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Skull and Bones, la pirateria secondo Ubisoft

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Skull and Bones è l’ultimo gioco di Ubisoft a tema piratesco che è giunto sulle piattaforme di nuova generazione e Pc a 7 anni dal suo annuncio. Nonostante il titolo sia giocabile da soli, seguendo le tappe di una campagna costituita da quest di vario genere, Skull and Bones è un prodotto che richiede necessariamente una connessione a internet e un account Ubisoft: chiavi di un mondo che per forza di cose bisogna condividere con altri corsari in carne e ossa. Alcuni gradiranno questa scelta, altri meno, perché se da un lato è un modo efficace per rendere più vivo un titolo open world altrimenti abbastanza spoglio, dall’altro espone gli esploratori più arditi a situazioni potenzialmente sgradevoli. Ci riferiamo ovviamente alla possibilità di essere affondati da altri giocatori che, complice l’assenza di un sistema di matchmaking diviso per livelli, potrebbero risultare sostanzialmente imbattibili, poiché alla guida di un vero e proprio vascello inarrestabile. Sebbene le attività offerte dall’avventura “in singolo”, tra quest principali e diversioni secondarie, siano tendenzialmente meno traumatiche, anche la rotta stabilita da Ubisoft porta con sé un pericolo da non sottovalutare: la noia. Il racconto messo in piedi dallo studio si muove infatti fra sviluppi blandi e personaggi del tutto poco caratterizzati, e pertanto fatica a mantenere vivo l’interesse dell’utente nei confronti del mondo in cui si trova, malgrado l’indiscutibile fascino di una cornice narrativa ispirata all’età d’oro della pirateria. Ma veniamo alla trama: il gioco ha inizio quando il protagonista, che può essere creato da chi gioca attraverso un editor che non brilla per varietà, sopravvive al naufragio di una nave che faceva parte della flotta del temibile bucaniere Scurlock. Chi gioca inizia la sua avventura con un preciso obiettivo: riconquistare la fiducia del suo signore e scalare i ranghi della fazione di Sainte Anne. Alla guida di una piccola imbarcazione e di una ciurma assai modesta, bisogna far crescere la propria leggenda a suon di scorribande, nel tentativo di aggiungere il proprio nome all’elenco dei più temibili filibustieri che solcano e terrorizzano le acque dell’Oceano Indiano.

Scopo principale in Skull and Bones è accumulare “infamia”, cioè esperienza, per far si che l’ascesa da topi di sentina a grassatori, fino ai gradi più alti della gerarchia piratesca avvenga nel modo più veloce possibile. Più si aumenta di livello, maggiore è la quantità di missioni a propria disposizione, e allo stesso modo aumenterà anche il grado di sfida delle attività proposte. Sfortunatamente, però, la varietà complessiva dell’offerta non segue lo stesso percorso incrementale, e nel giro di una manciata d’ore tutti le tipologie d’incarico vengono svelate. Dagli assalti agli avamposti, all’annientamento di navi di questo o quello schieramento, passando per missioni di raccolta e consegna di risorse di vario genere, purtroppo la rosa di attività disponibile non fa gridare al miracolo. Molti obiettivi sono in effetti simili tra loro, e sia che si debba dare la caccia ad un corsaro, o che sia necessario rubare scorte da avamposti o navi francesi, le dinamiche sono perlopiù sempre le medesime. Anche l’iter per attivarle non cambia mai di una virgola: si accetta la quest parlando con un personaggio non giocabile o interagendo con apposite bacheche, si salpa alla volta dell’obiettivo, e infine si spara qualche cannonata per poi fuggire col bottino nella stiva, pronti a fare rapporto e chiudere il contratto. Questa ripetitività di fondo finisce con l’appesantire il gameplay di Skull and Bones in tempi relativamente brevi, fino alla soglia di un endgame non proprio esaltante, che consiste nel fare incetta costante di denaro e materiali per accrescere il proprio prestigio piratesco. In alternativa è possibile lanciarsi in alcune attività cooperative, le cosiddette “missioni globali”, che richiedono di riunirsi in piccole flotte da tre giocatori al massimo sia per abbattere un mostro marino, che per espugnare una fortificazione resistendo alle bordate di vascelli e postazioni di difesa. Insomma, come avrete capito all’inizio le cose sono molto divertenti, ma purtroppo la varietà non è il cuore pulsante di questo Skull and Bones. Tornando agli imprevisti che possono presentarsi nella proposta multigiocatore del titolo di Ubisoft, si può sottolineare che questi possono offrire ai giocatori una gradita deviazione dalle routine ludiche proposte dal titolo in campagna: sebbene il rischio di venir depredati lungo la rotta non vada sottovalutato, capita anche di ritrovarsi a stringere qualche insperata alleanza per far fronte comune contro giocatori ostili per ribaltare le sorti di una battaglia data per persa. A tal proposito, sarebbe stato davvero bello se il team di sviluppo avesse reso più semplice la comunicazione tra gli utenti: in assenza di un sistema di chat, gli unici strumenti per comunicare con gli altri player al di fuori della propria cerchia di amici sono i fuochi di segnalazione che possono essere sparati durante la navigazione, o le emote eseguibili dal proprio alter ego virtuale. Tutto questo è un po povero e rende le comunicazioni fra players davvero ostiche e macchinose.

Nonostante il generale senso di povertà contenutistica però Skull and Bones offre un sistema di gameplay appagante e che sicuramente punta a divertire gli amanti dei titoli arcade. Il sistema di navigazione, ad esempio, a nostro avviso rappresenta una delle features meglio riuscite della produzione: raggiungere il luogo dove si svolgerà una contesa valutando la rotta più efficace, ma anche evitando le fazioni che, a causa dei ripetuti assalti, inizieranno a sparare a vista è davvero molto appagante. In parte è proprio così, e per le prime ore di gioco sono necessarie per apprendere al meglio le regole del mare: si impara a scegliere chi combattere e chi no, a condurre efficacemente la nave, a navigare sottovento e a gestire la “stamina” della ciurma. La mancanza di vento a favore, poi, può al massimo rallentare un po’ lo svolgimento delle missioni, causando una folata di noia passeggera dovuta alla scarsa velocità dovuta alla lentezza per arrivare all’obbiettivo. Bisogna poi considerare che ogni vascello può dispiegare o ritrarre le vele per aumentare la velocità di navigazione, sfruttando o meno un boost che consuma una barra apposita, il cui riempimento può essere accelerato fornendo cibo e alcolici all’equipaggio, o accendendo i falò nascosti presso alcuni accampamenti. Restando in tema di aspetti positivi, la personalizzazione “funzionale” della nave comprende un numero davvero ampio di opzioni: tra scafi più resistenti, accessori che aumentano le statistiche e bocche da fuoco, è difficile non restare appagati dalla varietà offerta da Skull and Bones, almeno su questo specifico fronte. Una volta scelto l’assetto al porto, la visuale per effettuare le missioni è in terza persona, quindi alle spalle della propria nave, alternata con una sorta di “prima persona sugli armamenti” posti a prua, poppa, babordo e tribordo. In questo modo si può mirare più facilmente ai punti deboli delle navi nemiche sparando come dei dannati cannonate, colpi di mortaio, razzi e siluri. Volendo adottare un approccio più da vicino, è possibile anche speronare o abbordare le imbarcazioni nemiche. Purtroppo il saltare sulla nave avversaria però risulta ben meno appagante di quanto ci si aspetti in quanto non è possibile controllare direttamente l’assalto, e il tutto si esaurisce in pochi secondi e senza interventi pratici da parte del giocatore. Al netto della pregevolezza del sistema di personalizzazione, ben presto ci si rende conto quanto relativo sia il suo peso nel bilancio del gameplay, perché ciò che conta davvero è aver raggiunto il giusto livello per una determinata missione, e avere in stiva tante munizioni, cibo e kit di riparazione. Al pari delle meccaniche di navigazione, quelle di combattimento non sono particolarmente articolate ed esaltanti: si mira e si spara, stando giusto attenti al movimento relativo degli avversari rispetto a noi, al tempo di “arrivo” dei proiettili e alla loro parabola. Non c’è deviazione dei proiettili in base al vento, o simili guizzi di complessità. Persino nel PVP l’abilità al timone, la conoscenza del territorio, la mira e la scelta del mezzo contano solo relativamente: sono i numeri a parlare, prima delle capacità manuali. Le battaglie si fanno un minimo più complesse solo contro i così detti “Pirate Lords” nell’endgame, o se a voler dare battaglia ci sono giocatori reali con navi ottimizzate e tutte le opzioni offensive e difensive sbloccate. Anche la scelta del percorso più veloce verso gli obiettivi si fa via via meno rilevante, non a causa della presenza del viaggio rapido, che si paga in valuta di gioco, fra avamposti, ma anche perché ci si rende conto che la rotta migliore da percorrere è praticamente sempre in linea retta. Infatti per raggiungere ogni luogo basta semplicemente girare intorno alle isole minori, e attraversare le più grandi viaggiando sui corsi d’acqua interni. In teoria ci sarebbero navi più agili preposte per questo tipo di navigazione, ma non servono quasi mai e ce la si fa pure con quelle di medie dimensioni. La scelta del veliero è rilevante per davvero, ma solo in minima parte, solo se si vuole combattere, perché un Blaster e un Bombardiere hanno capacità, tipi di bocche da fuoco e manovrabilità diverse da una velocissima Sentinella o dal più semplice Bedar, che si sblocca subito dopo il tutorial e che si guida per la maggior parte delle ore iniziali. Per ottenere tutti e 9 i tipi di navi presenti in Skull And Bones basta avanzare nella trama o comprare dai mercanti in giro per la mappa il progetto per ciascuna nave, che andrà poi costruita nell’hub centrale, il porto di Sainte Anne, con i materiali raccolti durante i viaggi.

Per quanto riguarda l’aspetto grafico: il livello di dettaglio delle navi, dei loro arredi e degli armamenti è di buon livello, così come anche l’estetica del mondo di giochi. Capita spesso infatti di restare incantati di fronte a scorci di particolare bellezza navigando tra i flutti dell’Oceano Indiano. Anche le tempeste che talvolta scuotono le acque con onde alte quanto l’albero maestro sono bellissime da vedere e spaventose, in un tripudio di fulmini che riempiono l’aria di sinistri bagliori e temibili rombi. La mappa del mondo poi è ben realizzata e illustrata, anche se ben presto è destinata a riempirsi di segnalini e indicatori che ne migliorano la leggibilità, intaccandone però la piacevolezza estetica. Il menù delle missioni è ben organizzato e consente di tracciare con precisione ogni obiettivo, nonché di scovare punti di raccolta utili a rimpolpare le scorte di materiali. La maggior parte delle risorse, vista la natura arcade di Skull and Bones, si può ottenere senza lasciare l’imbarcazione, semplicemente avvicinandosi alla costa e risolvendo un rapido mini gioco. In alternativa si può decidere di acquistarle da falegnami, mercanti e personaggi vari, scendendo a terra ed esplorando aree e accampamenti “a piedi”. Nessuna delle attività previste in questa modalità offre però soddisfazioni degne di nota: le mappe degli avamposti sono strutturate come corridoi più o meno lunghi e ben poco stimolanti, con solo qualche oggetto da raccogliere e una manciata di negozianti con i quali interagire. Al massimo, può capitare di incappare in un tesoro sepolto, che si tira fuori dalla sabbia a mani nude in appena un secondo con la pressione di un pulsante. In coppia con le scene d’intermezzo, fin troppo legnose e poco realistiche, le visite sulla terraferma sono anche le sezioni meno riuscite dal punto di vista grafico: la qualità di texture, animazioni e modelli appare infatti notevolmente inferiore rispetto alla media degli elementi che concorrono alla resa delle scene in mare aperto. Allo stesso modo la personalizzazione del protagonista e del suo vestiario cede vistosamente rispetto a quella della nave, tanto da apparire come un inserto appena abbozzato. Meno debole è invece il comparto sonoro, ricco di elementi che contribuiscono efficacemente al coinvolgimento dei giocatori. I canti intonati dalla ciurma mentre si solcano le onde sono davvero fantastici e tutti effetti sonori ci sono sembrati ben realizzati: gli scricchiolii del ponte, le corde che si tendono, l’acqua che si infrange sulla carena e le esplosioni dei cannoni vi faranno sentire sempre come se si stia viaggiando veramente su una nave pirata. La mancanza del doppiaggio in italiano pesa ulteriormente sul generale gradimento da parte di chi non mastica bene l’inglese in quanto gli accenti utilizzati dai vari comprimari sono diversi, e tutto ciò rende arduo comprendere ogni singola parola che viene pronunciata sullo schermo senza dover attivare i sottotitoli. Tirando le somme, questo Skull and Bones è un titolo che sicuramente è destinato a divertire il pubblico, ma la domanda è: per quanto tempo? La mancanza fin troppo evidente di attività e contenuti unita alla natura arcade fanno si che il titolo appaia fin troppo debole se paragonato ad altri esponenti del genere piratesco.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise

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Luigi’s Mansion 2 HD, il titolo icona del 3DS torna su Switch in alta definizione

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Luigi’s Mansion 2 ritorna, a più di 10 anni dalla sua uscita originale su Nintendo 3DS, in versione rimasterizzata per Nintendo Switch. Questa nuova edizione in alta definizione del piccolo capolavoro del colosso nipponico offre l’opportunità di rivivere una delle avventure più amate del fratello di Mario, con una veste grafica rinnovata e alcune migliorie tecniche. Ma come si comporta questo titolo del 2013 nel panorama videoludico attuale? Analizziamo nel dettaglio questa riedizione per scoprire se il fascino di Cupavalle resiste ancora alla prova del tempo oppure è destinato a soccombere sotto il peso degli anni. Seguendo in modo abbastanza diretto dal primo episodio, uscito su Game Cube nel lontano 2001, Luigi’s Mansion 2 HD (al tempo Luigi’s Mansion 2 o Luigi’s Mansion Dark Moon negli Usa) catapulta i giocatori nuovamente nell’avventura con un incipit decisamente semplice: dopo la vittoria dell’idraulico in verde nel primo capitolo, i fantasmi si sono acquietati e vivono in serenità con gli umani, permettendo al Professor Strambic di continuare i suoi studi con grande efficienza. Un “misterioso intervento esterno”, però, distrugge e frammenta la pietra a forma di luna che teneva sotto controllo gli spiriti, mandandoli in agitazione e costringendo lo scienziato a chiedere il soccorso del miglior acchiappafantasmi in circolazione. Così in men che non si dica quel fifone di Luigi si trova nuovamente impegnato a catturare spettri con aspirapolvere alla mano e gambe tremolanti. Questa volta però non si troverà più in una sola, vasta, magione, ma dovrà spostarsi in differenti aree per recuperare i pezzi del cristallo, scoprire chi si nasconde dietro le quinte e ripristinare tutto alla normalità, assicurandosi che nessuno dei suoi amici sia finito nei guai. Il tutto è possibile grazie al genio di Strambic, che oltre a essere il massimo esperto di fantasmi è anche riuscito a sviluppare una tecnologia chiamata “pixeltrasporto”, in grado di muovere Luigi da una parte all’altra del mondo sfruttando schermi e telecamere come veicolo. Da qui inizia un’avventura tendenzialmente in linea con gli altri episodi, che vede il buon Luigi esplorare ogni angolo delle location da lui visitate alla ricerca di tesori, chiavi, fantasmi e segreti: insomma, tutto il necessario per proseguire di livello in livello e soddisfare le richieste di Strambic. Idealmente la progressione ricorda un po’ quella di un metroidvania, in quanto c’è la libertà di muoversi in aree tutto sommato limitate, da sbloccare di volta in volta, mentre vengono mostrati al tempo stesso tanti passaggi apparentemente inaccessibili, muri misteriosi che sembrano nascondere qualcosa, stanze prive di accesso o sistemi di controllo che sembrano non rispondere alle sollecitazioni di chi gioca.

Luigi questa volta avrà insomma un bel da fare dovendo ripuloire ben cinque magioni infestate nel tentativo di ricomporre la pietra a forma di Luna e domare gli ectoplasmi aiutato dal fido aspirapolvere Poltergust 5000, versione potenziata del modello 3000 comparso in Luigi’s Mansion, e da una torcia multifunzione. Sulla carta per avere la meglio basterebbe “sparaflashare” gli evanescenti invasori per poi pescarli con l’aspirapolvere assecondando i loro movimenti. Nella pratica, però, i dispettosi fantasmi faranno di tutto per vendere cara la melma ricorrendo a trucchetti, armature o alla forza bruta: tutte cose che costringeranno i giocatori a indebolirli, aggirarli o quant’altro prima di poter procedere con la cattura. Su 3DS, come accennato, queste meccaniche soffrivano un poco i limiti del sistema di controllo, ma qui sono una vera goduria e bastano davvero pochi minuti per prenderci la mano e farsi trascinare dalla moltitudine di interazioni escogitata da Next Level Games e Nintendo per spremere fino all’ultima goccia le possibilità del Poltergust 5000 e il pensiero laterale dei giocatori. Il Poltergust 5000 nasce per aspirare i fantasmi, OK, ma nulla vieta di invertire il flusso e/o sfruttarlo per sollevare tappeti, afferrare tende, tovaglie e in generale passare al setaccio le magioni infestate svelandone i vari segreti o espugnandone le ricchezze in modo da potenziare il proprio arsenale. Sempre grazie all’aspirapolvere si può, ad esempio, afferrare oggetti congelati e trasportarli fino alla fiamma più vicina, oppure gonfiare dei palloncini e creare una piccola mongolfiera per raggiungere aree altrimenti inaccessibili; e queste sono solo alcune delle tante interazioni possibili per sfruttare o aggirare i limiti fisici del gioco. La torcia a sua volta non si limita a rendere vulnerabili gli spiriti ma consente di attivare interruttori e meccanismi, mentre l’Arcobaluce – sorta di versione “mariesca” degli ultravioletti – è in grado di svelare porte e oggetti nascosti aggiungendo di fatto una dimensione extra all’avventura, obbligando così il giocatore a prestare particolare attenzione a tubi mancanti, zerbini e persino ai complementi d’arredo apparentemente asimmetrici. Attorno a queste dinamiche gli sviluppatori hanno costruito un sistema di enigmi incredibilmente sofisticato; le missioni inizialmente appaiono circoscritte, ma col procedere del gioco diventano sempre più elaborate facendo “esplodere” il level design delle singole magioni e servendo alcune delle boss fight più creative mai viste in un videogioco Nintendo. Di contro il cuore dell’esperienza resta la caccia, e anche sotto questo aspetto dopo le prime semplici battute è necessario ricorrere all’astuzia e a tutte le opportunità offerte dai propri strumenti, senza contare le occasionali disinfestazioni da ragni, piante carnivore e altre simpatiche creaturine che infestano le aree di gioco.

Se il titolo originale ha proposto una più che discreta esperienza portatile, in questa occasione è opportuno chiedersi se e quanto abbia giovato la transizione a una nuova piattaforma. La risposta è a nostro avviso: decisamente più performante ma meno “peculiare” rispetto alla piccola console portatile della grande N. A livello puramente visivo, nulla da dire: pur non raggiungendo le vette di Luigi’s Mansion 3, questa edizione HD del secondo capitolo risulta comunque molto curata, potendo godere di modelli e texture ricreati da zero e un impatto scenico dovuto al cambio di proporzioni dello schermo decisamente più efficace. Molto bene invece per quello che concerne il lato controlli, che tornano a contemplare l’utilizzo dell’analogico destro (assente su 3DS) per rendere più agile il movimento che su portatile risultava piuttosto sacrificato. Forse il cambiamento più importante che il gioco ha vissuto in positivo. Esplorazione e combattimenti risultano quindi più fluidi e divertenti, così come tutte le prove “speciali” che vedono variare il gameplay. Dove si paga lo scotto è nella trasposizione dell’esperienza “stereoscopica” originale: in particolare basta vedere i boss, comunque tuttora apprezzabili, per cogliere come la messinscena sia frutto di un design collegato allo speciale effetto visivo offerto dallo schermo superiore di Nintendo 3DS, risultando sacrificata, se non quasi banalizzata, quando riprodotta in modo tradizionale. E’ necessario, quando si parla di Luigi’s Mansion 2 HD evidenziare due note sulla longevità e il multigiocatore. Per quanto concerne la durata, il titolo si assesta sui livelli del terzo capitolo, quindi intorno alle 10/15 ore per una partita classica, salendo se si va alla ricerca del completismo, sebbene il tutto possa risultare un po’ allungato per via del continuo “vai e vieni” dovuto alla struttura a missioni. Per quanto riguarda il multigiocatore tocca constatare come il tutto sia in linea con il titolo d’origine, mancando quindi di una modalità storia cooperativa e limitandosi invece alla Torre del Caos in cui collaborare fino a 4 giocatori, in wireless locale o online, per superare le tante e appassionanti sfide proposte. Tirando le somme, poter tornare a giocare a Luigi’s Mansion 2 HD è sempre un piacere, soprattutto perché in termini di level design, struttura degli enigmi e gestione dell’arsenale è sicuramente il capitolo più interessante della serie, persino al netto del terzo. In più il salto in avanti per quanto riguarda il sistema di controllo offerto a suo tempo da 3DS rappresenta una vera benedizione, persino più gradita del passaggio all’alta definizione. Certo, aggiornare anche il sistema dei salvataggi sarebbe stato un gradito cambiamento, ma tutto sommato non possiamo lamentarci. Tuttavia tra gioco base, contenuti extra e tutte le cose da fare per completare il titolo al cento per cento, ci sarà da spassarsela davvero per molte ore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise

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iPhone pieghevole nel 2027, un nuovo brevetto online fa esplodere i rumors

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iPhone pieghevole? Tornano i rumors. Le ultime indiscrezioni arrivano proprio da un nuovo brevetto che Apple ha registrato negli Stati Uniti. Il lancio però dovrebbe avvenire tra qualche anno, non prima del 2027. Il nome del documento, ripreso dal sito Cnet, è “dispositivi elettronici con display pieghevoli durevoli”, depositato nel 2021 ma concesso il 16 luglio di quest’anno. Al suo interno, alcune soluzioni che la Mela potrebbe seguire per realizzare l’iPhone Flip, ossia un telefono che si chiude a conchiglia, come il recente Motorola Razr 50 Ultra. Il testo elenca in modo dettagliato la presenza delle varie componenti del prodotto, dalla batteria alla ricarica wireless, connettività Bluetooth e Wi-Fi, display led o lcd, microfoni e sensori capacitivi, tattili e così via. C’è un riferimento esplicito ad un display pieghevole di 180 gradi, o completamente piatto, in linea con le declinazioni attualmente sul mercato anche a marchio Samsung e Oppo. Se sembra alquanto certo che Apple stia esplorando la possibilità di lanciarsi nel mercato dei pieghevoli, più dubbi sussistono sulle tempistiche. L’analista Ross Young ha affermato che un modello del genere è stato posticipato ad almeno il 2025. Più o meno la stessa tempistica suggerita dall’analista esperto di Apple, Ming Chi Kuo, che ha ribadito la possibile finestra di presentazione. C’è chi va anche oltre: i ricercatori di TrendForce sottolineano che le rigorose procedure di controllo qualità di Cupertino e l’aumento nella richiesta di pannelli flessibili porterà l’azienda a concludere un primo lotto di disponibilità dell’iPhone Flip non prima del 2027, quanto Samsung sarà alla nona generazione di Galaxy Z Flip. Insomma, stando alle nuove indiscrezioni nel futuro degli smartphone della Mela il dispositivo pieghevole sembra essere presente. Non resta altro che aspettare per saperne di più.

F.P.L.

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Elden Ring: Shadow of the Erdtree, molto più che una semplice espansione

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Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione enorme e sorprendente, che conferma la posizione di FromSoftware tra i migliori team di sviluppo in circolazione nel panorama videoludico contemporaneo. Il dlc (anche se chiamarlo così è riduttivo) è ovviamente disponibile su Pc, Xbox e PlayStation, quindi tutti coloro che hanno potuto giocare a Elden Ring (qui la nostra recensione), potranno cimentarsi in questa nuova avventura e proseguire il loro cammino. Ricordiamo a tutti coloro che sono interessati a intraprendere questo nuovo viaggio che per entrare nell’universo offerto da Shadow of the Erdtree è necessario aver ucciso Radahn e Mohg. Una volta fatto ciò si deve interagire col bozzolo di Miquella, parlando prima con un NPC che si troverà proprio lì davanti. Essendo una macro-area da visitare dopo l’endgame, il livello di difficoltà dei nemici al suo interno è piuttosto sostenuto. Questo vuol dire che provare a esplorare stando al di sotto di un livello medio che si aggira attorno al 140, o addirittura di parecchio inferiore, si va incontro alla morte anche coi nemici più insignificanti. Prendere sotto gamba il livello è un errore da non fare in quanto per chi volesse provare l’ebbrezza di addentrarsi nel “nuovo mondo”, l’impatto sarà assolutamente traumatico. Gli antagonisti sono capaci di uccidere con uno o due colpi e le zone più avanzate, assieme a quelle segrete e ai boss facoltativi, risultano quasi impossibili da completare. Eppure Elden Ring Shadow of the Erdtree, così come il gioco principale, non è mai scorretto col giocatore. Ovviamente il titolo impartirà dure lezioni ancora una volta, ma quando si inizierà a comprendere il gioco delle minacce che piagano la Terra delle Ombre, affrontare ogni ostacolo sarà fonte di assoluta soddisfazione. Differentemente da quanto i più possano pensare, l’aumento di livello non è la chiave per poter dominare sul campo di battaglia. Stavolta From Software ha applicato una sorta di sistema di potenziamento interno all’espansione che funziona grossomodo come i pezzi di maschera già visti in Sekiro. Va da sé che le reali differenze durante l’avanzamento, e soprattutto durante gli scontri coi boss, si notano solo raccogliendo i frammenti sparsi per la mappa di gioco, taluni ben nascosti o accessibili solo dopo alcune fasi di sbarramento. Una volta fermi ai Luoghi di Grazia, si potrà consultare il menù arricchito con una nuova voce che consente di migliorare in modo permanente alcune delle statistiche passive. Questa scelta adottata per Elden Ring Shadow of the Erdtree ha una duplice funzione: non rendere il contenuto troppo semplice anche per i veterani e obbligare i giocatori a esplorare davvero a fondo ogni angolo di mappa. L’esperta FromSoftware non ha però reso semplice l’accesso a tutte le aree, e in questa espansione si percepisce un senso della scoperta ancora più meraviglioso e sbalorditivo, reso tale da un design delle aree molto più articolato e complesso.

Il Regno delle Ombre è una mappa affascinante e con un design complesso e raffinato che conquista. Tuttavia è doveroso fare una menzione speciale ai dungeon/legacy, che presentano le medesime qualità. Anche qui il team di From Software è riuscito a creare livelli pieni di anfratti, percorsi alternativi, uscite, scorciatoie e connessioni all’interno di architetture colossali e uniche. Tra quelle esplorate ce ne sono due in particolare che abbiamo apprezzato. Autentiche opere di ingegneria studiate nei minimi dettagli: dalla disposizione dei nemici a quella delle sezioni interconnesse con una naturalezza disarmante. Un altro aspetto positivo positivo di Elden Ring: Shadow of the Erdtree riguarda la significativa riduzione del numero di mini-dungeon. Ora ce ne saranno di meno, ma più interessanti, elaborati e complessi. Spesso con meccaniche uniche e con boss sempre differenti, che garantiranno uno stimolo costante per quanto concerne l’esplorazione. Altro punto di forza della produzione sono i boss. In Elden Ring: Shadow of the Erdtree ce ne sono circa una decina, e sono tutti assolutamente straordinari sia per design che per le meccaniche di combattimento. E’ davvero sorprendente vedere come il team di From Software continui a sorprendere la sua fan base con creature così imponenti e ricche di personalità, capaci di proporre battaglie uniche, intense e sempre molto complesse da affromntare. Oltre a quanto detto, quest’espansione di Elden Ring ha un altro merito, ovvero: riuscire a sorprendere anche per il numero smodato di armi, talismani e magie aggiuntive, oggetti peraltro pensati per modificare sensibilmente lo stile di qualunque giocatore. Si vede chiaramente che l’intento di FromSoftware nella Terra delle Ombre è stato chiaramente uno solo: offrire un gran quantitativo di strumenti adatti a ogni genere di build, dotati di mosse e poteri così unici da spingere i giocatori a testarli anche se non necessariamente ottimali. E se da una parte alcune combinazioni del gioco base restano spettacolarmente efficaci e difficilmente sostituibili, riteniamo che FromSoftware abbia davvero trovato la chiave di volta qui, perché è stato praticamente impossibile non cambiare varie volte specializzazioni ed equipaggiamento dinanzi a certe novità. Ci sono ben otto categorie di armi del tutto nuove, e alcune di queste coprono delle mancanze significative del gioco base. A tutto ciò va anche sommato un discreto numero di ottime nuove stregonerie e un mix incredibile di incantesimi Il risultato finale? Un vero paradiso per chi ama sperimentare con statistiche ed equipaggiamento. Tirando le somme, questo Elden Ring: Shadow of the Erdtree è un’espansione incredibile, un lavoro di grande pregio che torna in parte alle origini dei souls, senza però tradire lo spirito del gioco base né abbandonare le caratteristiche che lo hanno fatto amare da così tanti giocatori. Si tratta di un lavoro impressionante, capace di stupire sia per il suo incredibile map design sia per la varietà delle novità introdotte. Impossibile, davanti a un’opera simile, non confermare il già notevole voto del gioco base. Impossibile lasciarselo sfuggire se avete amato il titolo originale.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise

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