italia ed è stata uccisa con una coltellata alla gola all’interno del proprio appartamento. Il corpo della studentessa è stato trovato un giorno dopo nella camera da letto ed era coperto da un piumone.
 
Gli arresti. La Polizia si occupa subito delle indagini. Il 6 novembre finiscono in manette Raffaele Sollecito, Patrick Lumumba e Amanda Knox. Quest’ultima, di Seattle, era la coinquilina di Meredith e studiava presso l’università di Perugia. Sollecito invece, laureato, aveva una relazione con la studentessa americana. Lumumba gestiva in pub in cui lavorava anche Amanda Knox. I soggetti si dichiarano estranei all’omicidio. Il 9 novembre viene convalidato il fermo dal gip. Il 15 novembre la svolta, vengono trovate delle tracce di dna di Meredith e di Amanda su di un coltello presente in casa Sollecito. Il 20 novembre viene scarcerato Lumumba e viene riconosciuta la sua estraneità all’omicidio, viene però arrestato Ruby Guade perché una sua impronta insanguinata viene trovata nel cuscino della stanza dove giaceva morta Meredith. Il 28 ottobre Ruby Guede viene condannato dal gup a 30 anni di reclusioni e viene disposto il processo per Amanda Knox e per Raffaele Sollecito. In data 18 gennaio 2009 ha inizio il dibattito nei confronti di Raffaele Sollecito e Amanda Knox. In data 5 dicembre la Corte d’Assise di Perugia condanna Amanda Knox a 26 anni di carcere e Raffaele Sollecito a 25 anni di carcere. La pena per Guede viene ridotta da 30 a 16 anni il 22 dicembre. Data importante quella del 4 marzo 2010, in cui vengono depositate le motivazioni della sentenza di primo grado per Amanda e Raffaele che sono “erotico, sessuale, violento”, per Guede invece le motivazioni sono “Concorse pienamente” e vengono depositate il 22 marzo.
 
Il processo d’Appello per Raffaele e Amanda. Il processo d’Appello per Knox e Sollecito i apre il 24 novembre. Il 18 dicembre la Corte d’Assise d’Appello di Perugia accoglie la richiesta di una nuova perizia sui coltelli, il 4 ottobre 2011 la Corte d’Assise assolve i due imputati per non aver commesso il fatto. Il 25 marzo 2013 il pg chiede l’annullamento dell’assoluzione. Il 26 marzo 2013 La Suprema corte annulla la sentenza e rinvia alla corte d’appello di Firenze ad un nuovo processo che si aprirà il 30 settembre 2013. Il 26 novembre vengono chiesti 30 anni per Amanda e 26 per Raffaele. Il 30 gennaio 2014; 28 anni e sei mesi ad Amanda e 25 a Raffaele. Per la Knox c’è il divieto di espatrio. Il 29 aprile vengono depositale le motivazioni della sentenza di condanna, le rispettive difese hanno fatto ricorso. Il processo in Cassazione ha inizio il 25 marzo 2015.



Napoli, omicidio imprenditore, ordinanza di arresto per il fratello. Caccia ll'uomo

 
di Angelo Barraco
 
 
Napoli – Svolta nelle indagini sull’efferato omicidio di Vittorio Materazzo, l’ingegnere/imprenditore  ucciso con 35 coltellate. E’ stato emessa un’ordinanza di arresto nei confronti di Luca Materazzo, 36enne nonché fratello della vittima e accusato di omicidio premeditato e aggravato. Le indagini hanno sin da subito mirato all’individuazione del colpevole mediante l’ausilio delle apparecchiature scientifiche e precisamente lo scorso 9 dicembre è stata effettuata la comparazione del DNA. Ma non appena gli inquirenti hanno eseguito tale esame, Luca Materazzo ha fatto perdere le sue tracce. Gli inquirenti si sono immediatamente mobilitati alla ricerca dell’uomo e hanno perquisito le abitazioni della famiglia Materazzo in Lombardia, Abruzzo e Sardegna. Nei giorni scorsi gli inquirenti si erano recati direttamente a casa dell’uomo e avevano bussato a quella porta che però dall’altro lato non aveva fatto pervenire risposta alcuna. Dalle indagini si apprende inoltre che gli investigatori avrebbero trovato in una discarica – come riporta Il Mattino di Napoli- il casco integrale che ha protetto il volto del killer e gli abiti che lo stesso avrebbe usato per compiere l’efferato gesto. Tra i reperti rinvenuti ci sono due coltelli da sub, di cui uno insanguinato, una maglietta e un paio di pantaloni, due paia di calze e due giubbini. A dare una svolta alle indagini è stato un testimone oculare che ha seguito l’assassino, che era armato, fino ad un vicolo. 
 
E’ dato l’incarico ad un consulente informatico che esaminerà computer, pen drive e telefonini della vittima e dell’unico indagato. I pm  Figliolia e De Renzis che coordinano l’inchiesta con il procuratore aggiunto Fragliasso hanno dato l’incarico ad un consulente informatico che esaminerà le apparecchiature tecnologiche della vittima e dell’indagato. L’attenzione dell’esperto verrà concentrata su un computer e quattro pendriveche sono state rinvenute nella casa della vittima e inoltre verrà analizzato un cellulare che portava con se nel momento in cui ha subito l’agguato. Verranno analizzati anche le pendrive e il portatile dell’indagato. Un delitto in cui il killer ha colpito per assicurarsi che la vittima fosse morta e non potesse più proferire parola con nessuno, 35 coltellate inferte senza pietà e con una ferocia inaudita, tutti colpi andati a segno eccetto alcuni che sono stati attutiti dagli abiti ma che non hanno purtroppo potuto contrastare una morte di tale entità. Chi ha ucciso lo ha fatto per rabbia e non per rapina con l’obiettivo di impossessarsi di un bene materiale. L’uomo ha opposto resistenza al suo aggressore ma la coltellata alla vena giugulare è stata fatale. Erano le 19.30 di lunedì 28 novembre quando l’ingegnere imprenditore 51enne è stato ucciso da un ignoto sconosciuto con un casco e un giaccone e un coltello in mano. Un testimone avrebbe assistito alla scena, avrebbe cercato di inseguire l’aggressore. Immediato l’intervento dei soccorritori che avrebbero tentato di rianimare l’imprenditore, ma le ferite erano troppo profonde e il tentativo è risultato vano. Le immagini di videosorveglianza non hanno portato elementi di rilievo agli inquirenti, si apprende di frame che Materazzo parcheggia la sua autovettura e si dirige verso casa. In merito al possibile movente che avrebbe spinto Luca ad uccidere il fratello Vittorio c’è la morte del padre: emerge infatti che la vittima nutriva sulla morte del congiunto avvenuta nel 2013 e sembra che l’Ingegnere/imprenditore avesse consegnato una documentazione alla Procura di Napoli chiedendo ulteriori accertamenti in merito al decesso del padre. Tra le carte consegnate si parlava anche di alcuni dissapori con il fratello Luca sfociate in aggressioni.  



Strage Berlino: il killer era stato 4 anni in carcere in Italia. Ecco il punto


 
di Angelo Barraco
 
 
BERLINO – Sembra avere un volto e un nome l’attentatore di Berlino, si tratterebbe infatti di un tunisino di 24 anni di nome Anis. A che sarebbe stato raggiunto da un provvedimento di espulsione e inoltre, nel 2012, avrebbe raggiunto anche l’Italia. Si apprende inoltre che “sotto il sedile del guidatore del tir gli inquirenti hanno trovato un documento di espulsione” nei confronti di “un un cittadino tunisino di nome Anis A., nato nel 1992 nella città di Tataouine”. L’uomo sarebbe “noto anche con due altri nomi”. Sueddeutsche Zeitung cita fonti ufficiali e aggiunge inoltre che Anis. A era giunto in Italia nel 2012 e nel luglio del 2015 invece aveva raggiunto la Germania. Thomas de Maizière, ministro dell’Interno, aggiunge “C'è un nuovo sospettato che viene ricercato. È un sospettato e non necessariamente il colpevole” e aggiunge che “è stato emesso alla mezzanotte un mandato di cattura per la Germania e per tutta l'area Schengen, quindi anche per l'Europa”.  Le luci e i colori del natale sono elementi  decorativi collocati all’interno del contesto urbano che creano nell’animo dell’uomo, anche il miscredente, quel senso di affettività e calore che attraverso la condivisione e l’interazione si tramuta in un abbraccio avvolgente che la città emana attraverso la sua anima in questi giorni concitati. In ogni città si creano piccoli angoli in cui ogni anima vuole manifestare con estremo e sentito orgoglio la propria devozione verso il creato mediante l’ostentazione materialistica della fede, ci sono gli alberi in piazza e ci sono i mercatini di natale dove giovani e intere famiglie si riuniscono per acquistare il regalo dell’ultimo momento o semplicemente per respirare lo spirito natalizio lungo le vie illuminate della città. Berlino è una città che pulsa di vita e i suoi cittadini non avrebbero mai immaginato che in un tranquillo pomeriggio pre-natalizio, un mercatino di natale sarebbe divenuto lo scenario dell’ennesima strage. Per molti è stato come rivivere un terrificante flashback come quello di Nizza, poiché un tir è piomba improvvisamente in un mercatino di natale affollato da turisti impegnati nell’acquisto di regali. Il bilancio attuale parla di 12 morti e 48 feriti, all’interno del tir è stato rinvenuto morto un autista polacco che ha cercato di fermare il terrorista fino all’ultimo. Gli italiani rimasti lievemente feriti sono stati dimessi dall’ospedale, uno di essi è palermitano. L’attentato è stato rivendicato da Amaq, l’agenzia di stampa dell’Isis che ha chiamato il terrorista “soldato dello Stato Islamico. E'una vendetta per gli attacchi in Siria”. In un primo momento è stato fermato un 23enne pachistano, accusato di essere l’autore della strage, costui è stato adesso rilasciato. Massima apprensione invece per Fabrizia Di Lorenzo, la 31enne che lavorava e viveva li. La tensione è alta poiché il suo telefonino è stato rinvenuto da una giovane sul luogo della strage che lo ha immediatamente consegnato alla Polizia. La madre e il fratello della donna si sono recati a Berlino per sottoporsi all’esame del Dna e hanno riferito all’Ansa “Abbiamo capito che era finita stanotte all'una e mezza: siamo stati noi a chiamare la Farnesina. Ci siamo mossi coi nostri canali, ma da quanto mi dice mio figlio da Berlino, non dovrebbero esserci più dubbi. E' lì con mia moglie in attesa del dna, aspettiamo conferme, ma non mi illudo”. Fabrizia svolgeva la sua attività lavorativa in un’azienda di trasporti e aveva fatto l’Erasmus in Germania del 2013. Numerosi gli appelli lanciati sul web dai familiari per rintracciarla, anche il web magazine per il quale ha collaborato per un breve periodo Fabrizia ha lanciato un appello, ma tutto ciò è caduto nell’oblio del silenzio. Il Ministro degli Esteri Angelino Alfano aveva preannunciato che tra le vittime poteva esserci la giovane “Abbiamo indicazioni  che ci portano a non escludere in questo momento l'ipotesi che ci possa essere una vittima italiana”.