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7 anni faon
Se si volesse parlare delle ingiustizie sociali in Italia non basterebbero settimane intere. Il controverso tema dei vitalizi che interessa tanto i parlamentari, quanto gli assessori regionali, è un’ingiustizia conclamata di cui si parla in ogni occasione, sui giornali e ai vari dibattiti in tv.
La vergogna non sta tanto nei vitalizi semplici ma piuttosto nel loro cumulo. La Puglia tiene il primato come terra dei vitalizi più ricchi d’Italia e in cui sia possibile cumulare più di un assegno d’oro. Infine, i contribuenti, oltre a dovere fare fronte agli assegni dei vitalizi si trovano obbligati a caricarsi anche degli assegni per le relative reversibilità.
Non si può liquidare l’argomento “vitalizi” proponendo demagogicamente la sua abolizione. Il tema va discusso, il sistema rivisto e corretto. Attaccarsi però al principio dei “diritti acquisiti” che non si possono cambiare è una tesi che non convince tutti.
Secondo il primo il vitalizio è frutto di una concessione dell’organo costituzionale e non sarebbe altro che un’elargizione ed in quanto tale sarebbe liberamente revocabile oppure emendabile, mentre per i secondi sarebbe un diritto, di tipo previdenziale costruito sotto forma di contratto civilistico con un ente pubblico.
Intanto la Corte di Cassazione a sezioni unite ha dato parere contrario alla tesi della natura di pensione del vitalizio, affermando che “va esclusa la natura pensionistica dell’assegno in questione, avendo esso una diversità di finalità e di regime rispetto alle pensioni”
La sentenza 289 del 1994 – Giampiero Buonomo , ha stabilito che “tra assegno vitalizio e trattamento pensionistico (nonostante la presenza di alcuni profili di affinità) non sussiste una identità né di natura né di regime giuridico”.
L’attività politica non è “lavorativa” e per questo non dovrebbe ricadere nel diritto del lavoro. Tutt’altra cosa è la pensione propriamente detta. Originariamente la Costituzione, vedi art. 69, limitava gli emolumenti per i parlamentari alla sola indennità ed alla diaria esclusivamente ai titolari in carica. Successivamente la giurisdizione della Camera, in piena autonomia integrava più vaste competenze, destinate ai parlamentari cessati dalla carica. Le regioni non tardarono ad accodarsi alle auto concessioni della Camera.
Le identiche delibere approvate dagli uffici di Presidenza di Camera e Senato, alias Boldrini-Grasso, prevedono infatti alcune “eccezioni” che possono permettere a deputati e senatori che hanno avuto guai con la giustizia di non rinunciare, obbligatoriamente, alla pensione a vita.
Fino al 2012 il tutto fu limitato a semplice vitalizio. Con le delibere e modifiche di Martini, Bertinotti, Monti e Letta, la quota veniva progressivamente elevata. Sempre nel 2012 sono subentrati altri interventi normativi a firme Fini e Schifani.
In questo dedalo di norme, delibere, modificazioni e quant’altro la voce “riversibilità del vitalizio” pian piano andava esteso prima alla coniuge avente diritto, poi ai figli a carico, più tardi alla suocera e via dicendo a tutto il parentado.
Il capitolo “riversibilità dei vitalizi” con la sua Clausola d’Oro, cioè la rivalutazione automatica legata all’importo dell’indennità del parlamentare ancora in carica, lo fa distinguere nettamente dalla cosiddetta “pensione da lavoro del volgo”
L’entità e le modalità di pagamento di questi pagamenti sono stabiliti dal “Regolamento per il trattamento previdenziale dei deputati”. Questo regolamento stabilisce che il vitalizio del parlamentare vada al coniuge superstite (nella misura del 60%, più 20% per ogni figlio), oppure in mancanza di vedovi ai figli superstiti, oppure in mancanza di prole a fratelli e sorelle “che risultino fiscalmente a carico del deputato deceduto”.
Questo regolamento, tradotto in parole semplici dice che il vitalizio dei politici non si spegne mai e va avanti da padre a figli e da figli a nipoti e da nipoti a zii e da zii a cugini all’ infinito. Un’inchiesta giornalistica parla della suocera di Veltroni, la figlia di Cossutta, il parente stretto di Crocetta e tutti uniti a succhiare il vitalizio del parente “onorevole”.
Mogli, mariti, figli e fratelli, per anni o decenni campano con il vitalizio del “caro estinto”. Molto si parla del caso della signora Anna Maria Cacciola, figlia di Natale Cacciola., messinese che si candidò all’assemblea sicula con il partito Monarchico, anno 1947. Da oltre 41 anni la figlia del defunto riscuote l’assegno di riversibilità.
Dopo questi fatti e misfatti che dire? La riversibilità vitalizia dei politici ha sette vite mentre quella pensionistica dei comuni mortali non dura che il tempo di un soffio.
Così è, tutto il resto è fuffa.
Emanuel Galea