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Editoriali

L’USO DELLE ARMI E… I PERSONAGGI “SINISTRI”

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Tempo di lettura 4 minuti La verità è che le armi – dalla fionda in su – fanno venire l’orticaria ad alcuni personaggi "sinistri", e non si sa per quale motivo.

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di Roberto Ragone

Quando l’uso delle armi si configura in “legittima difesa?” L’art. 52 del C.P. lo dice chiaramente; peccato poi che parli di "proporzionalità" della difesa nei confronti dell’offesa. Un testo più consono ai tempi in cui – senza nostra responsabilità, aggrediti da una delinquenza nuova e più spietata del solito  –  stiamo vivendo  è allo studio dal 2002, affidato alle cure del giudice Nordio, ma le resistenze di una certa parte politica non lo hanno mai consentito.

Come sempre da una certa parte politica provengono tutte le iniziative volte a disarmare il privato cittadino, anche se semplice appassionato oplofilo, o cacciatore, o tiratore sportivo, o anche ricercatore, studioso, come il prof. Andrea Bonzani, persona degnissima e autore di numerosi libri sulla ricarica. Insomma, alla sinistra le armi proprio non vanno giù, tanto che negli anni ’50 cercarono addirittura di far approvare una legge che disarmasse coloro che per istituzione sono preposti al porto e all’uso di esse per la nostra sicurezza, cioè la Polizia. 

Esiste un’iniziativa firmata EU che prevede la confisca di tutte le armi lunghe classificate B7, cioè in pratica le versioni civili delle armi d’assalto militari, compreso il nostro Beretta AR70/90/223 con funzionamento semiautomatico, cioè senza selettore per il tiro a raffica; il pretesto per queste confische –  illegittime in quanto toccano un oggetto di proprietà privata – si configura nella favoletta che di esse armi lunghe fruirebbero i terroristi islamici – e non solo loro. Senza calcolare che ogni buon collezionista che tiene ai suoi "pezzi" dispone di una cassaforte o armadio blindato – per legge – e quindi il furto è quanto meno difficile da portare a compimento. Sappiamo invece, ed è sotto gli occhi di tutti, che l’approvvigionamento di armi clandestine avviene attraverso ben altri canali, conosciuti e intoccabili, perché riguardano stati membri e servizi segreti; oltre che grossi mercanti d’armi ben noti a chi devono esserlo. Un collezionista non disporrà mai di un AK47 con decine di caricatori e migliaia di cartucce, né di altro materiale bellico prettamente militare. La verità è che le armi – dalla fionda in su – fanno venire l’orticaria ad alcuni personaggi "sinistri", e non si sa per quale motivo.

È imminente un ritocco all’autorizzazione per la  collezione di armi comuni da sparo, con una drastica riduzione del numero di esse, sia corte che lunghe. In questo quadro si configura l’idiosincrasia di alcuni giudici nei confronti di chi, come Franco Birolo, il tabaccaio di Civè di Correzzola (PD), viene tirato per i capelli all’uso della sua pistola per difendere la propria incolumità e il futuro della sua famiglia. A freddo, dietro uno scranno di tribunale, può sembrare tutto illecito: il possesso di un’arma, il porto – Birolo aveva subito altre rapine – l’uso, la morte di un ladro ventenne – o poco più. Peccato che chi giudica non ha un’esperienza specifica, in pratica non ha mai subito un’aggressione, una rapina, una minaccia alla vita sua e dei suoi cari. Ma l’Italia, si sa, è un Paese speciale, come sbandiera a destra e a manca il nostro Presidente del Consiglio, e queste cose rien
trano nella nostra "creatività". 

Due anni e otto mesi passano presto: ciò che rimane è l’amarezza di aver spento una vita – comunque – e la macchia sociale, oltre che penale. Bisogna poi riparare il danno fatto al negozio, e sono fior di quattrini, oltre a risarcire i parenti della vittima – duecentomila euro alla madre, centoventicinquemila alla sorella, e meno male che non aveva moglie, figli e nipoti…  Subire un reato, passare dalla ragione al torto, subire oltretutto tutte le conseguenze di quei momenti, non è piacevole. C’è chi c’è morto, Ermes Mattielli, il robivecchi condannato in sede penale e civile per aver sparato ad uno di quei ladri rom che da tempo lo depredavano, portandogli via quelk po’che gli serviva – lui, vecchio, solo e invalido – alla sopravvivenza, e che raccoglieva certamente con fatica. Ermes è morto d’infarto, dopo aver saputo che per pagare i ladri avrebbe dovuto vendere la sua proprietà. Siamo una nazione civile? Non mi sembra. Il giudizio è stato emesso con senso comune? Non pare. Guardandola in prospettiva, questa sentenza vi sembra  equa? A me no. E di Ermes Mattielli ce ne sono tanti, come anche di Franco Birolo; di persone per bene aggredite di notte nelle proprie ville solo perché mostravano di possedere qualcosa; con i banditi che chiedevano "la cassaforte", oggetto notoriamente diffuso in tutte le case italiane perché siamo tutti ricchi; con sevizie e violenze di ogni tipo, cose che le donne hanno avuto vergogna a denunciare, tanto… 

Ricordo che tanti anni fa, quando abitavo ancora a Bari, il Tribunale mandò assolto un piccolo delinquente che aveva ucciso una persona con la sua piccola 6,35 che aveva in tasca, mentre l’altro, più prestante, lo aveva cinturato e lo stringeva. Gli fu riconosciuta la legittima difesa, nonostante l’altro fosse disarmato. Nel caso di Birolo, la difesa  di un singolo contro più persone, come si dovrebbe configurare, specialmente quando si viene aggrediti con il lancio di un pesante
registratore di cassa?

E poi, diciamo anche questo: tutti i bersagli dei rapinatori sono imprenditori, grandi o piccoli. Dai tabaccai ai farmacisti, ai tassisti, ai commercianti in preziosi, ai capi di piccole industrie. Cioè il tessuto sociale più delicato, quello che porta avanti l’economia della nazione, quello che può far crescere il tanto decantato PIL, che non cresce certo per decreto, né per decreto nascono posti di lavoro. E lo Stato cosa fa? Li mette in condizioni di non potersi difendere, di dover subire qualunque angheria, perché la vita di un ladro che ha scambiato – come tanti suoi colleghi – l’Italia per terra di saccheggio, ha deciso di togliergli la linfa vitale, quel capitale che è indispensabile per l’attività, per la famiglia, per la vita sua e dei suoi dipendenti – ove ce ne siano.

Chi difende, come Birolo, le stecche di sigarette nel suo negozio, non sta difendendo soltanto qualche centinaio di pacchetti, ma la possibilità di andare avanti, di realizzare un – piccolo – guadagno che gli servirà per la famiglia e per la continuazione dell’attività. In quest’ottica va vista la reazione di chiunque si armi per difendere ciò che è legittimamente suo, la parte sana della nostra società; quella che paga le tasse ad uno Stato che lo tartassa fiscalmente, che magari per un cavillo gli fa arrivare una cartella di Equitalia, e dal quale non ottiene neanche una giusta tutela; uno Stato forte con i deboli e debole con i forti; uno Stato moroso quando deve pagare e perentorio quando deve ricevere. Il risarcimento di 325 mila euro, poi, è la ciliegina sulla torta.  In attesa della tanto decantata modifica all’art. 52, auguriamoci che le cose cambino, che le sentenze siano più aderenti allo spirito delle leggi e meno alla lettera, e che la discrezionalità dei giudici sia esercitata non sempre pro reo, ma che tenga conto di fattori umani e di senso comune – o di buon senso. E che i giudici non stabiliscano risarcimenti per i ladri e le loro famiglie, ciò che suona proprio come un insulto alle persone oneste.

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Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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