Storia politica di Rocca Priora: un viaggio attraverso i secoli

Rocca Priora, un pittoresco comune situato nelle colline dei Castelli Romani nella regione del Lazio, è noto non solo per la sua bellezza naturale ma anche per una storia politica intrigante che risale a secoli fa.

Ecco un breve excursus con le tappe significative della storia politica di Rocca Priora, dalle origini antiche ai giorni nostri.

Le origini e il medioevo: poteri signorili e lotte nobiliari

Le prime testimonianze di insediamenti umani nella zona risalgono all’epoca romana, ma la storia politica di Rocca Priora inizia a emergere nel Medioevo. La città fu coinvolta in conflitti tra le potenti famiglie nobiliari dell’epoca, tra cui i Colonna e i Savelli. Questi feudatari esercitavano il loro controllo sulla città e sulle terre circostanti, portando a dispute e lotte per il potere.

Il Castello Savelli: un simbolo di potere e dominio

Uno dei punti focali della storia politica di Rocca Priora è il Castello Savelli, un’imponente fortezza situata in cima alla collina. I Savelli, una delle famiglie nobiliari più influenti dell’epoca, ebbero il controllo su Rocca Priora per diversi secoli. Il castello non solo rappresentava il potere della famiglia Savelli, ma fungeva anche da fortezza difensiva contro possibili minacce esterne.

L’epoca moderna: Il controllo pontificio e le trasformazioni politiche

Nel corso del XVI secolo, Rocca Priora passò sotto il controllo diretto della Chiesa. Durante questo periodo, il comune sperimentò una serie di trasformazioni politiche. La Chiesa esercitava il suo dominio attraverso i Cardinali Legati, che spesso alternavano momenti di stabilità con periodi di instabilità politica.

Il Risorgimento italiano e l’unificazione

Nel corso del XIX secolo, con l’avvicinarsi del Risorgimento italiano, Rocca Priora si trovò coinvolta nell’aspirazione nazionale all’unificazione. Questo periodo di cambiamenti politici portò alla fine del dominio pontificio e all’annessione di Rocca Priora al Regno d’Italia nel 1870.

Il periodo contemporaneo: Rocca Priora oggi

Oggi, Rocca Priora è un comune italiano che fa parte della città metropolitana di Roma Capitale. Ha attraversato una serie di trasformazioni politiche nel corso dei secoli ed è diventata una destinazione turistica apprezzata per la sua bellezza paesaggistica, la storia medievale e l’atmosfera tranquilla.

La storia politica di Rocca Priora è un riflesso delle lotte di potere, delle rivalità nobiliari e delle trasformazioni politiche che hanno plasmato la regione nel corso dei secoli. Oggi, la città continua a onorare la sua eredità storica, mentre offre ai visitatori un’opportunità unica per esplorare le sue radici politiche mentre godono delle sue bellezze paesaggistiche e architettoniche.




Frascati, a Villa Tuscolana un matrimonio da favola

Tra le eccellenze italiane premiate anche il liceo artistico San Giuseppe di Grottaferrata (Gallery)

In una serata esclusiva presso i giardini della storica Villa Tuscolana, è stato celebrato a inizio Ottobre il matrimonio tra il Duca Antonino d’Este Orioles e la Baronessa Loredana Dell’Anno.
L’evento, oltre ad essere un momento di festa nuziale, ha anche ospitato la premiazione delle “Eccellenze Italiane” da parte di “Impresa Italia”. L’evento, mirato a premiare professionisti, aziende e prodotti che incarnano l’eccellenza del Made in Italy, ha visto tra i premiati anche il Liceo Artistico San Giuseppe di Grottaferrata, che ha creato il vino Gialla con finalità di beneficenza nei confronti di autori emergenti.

La Dott.ssa Elettra Flavia Casali Iampieri ha voluto esprimere tutto il proprio riconoscimento: “Desidero esprimere la mia più profonda gratitudine alla Baronessa Loredana Dell’Anno e all’intero comitato organizzativo del Premio ‘Impresa Italia’ per il riconoscimento conferito al nostro Liceo. È un immenso onore essere annoverati tra le ‘Eccellenze Italiane’, e questo premio rappresenta non solo un apprezzamento concreto alla passione e all’impegno che i nostri studenti mettono ogni giorno nel loro lavoro, ma anche della nostra dedizione all’innovazione, alla sostenibilità e alla diffusione dei valori culturali e artistici italiani. Il nostro vino, “Gialla“, nasce per devolvere i proventi ai giovani artisti: vedere valorizzato questo impegno non può che renderci orgogliosi. Grazie di cuore per questa straordinaria opportunità di rappresentare la forza del Made in Italy.” E ha poi voluto aggiungere: “Desidero, inoltre, rivolgere un caloroso complimento al Duca Antonino d’Este Orioles e alla Baronessa Loredana Dell’Anno per lo splendido matrimonio. Grazie davvero per averci invitato. Auguro a voi una vita insieme piena di gioia. Con affetto e gratitudine.”




Un paese con diverse culture: come educare all’inclusione?

I flussi migratori che oggi caratterizzano il nostro paese sono tanti e spesso vengono sottovalutati e addirittura discriminati. La politica italiana, nonché i regolamenti del “nostro” paese sono discordanti nell’attribuire alla migrazione una giusta collocazione sia in termini giuridici che inclusivi. Quindi c’è spesso il rischio di andare verso un’educazione monoculturale che cristallizza e sviluppa degli stereotipi, favorendo l’intolleranza e il rallentamento dello sviluppo di una società più democratica e soprattutto inclusiva.

L’intento pedagogico, in quest’ottica, è di diffondere l’idea di interculturalità e di educazione all’inclusività sia nelle scuole che nelle famiglie. Educare all’interculturalità significa trasferire tutti i codici “diversi”, rispetto alla cultura dominante, con il fine di incentivare la convivenza tra etnie differenti.

Il concetto di educare alla “diversità” sta nel creare contesti di rispetto e di tutela delle diverse identità. La pedagogia interculturale si è sempre espressa sulla necessità di interrogarsi sull’incontro con “l’altro”, sui contenuti che si mettono in gioco, sulle dinamiche che si costruiscono e sulle strategie che possono accompagnare e sostenere i processi di accoglienza e convivenza.

La scuola ha da sempre rappresentato il contesto idoneo per realizzare e ricevere una società multiculturale, gradevole e dinamica. Le istituzioni scolastiche mediante, progetti di inclusione, rappresentano l’ambiente più fertile dove bambini, insegnanti, genitori e adulti possano essere educati all’inclusione dell’ “altro”, nonché alla lotta contro il razzismo e il disprezzo. Gli adulti devono rappresentare l’esempio di tolleranza e inclusione dell’“altro” nei confronti dei bambini. Tuttavia, si riconosce un ruolo basilare all’atteggiamento degli adulti, poiché i bambini imitano chi è più grande di loro.

L’adulto ha quindi una responsabilità molto importante nel mettere in primo piano comportamenti di sostegno nei confronti delle diversità culturali.

È opportuno combattere pregiudizi e stereotipi attraverso percorsi educativi e pedagogici, offrendo momenti di incontro e confronto basati sull’empatia (es. la lettura di un libro, il racconto di una storia, parlare dei propri vissuti etc …). Questi momenti consentono ai bambini e agli adulti di osservare il “diverso” da più punti di vista.

La scuola in effetti ha messo in atto diversi progetti per l’accoglienza di altre culture:

  • preparare un ambiente di accoglienza sia per il bambino che per la famiglia;
  • predisporre un percorso di adattamento e di benessere psico-fisico;
  • sostenere la crescita del bambino;
  • rafforzare ogni giorno il dialogo con la famiglia del bambino, servendosi anche
    di un mediatore linguistico, qualora fosse necessario per la comprensione della
    lingua.

Ogni agenzia educativa (dalla famiglia alla scuola etc … ) deve sviluppare attenzione verso culture differenti, creare dialogo, scambio e comprensione. È importante sostenere la conoscenza dell “altro” in un’ ottica di trasmissione, mettendo in gioco la curiosità. Educare all’inclusività significa evitare le differenze e i confini.




Festa del Cinema di Roma, edizione 2023: la partecipazione finldandese

La Festa del Cinema di Roma, giunta alla 18a edizione, sta svolgendosi dal 18 al 29 ottobre 2023. Riconosciuta ufficialmente dalla FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films), la manifestazione, che nella Capitale celebra il grande schermo si svolge, come di consueto, presso l’Auditorium Parco della Musica che ospita le principali sale di proiezione e il lungo tappeto rosso, uno dei più grandi al mondo. Il programma coinvolge altri luoghi e realtà culturali della Capitale. e sono 18 i film in concorso quest’anno, proprio come 18 è il numero dell’edizione 2023 della Festa del Cinema di Roma.
 
La partecipazione finlandese
 
Peluri – kuolema on elävien ongelma (la morte è un problema dei vivi – death is a problem for the living) da Teemu Nikki con Pekka Strang, Jari Virman, Elina Knihtila – Vestono di nero, giacca e cravatta, scarpe un po’ a punta, capelli impomatati all’indietro, e guidano una nera Volvo, “la solida, vecchia Volvo, dove si può fumare”: un carro funebre con il quale Risto e Arto, i due vicini di casa che s’incontrano per caso e diventano amici, trasportano salme, spesso “eccentriche”. Risto ha il vizio del gioco, ad Arto manca una grossa porzione di cervello, a uno piace il jazz, all’altro il rock finlandese degli ’80, ed entrambi hanno una vita disastrata. Tra commedia e noir, tra Kaurismäki e il primo Winding Refn, il nuovo lungometraggio del finlandese Teemu Nikki (vincitore di Orizzonti Extra a Venezia 2021 con Il cieco che non voleva vedere Titanic) è un film laconico e sanguigno.
 
Ma forse il lavoro più inconsueto e raro è JE’VIDA diretto da Katja Gauriloff con Agafia Niemenmaa, Heidi Juliana Gauriloff, Sanna-Kaisa Palo, Seidi Haarla, Erkki Gauriloff – con la prima il 27 ottobre alle 20.30 @Teatro Studio Borgna
Je’vida è un affascinante e toccante viaggio nel passato, un film in bianco e nero e in formato 4:3 che trascina lo spettatore in un mondo di memorie dolorose e identità perdute. Storia di resistenza e di indissolubili legami ancestrali, il film ci trasporta nella lontana Finlandia settentrionale, in Lapponia, ed è il primo lungometraggio nella lingua Skolt Sámi, ora parlata solo da poche centinaia di persone (i Sámi della Lapponia sono l’unico popolo indigeno ufficialmente riconosciuto dall’Unione Europea). Seguendo la storia di Iida (Sanna-Kaisa Palo) una donna che ha abbandonato la sua comunità e la sua famiglia, la regista (finnica-Skolt) esplora la distruzione delle civiltà indigene a causa di un’assimilazione forzata alle culture e politiche dominanti.
 
L’anziana Je’vida alla morte della sorella torna in Lapponia, nella casa dove ha passato l’infanzia, accompagnata dalla nipote Sanna. Riaffiorano così dolorosi ricordi. Da bambina Sámi, Je’vida fu vittima di assimilazione culturale, costretta a cambiare nome e a vivere lontano dalla sua terra. Intanto Sanna, che è per lei un’estranea, scopre di essere incinta. Aprendosi l’una all’altra, le due donne ritrovano il valore di se stesse e delle loro radici.
 
La regista lo commenta così: “La sceneggiatura si basa su fatti realmente accaduti, storie che mia madre o i miei parenti mi hanno raccontato della loro infanzia e giovinezza, storie con cui anch’io sono cresciuta. Il film è ambientato dopo la seconda guerra mondiale, quando le feroci politiche di assimilazione attuate in Finlandia costrinsero molti Sámi a vergognarsi delle loro origini e ad abbandonare la loro lingua e la loro cultura. I valori e la visione del mondo tradizionali iniziarono a sgretolarsi e furono sostituiti da quelli occidentali. Il film parla dell’assunzione di un’altra cultura, dell’assimilazione, della fusione con la cultura dominante e di cose che hanno spinto le persone a fare scelte sbagliate.”
Katja Gauriloff
 
Nata nel 1972 a Inari, in Finlandia, Katja Gauriloff ha esordito nel lungometraggio con il documentario ‘A Shout into the Wind’, parlato, come Je’vida, nella lingua Sámi Skolt, oggi conosciuta solo da circa 300 persone. Ha partecipato al Festival di Berlino con i documentari Canned Dreams e Kaisa’s Enchanted Forest, un altro film sulla comunità Sami Skolt, vincitore dello Jussi, il premio nazionale del cinema finlandese. Ha poi diretto ‘Baby Jane’, il suo primo lungometraggio di finzione.
 
 
Tutto il programma del festival:
 

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Le “BUONE PRASSI” per la gestione di chi è bullo e di chi è vittima

Oggi il bullismo e il cyberbullismo sono due fenomeni piuttosto frequenti nelle comunità educative, poiché è proprio all’interno delle istituzioni scolastiche che, solitamente, nascono le amicizie di gruppo.

Le ultime ricerche mostrano che è proprio il gruppo di amici il “luogo” dove possono instaurarsi sia relazioni benevole che devianti.

Come affermato nell’articolo precedente, i bulli/cyberbulli sono spesso degli adolescenti, momento di vita in cui i ragazzi/e possono ritrovarsi a dover superare vissuti poco armoniosi, derivanti dall’indole caratteriale (es. sensazioni di depressione, attacchi di panico etc …) oppure dai trascorsi familiari (es. separazioni o divorzi genitoriali, lutti, incomprensioni etc …).

È così che per riscattarsi, questi giovani tendono, in gruppo o da soli, ad innescare atteggiamenti di “cattivo gusto” verso vittime innocenti.
Il mondo della scuola come quello della famiglia si sentono assorbiti da queste vicissitudini per cui è opportuno definire alcune buone pratiche, sia per prevenire, sia per gestire che per contrastare tali fenomeni.

In “veste” di pedagogista porrei in evidenza alcune “Buone Prassi”, sia generiche che specifiche per fornire sostegno ai soggetti coinvolti.

In termini generici sarebbe utile:

  • attivare punti di ascolto gratuiti costituiti da professionisti del settore (es.
    psicologi, pedagogisti, mediatori familiari etc …);
  • attivare indirizzi e-mail e siti web per ricevere informazioni o fare segnalazioni
    all’interno dei punti di ascolto;
  • gli adulti devono monitorare costantemente, sia a casa che a scuola, i
    comportamenti dei loro figli/alunni, con particolare riguardo alle relazioni con il
    web e con l’uso dei dispositivi tecnologici (es. il pc, il telefono cellulare etc …);
  • occorre avere uno sguardo a 360° per “captare” il bullo/i e la vittima/e;
  • è necessario organizzare eventi pubblici (es. seminari, dibattiti etc …) per dare
    informazioni ai cittadini su questi argomenti;
  • è appropriato predisporre lezioni alternative dove si parla di bullismo e
    cyberbullismo con i ragazzi/e, instaurando un dialogo privo di giudizio;
  • è importante incoraggiare i ragazzi/e a parlare con un adulto (insegnante,
    professionista, genitore etc …) nel caso avvertissero malessere, paura,
    ingiustizia, negatività etc …
    In qualità di professionista, sarebbe opportuno stilare delle “Buone Prassi” anche
    per contrastare il bullismo e il cyberbullismo e per sostenere le vittime.
    Le “Buone Prassi” da seguire per ostacolare il bullo o il gruppo di bulli, a scuola
    e/o a casa potrebbe essere il seguente:
  • se l’episodio accade a scuola il docente deve avvisare immediatamente il
    Dirigente Scolastico (o chi per lui) che a sua volta informerà il Presidente del
    Comitato Genitori sugli avvenimenti accaduti;
  • se la vicenda avviene tra le mura domestiche il genitore può rivolgersi presso lo
    sportello d’ascolto del suo distretto e segnalare eventuali atteggiamenti sospetti
    o certi di bullismo e/o cyberbullismo, osservati nel proprio figlio/a o nel gruppo
    di amici che frequenta;
  • a scuola, prima di parlare di sospensione del ragazzo/a, è utile indire un Consiglio
    di Classe immediato;
  • la scuola deve convocare i genitori dei figli designati come “carnefici” per
    sostenerli a trovare delle soluzioni;
  • gli insegnanti, all’unanimità con i professionisti, potrebbero suggerire ai genitori
    incontri per studiare insieme strategie che frenino tali atteggiamenti;
  • a casa i genitori possono chiamare i professionisti del consultorio per organizzare
    degli incontri (se fosse possibile in presenza anche con il ragazzo/a);
  • dare al ragazzo/a la possibilità di esprimersi, favorendo la sua versione dei fatti;
  • non creare discussioni e fraintendimenti;
  • i professionisti potrebbero decidere di attivare colloqui individuali con il bullo
    oppure con il gruppo di bulli;
  • si devono applicare misure correttive e rieducative mediante progettazioni;
  • si deve informare il bullo/i della gravità della situazione e delle possibili sanzioni;
    Per quanto riguarda le vittime dei bulli/cyberbulli si possono proporre le seguenti
    “Buone Prassi”:
  • sostenere empaticamente, con l’intervento dei professionisti, le vittime;
  • ove è necessario attivare dei percorsi psicologici o di consulenza;
  • approfondire con la vittima quello che è avvenuto durante gli episodi subiti;
  • far parlare la vittima/e senza giudicarla;
  • monitorare la vittima/e congiuntamente al suo stato di salute psico-fisico.
    Un’ottima pratica, se entrambi sono d’accordo, è che bullo e vittima si incontrino
    per consentire al bullo di esprimere un suo possibile pentimento e alla vittima di farsi
    ascoltare. In ogni caso, sarebbe consigliato sostenere sia le vittime che il “carnefice”,
    coinvolgere le famiglie per instaurare dialoghi e alleanze costruttive.
    Tuttavia, è rilevante non giudicare, contrastando la volontà d’ espressione.
    Sostenere, dialogare, ascoltare, aiutare, progettare, ripristinare e rieducare
    potrebbero essere gli “ingredienti” idonei per dire “STOP” ad atti di bullismo e di
    cyberbullismo.



Bullismo e cyberbullismo, fenomeni in forte espansione soprattutto nei contesti scolastici

Come possiamo interrompere la “moda” di essere bulli? Oggi le immagini o i video che i mass-media ci mostrano mettono in luce sempre più episodi di cronaca nera riferiti a vicende di bullismo e di cyberbullismo, compiute per lo più da ragazzi adolescenti.

Entrambi i fenomeni sono risultati in forte espansione soprattutto nei contesti scolastici,
ma anche nei luoghi di ritrovo delle nuove generazioni. Ad esempio, pensiamo ai tanti episodi di ragazzi che bullizzano l’insegnante e/o i loro pari, creando situazioni di vero disagio e sconforto emotivo.

Spesso, si sente dire: il ragazzo x ha lanciato una sedia all’insegnante e, nel frattempo, un altro suo alleato bullo ha ripreso la scena con il cellulare con lo scopo di pubblicarla sui social oppure la ragazza x è stata presa in giro dai suoi amici perché è troppo grassa.

La cronaca ci rivela che i bulli compiono dei veri e propri atti di violenza, sia fisica che psicologica. L’adolescenza, essendo una fase di crescita molto vulnerabile (es. cambiamenti fisici-psicologici, preoccupazioni, sensi di apatia, indecisioni etc …) è risultata la fascia d’età più colpita da tali fenomeni.

Se “ieri” erano soprattutto i maschi a mettere in pratica questi atti di violenza, ad oggi i dati riportano che anche le ragazze mirano alla pratica del bullismo. Le ricerche condotte negli anni hanno mostrano come questi fenomeni si concentrano particolarmente nell’ambito scolastico.

Un dato rilevante è che la “figura” del bullo agisce in gruppo e tende a preferire vittime dello stesso sesso. Nel caso del cyberbullismo, invece, si ha a che fare con bulli del web, nonché con coloro che bullizzano altri ragazzi/e mediante frasi minacciose e di cattivo gusto sui social.

L’aspetto preoccupante è che le vittime di violenza fisica o psicologica devono rispettare le regole dei bulli, ad esempio: non si parla con nessuno di quello che è successo e tutti devono tacere. Chi subisce e chi vede non deve professar parola, anzi deve sottostare alle leggi del “branco”.

Soggiacere ai principi del bullismo “annienta” l’altro soggetto in termini fisici, relazionali e piscologici. Tuttavia, le vittime di bullismo prima o poi potranno cadere in un senso si vuoto e di disperazione che li porteranno a confidarsi con qualcuno.

I tanti episodi di bullismo sono spesso collegati all’insorgere di sentimenti negativi come: l’invidia, la gelosia, l’aggressività e il desiderio di respingere l’altro denigrandolo e riducendolo in “polvere”.

Il bullo fisico e social ha lo scopo si ferire la persona che decide di “colpire”, la vuole
portare all’esasperazione e “gode” nell’osservare che soffre o che mostra atteggiamenti
di impotenza.

I bulli si sentono dei leader, ma in realtà sono molto fragili. Tali soggetti hanno spesso
dei vissuti molto duri nella loro infanzia e adolescenza, e attuare atteggiamenti non corretti gli consente di avere una rivincita.

Dinanzi a ciò il ruolo educativo è quello di accogliere e di ascoltare questi adolescenti.
È solo attraverso l’ascolto, l’appoggio, l’aiuto e la progettazione educativa che sia i “carnefici” che le “vittime” possono essere aiutati.

La scuola, la famiglia e le varie associazioni educative devono fungere da “ponte” che rafforza questi ragazzi, affinché abbiano la voglia di esprimersi.

Sovente, è naturale che i bulli così come le vittime vanno sostenuti, poiché entrambe sono figure che necessitano di appoggio e di attenzione.

Sarebbe opportuno “istituire” delle buone prassi che forniscano sia alle famiglie che alla scuola strumenti adeguati all’intervento educativo, un po’ come “giocare d’anticipo” per evitare il peggio.




Bilinguismo e code switching: nuove visioni di pedagogia interculturale

In Italia il cambio di registro linguistico (code switching) è legato al passaggio dall’italiano al dialetto regionale

Il termine bilinguismo potrebbe sembrare una traduzione dall’inglese del concetto di code switching, ma in realtà non lo è. Bilinguismo e code switching sono due nozioni differenti e con caratteristiche proprie.

Il bilinguismo è sostanzialmente la capacità di parlare due lingue, mentre il code switching deriva dall’inglese e significa cambiamento del codice linguistico.

La traduzione linguistica dei due concetti balza ai nostri occhi come termini già sentiti, ma non approfonditi. La ricerca da me condotta nell’anno 2023, mediante questionari, ha fatto emergere come i due termini non siano ben recepiti nel contesto linguistico.

Lo studio, condotto nell’area metropolitana di Bologna, rivela come la maggior parte degli intervistati concepisce così i due termini: alcuni affermano che il bilinguismo è parlare due lingue, mentre altri dichiarano che il code switching significa esprimersi mediante forme dialettali. Tuttavia, le interviste documentano come la popolazione italiana non ha ben chiaro i significati dei due termini.

L’Italia di fatto non è un paese bilingue (tranne il Trentino Alto-Adige e il Friuli Venezia Giulia) per cui i fenomeni linguistici sono spesso congiunti al fenomeno dei flussi migratori.

I migranti infatti portano con sé la loro lingua d’origine, utilizzandola insieme ad una mediocre percentuale della lingua italiana che già conoscono.

Il code switching è visto dagli italiani come una sorta di “alieno” che si è inserito nella linguistica italiana senza avere un’identità ben precisa.

L’Italiano medio rispetto ai cittadini di altri paesi europei e non, dove conoscere un’altra lingua (rispetto la lingua madre) è diventato pressoché obbligatorio, utilizza scarsamente la seconda lingua senonché il dialetto.

I risultati emersi dimostrano che in Italia il cambio di registro linguistico (code switching) è legato al passaggio dall’italiano al dialetto regionale.

Nell’analisi condotta il 70% dei bambini e degli adulti stranieri migrati in Italia si è mostrato contento dell’accoglienza ricevuta e dichiara di sentirsi partecipe dei progetti inclusivi proposti ad esempio, nelle scuole.

Il rimanente 30% ha dichiarato di aver avuto molte difficoltà, soprattutto con la lingua e con l’inserimento nel nuovo contesto di vita.

Dall’altro canto le insegnanti italiane dichiarano che la diffusione di più lingue è positiva, ribadendo che il cervello dei bambini è come una spugna assorbente che sa acquisire in tempi rapidi un’ altra lingua, rispetto all’adulto che mostra più difficoltà.
L’indagine condotta riporta l’interesse italiano di approfondire nuove culture e nuove lingue, così come per gli stranieri.

Il ruolo di noi adulti verso i bambini e i ragazzi è, quindi, favorire l’accoglienza e l’opportunità di costruire la propria quotidianità su nuovi saperi.

L’Italia, nella maggioranza dei casi, è aperta al nuovo e al diverso, in effetti, ultimamente stanno aumentano i corsi di alfabetizzazione per gli adulti stranieri e le opportunità di apprendimento per i bambini-ragazzi sia a scuola che a casa.

L’idea pedagogica è di conoscere il nuovo e il diverso, di estendere nuovi percorsi linguistici per bambini, adulti stranieri e non ed educare a nuove esperienze culturali.

Per i bambini, i ragazzi e gli adulti italiani/stranieri è opportuno diffondere l’immagine dell’ “altro” mediante una lettura positiva priva di preconcetti.

La pedagogia necessità di organizzare dei percorsi inclusivi, trasformare le parole in fatti concreti e consentire, senza obblighi e stereotipizzazioni, la crescita di una popolazione concorde nel diffondere una pedagogia interculturale.




“Colonie 4.0”, sempre più aziende mandano in vacanza i dipendenti col welfare digitale: esplode il fenomeno

(+100% rispetto al 2022): ecco le 10 mete italiane ed estere più desiderate per il 2024
 
 
Se una volta le aziende mettevano a disposizione i propri immobili nelle località di villeggiatura con la finalità di mandare in vacanza i figli dei propri dipendenti, oggi sempre più imprese si stanno trasformando in avveniristiche “Colonie 4.0” per combattere il caro vita e permettere alle famiglie di godersi il meritato riposo, il tutto attraverso strumenti digitali e online. Secondo le proiezioni dell’Osservatorio Tantosvago per il 2024, a beneficiare di questi benefit saranno sempre più famiglie (18%), ma anche single (18%) e coppie (59%). Le mete più desiderate del 2024? Se nel mondo primeggiano Parigi, Londra e Barcellona, in Italia il podio è composto da Roma, Napoli e Riccione. Matteo Romano, CEO di Tantosvago, ha dichiarato durante la conferenza stampa al TTG di Rimini: “Siamo di fronte a un nuovo trend, sempre più aziende mandano in vacanza i propri dipendenti grazie al welfare aziendale e i numeri lo confermano”.
 
 
 
“Nihil sub sole novum” recita una frase contenuta nel libro dell’Ecclesiaste. Ed è interessante scoprire come anche nel vasto settore del welfare possa valere lo stesso principio. “Nulla di nuovo sotto il sole” se si pensa che già Giovenale parlava di “Panem et Circenses”, ossia delle elargizioni fatte da chi governava per avere il consenso del popolo, ma anche per offrire una migliore qualità della vita ai propri lavoratori: erano circa 200mila i romani che avevano diritto alla distribuzione di grano e ad assistere agli spettacoli organizzati per farli rilassare, riposare e divertire. Una sorta di antico welfare che, allora come oggi, aveva la finalità di garantire benessere.
 
Le iniziative che hanno anticipato l’odierno welfare, oggigiorno sempre più spesso affidate alle aziende, sono state moltissime nel corso dei secoli. Ma il momento di vero sviluppo, in senso più moderno, è quello del periodo post-bellico con le figure di alcuni iconici imprenditori illuminati che hanno costruito un sistema di assistenza per le famiglie degli operai: dagli asili alle scuole, dalle biblioteche ai locali per il tempo libero, fino, appunto, alle colonie dove mandare i figli degli operai in vacanza. Oggi, si sta registrando un nuovo trend nel mondo del welfare ed è rappresentato dalla crescita esponenziale delle esperienze legate al turismo messe a disposizione delle aziende, utilizzate sempre più spesso dai lavoratori in tempo di crisi economica per donare a se stessi e alla propria famiglia un periodo di riposo.
 
Secondo i dati dell’Osservatorio di Tantosvago (business.tantosvago.it), azienda che si propone come trait d’union tra i partner verso welfare provider e agenzie marketing per la gestione di attività esperienziali e leisure per il welfare aziendale oltre ai sistemi premiali, rispetto agli anni precedenti, infatti, le aziende che propongono iniziative di welfare avanzate come quelle turistiche sono in continuo aumento. I dati più recenti confermano che la quota di imprese con livello elevato di welfare è massima (70,7% nel 2022 contro il 64,1% nel 2017) tra quelle con oltre 250 addetti e molto rilevante (66,8% contro il 59,8% nel 2017) nelle PMI che hanno tra 101 e 250 addetti. Il numero di imprese che registra un livello alto o molto alto di welfare è raddoppiato, passando dal 10,3% del 2016 al 24,7% del 2022. E le proiezioni per il 2024 confermano il trend. Il CEO dell’azienda, Matteo Romano, ha commentato: “L’estate che si è appena conclusa ci ha portato grandi soddisfazioni in termini di prenotazioni gestite dalla nostra piattaforma e ha confermato il nuovo fenomeno in netta espansione delle «Colonie 4.0», come ci piace chiamarle. Questa stagione è stata speciale per migliaia di lavoratori italiani e per le loro famiglie che hanno avuto la possibilità di utilizzare i crediti welfare anche per le vacanze. Lo studio dell’Osservatorio Tantosvago ha analizzato i sempre più numerosi pacchetti vacanza messi a disposizione dalle aziende e scelti da ben 65mila dipendenti in tutto lo Stivale, raddoppiati rispetto all’anno precedente. Soggiorni sempre più spesso resi possibili in tempi di crisi e rincari dal welfare aziendale, scelto da un numero in crescita di aziende per mettere a disposizione dei propri dipendenti ulteriori risorse sotto forma di benefit. La nostra presenza al TTG di Rimini servirà anche per presentare le importanti novità che stanno arricchendo ancora più il nostro catalogo Travel dedicato al Welfare Aziendale”. Ma quali sono le ragioni alla base di questo trend? Le famiglie sono state messe alla prova in questi anni di continuo aumento dei prezzi e del caro vita e le vacanze, sempre più spesso, sono diventate una chimera: secondo un sondaggio condotto negli Stati Uniti dalla CNBC su oltre 4.400 adulti, le vacanze sono tra le categorie che hanno subito un taglio maggiore alle spese (53%), insieme ad abbigliamento (63%), ristoranti e bar (62%) e intrattenimento fuori casa (56%).
 
In Italia la situazione è molto simile: secondo il recente dato di Federalberghi, infatti, ben il 41% degli italiani non ha fatto le vacanze durante l’estate appena finita. Questi dati sono confermati anche dal nuovo report redatto dall’Osservatorio Tantosvago sulle proiezioni per il 2024 delle preferenze turistiche dei dipendenti italiani. I dati delle aziende che promuovono queste iniziative welfare sono in crescita dal 2017 e si prevede che anche per tutto il 2024 cresceranno. Così come i dipendenti che, sempre più spesso, acquisteranno i servizi per le vacanze: i pacchetti turistici erogati dalle aziende sono infatti aumentati del 100% in un solo anno. Grazie ai dati a disposizione, è possibile ricostruire in modo preciso le preferenze dei dipendenti nella scelta dell’utilizzo dei benefit welfare in ambito turistico. Partendo dal presupposto che le piattaforme, spesso, welfare richiedono portali con servizi singoli, il 78% dei dipendenti tende ad acquistare solo hotel, mentre il 15% utilizza i benefit welfare per l’acquisto dei voli verso le mete preferite e solo il 2% acquista pacchetti volo + hotel. I periodi preferiti, a conferma delle difficoltà degli italiani nel potersi permettere le vacanze estive, riguardano i mesi da luglio a settembre per il 57%, seguono i mesi tra aprile e giugno per il 25%, il 10% sceglie di andare in vacanza nei mesi di gennaio, febbraio e marzo, e solo l’8% utilizza i buoni welfare nei mesi di ottobre, novembre e dicembre. La percentuale più alta di dipendenti che acquistano le vacanze riguarda le coppie (59%), seguita a pari percentuale da famiglie (18%) e single (18%).
 
Un altro dato molto significativo riguarda la durata delle vacanze acquistate: la media più alta va da 1 a 4 giorni e la percentuale è dell’85%, si scende al 12% per chi si può permettere vacanze dai 5 ai 10 giorni. Solo il 3% prenota pacchetti che superano i 10 giorni. Secondo gli esperti di Tantosvago questi dati, nel 2024, non dovrebbero subire particolari variazioni poiché l’utilizzo del welfare aziendale e l’erogazione dei benefit restano strettamente legati al contesto sociale e non ci sono, al momento, in previsione provvedimenti del Governo in merito. Il giornalista Alessandro Allocca, che da anni segue con attenzione le evoluzioni del comparto lavorativo nazionale e internazionale (vivendo a Londra), con particolare riferimento all’applicazione del welfare aziendale nei processi interni di un’impresa, relatore alla conferenza stampa del TTG Travel Experience, il principale marketplace del turismo B2B in Italia, organizzata da Tantosvago presso il Padiglione A3, stand 507, della Fiera di Rimini. Allocca ha dichiarato: “Nella continua evoluzione del mondo dell’Occupazione, il welfare aziendale acquista sempre più valenza quale strumento di valorizzazione a favore dei lavoratori da parte delle aziende. Questo significa anche creare quel giusto ecosistema per permettere al dipendente di bilanciare al meglio la vita professionale con quella privata.
 
Il turismo, così come le esperienze culturali più in generale, è essenziali per raggiungere l’obiettivo. Quelle imprese che saranno capaci di offrire tutti gli strumenti per agevolarlo, in primis azioni mirate di welfare aziendale, saranno le stesse che potranno vantarsi di avere un processo produttivo capace di soddisfare le esigenze che oggigiorno richiede ogni comunità moderna che si possa definire tale”.
 
 
Ecco quindi le 10 mete internazionali preferite dagli italiani per le prossime vacanze secondo i dati dell’Osservatorio Tantosvago:
 
1)   Parigi
 
2)   Londra
 
3)   Barcellona
 
4)   Amsterdam
 
5)   Lisbona
 
6)   Madrid
 
7)   New York
 
8)   Vienna
 
9)   Valencia
 
10)    Praga
 
 
Infine di seguito la top 10 delle mete del Bel Paese più desiderate dagli italiani emerse sempre dai dati dell’Osservatorio Tantosvago:
 
1)   Roma
 
2)   Napoli
 
3)   Riccione
 
4)   Milano
 
5)   Firenze
 
6)   Venezia
 
7)   Rimini
 
8)   Garda
 
9)   Isola d’Elba
 
10)    Jesolo
 

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Slot machine tradizionali contro slot online: come cambia il mondo dei casinò attraverso la digitalizzazione

Ancora prima della nascita del Web quando eravamo ancora in piena era analogica, le slot già rappresentavano un gioco all’avanguardia con una vasta gamma di grafiche e diversi design a tema, ed è stato così per circa 100 anni, anche nella versione che oggi viene definita vintage, ossia la dimensione dell’Arcade; siamo negli anni Ottanta dello scorso secolo. Qual è la morale della favola? Da sempre questo gioco è stato al passo con la tecnologia, sin dalla sua creazione.

Per approfondire la questione bisogna fare una breve analisi delle differenze principali fra le slot machine tradizionali e le slot digitali, in ogni momento della storia di questo gioco.

Dall’analogico al digitale

A cavallo fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta dello scorso secolo, vengono progettate sulla scia del successo dei videogames Arcade, le prime slot digitali, che offrono un’esperienza più intuitiva e migliorata, grazie alle numerose grafiche e alle cromature più eccentriche e dinamiche. L’era digitale consente un ampia diffusione delle slot attraverso sale giochi e bar.

Simboli tradizionali contro gamification: l’esperienza personalizzata delle slot digitali

In principio furono la frutta e le carte francesi ad attirare l’attenzione dei giocatori, quel tipo di slot tradizionale è sicuramente un’icona dell’universo ludico, ma la gamification ha consentito attraverso i miglioramenti tecnologici dei siti specializzati di personalizzare l’offerta per i giocatori, che possono scegliere il tema grafico: musica, storia, archeologia, fantasy, persino serie tv e cartoon su Netflix e Amazon.

Meccanica contro tecnologia

Per fare una puntatina sui siti virtuali è importante giocare soltanto alle slot online regolamentate presenti nell’elenco dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, perché queste consentono la massima sicurezza nei prelievi, nei pagamenti e nella gestione dei dati sensibili dei giocatori.

Le slot tradizionali presentano una vasta casistica in cui il funzionamento ha floppato, in alcuni casi le vincite che superavano il jackpot non sono state pagate, situazione che non accade con le slot digitali, in quanto il meccanismo è regolato da algoritmi precisi e viene controllato costantemente.

I cambiamenti pratici delle slot machine online rispetto ai giochi tradizionali

La digitalizzazione dei giochi di casinò ha determinato una serie di cambiamenti pratici per i giocatori, in primis il fatto di non doversi spostare fisicamente.

Accedere a un casinò e giocare online con un click, significa non dover organizzare una trasferta, oppure un viaggio, quindi risparmiare anche denaro sugli spostamenti: questa è sicuramente una delle differenze più marcate fra gioco digitale e tradizionale.

Un altro fattore che è cambiato radicalmente riguarda la possibilità di poter giocare con qualsiasi tipo di outfit, perché nella maggior parte dei casinò tradizionali vige un dress code specifico, cosa che non accade con le sale da gioco virtuali. In poche parole: è possibile giocare comodamente da casa sul divano, in bermuda o in pigiama, tanto per fare alcuni esempi.

Una differenza pratica particolarmente gradita dai giocatori riguarda il marketing digitale dei casino online che regala bonus, rimborsi e offerte personalizzate, questo non accade nei casinò tradizionali. Per esempio, le slot digitali presenti sui siti offrono free spin ai giocatori, ossia giri gratis con cui imparare le combinazioni vincenti, fare pratica e conoscere il gioco a tema che si sceglie.

Il mondo dei casinò è mutato radicalmente attraverso la digitalizzazione, l’ultima frontiera è quella del Metaverso, che sicuramente offrirà tantissime novità con idee innovative, nel frattempo, in ogni casinò online è possibile giocare in diretta live streaming con un vero croupier, segno che l’universo ludico digitale è sempre più al passo coi tempi e la tecnologia migliora costantemente grazie anche alle sperimentazioni dei giochi e videogames.




I ragazzi a scuola e in famiglia: come colmare le distanze

Oggi si parla spesso di intelligenza emotiva, ma poche persone propongono questo tipo di relazione: né a scuola, nel rapporto ragazzi-insegnanti e viceversa, né a casa, nella relazione ragazzi-genitori.

Sovente, gli insegnanti arrivano in classe dando per scontato l’idea di fare una lezione frontale quindi, quando l’attenzione dei ragazzi inizia a calare, è complicato ritornare ad una relazione di ascolto.

La medesima cosa può accadere tra le mura di casa, dove spesso i genitori, impegnati nella loro quotidianità, non riescono ad avviare un dialogo con i propri figli e viceversa.

Instaurare rapporti sani per colmare le distanze emotive-relazionali, sia a scuola che in famiglia, potrebbe essere così proposto:

Insegnante: “Bene ragazzi che ne dite se oggi facciamo una lezione insieme? Un po’
spiegate voi e un po’ io?”

Oppure,

Padre/Madre: “A. vieni qui da papà/mamma che parliamo un po’, dal momento, che
quest’anno ti diplomi. Mi racconti la tua giornata? Mi dici come stai e cosa hai fatto?”

Oppure,

Ragazzo/a: “Prof. oggi facciamo un po’ di conversazione”?
“Papà/Mamma vi posso parlare di un problema sentimentale”?

Tuttavia, dai migliori esperti di psicologia, quali Galimberti, Crepet, Morelli etc … siamo tempestati, soprattutto sui social, di continui interventi sul come educare all’intelligenza emotiva e quindi su come l’insegnante, i genitori e i ragazzi dovrebbero colmare i vuoti emotivi.

Goleman, studioso di gran pregio, anticipò nel 1996 le proprie teorie sull’intelligenza emotiva, scrivendo frasi e libri dedicati proprio a questo argomento.

Oggi, a seguito di questi interventi, mi chiedo: Ma la scuola che ruolo ha? Cosa ci aspettiamo dai docenti, dai genitori e dai ragazzi? Sarà idoneo formare docenti aditi a creare momenti di empatia? Ma l’intelligenza emotiva si insegna, si impara o nessuna delle due?

Personalmente, da pedagogista e docente, non credo che esista un modo per insegnare ad essere emotivi ma sicuramente esistono capacità innate e non, adite a stimolare l’emotività; in alcuni individui, per altro, potrebbe essere necessario incoraggiare la relazione empatica. Ci sarà chi è più propenso a questo “lavoro emotivo” e chi deve “impegnarsi” a “capire come essere emotivi”.

Per colmare questa “non empatia”, sia in famiglia, sia in casa, sia a scuola è utile “ascoltar-ci” e poi “trasmetter-ci gli uni agli altri”.

Sentire noi stessi e gli altri è un compito arduo ma è fondamentale che qualcuno dia inizio a questo “viaggio introspettivo e relazionale”, senza che rimanga una nozione astratta. Perciò la famiglia e la scuola dovrebbero impostare il dialogo, la partecipazione continua, e soprattutto una comunicazione di reciprocità. I bambini molto piccoli, ad esempio, sono i primi a “sentire” le emozioni. Molte volte, bimbi di 3/4 anni, mi hanno rivolto questa domanda: “maestra, come stai? Stai bene o sei triste?”, e qui si coglie la specialità dell’infanzia e di come noi adulti dovremmo imparare da questa fascia d’età.

I bambini piccoli hanno questo dono perché vivono il presente e non, come noi adulti, il passato o il futuro per indagare cosa è stato e cosa sarà senza mai sentir-ci nel qui ed ora.

L’ingenuità dell’essere bambino sta nel percepire il tipo di adulto che si ha di fronte e di fruirne l’emotività che quest’ultimo potrebbe non avere o avere solo in parte.
Il compito delle comunità educative (famiglia e scuola) è di osservare i bambini piccoli, cercando di “imitarli”: un gesto, uno sguardo, un atteggiamento valgono più di mille
parole dette all’interno di corsi di aggiornamento.

L’intelligenza emotiva non si insegna anzi, è spontaneità, è il creare un ambiente armonioso che ci permette di vivere e condividere le nostre emozioni con quelle altrui.

L’infante, crescendo non dovrebbe perdere questo grandissimo dono, perciò noi adulti, sia in casa che a scuola, abbiamo il compito di promuovere la pratica emotiva, diffondendo “perle” di empatia e sensazioni che possono e devono essere condivise.




Lorenza Di Sepio si racconta fra Simple&Madama, esperienze e progetti

di Francesco Pellegrino Lise

Lorenza Di Sepio è l’autrice assieme a Marco Barretta dei simpaticissimi Simple&Madama. Dalla sua matita nasconole avventure di questi teneri personaggi e oggi, dopo averla incontrata, ci ha raccontato un po’ di lei e della sua vita. La storia d’amore tra Simple&Madama è famosa ed è diventata virale su Internet perché diverte con spezzoni di vita vissuta, talmente veritieri e realistici da non poter ritrovare quell’immediata ironia nei luoghi comuni di ogni coppia. Ma andiamo a scoprire assieme all’autrice alcune curiosità su di lei, sui suoi personaggi, la sua storia e i suoi progetti per il futuro.

Allora Lorenza, chi è la ragazza dietro la matita? E come ti è venuta in mente l’idea di Simple&Madama?

Sono una disegnatrice, autrice di fumetti tra cui proprio Simple&Madama, insieme a Marco Barretta. Il progetto è nato per ironizzare e scherzare sulla mia natura goffa e su alcune situazioni che mi erano capitate. Dopo il successo sui social, abbiamo deciso di proseguire accumulando avventure e gag di questi due piccoli alter ego!

Hai fatto degli studi specifici per disegnare così bene? Oppure è una dote che hai sempre avuto fin da piccola?

Purtroppo non ho potuto seguire un percorso artistico con gli studi, ma ho cercato di compensare leggendo e studiando tanti manuali (ai miei tempi non c’erano tutorial accessibili con un clic!) e facendo molta pratica. Credo nel talento, ma dietro c’è anche tanto allenamento e volontà! Dopo l’esame di maturità, ho frequentato un corso che mi ha insegnato le basi dell’animazione 2D. Mi ha permesso di iniziare subito a lavorare come animatrice e storyboard artist in uno studio di cartoni animati, dove sono rimasta per quasi dieci anni.

Chi è, se c’è, il disegnatore a cui ti sei ispirata la prima volta che hai iniziato a disegnare le tue vignette?

Devo ammettere che non ho un artista preferito. O meglio, non ne ho solo uno! Sin da piccola sono sempre stata una divoratrice di storie ed immagini, a partire dai film d’animazione Disney, fino ad arrivare ai manga ed anime giapponesi. L’ispirazione nasce e mi arriva da un insieme di stimoli e la forma che gli do coi disegni credo sia il risultato di tante cose metabolizzate nel tempo.

Le vicende da te rappresentate sono sempre ispirate da fatti realmente accaduti?

Sono nate come strisce su episodi della mia vita, sì! Poi ovviamente ho allargato il cerchio a vicende accadute ai miei amici, o anche a luoghi comuni. Ovviamente sempre filtrate dal mio personale modo di vedere le cose. Mi piace anche stare attenta ai messaggi che possono passare da ciò che raccontiamo.

Lavori direttamente in digitale oppure prima sviluppi i tuoi disegni a mano e poi li lavori al computer?

Più di 10 anni fa, le primissime vignette erano disegnate a mano, poi scansionate e infine ripulite e colorate al pc. Ormai risparmio tempo e soprattutto carta, lavorando direttamente su schermo!

Le tue strisce parlano di situazioni di coppia in cui molte persone si rivedono. Pensi che le apprezzino di più i nati fra gli anni ’80 e ’90, che hanno un modo di vivere le relazioni molto diverso dai ragazzi di oggi, o pensi che siano più seguite dai giovani?

Mi piace pensare che l’amore sia universale, fuori dal tempo, ma sto scoprendo che è come se ci fosse un amore per ogni età! Ne abbiamo di tutte le età (anche di giovanissimi che pensano che Simple&Madama siano fratello e sorella) ma la maggior parte dei nostri lettori, sono nostri coetanei. Probabilmente perché le vicende che raccontiamo sono strettamente legate al vissuto di una coppia che abita nella stessa casa, che fa la spesa, che lavora, quindi i più giovani non ci si rivedono nell’immediato!

Credi che i giovani d’oggi abbiano una concezione di coppia e amore differente dai nati nel secolo scorso?

No, non credo. L’amore è amore! C’è forse più attenzione all’argomento e meno stereotipi o luoghi comuni, quindi è più difficile rappresentare una categoria, ma sicuramente più stimolante!

Come è stato passare dal web alla carta stampata? E cosa preferisci tra i due?

Il web ci permette di arrivare e dialogare direttamente col lettore, è un vero e proprio scambio! Mi piace il senso di community, ma anche avere un mio libro stampato tra le mani e sentirne il profumo della stampa, o vederlo su uno scaffale in libreria è bellissimo! Rende reale qualcosa che sul web è passeggero. Uno dei motivi per cui abbiamo pubblicato “Ti Sblocco Un Ricordo”, una mega raccolta di tutte le vignette degli ultimi 10 anni di Simple&Madama!

Il successo è iniziato su internet e ora sei affiancata da una casa editrice. Quali sono le difficoltà e i vantaggi di trasformare episodi di poche vignette in una storia narrativamente più complessa?

Sono due cose molto diverse! Le vignette funzionano proprio perché sono brevi ed immediate. Non basta “allungarle” per 120 pagine, bisogna costruire una trama e portare il lettore a seguirla dall’inizio alla fine. Quindi quando lavoriamo ai volumi, non pensiamo mai alle singole gag, ma a delle piccole grandi avventure che possano far sorridere, ma che abbiano anche dei messaggi da dare.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro e cosa meno?

Mi piace tutto, ho la fortuna di poter fare il lavoro dei miei sogni e di questo ne sono grata ogni giorno! Però è innegabile la fatica ed il sacrificio che c’è dietro. Non ci sono giorni di ferie, non ci sono giorni di malattia, quando c’è una scadenza tutto deve andare in secondo piano. Ci sono periodi in cui ci si abbrutisce dietro ad un pc uscendo sì e no giusto per fare la spesa. Ma niente che non possa risolversi con un po’ di ferrea organizzazione!

Cosa consiglieresti a chi desidera pubblicare le proprie vignette per lavorare in questo settore come fai tu?

Sembra banale, ma lo penso davvero: di provarci, esercitarsi tantissimo e non arrendersi alle difficoltà o alle delusioni!

I social ti hanno aiutata molto a far conoscere il tuo lavoro? Cosa ne pensi di queste piattaforme? Quali sono i lati positivi e quelli negativi per i più giovani?

Ho avuto la fortuna di creare un account in quella che era l’epoca d’oro dei social. Eravamo in pochi, per cui ogni post aveva una visibilità pazzesca. Adesso uscire fuori tra tutti i creator ed i trend che ci sono è difficilissimo. E poi con tutte le possibilità ed i tutorial che si trovano, ci sono un sacco di talenti giovanissimi! Comunque i lati positivi continuano a superare quelli negativi, essere presenti sui social resta una vetrina davvero importante.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Se dovessi vederti fra 10 anni, nel 2033, come ti immagini?

Che domanda difficile! Mi piacerebbe vedermi esattamente come adesso, anche se 10 anni sono tanti e restando ferma sarebbe difficilissimo parlare alle nuove generazioni! Comunque di progetti futuri ne abbiamo tantissimi, ma speriamo di realizzarli ben prima del 2033!

Se dovessi lanciare un messaggio alle giovani coppie cosa vorresti dire loro?

Una cosa semplice, ma non sempre facile: Amarsi senza mai darsi per scontati e saper sempre sorridere insieme!