NEPI, DISASTRO AMBIENTALE FIUME TREJA: IDENTIFICATI I RESPONSABILI

 

I Comuni di Mazzano Romano e Calcata hanno emesso ordinanze di divieto di balneazione, di abbeveraggio di animali e di uso dell’acqua per annaffiare gli orti. Misure che danno il senso della gravità della situazione.

Redazione

Nepi (VT) – Le indagini dei guardiaparco del Parco Valle del Treja e degli agenti del Corpo Forestale dello Stato, partite separatamente, sono state unificate. Hanno portato all’individuazione dei responsabili del disastro ambientale che la settimana scorsa ha desertificato l’alveo del fiume Treja. Già dai sopralluoghi svolti dai guardiaparco nell’immediatezza dello sversamento, si era quasi certi che l’origine fosse riconducibile ad un allevamento zootecnico che si trova nel comune di Nepi, in un leggero pendio poco sopra le cascate di Monte Gelato. Da quanto accertato, una massa di liquami proveniente da una vasca di accumulo che ha ceduto, si è riversata nel fiume. Un disastro simile, con analoghi effetti, già si verificò nella primavera del 2010. I pesci, scomparsi completamente, sono tornati lentamente a ripopolare le acque del fiume, solo da poco. L’inquinamento attuale ha nuovamente sconvolto gli equilibri naturali, incidendo sull’intero ecosistema fluviale, uccidendo ogni forma di vita. Con il ripetersi di questi episodi di fortissimo inquinamento, le capacità di ripresa del fiume diventano sempre più esili, allungando i tempi per un pieno e certo recupero.
I Comuni di Mazzano Romano e Calcata hanno emesso ordinanze di divieto di balneazione, di abbeveraggio di animali e di uso dell’acqua per annaffiare gli orti. Misure che danno il senso della gravità della situazione.
“Il disastro del Treja rappresenta un gravissimo danno ambientale e anche una ferita sociale, considerando il valore affettivo che ogni abitante ha per quello che considera il ‘suo’ fiume – queste le parole del presidente Gianluca Medici, che continua – il Parco farà l’impossibile affinché, una volta accertate le responsabilità, siano pagati i danni. Ma quello che ci sta più a cuore non è la pena pecuniaria, quanto la sicurezza ambientale che, con le dovute prevenzioni, possa evitare il ripetersi di situazioni di questo tipo.”