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di Domenico Leccese
L'ufficio centrale per i referendum presso la Cassazione ha ammesso il referendum che riguarda le misure del decreto Sviluppo sul divieto di trivellazioni per l'estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine.
Per chiedere il divieto di queste attività e un referendum per l'abrogare le norme, 10 Regioni avevano depositato quesiti referendari: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise.
Il Governo Renzi, quindi, non è riuscito a evitare il referendum sul petrolio. Almeno il quesito sulle estrazioni in mare ha motivo di svolgersi. Lo stabilisce l'ordinanza che la Cassazione ha adottato alla luce delle modifiche volute dal Governo e approvate dal Parlamento nella legge di stabilità prima della pausa natalizia.
"È un ulteriore passo in avanti – dichiara Enzo Di Salvatore, costituzionalista del fronte contrario alle trivelle – E questo – prosegue Di Salvatore – prova che i dubbi che il Coordinamento Nazionale No Triv nutriva sulle reali intenzioni del Governo sul mare fossero fondati".
E ora parte la battaglia anche sui quesiti referendari di fatto respinti dalla Cassazione. L'obiettivo finale è ottenere che la Corte Costituzionale, chiamata dire l'ultima parola sui referendum la settimana prossima, bocci le modifiche apportate dal Parlamento sulle norme in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi.
Per fare questo, però, occorre che le Regioni sollevino un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta.
I quesiti referendari erano sei: tre quesiti sono stati soddisfatti con le modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2016 il Parlamento ha accettato di modificare le norme sulla strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività petrolifere. Questo costituisce un innegabile successo, in quanto la dichiarazione di strategicità delle opere avrebbe comportato il dimezzamento dei termini processuali nei ricorsi e una disciplina poco garantista per gli enti territoriali circa la loro partecipazione ai lavori della conferenza di servizi.
Cancellata è anche l'assurda previsione del "vincolo preordinato all'esproprio" già a partire dalla fase della ricerca degli idrocarburi: con ciò il diritto di proprietà del privato è salvo. Il Parlamento ha inoltre accettato di cancellare quelle norme che consentivano al Governo di sostituirsi alle Regioni in caso di mancato accordo sui progetti petroliferi e sulle infrastrutture necessarie alla realizzazione di tali progetti: oggi non è più possibile arrivare ad una decisione sui progetti petroliferi se non aprendo una trattativa con le Regioni.
Un quesito è stato riammesso dalla Cassazione: si tratta del quesito sul divieto delle attività petrolifere in mare entro le 12 miglia. Il Parlamento ha accettato di modificare la norma del codice dell'ambiente, che consentiva la conclusione dei procedimenti in corso, prevedendo, però, che i permessi e le concessioni già rilasciati non avessero più scadenza e senza chiarire che i procedimenti in corso dovessero ritenersi definitivamente chiusi e non solo sospesi.
La Cassazione ammette che la modifica del Parlamento non soddisfa la richiesta referendaria, in quanto non corrisponde alle reali intenzioni dei promotori del referendum. Aver riammesso il quesito comporterà che, in caso di esito positivo del referendum, occorrerà rispettare la volontà dei cittadini, e cioè:
1) dall'abrogazione referendaria deriverà un vincolo per il legislatore che non potrà rimuovere il divieto di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia;
2) dall'abrogazione referendaria deriverà l'obbligo per la pubblica amministrazione (il ministero dello sviluppo economico) di chiudere definitivamente i procedimenti in corso, finalizzati al rilascio dei permessi e delle concessioni.
Due quesiti restano ancora insoddisfatti e rispetto ad essi c'è ancora spazio per promuovere un ricorso davanti alla Corte costituzionale: si tratta del quesito relativo alla durata dei permessi e delle concessioni e del quesito sul piano delle aree.
In relazione alla durata dei titoli: la Cassazione ha dichiarato che non si debba più procedere a referendum. Ma questa decisione nasce da una errata interpretazione delle norme. La Cassazione, infatti, non spiega perché mai la proroga della durata dei permessi e delle concessioni costituisca un problema per la ricerca e le estrazioni in mare (e che quindi si debba andare a referendum), mentre non costituisce un problema per la ricerca e le estrazioni in terraferma (e che quindi non si debba andare a referendum).
La decisione è contraddittoria e non pone rimedio all'elusione della proposta referendaria. Per quanto riguarda il piano delle aree, la decisione della Cassazione non poteva, forse, essere diversa: i promotori del referendum davano per scontato che il "piano delle aree" fosse cosa buona e giusta perché dal 1927 ad oggi il rilascio dei permessi e delle concessioni è sempre avvenuto in modo – per così dire – "selvaggio", e cioè senza una pianificazione. In Italia si può cercare ed estrarre praticamente ovunque, senza che si tenga conto del fatto che esistono aree interessate da agricoltura di pregio, aree di interesse naturalistico, aree fortemente antropizzate, e così via. Il piano avrebbe dovuto stabilire dove fosse possibile (e dove no) cercare ed estrarre.
Lo Sblocca Italia prevedeva, tuttavia, che il piano dovesse essere elaborato dal ministero dello sviluppo economico con la partecipazione fittizia degli enti locali e delle Regioni e che, in attesa dell'elaborazione del piano, fosse possibile rilasciare permessi e concessioni.
La proposta referendaria mirava:
1) a cancellare la partecipazione fittizia delle regioni e degli enti locali alla elaborazione del piano;
2) a vietare il rilascio di nuovi permessi e di nuove concessioni fino a quando non fosse stato adottato il piano.
Ebbene, il Parlamento ha soppresso la norma che prevedeva il piano e, in questo modo, è caduto anche il quesito referendario: non c'è più l'oggetto sul quale far votare i cittadini. Per questa ragione è assolutamente urgente recuperare il quesito sul piano delle aree. E per farlo occorre che i delegati delle Regioni che hanno promosso il referendum promuovano ora un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti del Parlamento.
Se la Corte ammetterà il conflitto e deciderà che vi è stata effettivamente elusione dei quesiti sulla durata dei titoli e sul piano, la sua decisione sarà in condizione di annullare le modifiche del Parlamento su questi due punti.
Ciò vuol dire che rivivranno le norme sulle quali era stato proposto il referendum e, a quel punto, il referendum si potrà celebrare su tre quesiti:
1 – il mare
2 – la durata dei permessi e delle concessioni
3 – il piano delle aree
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