PIETRO MASO: ECCO IL TESTO DELL'SMS CHE DOVEVA INVIARE ALL'AMICO

di Angelo Barraco
 
Verona – Nuovi risvolti sulla vicenda di Pietro Maso e sull’esposto presentato dalle due sorelle, Laura e Nadia, che avrebbe portato la Procura di Verona ad iscrivere l’uomo nel registro degli indagati per tentata estorsione. “Ora F.  pensaci bene. Domani mattina ti chiamo e se rispondi bene, e fai quello che dico, ok. Altrimenti vengo li' e ti stacco quella testa di c… che hai” è il testo dell’sms che Maso doveva inviare ad un amico a cui ha prestato una somma di denaro pari a 25mila euro ma che non gli voleva più dargli. L’sms è giunto per errore anche sul telefonino di una delle due sorelle che spaventata, ha presentato un esposto alla magistratura per tentata estorsione.

Pietro Maso risponde alle sorelle: “Mi avete messo nei casini, adesso ve la vedrete con i miei avvocati”. Anche l’uomo a cui era indirizzato l’sms si è presentato dai Carabinieri per presentare denuncia. Emerge inoltre che in data 8 gennaio le sorelle vanno in caserma ed esprimono al Maresciallo le loro preoccupazioni  sul fratello poiché giorni prima, 21 dicembre, una delle due sorelle incontra Pietro a Telepace, dove esso lavora e trova in lui cambiamenti che le ricordano situazioni e circostanze risalenti all’epoca del terribile omicidio. L’uomo, una volta tornato in libertà, avrebbe chiesto soldi  ma non lo avrebbe fatto una sola volta ma diverse volte tanto da indurre le sorelle a segnalare quanto stava accadendo alla Magistratura. La Procura ha subito aperto un fascicolo. La storia di Pietro Maso gira ancora attorno ai soldi, dentro e fuori il carcere, da giovane e da uomo maturo si torna ad associare la sua figura a quella del denaro. Ciò che dovranno accertare adesso gli inquirenti è se oltre alla richiesta di denaro vi sia stata anche la minaccia anche ai danni delle sorelle. Lui però in un’interchista a Chi ha dichiarato: “Adesso che ho scontato la mia pena lo posso dire: non ho ucciso i genitori per soldi, perché i soldi li avrei avuti lo stesso”. Venticinque dopo il terribile massacro di Antonio Maso (56 anni) e Rosa Tessari (48 anni) avvenuto  il 17 aprile del 1991 a Montecchia di Crosara, con la complicità di tre amici. Gli fu inflitta una condanna a 30 anni e due mesi e la Corte d’Assise sentenziò: “Li ha massacrati per mettere le mani sull’eredità”. 
 
Il delitto: E’ la sera del 17 aprile del 1991, i coniugi maso sono ad un incontro di catechesi e di preghiera  a cui partecipano regolarmente. Antonio e Rosa accompagnano in Piazza il figlio, dove lo aspettano 3 amici. Il progetto di Pietro Maso era quello di uccidere la sua famiglia per mettere mano all’eredità, a beni mobili e immobili e voleva dividerlo con i suoi amici. Alle 23.10 i signori Maso rientrano a casa, il primo a varcare la porta è Antonio Maso che viene assalito dal figlio e colpito a sprangate alla testa, l’amico Damiano è intervenuto colpendo l’uomo con una pentola. Nel frattempo era arrivata la madre di Pietro Maso che fu aggredita brutalmente da Paolo e Giorgio e fu tramortita con forti colpi alla testa. Giorgio soffocò Rosa con una coperta, mentre gli altri la colpivano sulla testa e ripetutamente su tutto il corpo. Antonio Maso è stato ucciso con un piede sulla gola, soffocato. I genitori di Pietro Maso sono stati massacrati dal figlio e da tre suoi amici dopo venti minuti di agonia. Inizialmente simula una rapina, e in un primo momento ci credono, ma quando la scena viene analizzata per bene e non viene rinvenuto nessun segno oggettivo di rapina, il quadro che si prospetta è chiaro ed inquietante. Anche le sorelle si insospettiscono e si accorgono di una mancanza di 25 milioni dal conto della madre e la firma falsa di Rosa e la scritta della cifra scritta sulla rubrica telefonica di casa. Pietro le rivela dell'assegno intestato a Giorgio Carbognin, aggiunge che era stata la loro madre a firmarlo, ma non sa spiegare il perché di quelle scritte di prova sulla rubrica. Pian piano il quadro si fa sempre più nebuloso e pressato dagli inquirenti confessa il delitto. Tutti vengono arrestati per omicidio volontario, accusa che a chiusura d'istruttoria diventerà duplice omicidio volontario premeditato pluriaggravato. Le aggravanti sono infatti la crudeltà, i futili motivi e, per Pietro, anche il vincolo di parentela. Il 29 febbraio del 1992 viene emessa la sentenza, Pietro Maso viene condannato a 30 anni e 2 mesi di reclusione, Cavazza e Carbognin a 26 anni ciascuno, Burato, non essendo ancora diciottenne, verrà giudicato dal tribunale dei minori che lo condannerà a 13 anni.