Scienza e Tecnologia
Soulstice, il videogame italiano che sfida i colossi del genere action
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12 mesi fail

Soulstice rappresenta uno di quei videogame che fa davvero piacere recensire. Il suo arrivo su Pc, Xbox e PlayStation è infatti stato una graditissima sorpresa, in primis perché sviluppato dall’italianissimo team di sviluppo Reply Game Studio, e in secondo luogo perché riesce ad avvicinarsi a colossi del genere action come Devil May Cry o Bayonetta. Certo, di lavoro per eguagliare i prima citati colossi ce ne è ancora da fare, ma la direzione è quella giusta e Soulstice rappresenta un ottimo esempio di come un titolo “doppia A” possa sorprendere in positivo e divertire. A livello di trama Soulstice narra le vicende di Keidas, un Regno Sacro nel quale il mondo reale e quello spirituale sono separati da un sottile Velo. Squarciandolo si rischia di portare distruzione nel creato e, per evitare che ciò accada, ci si affida alle Chimere, ovvero due persone che, tramite un rituale, si fondono in una sola. Il corpo della prima accetta l’anima della seconda, ottenendo così capacità superiori. Le protagoniste sono proprio una Chimera, composta dalle anime di due sorelle: Briar e Lute. La prima è il personaggio da controllato dal giocatore, mentre le seconda agisce come una sorta di spirito guardiano, sia nei combattimenti che narrativamente, in quanto risulta la voce della ragione della sorella maggiore, più avventata e impulsiva. La coppia viene inviata nella città di Ilden, dove si è aperto misteriosamente una Squarcio, il quale ha causato la trasformazione di tutti gli umani e degli animali in creature deformi e folli, che ovviamente vogliono fare a pezzi chi gioca. La trama ruota attorno alla figura parzialmente mostruosa delle Chimere, al passato delle due sorelle protagoniste e ai segreti dell’ordine sacro di cui fanno parte. In un mondo dark fantasy, ovviamente, nulla è realmente senza macchia e dall’alto le macchinazioni coinvolgono gli ingranaggi più piccoli come Briar e Lute, le quali riusciranno a superare le aspettative e a prevalere, ovviamente ma non senza sudare quattro camice.
A livello di giocabilità Soulstice è un’esperienza che sa appagare chi proviene dalla vecchia scuola degli hack ‘n’ slash a scorrimento, inclusi i numerosissimi stylish game usciti nell’era a 128-bit di cui ancora si può percepire l’eco. Come accennato poche righe più in alto, Briar è la sorella principale (o meglio, quella che è chiamata a eliminare i nemici), nonché protagonista liberamente controllabile dal giocatore, grazie anche e soprattutto ai vari attacchi a disposizione. Grazie a lei si possono sferrare colpi veloci e letali, alternati ad altri più lenti ma sicuramente più potenti rispetto a quelli base (si va infatti dal poter utilizzare un martello, un guanto e persino un arco, ciascuno con potenza e caratteristiche differenti). Un singolo tasto è adibito all’uso della lama, mentre a un altro quello dell’arma secondaria equipaggiata. Ed è qui che entrano in gioco i primi problemi: Soulstice è sì un action game di buona fattura, ma spesso e volentieri il button smashing la fa da padrone. La sensazione è che premere furiosamente i tasti sia spesso il modo migliore per uscire indenni anche dalle situazioni più caotiche e problematiche, mettendo quindi in secondo piano tutta la questione tattica che da sempre grazia i massimi esponenti del genere. Nota a parte per le boss fight, le quali riescono a stuzzicare la mente del giocatore che è costantemente a caccia dei pattern giusti per porre fine all’esistenza dei nemici nel modo più sicuro e stiloso possibile. A variare un sistema di combattimento piuttosto canonico e confusionario c’è però la presenza di Lute, che a differenza di Briar non è controllabile (o perlomeno, non completamente), sebbene il suo ruolo sia in ogni caso davvero molto importante. Lo spettro è infatti in grado di attaccare in totale autonomia, pur non infliggendo danni paragonabili a quelli della sorella maggiore. Vero anche che Lute è in grado di contribuire al buon esito di un combattimento, magari immobilizzando il nemico di turno per qualche istante, il che è fondamentale per far sì che Briar infligga successivamente il colpo di grazia. Ma non solo: lo spettro è anche in grado di generare un’aura per rendere tangibili alcune creature, così come di creare piattaforme dal nulla utili a proseguire. Purtroppo, però, l’apporto di Lute non è quasi mai risolutivo, specie dalla distanza, visto che spesso e volentieri sarà molto più utile menare le mani a piacimento, piuttosto che spendere secondi preziosi a utilizzare un’abilità dell’alleata fantasma. A ciò va aggiunto un sistema di schivata non propriamente al top, il quale sembra favorire taluni attacchi a scapito di altri, rendendo il meccanismo un po’ troppo spigoloso. Ovviamente quanto detto fino ad adesso è in paragone con i migliori esponenti del genere, quindi nel complesso Soulstice si rivela un titolo assolutamente riuscito e godibile.
A sostenere un gameplay divertente ma comunque a tratti ripetitivo interviene un’esplorazione delle ambientazioni che spesso invoglia il giocatore di deviare dal percorso principale, offrendogli potenziamenti nascosti o materiale spendibile per sbloccare nuove abilità. Inoltre a rendere l’esperienza più completa ci pensano un immenso skill tree doppio (Uno per sorella) e la meccanica dei Campi. Lute infatti può creare delle cupole colorate – blu e rosse – che rendono vulnerabili certi nemici del rispettivo colore, altrimenti impossibili da sconfiggere. Il Campo non può essere attivato all’infinito, pena la perdita della Coesione e la temporanea scomparsa di Lute, quindi bisogna sempre avere chiaro contro chi si sta combattendo, attivando e annullando il Campo rapidamente. I campi possono essere utilizzati anche per rendere calpestabili alcune superfici nascoste o per frantumare sorgenti da cui attingere gemme per lo sviluppo dei personaggi. A proposito della Coesione, quest’ultima è una sorta di indicatore che, se massimizzato, permette di attivare un breve stato di berserk, detto Furore, che rende potentissimi e veloci e permette di attivare una mossa finale distruttiva. Se si cambia continuamente arma, non si subisce danni e si attacca senza interruzioni, si può attivare anche più volte in un combattimento. Ovviamente per fare ciò serve molta pratica e una padronanza del “moveset” molto elevata. Il sistema di combattimento di Soulstice premia l’equilibrio, la velocità e la precisione. È quindi un peccato che, mediamente, la telecamera fatichi a seguire l’azione, soprattutto negli spazi più angusti dove si incastra facilmente negli angoli delle stanze. Sommando anche la quantità di elementi da tenere in considerazione, ogni tanto può capitare di avere difficoltà un po’ a stare dietro a quanto accade a schermo. Gli sviluppatori propongono un sistema di puntamento “lock-on” che molti riconosceranno per i souls-like, ma non è una soluzione sempre efficace con un gioco così veloce e alle volte si perde più tempo a cercare di bloccare la telecamera sul nemico giusto che a sconfiggerlo. Per completare Soulstice a un livello di difficoltà intermedio sono necessarie circa una quindicina di ore, che aumentano per certo se si vuole rigiocare per trovare i potenziamenti e le sfide secondarie (battaglie in arene con condizioni speciali da rispettare) non completate nella prima run. Inoltre, ogni battaglia e capitolo riceve un punteggio, quindi si potrà giocare ancora e ancora a ogni difficoltà per ottenere quello massimo. La versione Xbox Series X da noi provata include tre diverse modalità grafiche, di cui due privilegiano rispettivamente il frame rate e la risoluzione; la terza, invece, è un compromesso indicato a coloro che preferiscono un’esperienza bilanciata. Durante i nostri test abbiamo giocato perlopiù in Modalità Performance e, fatta eccezione per le fasi più concitate, abbiamo registrato rari cali di frame rate. A livello audio se nel complesso la colonna sonora svolge il proprio compito senza lode e senza infamia, con tracce che difficilmente potranno rimanere impresse, abbiamo invece apprezzato il doppiaggio in inglese, ben recitato e contraddistinto da ottimi accostamenti vocali, nonché gli scorrevoli testi tradotti in italiano, che siamo convinti faranno la gioia di coloro che non masticano la lingua anglofona.Tirando le somme, Soulstice, nonostante non raggiunga le vette di eccellenza dei caposaldi del genere, rappresenta una sorpresa davvero ben gradita nel mondo degli action. La trama interessante e il ricco ventaglio di mosse garantito dal doppio protagonista, dalla vasta gamma di armi e dalla meccanica dei “campi” fanno si che l’avventura abbia un buon livello di sfida. A nostro avviso ignorarle Soulstice sarebbe un vero e proprio peccato, quindi consigliamo vivamente di dargli una chance.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8
Sonoro: 8
Gameplay: 8,5
Gameplay: 7,5
VOTO FINALE: 8
Francesco pellegrino Lise
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Starfield, un’immensa avventura nello spazio destinata a diventare un must have
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4 ore fail
25 Settembre 2023
Starfield è l’ultimo capolavoro, sì consentiteci di chiamarlo così, targato Bethesda. Il titolo disponibile per PC e console è stato lanciato dopo 5 anni da Fallout 76, 8 da Fallout 4 ma soprattutto a 12 anni di distanza dal blasonatissimo Skyrim. La società americana guidata da Todd Howard con Starfield ha proposto un progetto estremamente ambizioso che ha richiesto circa 8 anni di sviluppo attivo per essere completato. Starfield non solo è vasto come una galassia, ma è anche la prima proprietà intellettuale Bethesda completamente nuova in ben 29 anni, e al tempo stesso marca il debutto della versione 2 del suo motore grafico proprietario, il Creation Engine. Insomma, questo titolo è importante per tantissimi aspetti. Ma veniamo al dunque: abbiamo passato un numero di ore davvero imponente sul nuovo titolo Bethesda e ancora adesso abbiamo la sensazione che questo titolo abbia da offrirci ancora un incredibile mole di cose da fare. Una volta avviato il titolo per la prima volta, ci si trova ad avere a che fare con la creazione del personaggio. Il proprio alter ego avrà bisogno di un suo background preciso e l’editor dà abbastanza soddisfazioni. Oltre alle caratteristiche fisiche è inoltre possibile scegliere diversi tratti che, a una prima run, sono quasi spiazzanti, perché sottintendono una conoscenza della lore del gioco che non si può ancora avere. Proprio a riguardo ci teniamo a sottolineare che prima di concentrarsi sull’esplorazione e sulle cose da fare “in grande” è bene finire la trama principale almeno una volta. Vi diciamo questo in quanto una volta che si inizierà il titolo da capo si perderà tutto ciò che si è accumulato in precedenza. Sembra folle, ma credeteci, ne vale davvero la pena! Tornando al primo avvio di Sterfield, una volta completato il personaggio e liberati dalla missione introduttiva, quest lineare e guidata per forza di cose, l’universo è fin da subito ai piedi del giocatore. Si ha a disposizione una nave spaziale, si hanno delle linee guida e delle missioni principali da seguire solo se e quando lo si desideri. Tutto il resto è nelle mani di chi gioca. Dove andare? Chi essere? Come comportarsi? Sono le domande su cui si costruiscono tutti i titoli di successo di Bethesda e ovviamente Starfield non fa eccezione, estendendo questa portata non a un “semplice” se pur estesissimo mondo di gioco, ma all’intero universo.
Ma come è strutturata questa nuova avventura di Bethesda? Come i suoi illustri predecessori, anche Starfield permette di muoversi tra missioni principali della campagna, quest secondarie (fazioni incluse), piccoli incarichi saltuari ed esplorazione libera. Partendo dal primo punto, segnaliamo che per vedere la conclusione della storia principale è necessario un tempo compreso tra le trenta e le trentacinque ore, e che siamo rimasti piacevolmente colpiti dal miglioramento avuto da Bethesda nella scrittura della trama e dei dialoghi. Sebbene la vicenda di Starfield, che prende piede dal ritrovamento di un manufatto dai poteri misteriosi, abbia in realtà un’evoluzione piuttosto semplice e priva di grandi guizzi, è innegabile che questa è in ogni caso coinvolgente e sia capace di ispirare più di una riflessione. I comprimari che affiancano il protagonista, poi, sono riconoscibili e coerenti, essi sono presenti di tanto in tanto in missioni costruite in modo intelligente, a volte costrittive nel dirottare chi gioca verso un approccio armi alla mano, ma in grado di portare il protagonista negli scenari più affascinanti e meglio progettati di tutto l’universo che Starfield ha da offrire. Proseguire la main quest diventa, così, non solo un modo di far crescere il proprio personaggio, ma anche una sorta di tour guidato lungo il meglio che l’universo ha da offrire, con città capaci di variare così tanto tra loro nelle atmosfere da farvi sembrare di essere passati in uno schiocco di dita da un gioco spaziale a un film di ambientazione futuristica in stile Blade Runner. La campagna presenta inoltre anche alcune opzioni di scelta multipla che ricordano un po’ le biforcazioni viste in Skyrim o in alcuni momenti della saga Fallout, nel pieno dello stile Bethesda. Qualsiasi sia la decisione presa, si giunge comunque a un epilogo unico. Per quello che concerne le altre attività più guidate, si segnala con piacere che alcune missioni secondarie, dal lato strettamente estetico, sono strutturate anche meglio delle principali, con peraltro personaggi sfaccettati e un tuffo nella lore, anche politica, dell’universo di Starfield. Pure le quest secondarie generiche offrono, di tanto in tanto, spunti interessanti, mentre le attività minime (ossia attività rapide in cui recuperare oggetti, riferire messaggi) aggiungono più che altro carne al fuoco, senza infamia né lode. Complessivamente, Starfield ne emerge come un universo strapieno di cose da fare, da scoprire, di personaggi con cui intrattenersi. Come dicevamo all’inizio lo esplorerete per ore, ore e ancora ore, perché avrà ancora tanto da darvi e dopo una cinquantina di ore avrete a malapena scalfito la superficie ed esplorato le aree principali delle città in cui la campagna vi ha guidato. Oppure ancora peggio avrete solo esplorato e vi sarete accorti che non avete minimamente toccato la trama principale. Questo è proprio il maggior pregio di Starfield. proprio come le migliori produzioni di Bethesda, il suo universo ha un richiamo tutto suo che continua a far tornare, e magari una missione che sembrava chiedere di consegnare un messaggio si trasforma in un intrigo interplanetario. In questo, Starfield è davvero magnetico.
Una volta usciti dall’orbita del primo pianeta ci si accorge subito che in Starfield l’astronave del giocatore viene gestita come una sorta di base mobile pesantemente armata, che al di fuori dei combattimenti spaziali serve da punto di partenza per gli spostamenti rapidi tra i vari punti d’interesse del cosmo. La struttura del titolo non concede deviazioni rispetto a questo precetto: la galassia è suddivisa in sezioni relativamente contenute, che in genere funzionano da zone di passaggio per il successivo “salto” o per l’approdo planetario. Sebbene le aree in questione, disposte attorno ai diversi corpi celesti, possano ospitare attività di vario tipo, per buona parte del tempo si comportano come semplici tappe tra un viaggio rapido e il seguente. Contestualmente, muoversi “manualmente” verso un astro vicino a quello appena raggiunto è un’impresa davvero ardua, visto che i tempi di percorrenza sarebbero nell’ordine delle decine di ore. Passando all’esplorazione dei pianeti, Starfield ospita un buon numero di scenari e curati in ogni dettaglio, tra cui figurano le principali città del gioco e una generosa quantità di località secondarie, che generalmente fanno da teatro a specifiche questline. Per quanto riguarda metropoli come New Atlantis o Neon, i crocevia di gran parte delle attività incluse nell’offerta ludica, queste sono frammentate in una moltitudine di sezioni più o meno ampie e separate fra loro da caricamenti. Nel caso si voglia invece atterrare in un qualsiasi altro punto di un determinato pianeta, ci si trova al centro di un quadrante (con limiti che non possono essere superati) generato proceduralmente in base alle caratteristiche di quel mondo, circondati da una quota variabile di siti di rilievo che purtroppo possono essere raggiunti solo a piedi, o al massimo utilizzando il pratico zaino-razzo per sveltire la traversata e ridurre i rischi derivanti dai rigori di un bioma particolarmente ostile. Che siano rovine misteriose, vecchie istallazioni scientifiche, avamposti minerari, piccoli insediamenti o basi militari, è più che doveroso precisare che le location dislocate all’interno di ciascuna mappa procedurale sono sì “fatte a mano”, ma anche tratte da un assortimento limitato di strutture preconfezionate. Ciò vuol dire che periodicamente il giocatore si ritroverà ad attraversare i medesimi ambienti, perlopiù privi di alterazioni planimetriche e difformità nella disposizione di ninnoli, mobilio o depositi di loot. Se in prima battuta questa sistematica reiterazione non dà fastidio, col passare delle ore tale modo di strutturare le cose si farà sempre più manifesto, fino a scadere nel tedioso quando anche la missione principale porta a visitare scenari divenuti nel tempo più che familiari. Sebbene quest’ultima evenienza non sia poi così frequente, è indubbio come un tale assetto ciclico finisca per disincentivare la perlustrazione planetaria e affievolire il piacere della scoperta, complice il fisiologico ridimensionamento di una delle connotazioni tipiche delle proposte “made in Bethesda”, ovvero la tendenza a solleticare la curiosità di chi gioca con un bel patrimonio di narrazione ambientale.
L’immensità del progetto di Todd Howard, insieme con i conclamanti limiti del Creation Engine, porta quindi con sé almeno un paio di note dolenti: in primis abbiamo una conformazione fin troppo frammentaria del mondo di gioco, tenuta assieme da una serie infinita di schermate di caricamento, e in secondo luogo una revisione non proprio felice delle dinamiche di esplorazione, che rapidamente scadono nella routine finendo col sottolineare la sostanziale vacuità di moltissimi pianeti. Queste considerazioni vanno però inquadrate nella cornice di un titolo che, come rimarcato in precedenza, riesce comunque a bombardare il giocatore con una dose a dir poco colossale di stimoli che, tra missioni primarie, incarichi secondari, attività sistemiche e incontri fortuiti, si traducono in decine e decine d’ore di divertimento. Una fitta rete di opportunità ludiche che, come detto, si dipana a partire dai maggiori punti d’interesse del gioco, a sostegno di una mole contenutistica che per qualità e proporzioni stabilisce un nuovo apogeo per le produzioni di Bethesda. Anche se non proprio perfetto, anche il gameplay nel suo complesso è efficace e ben fatto, a partire da una progressione che, di livello in livello, permette di sbloccare bonus passivi, utili per le meccaniche di base e abilità in grado di alterare in maniera consistente la gamma degli approcci a disposizione del giocatore. La necessità di completare delle semplici sfide per accedere alla versione potenziata di ciascun perk delinea un connubio alquanto funzionale tra il più classico dei paradigmi ruolistici, quello basato sull’accumulo di esperienza e sulla distribuzione di punti abilità, ed il modello utilizzato negli ultimi capitoli della saga di The Elder Scrolls, in cui la crescita di un parametro era legata al suo utilizzo. Va poi detto che le dinamiche di progressione di Starfield sono tarate non solo per adattarsi all’eventualità di affrontare il New Game Plus, ma anche per avvalorarne gli elementi strutturali. Senza indugiare oltre su questo punto, vi confermiamo che le scelte effettuate tra le maglie del sistema di avanzamento hanno dunque un impatto considerevole sul bilancio dell’esperienza, tutto sommato coerente con la rotta libertaria tracciata dal team di sviluppo. Tanto per intenderci, se è chiaro che ignorare del tutto la categoria dedicata alle abilità combattive non è proprio la migliore delle idee, dato che non sempre sarà possibile cavarsela a suon di chiacchiere, nulla costringe i giocatori a investire più di qualche punto nella propria formazione al combattimento. Per quanto riguarda le sparatorie, sebbene il feedback delle armi sia un po’ “morbido” e disomogeneo, e si noti qualche piccola imprecisione nella regolazione delle hitbox, il gunplay risulta nel complesso gradevole e conforme a quelli che sono i requisiti di un prodotto di questo genere. Quindi non bisogna aspettarsi una sorta di fluidità alla Call of Duty, ma in ogni caso un buon sistema di mira e fuoco. La varietà dell’arsenale contribuisce poi a rendere più vivace e godibile questo aspetto del gameplay, permettendo al protagonista di mettere le mani su una gamma decisamente ampia di bocche da fuoco ai diversi livelli di rarità, cui in genere corrisponde una quota più o meno abbondante di modifiche estetiche ed effetti che incidono in maniera relativa sulla loro efficienza letale. Anche le tute spaziali, i caschi e i boost pack offrono un simile spettro di benefici, che influiscono su valori come la resistenza ai vari tipi di danno o la capacità di sopportare le avversità ambientali. Sfruttando il sistema di crafting è inoltre possibile personalizzare ognuno dei pezzi d’equipaggiamento ottenuti, con limitazioni la cui entità dipende soprattutto dalle abilità sbloccate dal protagonista. In base alle proprie vocazioni, è possibile ampliare in maniera consistente l’elenco degli elementi che è possibile produrre presso gli appositi banchi da lavoro, a patto di avere la giusta quantità di risorse. Queste possono essere accumulate con il looting o raccolte durante l’esplorazione dei pianeti, sfruttando un frantumatore laser per estrarre i materiali dai depositi in superficie. Un’alternativa ben più efficiente è quella di costruire pezzo dopo pezzo un avamposto minerario per estrarre le risorse direttamente dal sottosuolo, immagazzinarle e instradarle verso un altro insediamento eletto a centro manifatturiero, convertendo poi ogni eccedenza in crediti.
Come accennavamo però, Starfield è un videogame sensazionale, ma non è un titolo perfetto. La sensazione che si ha giocandolo è quella di trovarsi davanti a un videogioco proiettato nel futuro con ogni sua fibra, ma ancorato al passato in modo quasi irrazionale. Lo è anche nella gestione dei dialoghi, statici con i personaggi piantati, immobili, esattamente come in Skyrim. E lo è anche nel comparto tecnico, che vedremo a breve. Un ulteriore neo dell’esperienza di Starfield è quello della sua mappa e della UI che la riguarda. Con un universo di gioco così grande, Bethesda ha optato per una mappa costruita su quattro livelli: superficie, pianeta, sistema e galassie. La mappatura dei controlli per passare dall’una all’altra è però terribilmente poco funzionale e, se dopo qualche tempo ci si abitua più o meno al voler uscire dal menù e trovarsi per sbaglio a passare da un tipo di mappa all’altro perché il tutto si fa con lo stesso tasto, la gestione della mappa di superficie è invece inaccettabile. Immaginate di essere nell’immensa città di Nuova Atlantide e aver bisogno dell’armeria: è bene tenere a mente in che punto e in che quartiere essa si trova, perché la mappa non segnala i punti di interesse già scoperti in una città, ma solo i suoi macro quartieri. L’ingenuità di design può raggiungere dimensioni macroscopiche quando capiterà di aver trovato una città e non sapere più in che galassia, in che sistema e in che pianeta fosse, perché non c’è una lista o qualcosa di simile che permetta di richiamarle. E con un intero universo a disposizione e solo delle icone che di tanto in tanto sono pure piazzate sul sistema sbagliato, a indicare la presenza di una città, ci si trova più confusi che altro. La UI è capricciosa anche per quanto riguarda le missioni, dal momento che non sono suddivise per area, ma parte di liste a seconda della tipologia: principali, fazioni, varie, attività e così via. Atterrare nella città di Neon e aprire le missioni per scoprire cosa c’è da fare qui non è possibile: è necessario infatti passare in rassegna la lista delle quest, premere “mostra sulla mappa” e verificare la location del singolo incarico. Ecco che così Starfield si divide tra il risultare testardamente vecchio in alcuni aspetti e assurdamente acerbo in altri. Peccato, perché altri aspetti della UI come l’interfaccia dell’orologio chronomark del protagonista per scoprire le caratteristiche dei pianeti, sono invece affascinanti, coinvolgenti e ben realizzati, evidenziando così anche qui un’anima spezzata a metà, tra quello che risulta ispirato e quello che sembra messo insieme con il nastro adesivo e che quasi rende faticosa l’esperienza del giocatore.
Dal punto di vista estetico, il design dei personaggi, dei vestiti, delle metropoli, delle bocche di fuoco, delle strutture il lavoro svolto è davvero di grandissimo pregio. La personalità del gioco è magnetica e riconoscibile e, in questo, Bethesda ha creato un’opera di livello assoluto, riuscendo anche a distinguere gli stili delle diverse città, dei marchi di armi, delle correnti di moda. Dal punto di vista puramente tecnico, parliamo del gioco più pulito in termini di bug e glitch, di un titolo firmato Bethesda. Ovviamente, come detto precedentemente anche in questo lato Starfield non è perfetto in quanto ci sono alcuni problemi, piccolezze rispetto alla portata del gioco, e nel mio caso purtroppo segnalo di essere incappata in due bug irreversibili: se il primo mi ha costretta a ripetere da zero una missione ricaricando il salvataggio precedente (fortunatamente il gioco salva da solo di continuo), il secondo invece è avvenuto durante un confronto cruciale per l’epilogo, costringendoci a ripeterlo dall’inizio e affievolendo il pathos del momento. In merito alle performance pure, è evidente come il gioco non potesse ambire ai 60 fps in alcun modo. I 30 fps su Xbox Series X hanno dei drop saltuari negli ambienti affollati o nelle sparatorie particolarmente numerose, ma l’esperienza rimane perfettamente godibile. Anche su Xbox Series S il frame rate è più o meno stabile se non nei casi citati, anche se in questo caso abbiamo registrato qualche chiusura improvvisa del gioco, con un vero e proprio crash, cosa che non è mai capitata su Series X. Non ci sono modalità grafiche e, sul fronte dei dettagli, si va da scorci piacevoli ad altri che stupiscono per la loro povertà. Svariati pianeti sono popolati da una texture di vegetazione spalmata per lungo qua e là, per caratterizzare il terreno, e da sparuti cespugli, che restituiscono un modo di riempire le mappe a sua volta invecchiato non benissimo e che di tanto in tanto rimanda a una generazione fa. Il discorso è valido per gli esterni, anche in una città come Nuova Atlantide, dove la realizzazione della vegetazione fa storcere il naso, mentre gli interni sorprendono per bellezza dei dettagli, delle luci e della modellazione. Anche in questo caso, insomma, con l’estensione delle mappe viene meno la possibilità di renderle dense e dettagliate come si potrebbe. Anche per quanto riguarda i personaggi in sé, non parliamo di una eccellenza: i modelli sono gradevoli, animati con quella rigidità di fondo che permea tutta la produzione, e assolvono al loro scopo rappresentando comunque un miglioramento rispetto alle vecchie produzioni del team del Maryland. Ma il comparto tecnico non vuole essere il fiore all’occhiello di Starfield e per le nostre valutazioni lascia il tempo che trova, almeno fino a quando non ci sono performance che compromettono l’esperienza. Ma fortunatamente non è questo il caso, poiché Starfield rimane godibile, anche con qualche singhiozzo qua e là, ed è solo un peccato non vedere la console più potente sul mercato venire messa alla prova con pianeti esplorabili ben più ricchi di così, anche nel colpo d’occhio. Tirando le somme, con Starfield Bethesda ha portato su Xbox e Pc un titolo mastodontico che per certi versi rappresenta l’apice assoluto della produzione della casa statunitense. Per qualità e dimensionamento, infatti, il bagaglio ludonarrativo dell’opera si pone una spanna sopra le precedenti avventure ruolistiche del team, dalle quali però il titolo eredita anche alcuni tra i suoi tratti meno convincenti. Strascichi che sicuramente hanno qualcosa a che vedere con l’assetto di un universo tanto ampio quanto frammentario, che per le sue caratteristiche strutturali finisce con l’affievolire il richiamo dell’esplorazione, da sempre uno dei ingredienti principali della formula di Bethesda. Al netto dei suoi limiti, però, l’epopea stellare offerta da Starfield si dimostra uno straordinario crocevia di storie e avventure memorabili, tasselli di una proposta a tratti totalizzante, in grado di offrire centinaia di ore di divertimento. Insomma, Starfield è un capolavoro che merita di essere giocato nel modo che più ognuno preferisce. Però non è un titolo perfetto, è questo forse è un bene in quanto se la produzione rappresenta un nuovo punto d’inizio per Bethesda, siamo certi che da qui in avanti le produzioni future saranno qualcosa di davvero sensazionale.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9,5
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9
Longevità: 10
VOTO FINALE: 9,5
Francesco Pellegrino Lise
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Alexa si prepara a diventare super intelligente. Amazon entra nell’agone dell’intelligenza artificiale generativa sfidando ChatGpt, Microsoft e Google. Durante un evento che si è tenuto presso gli uffici dell’azienda vicino a Washington, il colosso tecnologico ha svelato che il suo assistente digitale Alexa sta per essere potenziato con questa tecnologia, che entra così nel soggiorno e nella cucina di tutti. Amazon ha affermato che una versione in lingua inglese di Alexa AI sarà resa disponibile come opzione su tutti i suoi dispositivi negli Stati Uniti nei prossimi mesi. “Ci vorrà del tempo per integrare queste tecnologie ma sono molto ottimista sul fatto che siamo partiti con un inizio eccellente”, ha affermato Dave Limp, vicepresidente senior di dispositivi e servizi di Amazon. Con il cambiamento, Alexa sarà in grado di conversare con uno stile più personalizzabile e di abbandonare il suo “tono robotico”, ha spiegato la società. Alexa potrebbe anche attingere a informazioni in tempo reale e creare quasi la parvenza di un rapporto personale con gli utenti, che includa la consapevolezza delle loro abitudini o delle loro squadre sportive preferite. “Ad esempio, potresti dire ‘Alexa ogni mattina alle 8 accendi la macchina del caffè, apri le persiane, abbassa le luci nello studio e ascolta le notizie del mattino’ e creare così una routine”, ha osservato Limp. Daniel Rausch, il dirigente responsabile di Alexa, ha sottolineato che l’intelligenza artificiale porrà un’enfasi particolare sulla precisione e che i suoi sforzi non sono paragonabili a quelli dei chatbot che hanno dimostrato di produrre imprecisioni. “Precisione nella casa intelligente significa abbiamo acceso la luce giusta, abbiamo chiuso la porta giusta, siamo sicuri dello stato del sistema di sicurezza”, ha sottolineato, non aggiungendo però nessun dettaglio sulla privacy. Durante l’evento, Amazon ha anche presentato il suo ultimo hub per la casa intelligente Echo 8, nonché una soundbar per televisori e nuove funzionalità di ricerca basate sull’intelligenza artificiale sul suo servizio FireTV. Insomma, l’intelligenza artificiale e la domotica sembrano proprio essere al centro dell’attenzione di Amazon che pianifica un futuro hitech per tutti i propri utenti.
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4 ore fail
25 Settembre 2023
The Crew Motorfest, disponibile per Pc, Xbox e PlayStation, rappresenta un cambio di rotta vero e proprio per la serie targata Ubisoft. Questo avviene da un lato ispirandosi in maniera fin troppo esplicita alla serie Forza Horizon, dall’altro perdendo di vista gli aspetti che hanno caratterizzato questa proprietà intellettuale sin dagli esordi, finendo per sfruttarli ben poco nel corso di una campagna che rappresenta senza né se né ma la fiera delle playlist. Anche dal punto di vista prettamente strutturale il ripensamento è evidente e vede passare dall’enormità delle precedenti mappe americane ai confini di un’isola hawaiiana, O’ahu, che tuttavia si presenta come uno scenario non solo suggestivo sul piano puramente estetico, ma anche dotato di una maggiore densità e coerenza per quanto concerne i contenuti da affrontare. Così facendo gli sviluppatori di Ivory Tower hanno voluto puntare su di uno scenario in grado di regalare scorci particolarmente suggestivi, specie in alcune ore della giornata, e di confezionare questa nuova esperienza in maniera simile a Forza Horizon. In effetti le sequenze iniziali di The Crew Motorfest riprendono davvero molti degli elementi tipici della serie di Playground Games: dall’alternanza di paesaggi e musiche latineggianti dei titoli di apertura alla fase introduttiva in cui ci si mette alla guida dei tanti veicoli differenti a cui si potrà accedere nel corso della campagna, per arrivare al concetto di festival per gli appassionati di motorsport, che viene presentato poco prima di passare all’editor per la creazione del proprio alter ego virtuale. La struttura su cui si poggia The Crew Motorfest è costituita da un buon numero di Playlist, competizioni di vario tipo dedicate ad una precisa tipologia di veicoli o di gare. C’è infatti la Playlist dedicata al Tuning Giapponese, oppure, rimanendo in tema Sol Levante, quella dedicata all’auto del paese orientale, passando poi a quella dedicata alle macchine classiche dagli anni ’50 in poi, o ancora quella dedicata alle Lamborghini, quella alle gare Off Road, quella alle Motociclette arrivando a Playlist con host più o meno famosi come i folli ragazzi di Donut Media o quella dell’influencer Supercar Blondie che darà l’occasione di guidare delle avveniristiche concept car. Ognuna di queste Playlist andrà a modificare più o meno profondamente anche il panorama delle gare, mettendo i giocatori, ad esempio, in gara di notte in mezzo a sgargianti luci al neon per la Playlist dedicata alle auto Giapponesi, con tanto di enormi dragoni che decorano le strade, oppure la particolarissima saturazione dei colori più soft nelle gare dedicate alle auto storiche. Una scelta non rivoluzionaria, sia chiaro, ma decisamente di effetto e che riesce a donare un’inaspettata varietà ai panorami dell’isola. Ogni Playlist presente in questo nuovo The Crew Motorfest è composta da un certo numero di eventi che è necessario compiere in successione per portarla a termine. Alcune saranno dei veri e propri campionati con punteggio ad ogni tappa e premiazione finale sul podio, altre invece offriranno eventi in cui sarà sufficiente arrivare al traguardo, come le suggestive gare con le auto storiche in cui, non avendo in questo caso l’ausilio del GPS, bisogna raggiungere il traguardo seguendo degli indizi fotografici che appariranno su schermo di volta in volta. Altre ancora invece chiederanno di completare la gara nelle prime tre posizioni, mettendo quasi sempre in condizione di compiere i vari obiettivi senza troppi pensieri. La fase iniziale di Motorfest è abbastanza rigida, visto che oltre alle Playlist non avremo molto altro da fare se si escludono gli sporadici Autovelox, o le brevissime prove di Slalom sparse nelle strade delle Hawaii, ma basterà cominciare a completare le Playlist per sbloccare moltissime sfide secondarie che andranno a riempire la mappa di nuove prove che spaziano dal compiere determinate manovre con una precisa macchina passando per la raccolta di innumerevoli collezionabili sparsi ovunque, arricchendo di molto l’offerta proposta man mano che si va avanti nella carriera. Un aspetto comune a tutte le Playlist disponibili nel gioco è la particolare scelta di mettere i giocatori sempre alla guida di veicoli offerti dal gioco stesso che da un lato dona una varietà notevole, ma che dall’altro lato sacrifica completamente le auto presenti in garage. Una scelta ancor meno comprensibile se si prende in considerazione la gradita possibilità di importare quasi tutte le vetture possedute in The Crew 2, ma che le mette nella non troppo piacevole posizione di semplici comparse che si possono usare a piacimento nel free roaming e nelle gare multigiocatore.
Naturalmente ad ogni vittoria si guadagnano diverse ricompense: dai crediti da investire in nuovi veicoli e nella loro personalizzazione estetica, agli immancabili XP che permettono di crescere di livello sbloccando ulteriori ricompense, titoli e quant’altro, sino al particolare sistema di modifiche tecniche rappresentato in The Crew Motorfest da un originale sistema paragonabile al Loot di un gioco di ruolo. Grazie all’ottenimento di alcune carte dedicate a varie parti da modificare suddivise per rarità, Non Comune, Raro, Epico e Leggendario, e accompagnate anche da un valore numerico che ne indica l’efficacia, modificare il bolide è ancora più intrigante. Queste particolari carte sono anche suddivise per categoria: in una gara dedicata al fuoristrada si ottengono pezzi per questo tipo di veicoli, così come in una gara dedicata alle moto si conquistano parti relative solo a questa categoria e così via. Anche in questo caso però ci si scontra con la scelta di dover usare delle auto a “noleggio” nelle gare, rendendo molto meno interessante ed utile la modifica dei propri veicoli, specialmente nell’ottica del progresso in giocatore singolo. Parlando sempre di veicoli, come da tradizione per The Crew, essi non si limitano solo alle auto, ma si possono usare anche moto, aerei, motoscafi, Monster Truck, fino ad affascinanti prototipi inventati di sana pianta da Ivory Tower arrivando infine al top per quel che riguarda sia le motociclette, con alcune MotoGP disponibili, che per le auto con alcuni modelli di RedBull Formula 1. Naturalmente è possibile affrontare tutte le Playlist con la Crew per un massimo di quattro giocatori e, oltre a questo, si può prender parte anche a gare esclusivamente multiplayer. La prima è la Grand Race, una competizione per 28 giocatori in cui utilizzare tre diverse tipologie di vetture, ognuna per un terzo di gioco. Appena prima di partire si ha la possibilità di selezionare cosa utilizzare in gara. Queste competizioni saranno mediamente abbastanza lunghe e piuttosto impegnative visto anche l’elevato numero di concorrenti che non si faranno troppi problemi a giocare sporco fra tamponamenti e sportellate. Nel Demolition Royale, invece, si prende parte ad un particolare mix tra un Demolition Derby ed una Battle Royale. In questo caso i giocatori saranno un massimo di 32 suddivisi in squadre di un massimo di 4 giocatori ed l’obiettivo è ovviamente quello di eliminare gli altri concorrenti distruggendone le auto con scontri spettacolari. Una volta provocati abbastanza danni è anche possibile trasformarsi in Monster Truck aumentando a dismisura la forza distruttiva per puntare ad essere gli unici sopravvissuti e quindi vincitori. Entrambe queste tipologie di gare sono sempre disponibili e, ad ogni mezz’ora, offriranno un’ambientazione diversa e anche classi di auto coinvolte differenti di volta in volta. Un altro aspetto peculiare di The Crew Motorfest è la presenza dell’Hub, una vera e propria base operativa in cui girare a piedi in un garage virtuale in cui saranno esposte le auto di altri giocatori che si possono ammirare in ogni minimo dettaglio, votare quelle che si preferiscono per il contest mensile legato alle personalizzazioni estetiche ed anche iscrivere uno dei propri veicoli a queste particolari gare. Si può addirittura sedersi al volante di ognuna delle auto presenti, accenderne il motore per sentirlo ruggire, un piacevole extra che consente di ammirare ogni auto presente. All’entrata sarà presente anche un’auto che rappresenta il bundle principale delle auto disponibili all’acquisto. Ovviamente si possono comprare coi crediti di gioco, ma i giocatori più frettolosi e facoltosi potranno anche utilizzare soldi veri per risparmiare tempo, ma non denaro. Sempre all’interno del Hub si può partecipare al Summit Contest, ossia una specie di Playlist Mensile, suddivisa in eventi settimanali, dedicata anche in questo caso ad uno specifico tipo di vetture. Compiendo le varie prove disponibili con le auto adatte, si ottengono ricompense di ogni tipo oltre a salire di livello andando ad accumulare anche i particolari Punti Leggenda. Questi punti possono poi essere investiti per migliorare alcuni aspetti in maniera permanente. Si può ad esempio investirli per ottenere un boost ai punti esperienza guadagnati, oppure ai crediti e così via. Si possono investire fino ad un massimo di 20 punti Leggenda per ognuna delle voci disponibili e questo offre dei bonus ragguardevoli, sebbene ci vorrà molto tempo e moltissime gare per accumularne a sufficienza per ottenere i bonus maggiori. Come da nuova politica Ubisoft, il gioco è localizzato in italiano nei soli testi, mentre il parlato rimane in inglese.
The Crew Motorfest può contare su un’enorme varietà dei mezzi disponibili. Da questo punto di vista il gioco è una festa vera e propria paragonabile al famosissimo Goodwood Festival che ogni anno fa la gioia degli appassionati di qualsiasi cosa sia mossa da un motore, a scoppio od elettrico. Avere a disposizione un parco vetture così eterogeneo porta ovviamente ad una quantità e varietà di gare davvero soddisfacente, e la scelta di modificare profondamente anche il paesaggio a seconda della Playlist in corso non fa altro che sottolineare tutte queste piacevoli sfaccettature. Peccato che in alcuni casi queste variazioni sul tema riguardano solo oggetti di contorno come enormi gonfiabili e cartelli vari, il gioco dà il meglio di sé quando modifica tutto, come nel caso delle gare dedicate alle auto Giapponesi decisamente d’impatto od anche ai particolarissimi circuiti dedicati al Drift che con le loro interminabili curve portano a decine di metri di altezza dal suolo. Le novità di The Crew Motorfest si estendono anche al gameplay, che presenta un modello di guida sostanzialmente migliorato rispetto al passato, capace di trasmettere in maniera molto più convincente il peso della vettura e di mantenere alto il coinvolgimento durante le gare nel tentativo di bilanciare accelerazione e freno, derapate e boost al fine di evitare impatti che potrebbero rallentarci parecchio. In tal senso si notano alcune importanti accortezze: la prima è l’introduzione di una funzionalità rewind che consente di riavvolgere gli ultimi quattordici secondi di azione, nel caso in cui si rimanga coinvolti in un incidente che potrebbe compromettere in maniera frustrante il piazzamento finale di una gara fino a quel momento perfetta. La seconda riguarda il design dei tracciati, quasi del tutto privi di ostacoli contro cui inchiodarsi e dotati di barriere laterali in curva che permettono di evitare scivolamenti eccessivi quando si arriva lunghi, cosa che potrebbe farci perdere il contatto con i checkpoint. Questi ultimi, peraltro, presentano una certa tolleranza al contatto, pensata per preservare quanto più possibile la fluidità della corsa ed evitare di rovinarla per qualche centimetro. Infine sono presenti diverse opzioni che consentono di scalare l’esperienza di guida sulla base delle proprie preferenze, dai banali indicatori della traiettoria al cambio automatico o manuale, passando per tutta una serie di assistenze elettroniche che possono rendere ancora più concreto e solido l’impianto messo a punto da Ivory Tower. Peccato che poi, quando ci si mette alla guida di un motoscafo o soprattutto di un aereo, questo spessore finisca per dissiparsi irrimediabilmente. Dal punto di vista tecnico The Crew Motorfest include due modalità grafiche su PS5 e Xbox Series X: una a 4K dinamici e 30 fps, l’altra a 1440p dinamici e 60 fps. Quest’ultima è ovviamente da preferire e si comporta molto bene anche sul fronte della nitidezza sugli schermi Ultra HD, sebbene soffra di qualche fastidioso calo di frame rate, di alcune mancanze e di fenomeni di pop-up abbastanza evidenti quando si corre a gran velocità. In generale, la resa visiva di The Crew Motorfest fa il possibile per avvicinarsi al suo più volte citato punto di riferimento, Forza Horizon 5, senza però raggiungere il medesimo livello qualitativo: in alcuni frangenti l’isola di O’ahu appare davvero affascinante e i suoi paesaggi regalano momenti emozionanti, ma quando il sole è alto il sistema di illuminazione tende un po’ ad appiattire gli elementi e alla fine ci si muove un po’ fra alti e bassi. Tirando le somme, il nuovo gioco di corse targato Ubisoft è sicuramente divertente, intrattiene con una rosa di veicoli davvero inimitabile, e lo fa in un panorama bellissimo e attraverso un enorme numero di gare ed eventi. La particolare progressione parte lenta, ma non bisogna temere, infatti il gioco offre moltissimi eventi proseguendo nella carriera. Peccato per alcune scelte che ne intaccano l’anima stessa, sacrificando aspetti che sarebbe stato meglio vedere sottolineati nella giusta maniera, garage personale e modifiche tecniche in primis. Lo stile di guida funziona, ma si inciampa in alcune fasi, come in partenza o quando il comportamento delle vetture cerca di essere verosimile, sbagliando clamorosamente. Fortunatamente l’utilizzo delle assistenze alla guida smussa questi angoli e ne amplifica il divertimento, ma probabilmente rinunciare a qualsiasi velleità realistica, anche la più piccola, avrebbe giovato non poco al gioco. Se siete quindi amanti dei racing games e state cercando qualcosa che affianchi Forza Horizon, allora questo The Crew Motorfest è ciò che state cercando.
GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 8,5
Sonoro: 7,5
Gameplay:7,5
Longevità1. 8
VOTO FINALE: 8
Francesco Pellegrino Lise
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Robert Graham
30 Settembre 2022 at 16:20
Ed è proprio qui che entrano in gioco i primi problemi: Soulstice è sì un action game di buona fattura, ma spesso e volentieri il button smashing la fa da padrone.
Vero anche che Lute è in grado di contribuire al buon esito di un combattimento, magari immobilizzando il nemico di turno per qualche istante, il che è fondamentale per far sì che Briar infligga successivamente il colpo di grazia.
Ovviamente quanto detto fino ad adesso è in paragone con i migliori esponenti del genere, quindi nel complesso Soulstice si rivela un titolo assolutamente riuscito e godibile.
Se si c