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Cultura e Spettacoli

Riscoprire il Medioevo e il significato del primo Giubileo: intervista allo storico Bultrini

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In un contesto culturale sempre più ricco e variegato, abbiamo avuto il piacere di incontrare Emiliano Bultrini, dottore di ricerca in Storia Medioevale.
Vicepresidente dell’Associazione Culturale “Impronte Culturali”, Bultrini si è recentemente distinto per il suo intervento alla prima conferenza dell’associazione, dove ha esplorato la figura di Bonifacio VIII e il significato del Primo Giubileo nella storia. In questa intervista, il Dottor Bultrini si confronta con il peso della storia medievale e le sue distorsioni contemporanee, invitando a un ripensamento critico.
La sua analisi mette in luce come la cultura e la conoscenza siano le uniche armi contro l’ignoranza e i falsi miti che avvolgono il passato.
In un’epoca in cui la narrazione prevale sui fatti, Bultrini sottolinea l’importanza di una lettura storica che non si limiti a un giudizio superficiale, ma che sappia riscoprire la complessità dell’umanità di ieri.
Il Giubileo di Bonifacio VIII diventa così un simbolo non solo della potenza della Chiesa, ma della necessità di una visione più ampia che abbracci le sfide di ogni epoca.
In questo contesto, la politica e la cultura appaiono intrecciate, richiamando a una responsabilità condivisa: quella di costruire un dialogo che trascenda le ideologie, ritrovando nel compromesso la chiave per affrontare le tensioni del presente, come già avveniva nel tumultuoso Medioevo.

Con una passione contagiosa per la sua disciplina, il dottor Bultrini ci offre una prospettiva unica su eventi che hanno segnato il nostro passato. Lo ringraziamo per la sua disponibilità e per aver condiviso con noi le sue preziose conoscenze.

La storia medievale è spesso avvolta da falsi miti e stereotipi. Quali sono i più diffusi e come si possono smontare?
Mi preme, innanzitutto, ringraziarla per la domanda a cui vorrei rispondere dopo una breve premessa. Le “fake news” sul Medioevo sono innumerevoli ma questo perché oggi non abbiamo più contezza della vicinanza con i nostri antenati vissuti nel medioevo e tendiamo a vedere solo la distanza che ci separa da loro.
Separati da falsi miti di progresso, principalmente sociali e culturali, siamo convinti di essere il prodotto finale dell’evoluzione culturale umana e, quindi, quasi tutto ciò che ci ha preceduto è oscurità, un’oscurità necessaria a renderci quello che siamo oggi.
La prima cosa da fare per evitare la propagazione di questi falsi miti è accettare, con una grande dose di umiltà, che non siamo così “evoluti” rispetto ai nostri antenati: erano antichi, ma non erano stupidi. Ovviamente, anzi quasi banalmente direi, il vaccino contro la malattia della fake new è la cultura. Una cultura scientifica, di alto livello culturale, divulgata alla gente.
Lo studio è un lavoro faticoso per questo noi ricercatori dovremmo impegnarci molto di più nel divulgare i nostri studi a chi ha scelto una via diversa ma è affamato di realtà.
Evito volontariamente di usare la parola “verità” perché abusata e fin troppo relativizzata.

Il Giubileo è una tradizione ancora oggi centrale nella Chiesa cattolica. Quali sono le sue origini e come si è evoluto nei secoli?
Il Giubileo nasce per un moto popolare che serpeggiava nella cristianità nei giorni a cavallo tra il 1299 ed il 1300.
Si sparse la voce che una straordinaria indulgenza poteva essere lucrata visitando la tomba dell’Apostolo Pietro.
Nel giro di pochissimi giorni la folla a Roma iniziò ad aumentare e Bonifacio VIII, uomo di straordinaria lungimiranza, comprese quanto fosse importante dare un segnale “istituzionale” (diremmo noi oggi) alle masse, ancora incerte su cosa sarebbe realmente accaduto.
E così, dopo una brevissima gestazione, il 22 febbraio 1300 venne promulgato il documento ufficiale, la bolla “Antiquorum habet fida relatio”, con la quale veniva indetto ufficialmente il primo Giubileo della storia.
Le prime condizioni furono decisamente dure, pertanto, si decise a più riprese di alleggerire le richieste sino a giungere all’obbligo di visitare almeno una volta al giorno le basiliche di San Pietro e di San Paolo per 15 giorni per i forestieri e 30 giorni per i romani.
La grande perdonanza bonifaciana venne imposta una volta ogni 100 ma a partire dal 1343 essa venne ridotta a 50 così da consentire ad ogni uomo di poterla vivere, almeno una volta nella vita.
Ma solo un secolo più tardi, a partire dal 1450, essa venne ulteriormente ridotta a 25 anni, com’è, poi, ancora oggi
.

il dottor Emiliano Bultrini durante la conferenza “Bonifacio VIII e il I Giubileo” nella storica cattedrale di Anagni

Papa Bonifacio VIII è una figura estremamente controversa nella storia della Chiesa. Quali sono le principali ragioni di questa ambiguità storica?
Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, è stato un personaggio di levatura straordinaria.
E non sono io, o un altro storico, a dirlo ma i fatti: in appena 9 anni di pontificato
(dal 1294 al 1303 n.d.s.) egli operò decisioni ed azioni che segnarono il mondo medievale con eventi in grado di avere ripercussione ancora oggi, ad oltre 7 secoli di distanza, come appunto il Giubileo.
Direi che è sufficiente per definirlo uomo straordinario!
Ovviamente, come tutti i grandi uomini di potere ebbe più nemici che amici, e gran parte delle testimonianze in nostro possesso provengono dai processi postumi alla memoria promossi dai suoi nemici, come il re di Francia Filippo IV il Bello, e scritti da altri suoi nemici come i cardinali Pietro e Giacomo Colonna.
Sono fonti importantissime ma decisamente di parte, e questo ha generato un numero inimmaginabile di false leggende sul suo conto. Inoltre, il suo carattere burrascoso ed impulsivo non ha agevolato la narrazione dei suoi amici.
Infine, ma questo è valido per qualsiasi uomo del passato, noi tendiamo a leggere la storia “tramite le lenti dei nostri occhiali” e questo falsa l’interpretazione degli avvenimenti passati.
Per capire le azioni dei nostri antenati dovremmo, prima di ogni altra cosa, avere un’idea della loro mentalità e solo allora cercare di analizzarne i fatti. Invece viene fatto tutto il contrario: si assiste ad un evento e lo si analizza con il nostro metro di giudizio culturale, sbagliando, ovviamente, tutto.
Purtroppo, questo avviene anche quando si analizzano fatti attuali: una guerra esplosa in un’altra area del mondo viene analizzata e divulgata secondo i nostri parametri, divisi, in un banale manicheismo, tra buoni e cattivi.
E quello che ne esce è, quasi sempre, un orrore storico, analitico e narrativo.

Il Giubileo del 1300, indetto proprio da Bonifacio VIII, segnò un momento chiave per la Chiesa. Quali furono le implicazioni politiche e religiose di questa decisione?
La cristianità da quel momento non è stata più la stessa. Il primato del papato venne assolutizzato in una maniera mai vista sino ad allora: il pontefice romano aveva il potere di indire una straordinaria perdonanza che potesse cancellare d’un sol colpo tutti i peccati della vita di un credente. Bonifacio VIII seppe accentrare su di sé tutte le aspirazioni escatologiche e salvifiche della cristianità. Naturalmente ebbe un numero sterminato di oppositori ma nessuno contestò mai la bontà e la grandezza dell’indizione del Giubileo. Neanche i cardinali Colonna e Dante Alighieri, fieri oppositori del Caetani, poterono criticare l’iniziativa.

Oggi ci troviamo di fronte a una continua reinterpretazione della storia. Qual è il rischio di leggere il Medioevo con categorie moderne?
Questa è una delle grandi contraddizioni degli uomini di potere in Occidente.
“Historia magistra vitae” si sente ripetere spesso, eppure gli storici di professione, in questo processo di reinterpretazione, sono i grandi assenti.
Sino a pochi anni or sono, l’amministrazione del Pentagono si servì di una serie di pamphlet in cui venivano reinterpretate, in chiave attuale, le analisi belliche condotte da Tucidide durante la grande guerra civile della Grecia classica, conosciuta come le Guerre del Peloponneso.
Tucidide, a cui dobbiamo anche la paternità del nome “Le guerre del Peloponneso” è unanimemente ritenuto il padre della storiografia militare, e una parte degli apparati di governo del deep state statunitense era convinta che nei suoi scritti vi fosse una sorta di chiave di lettura universale, utile a reinterpretare correttamente gli scenari bellici e geopolitici che gli Usa si stavano trovando ad affrontare agli inizi degli anni ’90.
Or bene, in tutto questo immenso sistema di studi, analisi, interpretazioni e redazione di rapporti il numero degli storici interpellati è così basso da poter essere contato sulle dita di una sola mano.
E se la più grande potenza politico-militare del mondo occidentale avvia un programma di analisi storiche senza avvalersi, però, di storici di mestiere, si capisce quanto la categoria professionale dei ricercatori goda di scarsa stima.
Inutile dire che l’intero progetto del Pentagono fu abbandonato alla metà degli anni Duemila perché il modello teorizzato non rispondeva agli scenari reali.

Davvero straordinario questo aneddoto di cui ci rende partecipi ed allora la domanda non può che essere questa: qual è il più grande insegnamento che possiamo trarre dalla storia medievale per comprendere meglio il presente?
Per quanto non piaccia come antefatto è inutile girare intorno alla considerazione che l’uomo è sempre uomo.
Tra ieri ed oggi cambia quella che i tedeschi chiamano, con una parola spaventosa ma efficacissima, Weltanschauung, ossia visione del mondo.
Ma visione intesa nella sua totalità e che comprende, quindi, i valori sociali, civili, politici, militari, il modo di parlare, di vestire e di mangiare: insomma tutte le peculiarità che caratterizzano una civiltà.
Per fare un esempio noi europei condividiamo la Weltanschauung con gli statunitensi delle coste ma non la condividiamo, ad esempio, con i Russi o con gli Egiziani.
Detto ciò, quello che ci differenzia dagli uomini medievali è una frazione di Weltanschauung, null’altro.
Noi andiamo in Chiesa come facevano loro, andiamo in banca come facevano loro, crediamo che la vita umana sia importante e che compiere azioni contrarie alla nostra morale sia peccato.
Tutti aspetti questi, mi spiace per chi crede il contrario, che ad esempio ci differenziano dai nostri antenati romani con i quali abbiamo veramente poco a che spartire.

Ci spieghi meglio…
Per capire il presente e tentare di comprendere il futuro è fondamentale che vi sia una conoscenza profonda del passato perché, ripeto, erano uomini come lo siamo noi.
E, banalmente, dietro le loro azioni c’erano gli stessi identici interessi che si nascondono dietro le nostre.
Nessun popolo occidentale ha mai fatto una guerra per motivi diversi da quelli di interesse, siano essi politici, economici o strategici: il resto è una narrativa ideologica, o mendace a seconda dei punti di vista, raccontata per indorare una pillola.
Stiamo vivendo in un momento in cui la narrazione è divenuta di gran lunga più importante dei fatti sottostanti e quando questi emergono, con la prepotenza che li caratterizza, rimaniamo stupefatti, quasi scioccati.
Se possiamo imparare qualcosa dal medioevo è l’accettazione che la vita umana è un compromesso e la narrazione ideologica deve cedere il passo dinanzi alla realtà quando è necessario.
Essere guelfo o ghibellino era importantissimo per un nobile medievale, dettava la sua appartenenza ad un’ideologia, ma nessun nobile si sarebbe mai sognato di anteporre l’ideologia ad un accordo.
La diversità di veduta era ritenuta una grande ricchezza proprio perché, tramite quella differenza, si poteva trovare un accordo.
Oggi, invece, troppo spesso, un avversario è primariamente un nemico ideologico con il quale non si può trovare un accordo. Con le ovvie conseguenze che ne possono derivare.

Le faccio un’ultima domanda o, una provocazione, me lo consenta: una sua riflessione sul binomio cultura/politica riesce a regalarcela?
Beh, si tratta di un rapporto completamente in deficit.
L’Italia, con 60 siti, detiene il record mondiale di località iscritte nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco, oltre a varie decine di migliaia di opere d’arte inestimabili.
Eppure, la politica sembra accorgersi solo marginalmente di questo immenso tesoro.
Noi potremmo vivere di questo inesauribile “petrolio” tutto italiano, impossibile da replicare, eppure, in Italia, si continua a pensare che la cultura e la storia siano aspetti, tutto sommato, secondari nella vita delle persone.
Non so più quante volte ho sentito il ritornello “con la cultura non si mangia”: la cultura, invece, è uno straordinario volano di ricchezza che aspetta solo di essere avviato. E la politica, specialmente quella comunale, è di una miopia sconcertante.
Troppo spesso, infatti, l’assessorato alla cultura è il più bistrattato, e il ruolo di assessore è ricoperto da personaggi la cui formazione non consentirebbe loro neanche di partecipare ad un concorso come collaboratore scolastico.
Si ritrovano a gestire delle vere e proprie miniere d’oro senza sapere da che parte iniziare, con risultati scadenti che sono sotto gli occhi di tutti. Palazzi storici abbandonati alla fatiscenza, musei chiusi, giardini inagibili e personale scarsamente competente.
Noi, italiani, dovremmo indignarci dinanzi a questo scempio, perché questa incuria danneggia parimenti la nostra economia, la nostra immagine all’estero e la nostra memoria storica, e senza passato siamo condannati all’oblio.