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7 anni faon
“Siamo il perno della legislatura“. Lo afferma, a quanto si apprende, il capo politico del M5s, Luigi Di Maio, nel suo intervento introduttivo all’assemblea dei 112 senatori del movimento. L’assemblea è chiamata tra l’altro a ratificare la nomina di Danilo Toninelli a capogruppo a Palazzo Madama. “Prima il metodo, poi i nomi”, ha detto ancora Di Maio ribadendo il suo ‘no’ a candidati “condannati o sotto processo”. Poi ha aggiunto: “Dei ministri si parla con il presidente della Repubblica, dei temi si parla con i partiti politici”.
Dialogo con tutti, ma soprattutto con Matteo Salvini per arrivare all’elezione dei presidenti delle Camere e “far partire la legislatura”. Il leader M5s ha riaperto i contatti con “i principali esponenti di tutti i futuri gruppi” ma precisa Di Maio, “ho sentito prima Maurizio Martina, Renato Brunetta, Giorgia Meloni, Pietro Grasso” e “successivamente anche Matteo Salvini”. Con lui, “pur non affrontando la questione nomi e ruoli, abbiamo convenuto sulla necessità di far partire il Parlamento quanto prima” scrive il capo politico dei 5 Stelle.
Sembra l’indicazione di un canale privilegiato con il leader del Carroccio per l’individuazione dei candidati per le due assemblee mentre con gli altri partiti viene data la “disponibilità a proseguire il confronto, attraverso i capigruppo” per individuare i profili anche per “le altre figure che andranno a comporre gli Uffici di Presidenza”.
La partita delle Camere per i due leader resta però slegata dalle ipotesi di governo su cui il M5s continua a tenere acceso il radar a 360 gradi incassando una prima apertura di Walter Veltroni: “A certe condizioni e con la regia del Colle il Pd dialoghi” dice l’ex segretario dem.
“Se a fine crisi emergesse un’ipotesi a certe condizioni programmatiche, come politiche sociali e adesione alla Ue, sarebbe bene discuterne” insiste Veltroni che però osserva: “Una parte del nostro elettorato è finita ai 5 Stelle; una piccola nella Lega, il resto, tanto, nell’astensione. Il Pd fa bene per ora a stare dov’è. All’opposizione”.
Ma questo del governo per il momento è il secondo tempo della partita che Lega e M5s stanno giocando sulle Camere. Anche Salvini è diplomatico e conferma l’approccio di Di Maio: “Con Di Maio ma come con Martina e Grasso, con la concordia di Meloni e Berlusconi stabiliamo tutti assieme chi saranno i presidenti delle Camere”. Tutti, anche il Pd per il quale si augura che, solo per le cariche istituzionali e non per il governo, dia “una mano a far ripartire questo Paese”.
Il leader leghista nega che ci siano già i nomi ma poi ammette: “Stiamo ragionando su alcune ipotesi“. Come quelle dei leghisti Stefano Candiani e Erika Stefani, responsabile giustizia gradita a Fi, che hanno surclassato l’ipotesi Giulia Bongiorno, indigeribile a Fi e soprattutto i nomi di Paolo Romani e Roberto Calderoli, inaccettabili invece a larga parte del Movimento.
Ieri un ortodosso come il senatore Nicola Morra rievoca il passaggio tattico di Calderoli al Misto: “Ce lo ricordiamo che la Lega, con Belsito e Bossi, ha avuto un ‘problemino’ da 52 mln di euro?”. Lo schema Di Maio-Salvini prevederebbe quindi l’assegnazione di Montecitorio al M5s per il cui scranno più alto si fanno i nomi di Riccardo Fraccaro, Emilio Carelli e Roberto Fico: improbabile la possibilità che lo stesso Di Maio sia interessato a candidarsi. Ma c’è anche chi nel Movimento auspica una raccordo maggiore con il Pd anche per quanto riguarda l’indicazione delle presidenze delle assemblee, magari consegnando ai dem Montecitorio e lasciando al M5s il Senato. Minoranze che fanno tuttavia il paio con l’altolà di Giorgia Meloni che avverte: “La presidenza della Camera a un esponente 5 stelle non è un atto dovuto”. Uno scambio di posizioni ribadito tra i due anche in occasione della telefonata tra Di Maio e Meloni dove la leader di Fdi ha ripetuto che le due presidenze devono andare alla coalizione che ha vinto le elezioni, cioè il centrodestra
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