Scienza e Tecnologia
Mega Man 11, l’eroe di Capcom non passa mai di moda
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4 anni fail

Chi è cresciuto negli anni 80’ ed era un fortunato possessore del NES (Nintendo Entertainment System) ha sicuramente giocato a uno dei capitoli di Mega Man. La serie a scorrimento laterale di Capcom ha avuto un successo talmente grande in quegli anni che il titolo ebbe ben cinque sequel per la stessa piattaforma, una cosa mai vista a quei tempi. Con il passare degli anni, però, la serie non è morta, ma anzi, attraverso nuove idee, lanciando una serie parallela chiamata Mega Man X su SNES, poi proseguita su console a 32-bit, e provando esperimenti con Battle Network e Legends, per finire con le immancabili collection per piattaforme moderne e dispositivi mobile, il Blue Bomber non ha mai smesso di essere presente nelle varie epoche del gaming. La serie principale in 2D in stile 8-bit è però rimasta sempre la più apprezzata dai fan e il ritorno alle origini con Mega Man 9 del 2008 prima, e Mega Man del 2010 poi, ne sono una prova inconfutabile. Per celebrare il trentesimo anniversario della serie, Capcom ha realizzato Mega Man 11, che arriva su PS4, Xbox One, Windows e Switch. Testando quest’ultima versione possiamo dire che nonostante l’età, dopo trent’anni di onorato servizio Mega Man ha ancora una grinta da vendere e si rende un titolo appetibile sia per il pubblico odierno, sia per gli amanti del retrogaming e delle console vintage. Ma facciamo un passo indietro, con il nono capitolo della serie Capcom ha segnato un ritorno alle origini, proponendo tale e quale lo stile grafico e di gameplay 8-bit dei capitoli 1-6 per NES, con tanto di colonna sonora in chip-tune. Tale idea ha letteralmente mandato i fan di vecchia data in visibilio poi, sulla scia di quell’entusiasmo, nel 2010 il publisher ha lanciato il decimo capitolo, che sostanzialmente non cambiava le carte in tavola proponendo un titolo esteticamente parlando identico.
Con Mega Man 11 però Capcom ha voluto segnare un punto di rottura con il passato. Viene abbandonato l’approccio degli ultimi capitoli e per la prima volta in tanti anni arriva qualcosa di concreto che tenta di svecchiare la formula classica del gioco a livello estetico. Lo stile grafico di questo undicesimo capitolo, infatti, è 2.5D, ovvero personaggi poligonali su uno schermo bidimensionale con sfondi e animazioni disegnati completamente a mano, una vera gioia per gli occhi, credeteci. Mega Man ora può anche eseguire scivolate, una mossa caratteristica della serie X, e c’è una grandissima novità che riguarda il gameplay: Mega Man ora monta un sistema chiamato Double Gear, idea progettata dal perfido Dr.Wily quando studiava all’università, ma bocciata dal suo collega “buono”, il Dr. Light, in quanto esso riteneva potesse essere una minaccia se fosse caduta in mani sbagliate. Questa feature in sostanza è un sistema che funziona a due vie e che permette alternativamente di aumentare la potenza di fuoco o di velocizzare i movimenti rallentando tutto quel che si muove attorno al protagonista. L’attivazione ha una durata limite e necessita di un cooldown, il sistema inoltre andrà in sovraccarico se utilizzato troppo a lungo, risultando indisponibile per un tempo abbastanza lungo, e in determinate situazioni tale situazione diventa spesso fatale. Una scelta fatta per impedirne l’abuso e facilitare troppo il gameplay. Il Double Gear apre quindi la strada a un modo completamente nuovo di giocare a Mega Man, che si avvicina sempre più a una fluidità d’azione e a feature presenti nei titoli più moderni. Per i puristi della saga sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per abituarsi a questo nuovo meccanismo, ma una volta imparato ad usarlo è un vero e proprio spasso. Oltre a risultare decisamente divertente e appagante infatti, andando avanti nei livelli, specialmente in quelli più difficili, il Double Gear diventa indispensabile per non incorrere in morti certe e a ripetizione, alternando con saggezza potenza di fuoco e velocità nei movimenti il protagonista diventa una vera macchina inarrestabile in grado di compiere azioni estremamente difficili ed esaltanti. Uccidendo nemici e sparsi qua e là nella mappa possono essere trovate delle viti che hanno la funzione dei classici crediti, accumulando questi oggetti, prima di iniziare una missione il protagonista potrà acquistare vite, moduli potenziamento e oggetti utili per facilitare il cammino verso la sconfitta del perfido Dr. Wily.
Per quanto riguarda il resto, Mega Man 11 mantiene sempre lo stesso DNA: otto livelli, ognuno presieduto da un boss di fine livello dotato di un’arma particolare e possibilità di affrontarli nell’ordine in cui l’utente preferisce. Una volta sconfitto un boss (e credeteci non è affatto facile anche difficoltà normale) ci si impossessa della sua arma caratteristica, avendo la possibilità di utilizzarla a proprio piacimento negli stage seguenti. Come sempre ogni potere conquistato rappresenta un punto debole per uno dei boss, quindi sta al giocatore scoprire in che ordine conviene proseguire nella storia dopo aver compiuto il primo livello. Vista l’elevata difficoltà che contraddistingue la serie, gli sviluppatori hanno inserito quattro livelli di difficoltà: principiante, facile, normale e Supereroe. Normale è quello standard, da scegliere se si è veterani della serie, visto che è duro da affrontare, molto duro credeteci. Scegliendo questo livello di sfida è un numero limitato di vite per provare a superare un livello, dopo il quale appare uno spietato game over che riporta alla schermata di selezione del robot master da affrontare (senza perdere i progressi fatti). Ogni livello ha pochissimi checkpoint ed è costellato di passaggi che richiedono memoria e precisione tecnica. Insomma, come accadeva negli anni ‘80, i livelli vanno imparati ed eseguiti. Il DNA della serie, del resto prevede una sfida sempre uguale a se stessa, senza gli elementi aleatori e dinamici di Super Mario e soci. Anche in questo caso, Mega Man 11 è un seguito corretto, che dà ai fan esattamente quello che hanno amato nelle vecchie avventure del Blue Bomber. Il livello facile mantiene tutto ciò che rende speciale Mega Man, ma velocizza il processo di apprendimento con una lieve diminuzione dei danni e l’aggiunta di una manciata di checkpoint nei posti giusti. Non è una sfida annacquata, e anzi tutta la soddisfazione della vittoria rimane intatta. Semplicemente, invece che perdere un intero pomeriggio per superare un livello, se siete bravi, riuscirete agevolmente a farne due o tre, salvandovi dalla ripetizione e dalla frustrazione dell’era NES. C’è anche una modalità principianti, resa quasi banale dall’impossibilità di cadere nei fossi e dalle vite infinite, e una modalità difficile al di là di ogni possibile concetto di sfida, ma in ogni caso può essere utile per i giocatori più piccoli o per chi non ha mai avuto a che fare con il Blue Bomber. La modalità supereroe è consigliata solo ed esclusivamente per chi vuole una sfida crudele e che ha piena consapevolezza del fatto che ogni errore, anche il più piccolo, si può pagare con il fallimento. Insomma in Mega Man 11 c’è qualcosa per tutti, dai fan accaniti (che troveranno anche una ricca gamma di challenge separate dalla campagna principale e una modalità time attack dedicata a tutti gli speedrunner) ai retrogamer della domenica. Graficamente parlando il gioco è una vera gioia per gli occhi, coloratissimo, sempre fluidissimo e bello da vedere. E’ un po’ quello che i nati degli anni ’80 sognavano giocando ai vecchi capitoli, ma che non era possibile realizzare a causa della tecnologia di quei tempi. Gradevole anche la colonna sonora che con i suoi toni un po’ metal e un po’ techno si adattano al ringiovanimento della saga. Purtroppo non ci sono brani che sono destinati a restare impressi nella memoria, ma nel complesso, assieme ai suoni di gioco, il comparto audio si difende abbastanza bene. Tirando le somme, Mega Man 11 a nostro avviso è quello che serviva per svecchiare una serie icona del mondo del gaming. Questa trasposizione per Pc, Xbox One, Ps4 e Switch farà la gioia dei vecchi appassionati, ma siamo certi che avvicinerà anche tantissimi nuovi gamers al magico universo del personaggio inventato da Capcom.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 8
Longevità: 8
VOTO FINALE: 8
Francesco Pellegrino Lise
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Scienza e Tecnologia
Anno 1800, la Rivoluzione industriale sbarca anche su console
Pubblicato
3 giorni fail
23 Marzo 2023
Anno 1800 è un videogame del genere city builder, ossia un gioco dove bisogna costruire e far progredire un agglomerato urbano tenendo conto di tutti i parametri socioeconomici. Oggi, il titolo targato Ubisoft finalmente vede la luce anche su Xbox e PlayStation a distanza di alcuni anni dal lancio per Pc (avvenuto nel 2019). Il software è la settima incarnazione della leggendaria saga ed è un esponente del suo genere denso di contenuti, eterogeneo, complesso e soprattutto molto divertente. Anno 1800 quindi è un videogame contraddistinto da una grandissima qualità di fondo, qualità che lo ha reso amatissimo tra gli appassionati, e da una complessità non da poco grazie soprattutto a una miriade di funzioni. Insomma, è veramente un’opera magistrale che sa esprimersi al massimo su computer, ma che mostra tutta la sua potenza anche su console dove il pad riesce a sostituire mouse e tastiera rivelandosi un alleato formidabile nella costruzione del proprio impero nel bel mezzo della rivoluzione industriale. Ma partiamo dal principio, lo scopo dei giocatori una volta avviato Anno 1800 è costruire una colonia florida sia dal punto di vista sociale, sia da quello economico. Partendo da un piccolo porto e una nave, bisognerà essere in grado di espandere il proprio centro abitato in modo tale da trovare un equilibrio tra industrie e agricoltura, scuole ed elementi di svago, così da avere una popolazione attiva, ma nel complesso soddisfatta. Nel caso in cui non si riuscisse a creare una società tale da soddisfare le aspettative degli abitanti il rischio di una rivolta è sempre dietro l’angolo, quindi amministrare con saggezza e prudenza è sempre il segreto alla base di un buon governo.
In Anno 1800 la progressione della propria città avviene per gradi. Blue Byte ha pensato ad un sistema che consente di sbloccare progressivamente tutte le sue funzioni man mano che si raggiungono determinati obiettivi. Si parte con un’economia basata sull’agricoltura e una manifattura di base per poi sbloccare edifici sempre più avanzati ed esteticamente moderni (per l’epoca in cui è ambientato il titolo ovviamente), come le acciaierie o i pozzi petroliferi, che richiedono una filiera produttiva alle loro spalle per generare introiti. Ognuna di queste industrie attinge ad un pool specifico di lavoratori, che corrisponde ad un tipo particolare di abitazione. Quelle rustiche servono per creare dei braccianti. Migliorando l’edificio i suoi abitanti da contadini si trasformeranno in lavoratori, poi in artigiani e così via. Questo sistema è per esigenze di gameplay un po’ semplificato e forzato, le fattorie di grano possono essere sbloccate nell’era dei lavoratori e le distillerie o i falegnami utilizzano al loro interno gli agricoltori, ma gli sviluppatori hanno creato un bilanciamento piuttosto interessante, che spinge costantemente a dover rivedere il proprio insediamento. Facendo evolvere le case si va quindi a sostituire la vecchia tipologia di lavoratori con la nuova, costringendo in questo modo a rimpolpare a cascata anche tutti gli anelli della catena ogni volta che si desidera avviare un’attività avanzata. Per aprire una fonderia, infatti, non basta semplicemente gettarne le fondamenta, ma va creata un’infrastruttura di sostegno, fatta di magazzini, miniere e, abitazioni sufficienti a poter ospitare i lavoratori di un’attività così pesante. Non facendo ciò si creeranno degli squilibri che rallenteranno gli altri aspetti dell’economia o renderanno scontenti i lavoratori. Quindi non si tratterà semplicemente di accatastare le risorse necessarie per costruire un edificio, ma di gestire il substrato lavorativo dello stesso. Insomma, Anno 1800 è un’esperienza davvero complessa e che per essere goduta pienamente non va mai gestita con fretta. La mappa di gioco si compone di un numero di isole imprecisato, alcune popolate e altre pronte ad essere colonizzate. C’è da dire però che non tutte le isole sono autosufficienti. Alcune, per esempio, sono poco adatte ad un tipo di coltura, altre non hanno una determinata materia prima. In questo modo si renderà necessario il dover utilizzare le navi costruite nei cantieri per creare rotte commerciali e acquistare ciò che manca nei magazzini. Le navi saranno anche l’unico modo che si ha per combattere gli altri governatori, o per scoprire nuovi continenti verso i quali inviare delle spedizioni. Una volta che si ha a disposizione una flotta si potrà organizzare un equipaggio e racimolare delle scorte per avviare una vera e propria colonizzazione dei territori ancora vergini. In base ad un divertente sistema di scelte multiple si può provare ad indirizzare il modo in cui queste spedizioni si svilupperanno e le conseguenze che avranno. Le navi, infatti, potrebbero non tornare del tutto, perdendo il prezioso carico, o potrebbero trovare qualcosa di particolarmente esotico da esporre nella propria città, così da renderla una gettonata meta di turisti.
Così facendo Blue Byte ha aggiunto un sistema di imprevedibilità all’interno della serie, che porta un’interessante ventata di aria fresca all’interno della canonica struttura da city builder offerta da Anno 1800. Oltre alla modalità libera, gli sviluppatori hanno inserito anche una modalità “storia” che funge da lungo tutorial che consente, una volta completato, di aver ben chiare le meccaniche di base. Forse mancano alcuni strumenti per avere una lettura completa al cento per cento della propria comunità, come un’enciclopedia nella quale è spiegato il funzionamento puntale di ogni edificio o un sistema di analisi del proprio territorio e della propria economia, così da comprendere nel dettaglio cosa fare per non andare in bancarotta, ma tutto funziona bene ed è stato incastrato con cura con gli altri elementi. Per quanto riguarda l’utilizzo del controller, i miglioramenti non si fermano ai soli utilissimi menu radiali, ma vanno più nel profondo. L’intera user interface in generale è infatti stata adattata per la versione Xbox e PlayStation, inoltre altri piccoli accorgimenti, come la connessione automatica del manto stradale durante la costruzione di blocchi di case o alcune comode shortcut per selezionare beni e oggetti, rendono il tutto più fluido. Se proprio dobbiamo trovare qualche lato negativo in questa conversione di 1800, possiamo dire che l’assenza della possibilità di utilizzare mouse e tastiera potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Inoltre, le differenze con la versione madre di Anno 1800 non si fermano però qui. Alcuni scenari e DLC, come ad esempio The Passage, New World Rising e Land of Lions, ossia i più sostanziosi rilasciati per il titolo, non sono attualmente previsti su PlayStation e Xbox e resteranno quindi con ogni probabilità esclusive PC. Dal punto di vista strettamente tecnico, Anno 1800 Console Edition si difende davvero bene. Abbiamo provato la versione Xbox Series X del gioco e non abbiamo trovato nulla di cui poterci effettivamente lamentare. Certo, alcune texture non sono esattamente il massimo, ma nel complesso il titolo di Ubisoft ci ha convinto sia dal lato estetico che da quello meramente ludico. La possibilità di vedere il proprio villaggio espandersi e diventare città nell’ardore della rivoluzione industriale su un televisore 55 pollici OLED è del resto un vero e proprio spettacolo. Quindi, proprio per tali ragioni, il nostro consiglio è quello di non lasciarsi sfuggire la versione console di Anno 1800.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9
Gameplay: 8,5
Sonoro: 9
Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9
Francesco Pellegrino Lise
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Costume e Società
Meta non rinnova l’accordo con la Siae, via la musica italiana da Facebook e Instagram
Pubblicato
3 giorni fail
23 Marzo 2023
Meta, la holding proprietaria di Facebook e Instagram, ha reso noto di non aver raggiunto un accordo con la Siae per il rinnovo della licenza sul diritto di autore. Di conseguenza sui social vengono bloccati o silenziati i brani che rientrano nel repertorio Siae, gli altri continuano ad essere disponibili. ”Una decisione unilaterale che lascia sconcertati”, dichiara la Società degli autori ed editori italiani. “Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo, continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti”, ribatte la società di Mark Zuckerberg. “No al far west, i colossi rispettino le opere d’ingegno e la sovranità legislativa degli Stati”, sottolinea il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano che aggiunge: “La indiscutibile libertà di mercato va esercitata all’interno di regole condivise e rispettate da tutti: è il fondamento di una convivenza pacifica e produttiva”. “La scelta di Meta è un danno enorme che preoccupa” dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione a all’editoria, Alberto Barachini. Meta per consentire l’uso della musica sui social, che rende più accattivanti i post di creator e influencer, stringe accordi sul copyright con i titolari dei diritti musicali in tutto il mondo. Nel territorio europeo ha partner in Spagna, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito e Turchia. La rottura con la Siae rappresenta un precedente mondiale per il colosso di Menlo Park. Ha un impatto sui Reels (i video brevi su Facebook e Instagram), sul flusso delle notizie di Instagram, e sulle Storie di Facebook e Instagram. Su Facebook i contenuti impattati vengono bloccati, su Instagram silenziati. “Purtroppo non siamo riusciti a rinnovare il nostro accordo di licenza con Siae – rende noto Meta – da oggi avvieremo la procedura per rimuovere i brani del loro repertorio nella nostra libreria musicale. Continueremo a impegnarci per raggiungere un’intesa che soddisfi tutte le parti, crediamo sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano”. ”A Siae viene richiesto di accettare una proposta unilaterale di Meta prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio – ribatte la Società degli autori ed editori italiani – Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti. Siae ha continuato a cercare un accordo con Meta in buona fede, nonostante la piattaforma sia priva di una licenza a partire dal 1 gennaio 2023″. Per Mogol, presidente onorario di Siae e celebre autore e compositore, la battaglia in difesa degli autori “è sacra, queste piattaforme guadagnano miliardi e sono restie a pagare qualcosa”. L’industria musicale, attraverso il suo presidente Enzo Mazza, auspica che “Siae e Meta trovino presto un accordo nell’interesse del crescente mercato musicale in Italia e degli aventi diritto”. “Chiediamo che Meta riapra immediatamente in buona fede un tavolo negoziale con Siae”, gli fa eco il presidente della Federazioni Editori Musicali, Paolo Franchini. L’associazione influencer, in una nota, auspica “che il dialogo tra le due realtà abbia un epilogo costruttivo”, nella convinzione che, “specialmente per quanto concerne le professioni creative, sia importante ripristinare il precedente stato dell’arte”. Infine, rilievi anche da parte di Soundreef, gestore indipendente dei diritti d’autore. “Sappiamo che il take down dei brani da parte di Meta sta riguardando anche il repertorio integralmente amministrato da Soundreef e i repertori esteri – sottolinea il gruppo – È evidente che l’esito della trattativa tra Meta e Siae sta danneggiando tutte le società di collecting operanti, in Italia e non. Stiamo contattando entrambe le parti per capire come l’intera negoziazione sia stata condotta e stiamo lavorando per ripristinare sulle piattaforme Meta tutti i brani di cui amministra totalmente i diritti”.
F.P.L.
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Scienza e Tecnologia
Mato Anomalies, il “Jrpg” cyberpunk dall’atmosfera unica
Pubblicato
3 giorni fail
23 Marzo 2023
Mato Anomalies è un “Jrpg” sviluppato dallo studio cinese Arrowiz e fortemente ispirato alle ambientazioni cyberpunk. Il titolo, come i più attenti potranno notare dopo poche ore di gioco, si ispira chiaramente a produzioni quali Shin Megami Tensei e soprattutto al suo spin-off Persona, soprattutto sul piano dell’impostazione narrativa e tematica. La città fittizia di Mato colorata, ricca di “vita” e densa di persone, che si susseguono con fare scanzonato e assolutamente ignaro sui freddi cocci di una strada apparentemente ricca di vita, nasconde più di un misterioso e tetro segreto. Nascosti nei meandri dell’oscurità si annidano infatti tantissimi punti oscuri, che proprio come in Persona, e in particolare Persona 5, la fanno da padrona nell’economia generale della trama. I desideri, l’odio, la sede di potere, la voglia di sovrastare a ogni costo il prossimo: questi sono tutti i temi che ruotano intorno alla giostra narrativa di Mato Anomalies, di cui il mondo di gioco ne è lo scenario perfetto. In questo complesso universo si va a incastonare il protagonista della storia, ossia il Detective Doe, trovatosi, suo malgrado, imbrigliato in un susseguirsi di eventi che vanno ben al di là della sua comprensione. Proprio come accade nei lavori di Atlus, la città di Mato è soltanto la parte visibile di un mondo oscuro che si cela in profondità, dominato dalle più terribili delle emozioni umane, che prendono forma in molteplici modi, sotto lo sguardo ignaro della gente comune. Insomma: la città di Mato ha un disperato bisogni di aiuto, così come lo stesso protagonista, che appare sin dalle prime battute un personaggio fragile ma che cerca in tutti i modi di fare la cosa giusta. Proprio il poter contare sul prossimo rappresenta infatti un altro passo in termini di caratterizzazione del mondo in cui si svolge la storia, e tal proposito diventa fondamentale il discorso dei comprimari, Genma su tutti, che entrano via via in contatto con il protagonista e lo aiutano, anche per motivi strettamente personali, a tentare di far luce sull’oscurità che sembra destinata a prendere il sopravvento su una città sempre più in balia della perdizione, ma soprattutto su chi trama dietro tutto questo. Complice un cast ben caratterizzato e discreto esercizio di worldbuilding, il canovaccio narrativo di Mato Anomalies è complessivamente interessante, soprattutto nel caso in cui il giocatore apprezzi il paranormale e le tematiche mature, angoscianti e attuali quali la lotta alla corruzione e al potere esercitato dalle grandi aziende e dai gruppi malavitosi, la tendenza del governo a insabbiare gli incidenti, e via discorrendo. A non funzionare, però, è l’esposizione del racconto, che a causa degli odiati dialoghi prolissi in stile visual novel e di un’abbondante dose di backtracking, rallenta enormemente lo sviluppo degli eventi. Se i primi 15 minuti della campagna inondano l’utente con una valanga di informazioni confuse e che cominciano ad avere un minimo di senso solo col passare del tempo, le successive 30 ore necessarie per giungere ai titoli di coda ci sono sembrate molto più lente del dovuto.
Se l’impianto narrativo non è esattamente il punto di forza di di Mato Anomalies, bisogna riconoscere che il titolo si comporta molto meglio sul piano ludico, anche perché gli sviluppatori – pescando nuovamente da Persona 5 – hanno suddiviso il gameplay in due fasi ben distinte, realizzando un vero e proprio mix di generi. Ambientate nel mondo umano, le sequenze che vedono per protagonista Doe chiedono al giocatore di perlustrare le strade di Mato per raccogliere indizi sugli incidenti avvenuti in città e parlare con gli NPC per estorcere loro qualche segreto, mentre quelle incentrate su Grim si consumano nei labirinti dell’altro mondo, dove l’esorcista e gli altri combattenti reclutabili nel corso della campagna sono chiamati ad affrontare in battaglia la Marea Funesta. Benché inizialmente ci stessero convincendo più delle seconde, le prime sono le sequenze che alla lunga abbiamo apprezzato di meno, poiché la raccolta di prove e informazioni costringe il giovane detective a spostarsi continuamente da un luogo all’altro della città e a tornare anche moltissime volte in posti già visitati fino allo sfinimento, nella speranza che gli abitanti abbiano qualche nuovo indizio utile alla causa. Tenendo presente che la città di Mato non è poi tanto vasta e che nella prima parte dell’avventura le location accessibili sono molto poche, le fasi dedicate al cammino di Doe risultano assai ripetitive e monotone. Per ravvivare ciò, pero, gli sviluppatori di Arrowiz hanno dotato l’investigatore di un potere sovrannaturale attraverso il quale può letteralmente entrare nella mente del proprio interlocutore e persuaderlo a collaborare. Instaurata una connessione mentale, il detective gioca fondamentalmente una partita a carte con l’interrogato di turno, dove lo scopo è quello di azzerare i suoi punti salute. Per riuscire in tale impresa, il giocatore è chiamato a scegliere uno dei vari mazzi posseduti da Doe, ognuno dei quali favorisce un diverso tipo di approccio: se per esempio il primo è indicato agli scontri uno contro uno, il secondo favorisce l’eliminazione di più bersagli, anche perché nella maggior parte delle persuasioni bisogna vedersela non solo con l’interrogato, ma anche con qualche demone intenzionato a far fallire l’operazione. Seppur simpatica, la trovata di Arrowiz convince solo a metà, in quanto il segreto per vincere le sfide neurali non risiede tanto nella strategia o nella personalizzazione dei mazzi, quanto nella casualità: se con alcuni deck è praticamente impossibile ottenere la vittoria in determinati duelli, ve ne sono altri in cui sembra quasi di avere il pilota automatico. Selezionare il giusto mazzo all’inizio dello scontro è insomma l’unico vero requisito per completare l’intrusione mentale con successo. Per la gioia di coloro a cui non piacciono i card game, lo studio Arrowiz ha comunque abilitato la possibilità di saltare gli scontri neurali dopo tre fallimenti, senza incappare in alcuna penalità o malus. Per quanto riguarda il combattimento vero e proprio di Mato Anomalies, esso sarà disponibile una volta individuate nuove fenditure dimensionali. Infatti a questo punto le fasi investigative cedono il passo all’esplorazione dei dungeon, che fondamentalmente consistono in lunghi corridoi abbastanza lineari e stracolmi di nemici visibili a schermo da abbattere per potersi spianare la strada verso l’uscita e l’immancabile boss del Covo. La fight avviene rigorosamente a turni e il sistema di combattimento consente di schierare in campo un massimo di quattro lottatori, i cui punti salute sono però condivisi. Anziché avere tre barre HP distinte, la squadra ne ha una soltanto, e dal momento che l’utilizzo delle tecniche speciali non richiede alcun punto magia, ma è soggetto a tempi di cooldown talvolta anche lunghi, è molto importante pianificare le proprie mosse e scegliere il momento adatto per ricorrere alle abilità di guarigione. Dovendo prestare attenzione a debolezze e resistenze di ciascun nemico, Mato Anomalies offre insomma una apprezzabile quanto impegnativa componente strategica, che se sfruttata a dovere semplifica persino gli scontri sulla carta più impegnativi. A questo proposito segnaliamo che lo studio cinese ha preferito implementare un selettore di difficoltà, che permette di modificare in qualsiasi momento il livello di sfida e adattarlo alle necessità del giocatore. Fra le tre opzioni disponibili (Facile, Normale e Difficile), durante la nostra lunga prova su Xbox Series X abbiamo scelto il livello intermedio, che solo in poche occasioni è incappato in qualche picco di difficoltà neanche troppo elevato. Peccato soltanto che la rosa degli antagonisti sia abbastanza carente dal punto di vista della varietà, ragion per cui purtroppo ci si ritroverà a dover affrontare legioni di nemici comuni quasi sempre uguali.
Sul piano artistico e tecnico, Mato Anomalies vive di un dualismo costruttivo difficile da non individuare praticamente subito. Il lavoro svolto dai ragazzi di Arrowiz è molto interessante sul piano dell’ispirazione e delle concezione artistica. Da vedere, infatti, Mato Anomalies è un prodotto che funziona, pur senza alcun tipo di magia creativa, che fa del “dualismo” cromatico la sua arma migliore, un dualismo generato dalla continua mescolanza tra l’oscurità di una città che sembra bloccata in una notte continua, illuminata però dalle luci dei negozi e delle case che hanno un peso specifico diametralmente opposto all’oscurità di cui parlavo poco sopra. Questa scelta di art design viene appoggiata anche dalla scelta di avvalersi di un cel-shading che funziona molto bene e che, anzi, riesce ad amplificare ancora di più il contrasto tra i colori forti dei personaggi e delle strutture in generale rispetto agli sfondi più oscuri e meno “violenti” sul piano cromatico. Anche il design dei cast è molto interessante. Arrowiz ha svolto un ottimo lavoro in tal senso, creando un insieme di personaggi, sia tra quelli principali sia tra i comprimari e tra gli antagonisti, che non hanno nulla da invidiare alle migliori produzioni animate. Da questo punto di vista, per quanto le mappe siano comunque molto piccole e poco “aperte” il lavoro svolto dal team di sviluppo è decisamente vincente, soprattutto se si considera la parte più “umana” del mondo e non quella cognitiva. Nel mondo “nascosto”, infatti, si ha la sensazione che i covi e in generale le mappe siano troppo ripetitive e poco ispirate, così come il design dei mostri che vivono al loro interno, tutti complessivamente abbastanza anonimi e poveri di particolari. La complessiva buona riuscita del comparto artistico, però, si scontra con quella tecnica, che non ci ha entusiasmato particolarmente. Per quanto complessivamente “stabile” nella sua fruizione, Mato Anomalies è un prodotto tecnicamente superato e poco performante. Tempi di caricamento lunghi e molto frequenti, anche per effettuare piccoli spostamenti, e in generale una povertà complessiva in termini di pixel danneggiano Mato Anomalies mettendo a nudo il suo sviluppo “limitato”. Purtroppo è un peccato, anche perché la scelta di affidarsi a una sorta di stile “manga” in alcune cutscene e nelle fasi di dialogo è sicuramente una trovata molto originale e che si sposa alla grande con lo stile anime dell’opera, ma che viene in qualche modo messo in cattiva luce proprio dalla veste eccessivamente minimal ed essenziale del resto del pacchetto. Discorso molto simile anche per il comparto sonoro, che risulta essere troppo anonimo. Le tracce che accompagnano il viaggio di Doe si contano sulla punta delle sita e sono sempre poco ispirate. Sufficiente il doppiaggio inglese, che non si eleva verso nessuna vetta clamorosa e che si limita a svolgere in maniera discreta il proprio compito, senza alcun tipo di picco o colpi di genio vari. Buoni i sottotitoli in italiano che faranno la gioia di chi non mastica la lingua d’oltre Manica. In conclusione, Mato Anomalies nonostante i difetti sopra elencati e un comparto tecnico decisamente vecchio, riesce a difendersi grazie a una buona giocabilità e a una narrativa tanto criptica quanto capace di incuriosire. La doppia anima un po’ gioco di carte, un po’ Jrpg con tantissimi dialoghi e le innumerevoli tematiche mature, sono gli ingredienti che riescono a mantenere Mato Anomalies su buoni livelli nonostante una grafica nata vecchia e un sonoro fin troppo anonimo. Insomma, ci troviamo dinanzi a un titolo in grado sicuramente d’intrigare ma che non riesce a stupire del tutto.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 7,5
Sonoro: 7,5
Gameplay: 8
Longevità: 7,5
VOTO FINALE: 7,5
Francesco Pellegrino Lise
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