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Coronavirus, il fallimento dell’Europa: alle 12 di oggi confini sigillati

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La Cina ha registrato ieri un solo caso a Wuhan, focolaio del coronavirus, e altri 20 di contagio di ritorno. Secondo gli aggiornamenti della Commissione sanitaria nazionale (Nhc), i morti sono stati 13, di cui 12 nella provincia dell’Hubei – di cui Wuhan è capoluogo – e uno in quella di Shaanxi. Tra i casi mortali, nove sono stati rilevati a Pechino, tre a Shanghai e nel Guangdong, e uno nelle province di Zhejiang, Shandong, Guangxi, Yunnan e Shannxi. I contagi di ritorno sono così saliti a 143.

La Corea del Sud ha approvato una stretta ai controlli a partire da giovedì su tutti gli arrivi internazionali contro i rischi del contagio di ritorno, nel mentre ha annunciato su lunedì 84 nuovi casi di coronavirus che hanno portato il totale a quota 8.320. Secondo i Korea Centers for Disease Control and Prevention, i morti sono saliti a 81. Malgrado un leggero rialzo sui 74 casi di domenica, il trend è sotto quota 100 per il terzo giorno di fila. Circa il 61% dei casi certi sono legati alla Chiesa di Gesù Shincheonji, setta religiosa di Daegu.

La pandemia di coronavirus ha raggiunto un altro, allarmante traguardo: per la prima volta i contagi e i morti nel mondo hanno superato quelli in Cina. In questo scenario l’Europa, che è il nuovo epicentro, chiude da oggi a mezzogiorno le frontiere esterne dell’Unione. “Questa è una crisi sanitaria che segna la nostra epoca”, ha sottolineato l’Oms, avvertendo che la lotta contro questa “malattia grave, che uccide anche giovani e bambini”, richiederà “mesi”. Lo dimostrano gli 87.000 contagi registrati nel mondo, che hanno superato gli 80.000 della Cina, e lo stesso vale per il numero dei morti, ben oltre i 3.200 degli oltre 7.000 complessivi.

La crescita più robusta è in Europa, dove in diversi Paesi si assiste all’escalation iniziata in Italia. La situazione nel Vecchio Continente è stata tra i temi al centro della videoconferenza dei leader del G7 in cui è stato concordato di fare tutto il possibile per garantire la crescita. Ai suoi partner, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha anticipato di aver proposto “una restrizione temporanea per tutti i viaggi non essenziali verso l’Ue, per trenta giorni, ma da prolungare se necessario”. Tale blocco, soggetto ad esenzioni per cittadini europei che tornano a casa, ma anche per personale sanitario e ricercatori, ha come obiettivo quello di “non appesantire ulteriormente i sistemi sanitari”, ha spiegato von der Leyen, che domani ne discuterà con i capi di Stato e di governo convocati per un consiglio straordinario, sempre in video. Ma la decisione è presa, tanto che in serata è stato il presidente francese Emmanuel Macron ad annunciare che la chiusura scatterà da martedì a mezzogiorno.

E centomila agenti tra poliziotti e gendarmi verranno dispiegati in Francia per piazzarsi ai posti di blocco fissi e mobili nel quadro delle misure coercitive annunciate dal presidente francese Emmanuel Macron contro il coronavirus: lo ha detto il ministro dell’Interno, Christophe Castaner.

Sempre più Stati membri però hanno già rinunciato alla libera circolazione interna sancita da Schengen. Così dopo Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Danimarca, Polonia, Lituania e Germania, anche la Spagna ha sigillato i suoi confini: è il secondo Paese più colpito in Europa, con oltre 9.000 contagi (anche il governatore catalano Quim Torra) e 300 morti.

Non va meglio in Germania, dove gli esperti sanitari hanno confermato che i casi “crescono piuttosto velocemente”. Mentre la cancelliera Angela Merkel ha spiegato che parlamento e Laender hanno varato “misure straordinarie ma necessarie” per ridurre i contatti sociali. La ricca Baviera ha dichiarato lo stato di calamità ed è praticamente chiusa.

Cresce l’allarme anche in Gran Bretagna: il brusco aumento delle infezioni da Covid-19 ha convinto Boris Johnson ad abbandonare la linea dell’attendismo, tanto che il capo del governo di Sua Maestà ha raccomandato lo stop di tutti i viaggi non necessari, il lavoro da casa e la rinuncia ai contatti sociali, incluse le ‘istituzionali’ bevute al pub.

Misure draconiane sulla falsariga italiana sono state adottate in Svizzera e uno scenario simile è stato imposto in Francia: spostamenti drasticamente ridotti per 15 giorni e sanzioni per chi non rispetta le regole. “Siamo in guerra”, è stato il monito di Macron. La stretta anti-pandemia non riguarda solo l’Europa.

Negli Stati Uniti le due città simbolo, New York e Los Angeles, di fatto si fermeranno, con lo stop a scuole, bar, ristoranti, cinema e all’iconica Statua della Libertà. Anche a Washington si resterà a casa e Las Vegas ha chiuso i casinò, mentre in New Jersey è scattato il coprifuoco. La città di San Francisco ha ordinato ai residenti di gran parte della regione della Baia di restare a casa per le prossime tre settimane e il più possibile lontano dalle altre persone per fermare la diffusione del contagio da coronavirus. 

In Africa infine si registrano solo un centinaio di contagi complessivi in 27 Paesi ma c’è da dubitare che i controlli siano massicci. L’Oms ha messo in guardia i paesi a basso reddito perché l’infezione avrebbe un impatto devastante sulle fasce più deboli. Per questo l’imperativo è sempre lo stesso: “Test, test, test” su ogni caso sospetto.

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Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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