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Cronaca

Sarah Scazzi: la Cassazione conferma l'ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano

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Tempo di lettura 3 minuti Si chiude una delle pagine più nere della cronaca Italiana. Michele Misseri portato in carcere

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di Angelo Barraco
 
Bari – Dopo 7 anni e tanti colpi di scena è stata decretata la parola fine al delitto di Avetrana. La Prima sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, entrambe imputate per l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi che nel fiore dei suoi quindici anni e nella spensieratezza di quel rovente e afoso 26 agosto del 2010 è stata brutalmente uccisa e gettata  in un pozzo. La Cassazione ha inoltre vagliato la posizione di Carmine Misseri, fratello di Michele, condanna a 5 anni e 11 mesi per soppressione di cadavere. Altra posizione che è stata esaminata riguarda invece l’ex legale di Sabrina Misseri, Vito Russo, che in appello è stato condannato ad un anno e quattro mesi  e in primo grado a due anni e Giuseppe Nigro, entrambi condannati per favoreggiamento. Le due donne sono accusate di aver strangolato la giovane il cui corpo sarebbe successivamente stato occultato dallo zio Michele Misseri, condannato ad otto anni per occultamento di cadavere ma che oggi, a seguito di continue confessioni e ritrattazioni in merito ai fatti di quel terribile giorno, si proclama responsabile dell’omicidio. Nel pomeriggio era emersa la notizia la richiesta della Procura Generale della Cassazione che chiedeva, al termine della requisitoria davanti alla Prima sezione penale della Cassazione, la conferma dei due ergastoli inflitti a Sabrina Misseri e Cosima Serrano.  L’avvocato di Sabrina Misseri si è espresso così nella sua requisitoria: “E' una vicenda umana più che processuale che parte da un dilemma: a uccidere Sarah è stato Michele oppure Sabrina e Cosima? Delle due l'una” ha inoltre puntato sul movente sessuale e su Michele Misseri “Era un uomo molesto, Sarah percepisce l'atto come molestia e minaccia di rivelarlo a Sabrina. Ecco perché la prende per il collo e la strangola in due secondi”. Gli Avvocati hanno inoltre precisato che “non è affatto vero che la prova della colpevolezza di Sabrina prescinda dalla colpevolezza di Michele Misseri. La prova della colpevolezza esclusiva di Michele Misseri è la prova dell'innocenza di Sabrina”. Il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione nel pomeriggio dichiara “Del tutto destituita di fondamento è la pretesa di riqualificare il reato da soppressione di cadavere ad occultamento” chiedendo la conferma della condanna per Michele Misseri. Il magistrato ha ricostruito l’accaduto riferendo che il corpo “è stato calato in un luogo impervio, una pozza piena d'acqua che ne avrebbe facilitato il deperimento”.
 
Misseri portato in carcere I carabinieri hanno prelevato dalla sua abitazione per condurlo in carcere Michele Misseri, lo zio di Sarah Scazzi. Per l'uomo oggi è diventata definitiva la condanna a otto anni di reclusione per concorso in soppressione di cadavere della quindicenne. Misseri è stato fatto salire su un'auto dei militari che l'ha portato via. "Michele Misseri ha scritto lettere a Sarah in cui chiede perdono", ha poi reso noto il suo avvocato, Luca Latanza. "Misseri – ha aggiunto il legale – è molto provato, lui si aspettava di svolgere un altro giudizio di merito per portare avanti la sua tesi. Non si aspettava una conclusione così rapida. Il processo oggi dal punto di vista giuridico si è concluso".

 

 
Sarah era una ragazza che amava uscire con le amiche e passare i pomeriggi in armonia con le persone care a cui voleva bene, la sua morte ha avuto un forte eco mediatico per il coinvolgimento di persone appartenenti alla cerchia familiare della giovane. Tanti sono stati gli appelli lanciati dalla mamma di Sarah attraverso i vari canali televisivi, tanti gli avvistamenti, le segnalazioni e le speranze che in quei giorni concitati hanno rappresentato un appiglio ma il tutto va in frantumi 42 giorni dopo la scomparsa, quando Michele Misseri confessa di aver ucciso e aver occultato il cadavere della nipote. I giornali in quei giorni di grande sgomento e incredulità mettono il mostro in prima pagina e titolano la chiusura del caso quasi con tono imperativo, ma le versioni di Misseri sono destinate a mutare nel corso del tempo e infatti alcuni giorni dopo ritratta tutto e punta il dito contro la figlia Sabrina. Successivamente si dichiara nuovamente colpevole, ma le indagini si erano già avviate e avevano scoperchiato quello che per i Giudici è da considerarsi un vaso di pandora inoppugnabile e impregnato di elementi che inchiodano le due donne. Il 24 luglio 2015 Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono state condannate all’ergastolo. Dopo il verdetto, esattamente dopo 13 mesi, sono state depositate le motivazioni della sentenza che sono racchiuse in 1277 pagine. Si chiude una delle pagine più nere della cronaca Italiana, dove il dolore ha prevalso sull'innocenza e la fragilità di una bambina e dove la solidità dei rapporti familiari si è frammentata per lasciare spazio ad un vuoto incolmabile.

Castelli Romani

Monte Porzio Catone: la nuova rotonda sotto accusa

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Ogni mattina, all’alba, si ripete lo stesso copione.
“Esco dal cancello di casa, in via di Monte Compatri, e mi trovo subito immerso in una scena di caos – dice l’avvocato Evandro Senatra, uno dei decano tra gli avvocati di Monte Porzio Catone – Frotte di studenti affollano la fermata dell’autobus, alcuni addirittura sul manto stradale, rischiando di trovarsi in situazioni pericolose. Questo è solo l’inizio di una mattinata che si preannuncia problematica!”

La nuova rotonda, che ha fatto tanto discutere nel comune di Monte Porzio Catone, si è rivelata una benedizione per pochi, ma per la stragrande maggioranza è diventata un vero e proprio incubo.
La fila di automobili che si snoda da Monte Compatri, arrivando fino alla località Ponte Grande, è sintomatica di un ingorgo senza fine.
In molti impiegano, al mattino o nelle ore di punta, quasi mezz’ora solo per raggiungerla su di un tragitto che, un tempo, richiedeva pochi minuti.
«In certe ore di punta è peggio che a Roma!», dice uno dei tanti “arrabbiati” sui social.
Ma il problema non riguarda solo il traffico congestionato. La sicurezza è un tema sempre più impellente.


Quello che appare sempre più evidente, ci dicono molti cittadini, è la necessità di adottare un controllo più rigoroso per le auto che giungono da Frascati. Troppo spesso si assiste a veicoli che ignorano il segnale di dare precedenza, imboccando Via di Monte Compatri a velocità ben superiori al limite di 30 km/h. Questo comportamento mette a repentaglio non solo la vita degli automobilisti, ma soprattutto quella dei pedoni, e in particolare degli studenti, che ogni giorno attraversano la strada per raggiungere la fermata dell’autobus.
E se a tutto ciò aggiungiamo, sempre come dicono alcuni cittadini della zona, il “cattivo” comportamento dei mezzi pubblici, “il gioco è fatto”.
Gli autobus del Cotral, l’azienda dei trasporto regionale vengono indicati, in molti post, come “indisciplinati” e “pericolosi”.
Va da se che bisogna ricercare una soluzione rapida e veloce ma soprattutto va predisposta, a stretto termine, una banchina riparata per i tanti passeggeri che attendo il bus direzione Frascati.

la “assai discussa” fermata dei bus Cotral

Fioccano già le proposte, come quella di creare “una piccola rientranza nella proprietà alle spalle”, oppure spostando la fermata dei bus Cotral in un luogo ove i passeggeri non rischino di essere investiti dalle auto.
Inoltre, sarebbe utile, dicono sempre i cittadini sui social, installare dei semafori funzionanti durante le ore di punta per regolare il traffico, evitando di ricadere nelle insidie delle “rotonde” che, nel nostro caso, sembrano piuttosto causare un ulteriore ingorgo.
“La sicurezza e il benessere della comunità devono essere la priorità” è il filo conduttore delle dichiarazioni di molti cittadini monteporziani.

Si spera che le istituzioni ascoltino le richieste dei cittadini e trovino soluzioni efficaci per rendere vivibile il territorio.

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Cronaca

Roma criminale: aggressione e rapina in un bar di Prati: arrestati due malviventi

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Nel cuore del quartiere Prati, a Roma, la criminalità ha colpito ancora. I Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Roma hanno arrestato un cittadino ivoriano di 26 anni e un romano di 37 anni, entrambi già noti alle forze dell’ordine, con l’accusa di rapina in concorso. Il fatto si è verificato in un bar-ristorante di viale Giulio Cesare, dove i due uomini hanno aggredito il gestore dell’attività nel tentativo di rubare una bottiglia di alcolici.

La vittima, minacciata con un oggetto tagliente, ha prontamente richiesto l’intervento dei Carabinieri chiamando il 112 NUE. Grazie all’immediata risposta delle forze dell’ordine, i due rapinatori sono stati bloccati ancora all’interno del locale, impedendo loro di fuggire.

I Carabinieri, dopo aver raccolto gravi indizi di colpevolezza, hanno arrestato i malviventi e li hanno accompagnati presso le aule dibattimentali di Piazzale Clodio. Il Tribunale ha convalidato l’arresto per entrambi, disponendo l’obbligo di firma in caserma. Un episodio che sottolinea ancora una volta la necessità di una costante vigilanza contro la criminalità che dilaga anche in zone centrali della capitale.

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Ambiente

Amianto, 30 anni di lavoro e una vita spezzata: giustizia per Giovanni Giannetto

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Il Tribunale di Messina condanna l’INAIL, riconosciuta la malattia professionale. Oltre 6.200 morti in Sicilia per la fibra killer

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Messina ha emesso una sentenza importante, condannando l’INAIL a riconoscere la malattia professionale causata dall’esposizione all’amianto di Giovanni Giannetto, 66 anni, residente a Nizza di Sicilia (Messina). Giannetto, affetto da broncopatia cronica, microplacche del diaframma e fibrosi polmonare, ha lavorato per oltre 30 anni come manutentore in diverse centrali Enel, tra cui quelle di San Filippo del Mela, Termini Imerese, Augusta, Priolo, e Porto Empedocle.

Il caso di Giannetto è emblematico del dramma che ha colpito migliaia di lavoratori in Italia esposti alla fibra killer, l’amianto, un materiale utilizzato per decenni nell’industria per la sua resistenza al calore, ma che ha causato gravissimi danni alla salute. In particolare, la centrale di San Filippo del Mela, come quella di Milazzo, è stata classificata come Sito di Interesse Nazionale (SIN) per l’alto livello di inquinamento, che ha esposto il lavoratore sia in modo diretto, tramite l’uso di guanti anticalore in amianto, sia in modo indiretto a causa della contaminazione ambientale per il massiccio uso del minerale nelle coibentazioni e nei rivestimenti degli impianti.

La lunga battaglia legale

Nel 2018, Giannetto aveva presentato all’INAIL una richiesta per il riconoscimento della malattia professionale derivante dall’esposizione all’amianto, ma l’ente previdenziale aveva respinto la domanda. Con l’assistenza dell’Avv. Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), Giannetto ha dovuto intraprendere un lungo iter giudiziario, culminato con la sentenza del Tribunale di Messina, che ha confermato il nesso causale tra l’esposizione all’amianto e le patologie sviluppate dal lavoratore. L’INAIL è stata condannata a riconoscere la malattia professionale e a indennizzare Giannetto con 10mila euro per il danno biologico subito.

L’avv. Bonanni ha accolto con soddisfazione la sentenza, dichiarando: “Dopo questa condanna, adesso agiremo per ottenere il risarcimento del danno e coinvolgeremo l’INPS per ottenere la maggiorazione della pensione“. Bonanni ha anche ricordato i numeri drammatici relativi alla Sicilia: “Dal 1998 a oggi abbiamo censito circa 1.850 casi di mesotelioma, con un tasso di mortalità del 93% nei primi cinque anni. A questi si aggiungono 3.500 casi di tumore ai polmoni e oltre 1.000 decessi per altre malattie asbesto-correlate, per un totale di oltre 6.200 morti“.

Le aree più colpite in Sicilia

Tra i territori siciliani maggiormente colpiti dall’inquinamento da amianto spicca Biancavilla, in provincia di Catania, dove è presente la fluoro-edenite, un minerale simile all’amianto recentemente classificato ma non ancora riconosciuto nelle liste dell’INAIL. L’esposizione a questo minerale ha provocato mesoteliomi, asbestosi e altre gravi malattie nella popolazione locale.

Anche altre zone industriali della Sicilia, come Augusta-Priolo (Siracusa), Gela (Caltanissetta) e Milazzo (Messina), sono note per l’alto rischio ambientale legato alla presenza di poli industriali, soprattutto nel settore petrolchimico. A Gela, in particolare, sono stati registrati numerosi casi di tumore del sangue, cancro al colon, asbestosi e malformazioni alla nascita, portando all’avvio di programmi di monitoraggio sanitario ed epidemiologico.

Un problema ancora aperto

Nonostante l’uso dell’amianto sia vietato in Italia dal 1992, le conseguenze della sua esposizione continuano a mietere vittime, spesso senza che i responsabili vengano adeguatamente puniti o che i lavoratori ottengano il giusto riconoscimento. Il caso di Giovanni Giannetto è un esempio della lunga battaglia legale e personale che molti ex lavoratori devono affrontare per ottenere giustizia.

L’ONA e l’avv. Bonanni continuano a lavorare per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla gravità della situazione, sottolineando la necessità di misure più efficaci per tutelare i lavoratori esposti e per risarcire le vittime di questo “killer silenzioso”.

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