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Cronaca

DUPLICE OMICIDIO DI PORDENONE: TRIFONE, TERESA E L'IPOTESI DEL SERIAL KILLER

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Tempo di lettura 7 minuti L'inchiesta de L'Osservatore d'Italia e il profilo psicologico di una professionista. Leggi all'interno tutti i fatti e le sfumature del caso

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di Angelo Barraco

Pordenone –  Il 17 marzo scorso nel parcheggio del palasport di Pordenone si è consumato l’atroce delitto di Trifone Ragone e Teresa Costanza. Un omicidio efferato compiuto in un luogo che avrebbe potuto portare ben presto alla risoluzione del caso ed invece non è stato così.  I due fidanzati sono stati rinvenuti cadaveri all’interno di un automobile parcheggiata nel piazzale antistante il palazzotto dello sport di Pordenone. Ricordiamo che Trifone Ragone era un Sottoufficiale dell’Esercito e prestava servizio al 132/o Reggimento Carri di Cordenons. L’allarme è stato lanciato da un istruttore di judo che ha notato la macabra scena dopo essere uscito dal palazzetto dello sport dopo aver fatto allenamento. I fidanzati presentavano colpi di arma da fuoco alla testa. Poco prima che vi fosse il ritrovamento da parte dell’istruttore di Judo, un uomo aveva sentito delle urla. Inizialmente si ipotizzava l’omicidio-suicido, poi lo scenario è cambiato, e il Procuratore della Repubblica di Pordenone Marco Martani afferma che  non si tratta di omicidio-suicidio bensì di duplice omicidio. I dubbi sull’accaduto sono stati chiariti dopo aver analizzato bene la scena. All’interno dell’automobile della coppia non è stata trovata l’arma, ciò dimostra che non si sia trattato di un gesto estremo dei ragazzi. La donna è stata raggiunta da tre proiettili alla testa, l’uomo invece da un proiettile. Tutti i colpi sono stati sparati dalla stessa arma, una calibro 7,65. L’autopsia ha confermato quanto emerso dalla tac cranica eseguita all’indomani dell’omicidio; sei colpi sparati di cui tre hanno colpito lui; uno alla tempia e due alla mandibola. Si ipotizza che Trifone sia stato colpito mentre passava dal lato guida al lato passeggero e non si sia accorto di essere stato colpito, la ragazza invece, si ipotizza, che abbia visto il killer e abbia cercato di mettere in moto la macchina ma invano; ciò sarebbe dimostrato dal fatto che un colpo che è stato schivato, ma gli altri due, non hanno dato scampo alla vittima. L’autopsia ha escluso che la donna fosse incinta.
Dopo l’esame autoptico si è passati ad una scoperta importante, gli uomini del Reparto di Investigazioni Scientifiche dell’Arma effettuarono sopralluoghi presso la casa della coppia pochi giorni dopo l’omicidio ed effettuarono anche esami scientifici all’interno dell’auto della coppia uccisa, i Carabinieri del Ris di Parma hanno trovato delle tracce biologiche diverse rispetto a quelle delle due vittime, si tratta di capelli che potrebbero appartenere al killer. Gli investigatori non sottovalutano il ritrovamento avvalorando la tesi che l’assassino, per sparare, sia stato costretto ad introdursi all’interno dell’auto della coppia. Ciò sarebbe confermato dalla circostanza del ritrovamento dei proiettili; soltanto uno è stato rinvenuto all’esterno dell’auto. Ma la prima delusione investigativa arriva proprio dallo strumento che poteva e doveva dare risposta in merito al tragico delitto, le telecamere. Il sistema di videosorveglianza non funzionava. i contenitori per le videocamere erano vuoti e non vi è stata alcuna ripresa, gli obiettivi non ci sono e i cavi sono scollegati. Le quattro telecamere indispensabili davano sul parcheggio, ma non riprendevano nulla, non ha mai funzionato.
Ma pian piano saltano delle novità, quarto nuovo testimone che, secondo indiscrezioni, era a pochi metri dal luogo del duplice delitto perché stava posando il suo borsone in auto poiché anch’esso frequenta la palestra di arti marziali. Il testimone avrebbe sentito lo sparo ma in quel momento sarebbe rimasto sorpreso ed incredulo all’idea che nella tranquilla Pordenone potesse avvenire un omicidio e qualcuno potesse impugnare un’arma e sparare tant’è che gli spari gli sono sembrati petardi. L’uomo è stato ascoltato dagli inquirenti e la sua versione coincide con le dichiarazione rilasciate dall’amico della coppia che si trovava nel parcheggio e che li ha visti per ultimo, coincide con la testimonianza del runner che anch’esso ha dichiarato di aver scambiato gli spari per petardi e coincide con la dichiarazione del pesista che ritiene di aver sentito la stessa cosa. Vi era un buco di due ore di Teresa che,  quando è uscita dall’ufficio e ha finito di lavorare ha disdetto il pranzo di lavoro. Questo gap è stato accertato dalle telecamere del Comune di Pordenone che, dopo essere state analizzate dalla Polizia, hanno fatto emergere, senza ombra di dubbio, che Teresa, nel momento in cui è uscita dall’ufficio al termine della mattinata lavorativa e nel momento in cui ha disdetto il pranzo è andata a casa. Dalle telecamere infatti la sua Suzuky Alto Bianca viene vista alle 14.43 ferma all’incrocio tra Via Grigoletti e Via Montereale, quindi minuti dopo la sua macchina viene inquadrata in Via Cavallotti. Quest’ultima strada viene percorsa dalla donna anche la mattina per recarsi in ufficio e tale circostanza è confermata dall’immagine che immortala la presenza dell’auto della donna alle 9.15 che percorre la strada.
Altra novità sul caso è la diffusione dell’identikit sul presunto killer della coppia. L’identikit è stato fatto grazie alla segnalazione dei cittadini che hanno visto persone sospette aggirarsi nei pressi della palestra nel periodo successivo all’omicidio. Il procuratore Marco Martani aveva lanciato il seguente appello ai cittadini di Pordenone: “Se avete visto qualcosa di strano parlate” e il risultato è stato l’identikit venuto fuori, sono emersi anche dettagli sui tratti somatici dell’uomo; l’uomo avrebbe un neo sulla guancia. Gli inquirenti hanno ricostruito anche l’abbigliamento e la fisionomia, il giovane avrebbe occhi chiari e – come visibile nell’identikit – aveva un cappello di lana fino alla fronte. 
 
PISTE INVESTIGATIVE: Al vaglio degli inquirenti le trasferte della coppia in Svizzera, l’ipotesi è che i viaggi potessero essere legati al mondo degli anabolizzanti o ad interessi economici. Sul profilo facebook della donna è apparsa una minaccia scritta da un 20enne kosovaro che ha scritto: “Ti sta bene, così non vai più in discoteca”. Un aspetto che stanno vagliando però, è quello che il giovane possa aver visto o sentito qualcosa che  ha compromesso definitivamente la sua vita e quella della sua compagna. Tale ipotesi potrebbe risultare attendibile poiché la ragazza poco prima si era recata in quel luogo e aveva parcheggiato lì. Ciò dimostra che se l’assassino aveva come obiettivo la donna, avrebbe potuto agire nel momento in cui lei era più vulnerabile. La pista passionale è sotto la lente d’ingrandimento, si sta analizzando anche il passato delle vittime, dove è emerso che Teresa faceva la cubista e/o ragazza immagine con lo pseudonimo di “Greta”. I due ragazzi erano frequentatori di locali notturni, da quanto emerso. Al setaccio vi sono le email e gli sms dei ragazzi per constatare la presenza o meno di qualcosa di anomalo. La pista mafiosa è stata ipotizata perché lo zio di Teresa Costanza, Antonio Costanza (zio del padre), nel 1995 era sparito, vittima di lupara bianca. I pentiti, in merito alla scomparsa dell’uomo hanno detto che fu ucciso e sepolto in un terreno di Campofranco. La sua morte sarebbe stata decisa da Cosa Nostra perché il soggetto fu indicato come spia che indicava agli investigatori il nascondiglio del boss.
 
La Dottoressa Rossana Putignano, Psicologa- Psicoterapeuta Psicoanalitica, ha tracciato un ipotetico profilo psicologico del killer di Pordenone. Ecco quanto scrive:
 
Nessuna delle piste seguite dagli inquirenti sono per me accattivanti. L’idea che si trattasse di una esecuzione da parte di un killer assoldato per conto di qualcuno, la pista passionale, quella dei locali notturni, quella del razzismo e delle scritte minatorie sull’ascensore: niente  di tutto ciò sembra acquisire più valore rispetto alle altre piste indagate. Ritengo si debba “pensare facile “quando la storia è complessa, un pò come quando pazienti, visti da tanti colleghi, tendono ad abbandonare lo specialista finché non si fermano a te che pensi facile e al di fuori dei canoni attesi. Ora, l’esempio testè fatto, non ha nulla a che vedere con l’omicidio dei due giovani di Pordenone e probabilmente ha il sapore della speculazione teorica ma, non essendo criminologa, necessito di pensare con i miei strumenti. Mi chiedo: necessariamente il killer (scartando l’idea del mandante) deve aver conosciuto in vita Trifone e Teresa? Non potrebbe trattarsi di un serial killer?E se il killer non avesse avuto il tempo di firmare il suo assassinio? Suggestione per suggestione, non sono l’unica, nel mio ambiente, ad aver avuto il ricordo del Mostro di Firenze, il quale massacrò 8 coppie di giovani che si accingevano a consumare un atto d’amore nelle campagne fiorentine, tra il 1968 e 1984. Le escissioni del pube, la mutilazione del seno sinistro di alcune delle vittime e lo spostamento dei corpi femminili costituiscono nella fattispecie del Mostro di Firenze la firma dell’assassino. Nel caso di Trifone e Teresa non possiamo parlare di serial killer maniacale ma nemmeno di serial killer, perché il linkage non sembra aver  portato nessun risultato. E se fosse il primo della serie?ovviamente questa è una provocazione ma non la escluderei del tutto. Pensare facile non vuol dire avere una mente semplice ma trovare il gap dell’intera vicenda. Ritornando al Mostro di Firenze: 40 anni di indagini e suggestioni e  il serial killer non è stato mai trovato. Una persona insospettabile? La suggestione che fosse un poliziotto appare un pò scontata anche se molto suggestiva.
Ricordo ai lettori che la vicenda si concluse con l’assoluzione e la morte di Pacciani (strana morte) che però è rimasto nell’immaginario pubblico l’unico mostro di Firenze. In realtà furono arrestati e processati ingiustamente almeno una ventina di persone che gravitavano intorno, per dirla alla Spezi, intorno le “dolci colline” fiorentine, una vera sconfitta per la Procura Fiorentina che a quanto pare, non intende riaprire il caso, un pò per vergogna, un pò per interesse e coerenza con quelli che furono gli STOP dell’epoca. Inoltre, il secondo livello non fu mai toccato non necessariamente perché collegato al mostro ma perchè si sa, quando si indaga si aprono altri procedimenti.
Per quanto concerne i giovani di Pordenone , credo si debba partire da zero con una mente nuova e fresca; credo che, anche qui, gli inquirenti sconfineranno nella paranoia che potrebbe essere uno dei tratti del killer. La paranoia è tipica del serial Killer che proietta sulle potenziali vittime quegli aspetti che non vuole riconoscere come facenti parte della sua personalità (in sostanza uccidendo le vittime è come se uccidesse parti di sé). Invece, l’identificazione proiettiva è quel meccanismo per cui parti di sé, inaccettabili, vengono proiettate e depositate nell’altro e attraverso l’altro il soggetto recupera una versione modificata di quanto è stato proiettato. Questo meccanismo, dice Mastronardi (2005), è considerato di estrema importanza nel normale sviluppo infantile perché il bambino deposita aspetti di sé che non accetta su un’altra persona prendendo in cambio qualcosa di positivo; nella fattispecie del SK, continua Mastronardi, questo meccanismo è molto usato dal soggetto che subisce abusi da un padre violento e che, per non restare vittima tutta la vita, si identifica con l’aggressore diventando lui stesso carnefice. Alla luce di queste considerazioni, io sono della convinzione che anche chi indaga sui SK, può esserne investito di identificazione proiettiva: chi non è schermato potrebbe riproporre egli stesso meccanismi paranoici, un po’ come è successo negli ultimi 20 anni di indagine sul Mostro di Firenze; gli inquirenti e i giornalisti, infatti, iniziarono ad accusarsi vicendevolmente. Detto ciò, cosa potrebbe accadere tra una ventina di anni se gli inquirenti si accanissero per la risoluzione del caso di Trifone e Teresa? Anche questa come le altre è una provocazione, in ogni caso la loro triste vicenda resta di difficile risoluzione. Lascio al lettore trarre le sue conclusioni, e perché no, aiutarlo a “pensare facile”.  

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In Italia primi casi di puntura letale: sono i “parenti” della Dengue

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Un virus d’importazione, “parente” della Dengue e del West Nile, della famiglia delle arbovirosi che è già stato diagnosticato in Italia, intorno alla metà di luglio, nel laboratorio dedicato alle Bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano in due pazienti arrivati dal Brasile e da Cuba, e anche in Veneto, al Dipartimento di Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia dell‘Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), sempre in una paziente con una storia recente di viaggi nella regione tropicale caraibica. In tutto, i casi diagnosticati finora in Italia sono stati quattro. L’infezione provoca febbre molto alta, dolori articolari e muscolari e rash cutaneo e si trasmette all’uomo attraverso le punture di moscerini o di zanzare, principale vettore (la zanzara Culicoides paraensis) è attualmente presente solo in Sud e Centro Americhe e non è presente in Europa e ad oggi non esistono prove di trasmissione interumana del virus Oropouche.

Il segretariato di Bahia riferisce che i pazienti deceduti a causa della febbre Oropuche avevano sintomi come febbre, mal di testa, dolore retro-orbitale(nella parte più profonda dell’occhio), mialgia (dolore muscolare), nausea, vomito, diarrea, dolore agli arti inferiori e debolezza. In entrambi i casi, poi, i sintomi si sono evoluti con segni più gravi come macchie rosse e viola sul corpo, sanguinamento, sonnolenza e vomito con ipotensione, gravi emorragie e un brusco calo dell’emoglobina e delle piastrine nel sangue.

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Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Crollo della vela a Scampia, gravi due bambine

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Sono in gravissime condizioni due dei sette bimbi ricoverati all’ospedale Santobono di Napoli dopo il crollo della scorsa notte a Scampia.

Due delle sette piccole pazienti, rispettivamente di 7 e 4 anni, sono in gravissime condizioni per lesioni multiple del cranio e, attualmente, sono ricoverate in rianimazione con prognosi riservata.

Nello specifico, si legge nel bollettino dell’Ospedale Santobono, una bimba è stata sottoposta nella notte ad intervento neurochirurgo per il monitoraggio della pressione intracranica, presenta emorragia subaracnoidea, fratture della teca cranica e versa in condizioni cliniche gravissime, con prognosi riservata. L’altra, ha una frattura infossata cranica e grave edema cerebrale. È stata sottoposta ad intervento di craniectomia decompressa nella notte e impianto di sensore per il monitoraggio della pressione intracranica. Attualmente è emodinamicamente instabile e versa in condizioni cliniche gravissime con prognosi riservata. Altre tre piccole pazienti, rispettivamente di 10, 2 e 9 anni, hanno riportato lesioni ossee importanti e sono attualmente ricoverate in ortopedia. Una per un trauma maxillo facciale con grave frattura infossata della sinfisi mandibolare e con frattura di femore esposta, un’altra con frattura chiusa del terzo distale dell’omero sinistro, l’ultima con frattura dell’omero sinistro scomposta prossimale. Sono state stabilizzate e saranno sottoposte in giornata a intervento chirurgico ortopedico. Le ultime due, rispettivamente di 2 e 4 anni, hanno riportato contusioni multiple con interessamento splenico, trauma cranico non commotivo e contusioni polmonari bilaterali, ricoverate in chirurgia d’urgenza sono state stabilizzate e, al momento, non presentano indicazioni chirurgiche.

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